SANTA MARIA CAPUA VETERE – LA 2° VIOLENZA VA IN SCENA… L’ORRIBILE MATTANZA, PUNTA DI ICEBERG DI UN SISTEMA STRUTTURALE MODERNO FASCISTA, RIDOTTA A EPISODIO…

Il mega Tavolo convocato ieri dalla Ministra Cartabia, con 24 organizzazioni sindacali dell’amministrazione penitenziaria dopo le condanne di rito – circoscritte però agli episodi di violenza, su cui il giudizio più “pesante” della Ministra è “fatti esecrabili“, come se si stesse parlando di qualche eccesso e non di sistematiche torture, che tutti sapevano, volevano e coprivano, e della punta di iceberg di un clima di feroci e sistematiche “punizioni” presenti anche in altre carceri e di massacri che ricordano solo il nazismo – si è concentrato sulla difesa, elogio di “corpo”:

I Vertici del Dap, Petralia, Tartaglia: “Immagini… che tradiscono lo spirito e la funzione nobile di un intero corpo di polizia fatto di persone perbene e di grande valore...”

Cartabia: “Capire come questi fatti siano potuti avvenire… convinta che i fatti di Santa Maria Capua Vetere abbiano sconvolto tantissimi agenti che ogni giorno fanno con dignità e onore il proprio lavoro… Immagino che lo sconcerto che abbiamo provato tutti noi sia stato per voi ancora più forte. Quindi volevo che vi arrivasse il mio attestato di fiducia al corpo della polizia penitenziaria… a chi svolge correttamente il proprio lavoro… Ora è tempo di individuare le responsabilità, capire gli errori (“ERRORI” vengono chiamati le indicibili violenze che di seguito pubblichiamo – da un articolo de Il Maniesto – ndr) ma poi ricostruire… non si può criminalizzare tutto il corpo della penitenziaria… che nell’anno difficile della pandemia ha sofferto e avuto paura… 

Il Sappe: “Rispettare la presunzione di innocenza… non si identifichi il corpo con quelle immagini” 

Altri sindacati hanno chiesto “più attenzione alle aggressioni subite dagli agenti”

Fp Cgil: “occorre una revisione organizzativa dell’amministrazione nel complesso e la piena civilizzazione, proseguendo sulla strada della legge 395 del 1990, realizzando finalmente quel processo di democratizzazione capace di dar voce e rappresentanza a quanti vogliono uscire dalla condizione di arretratezza  per approdare alla dimensione delle dignità del lavoro…”.

E QUESTI SONO GLI “ERRORI”…

Da il Manifesto:

…«Che la violenza costituisca con tutta probabilità una costante nel rapporto fra gli indagati e i detenuti lo si evince dai filmati – scrive il gip -. Si nota che gli agenti in modo del tutto naturale compiono dei gesti quasi “rituali”, come nel caso in cui si dispongono a formare un “corridoio umano” e cominciano a picchiarli con estrema violenza, sebbene inermi».

ERA NELLA CELLA 7, terzo piano Marco Ranieri. Sei agenti lo prelevano, viene trascinato lungo il corridoio. Alla scena assistono due ispettori e sei agenti che lo costringono a mettersi con le braccia alzate, contro il muro. Lo fanno spogliare e, nudo, è costretto a fare le flessioni. Tre nuovi agenti lo afferrano e lo portano al piano terra. Ranieri ha un tutore alla gamba, gli serve per camminare, glielostrappano via. Lungo le scale trova altri agenti, disposti su entrambi i lati, che lo prendono a schiaffi.

ARRIVATO ALLA ROTONDA del piano terra la responsabile del reparto Nilo, Anna Rita Costanzo (accusata anche di depistaggio), dice ai sottoposti «Ranieri le deve avere» così due agenti riprendono a colpirlo. Imboccato il corridoio, un altro agente lo manganella alla testa, alla schiena, al bacino, alle costole, al viso. Lo colpisce e gli ripete: «Tu e tutti i tuoi compagni dovete morire». Un altro agente lo afferra per la barba stracciandogliela, gli sputa addosso e lo colpisce al volto: «Sei il masto del Lazio? Lo vedi chi comanda qua?». In 15 lo accerchiano, gli sputano e continuano a colpirlo. Cade a terra, altre botte, feroci, alla testa, alla schiena, alle costole, al bacino, al volto con i manganelli e persino con una sedia.

