Il Tribunale di Modena apre gli occhi sulle torture ma punisce i detenuti che le denunciano: Belmonte Cavazza è stato ancora una volta trasferito pur essendo a fine pena.

Modena, pestaggio in carcere dopo la rivolta: s’indaga per tortura

Fascicolo contro ignoti per un’altra denuncia: viene da un detenuto che racconta le presunte brutalità dopo la tragica rivolta a Sant’Anna dell’8 marzo 2020. «Calci, pugni e manganellate. Dicevano: “Taci e stai a testa bassa!”»

La ricostruzione farsesca del festino al metadone come causa della morte di 9 detenuti appare ancora più inverosimile alla luce delle inchieste in corso nelle altre carceri del paese, e quindi il Comitato Verità e Giustizia per la strage del Sant’Anna accoglie con soddisfazione l’apertura di un fascicolo di indagini sulle violenze contro i carcerati.
Ci auguriamo che le approfondite indagini che hanno portato alla verità sul carcere di Santa Maria Capua Vetere siano il modello a cui riferirsi anche per altre carceri, dove ben si sa che la violenza è all’ordine del giorno

Le indagini sui pestaggi avrebbero risvolti pesanti anche per chi ha sollevato il velo del silenzio: uno dei testimoni che le ha portate alla luce è stato trasferito dalla casa di lavoro di Castelfranco al carcere di Vasto. Senza motivo: aveva già finito di scontare la pena. Lo afferma pubblicamente il Comitato verità e giustizia per la strage di Modena con un documento in cui si racconta di questo caso collaterale al filone di indagini sulle presunte brutalità e pestaggi commessi dopo che la rivolta era stata sedata. In alcuni casi esposti, come quello recente di un detenuto oggi a Forlì, prevedono accertamenti anche per il reato di tortura. «dobbiamo segnalare un nuovo abuso – scrive il comitato nella nota – commesso dallo stesso tribunale di Modena, che colpisce uno dei firmatari degli esposti, Belmonte Cavazza. Cavazza – che dopo aver scontato una lunga detenzione, invece di essere finalmente scarcerato alla fine della pena, era stato internato presso la casa lavoro di Castelfranco Emilia – è stato trasferito presso la colonia penale di Vasto, in Abruzzo. Belmonte Cavazza non è accusato di alcunché, non ha pendenze con la giustizia, ha terminato di espiare la sua condanna. Perché allora è stato nuovamente incarcerato? Perché adesso viene trasferito a centinaia di chilometri dal proprio avvocato e dalla rete di solidarietà modenese che lo sostiene?»

Sul motivo di questa decisione il Comitato non ha dubbi: «la risposta è chiara: il tribunale modenese lo punisce per aver denunciato i pestaggi, lo punisce per dare un esempio a tutti gli altri detenuti che potrebbero parlare. Invitiamo la società civile, le associazioni e i sindacati a continuare nella campagna di pressione per ottenere verità e giustizia, e chiediamo l’immediata liberazione di Belmonte Cavazza».

Ancora una volta il Comitato denuncia il comportamento delle autorità giudiziarie a suo avviso in netto contrasto con ciò che sta emergendo: «lo ripetiamo ancora una volta: la strage del carcere di Sant’Anna non doveva essere archiviata. Sono tantissime le testimonianze e gli esposti raccolti che raccontano di pestaggi, torture e abusi da parte della polizia penitenziaria al carcere di Modena, proseguiti nelle settimane e nei mesi seguenti anche negli istituti dove i detenuti sono stati trasferiti».

La notizia stessa del fascicolo aperto dopo la nuova denuncia ad opera di un detenuto ora libero, presentata il 20 febbraio scorso, non ha trovato né conferme né smentite in procura, chiusa a ogni contatto con la società civile.

L’avvocato Luca Sebastiani, che segue anche uno dei nove morti, conferma: l’esposto è stato depositato direttamente dal detenuto. «il procedimento è nella fase delle indagini preliminari, pertanto da parte mia è doveroso mantenere il riserbo istruttorio», aggiunge. «confidiamo che, ancor più dopo le immagini di Santa Maria Capua Vetere, la procura modenese presterà massima attenzione a questi esposti. i fatti denunciati sono gravi, come le lesioni».

Sotto il nuovo indirizzo per scrivere a Belmonte Cavazza:

Casa Lavoro con sezione Circondariale Vasto

Via Torre Sinello, 23, 66054 Vasto CH

Roma, stazione Tiburtina: installate “fioriere antiuomo” per cacciare poveri e senza tetto. Sgomberato Baobab

La risposta di Grandi Stazioni e dell’amministrazione comunale a chi non ha né soldi né casa.

Arrivano “le fioriere antiuomo”, installate con grande soddisfazione della sindaca Virginia Raggi per allontanare poveri e senza tetto. Protestano associazioni e opposizione:i cittadini potranno andare a piantare zucchine e pomodori alla stazione Tiburtina, ma uomini e donne continueranno a vivere per strada.

Dopo le sbarre sulle panchine e gli spuntoni sui gradini, l’ultima frontiera dell’architettura ostile arriva da Roma, più precisamente dalla Stazione Tiburtina, presentandosi con una veste solo apparentemente più colorata e gentile. Più precisamente nell’area dove trovano rifugio tutte le notti poveri, senza tetto, migranti in transito per Roma, un punto di riferimento per chi non ha una casa né da mangiare grazie all’intervento dell’associazione Baobab Experience, sono state installate delle fioriere.

Per i migranti che trovano rifugio nei pressi della Stazione Tiburtina di Roma è il quarantunesimo sgombero in sei anni. Questa volta però è diverso. Lo racconta Andrea Costa di Baobab Experience. «Hanno sigillato l’area, hanno buttato i tavoli che utilizzavamo per i pasti e rimarrà un presidio della polizia – dice Costa –Ultimamente arrivavamo ad assistere quotidianamente quasi 150 persone, di cui circa cinquanta stanziali e un centinaio in transito, dando loro due pasti al giorno».

Per di più, lo sgombero è servito a lasciare spazio all’installazione di inquietanti fioriere anti-uomo: delle piattaforme pensate ad arte per evitare che qualche sfortunato possa illudersi di trovare un riparo momentaneo. «Grandi Stazioni ci manda un messaggio inequivocabile – denunciano quelli di Baobab – Non ama che esistano i senzatetto o meglio non ama che i senzatetto si vedano o, meglio ancora, non ama che i senzatetto si vedano all’ingresso delle sue proprietà».

Gli attivisti riferiscono di aver