Nell’area passeggio, il cosiddetto fosso, continuano infierire gridando «siete merda, tua madre è una zoccola che ti ha partorito in galera». Lo minacciano di morte «se avesse parlato». Dal fosso lo prendono in carico altri agenti che, alla presenza dell’ispettore Salvatore Mezzarano (sospettato di aver costruito false prove contro i detenuti), gli sputano addosso e giù altri calci, schiaffi, pugni. Arrivato all’ufficio di sorveglianza, viene colpito al capo e al corpo. Lungo il corridoio verso la sua nuova cella altri sputi, pugni, calci alla testa e alla schiena. Nei pressi del cancello del Danubio lo afferrano e gli sbattono più volte la testa contro il muro, un colpo di manganello gli fa cadere un dente e perde i sensi.

ANTONIO FLOSCO era nella cella 13, III sezione, secondo piano del Nilo. Anche lui si deve spogliare per la perquisizione. Schiaffi, calci allo stomaco, pugni, manganellate alla testa, alla schiena e alle gambe prima di essere trascinato in corridoio dove oltre 20 agenti lo circondano per il pestaggio. Lo trascinano fino all’ingresso delle scale utilizzate dalla polizia penitenziari (non coperte dalle telecamere) e lo colpiscono alla testa e al corpo. Lungo la scalinata subisce una nuova dose di colpi dagli agenti su due file. Alla rotonda del piano terra lo trascinano nel corridoio che porta agli altri reparti.

Riconosce il comandante della polizia penitenziaria Gaetano Manganelli (che durante l’interrogatorio di garanzia ha fatto mettere agli atti di non essere tra coloro che hanno «gestito, diretto e organizzato» la perquisizione), Costanzo e Mezzarano: davanti a loro viene colpito con pugni, schiaffi e calci. All’interno della stanza presso l’ufficio matricola perde i sensi. Un alto detenuto, Bruno D’Avino, chiede agli agenti una bottiglia d’acqua per soccorrerlo, «beviti l’acqua del cesso» gli rispondono e gli sputano in bocca.

È NELLA STANZA MATRICOLA che Flosco subisce un’ispezione anale con lo sfollagente. Gli agenti gli dicono di non sporgere denuncia «altrimenti non avrebbe avuto una vita tranquilla in carcere». Al Danubio ritrova Manganelli, gli chiede aiuto: «Portatevelo, portatevelo» la risposta. La sera nessuno lo visita né gli danno la terapia. La sua cartella clinica recita: ipertensione, cardiopatia ischemica con pregressi infarti, epilessia, deficit psichico con episodi di autolesionismo”.

Tagliano le teste per colpire alle gambe, ma la lotta di classe non si arresta: Milano, foglio di via a Edoardo Sorge. Organizzò i picchetti presi d’assalto da vigilantes

Secondo il provvedimento della questura il coordinatore sindacale è “pericoloso socialmente”.

Non solo il sindacalista dei Cobas Adil Belakhdim è stato ucciso investito da un tir a Biandrate (Novara) il 18 giugno, non solo un lavoratore picchiato da una squadra di persone armate di bastoni finì in coma a Tavazzano lo scorso 11 giugno. Per l’anello più debole del mondo della logistica arriva un’altra cattiva notizia: la questura di Milano ha dato il foglio di via ad un altro sindacalista che organizzò le manifestazioni contro i licenziamenti al centro della logistica FedEx di San Giuliano Milanese, dove anche allora i lavoratori subirono minacce e violenze da gruppi di bodyguard. Il provvedimento è datato 31 maggio ma è stato notificato oggi a Eduardo Sorge dei Si Cobas.

I sindacati di base da mesi portano avanti una politica sindacale di conflitto contro licenziamenti, paghe al ribasso, turni di lavoro massacranti e le opacità societarie in materia di cooperative e subappalti nella logistica. Anche attraverso il blocco stradale dei mezzi delle società del settore. Che a loro volta si sono organizzate assoldando vigilantes privati pronti a sfondare i picchetti con la forza. Per il vicario del questore Cristiano Tatarelli la presenza di Sorge nel centro dell’hinterland milanese può essere “finalizzato a commettere attività illecite in grado di turbare l’ordine e la sicurezza pubblica”. Il sindacalista esprime “una pericolosità sociale concreta e attuale”.

Pericoloso per la salute pubblica è il comportamento di una multinazionale che in barba agli accordi chiude l’azienda per riaprire altrove per sfruttare lavoratori interinali, è pericolosissimo che sia il Questore di Milano a dire che il compenso economico per un licenziamento sia congruo o meno, è pericoloso il capitale, sono i padroni, lo stato borghese che difende i profitti di pochi estratti dal sudore dei tanti. I reati veri sono i licenziamenti, l’arruolamento di squadre private per aggredire i lavoratori, sono i sistemi giungla della logistica, sono le mancate risposte istituzionali. È pericoloso un sistema sociale e politico basato sulle sfruttamento.
E solo gli sfruttati, organizzati, possono difendere sé stessi per il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro e di vita, per una nuova società senza sfruttati né sfruttatori.

CHIUDERE IL LAGER DI TORTURA DI SANTA MARIA CAPUA VETERE!

Quanti video dell’orrore “legalizzato” si devono pubblicare per dare un minimo di giustizia ai detenuti massacrati?

Il lager di Santa Maria Capua Vetere deve essere chiuso!

Gli agenti torturatori devono essere arrestati! Compreso i responsabili dell’amministrazione penitenziaria che sapevano tutto e li hanno coperti.

La Ministra della giustizia, che non può affatto dire di non sapere, si deve dimettere.

Altro che mega Tavoli convocati dalla Cartabia in cui tutti sono “invitati” a “dibattito”, in cui i rappresentanti sindacali dei massacratori che tuttora li difendono hanno diritto di parola, in cui agenti torturatori e detenuti torturati vengono messi sullo stesso piano, e le condanne “morali” saranno equamente distribuite….

Qualcuno giustamente ha paragonato la mattanza del carcere alla mattanza del G8 di Genova; e come risponde il governo? Aprendo ennesime e inutili inchieste (cosa si deve sapere di più?) o con “inviti al dibattito”?

Così si assolvono i torturatori!

Nel marzo- aprile 2020 ci sono stati massacri, torture in tante carceri, vi sono stati i morti del carcere di Modena, le tragedie dei trasferimenti in altre carceri, ecc. ecc. le condizioni bestiali di detenzioni dopo le rivolte, tutto questo può finire in un mega dossier e al massimo in qualche denuncia a singoli agenti?

E’ stato un sistema di feroce repressione, diretto, gestito da Stato e governo, Ministri della giustizia.

E come al G8 di Genova devono tutti pagare!

Sappiamo bene la violenza dello Stato borghese, e che ad essa si può porre fine rovesciando questo Stato; ma è parte di questa battaglia che ora, ora, nessuno, nè rivoluzionari, nè democratici coerenti possano o debbano accettare questa farsa assolvente del sistema che il governo Draghi, la Min, Cartabia, buona parte dei mass media stanno mettendo in scena!

Lo sciopero della fame di Natascia nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere hanno disvelato alla collettività la brutalità delle prigioni. Eppure la disumanità del carcere non si rivela solo e sempre con quella forza bruta che si è espressa contro i detenuti del reparto Nilo, ma spesso si palesa con piccoli episodi di negazione quotidiana di diritti, subdolamente umiliando chi si trova ristretto.

Natascia Savio si trova dal 2019, senza soluzione di continuità, in stato di custodia cautelare. È imputata in due diversi processi, uno incardinato a Torino (per il quale è indagata a piede libero), l’altro a Genova. La misura cautelare in atto è solo per quest’ultimo procedimento.

Sebbene sia ancora sotto carcerazione preventiva, la trafila di Natascia nelle carceri italiane è stata tortuosa: ristretta prima a Rebibbia, poi a L’Aquila e Piacenza, infine, senza un apparente e utile motivo, trasferita a Santa Maria Capua Vetere, nonostante i suoi processi e i suoi affetti siano tutti tra Genova e Torino.

Santa Maria ha trascorso il suo periodo di detenzione in una situazione di isolamento dovuto all’emergenza Covid e gli 850 km che la separavano dalla sede dei suoi processi e dalla sua famiglia hanno, di fatto, impedito ogni contatto che possa ritenersi degno per un individuo in attesa di giudizio col suo avvocato difensore e con la sua famiglia. In particolare, Natascia, dal suo trasferimento a Santa Maria Capua Vetere, ha potuto confrontarsi col difensore solo per dieci minuti una volta al mese.

I due processi che la vedono imputata hanno un calendario fitto di udienze e, per le accuse mosse, necessitano di un continuo e costante confronto col difensore. Frequenti quindi sono gli spostamenti per raggiungere le sedi processuali. Per la prima udienza del processo di Torino, Natascia ha affrontato un viaggio di venti ore per presenziare a un’udienza di circa venti minuti, mentre per le successive udienze è stata temporaneamente trasferita a Vigevano, sottoposta a isolamento per via del Covid e dopo circa quindici giorni nuovamente riportata a Santa Maria Capua Vetere senza possibilità di fare alcun colloquio con i suoi familiari perché ne ha avuto la possibilità quando ormai era di nuovo in viaggio per ritornare verso l’istituto campano.

I continui trasferimenti hanno di fatto prolungato i suoi periodi di quarantena, addirittura impedendole l’ora d’aria al suo ultimo ingresso a Santa Maria Capua Vetere, comprimendo sempre più la sua permanenza nell’istituto di pena.

Dopo il temporaneo trasferimento a Vigevano ha dovuto, a Santa Maria, rifare tutto: richiesta per avere l’orologio, richiesta per avere la scheda telefonica e consentirle di sentire il difensore e la famiglia, ecc. Ogni singolo evento doveva essere concesso dall’istituzione, rendendo la già complessa vita carceraria, se possibile ancora più dura. In tutti i numerosi trasferimenti ha avuto difficoltà a ritrovare i suoi effetti personali, i soldi che le necessitavano per l’acquisto dei beni quotidiani, tutto recuperato solo dopo qualche giorno e non senza difficoltà.

Tutte queste umilianti privazioni hanno indotto Natascia a entrare in sciopero della fame. Sono ormai venti giorni che questo è l’unico modo per dar voce ai suoi diritti, l’unico modo per andare al di là delle mura del carcere facendo sentire la sua voce.

Eppure l’ordinamento penitenziario parla chiaro, all’art. 42: “I trasferimenti sono disposti solo per motivi gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell’istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari”. Appare chiaro che anche per la legge bisogna considerare primario il criterio della vicinanza alla famiglia o al riferimento sociale, al fine di non applicare un trattamento disumanizzante che tende ad annientare la persona detenuta.

È inspiegabile come un imputato, detenuto in via preventiva e cautelare, possa essere sottoposto a un trattamento tale da ostacolare la sua difesa processuale. Anche questa è forza bruta che si dispiega contro ogni ragione su chi si trova ristretto. Non è accettabile che un tale sistema porti un singolo a optare per uno sciopero della fame affinché vengano quantomeno ascoltate le sue ragioni.

Sperando che quanto sta accadendo in questi giorni nel dibattito pubblico sulle carceri faccia aprire gli occhi anche sui casi come quello di Natascia Savio, affamata di dignità in un paese che, in tema di diritti dei detenuti, lascia sempre il piatto vuoto. (donato barbato / antonella distefano)

Da https://napolimonitor.it

Da Radio Onda D’Urto l’intervista all’avvocato di Natascia Savio, Claudio Novaro.Ascolta o Scarica.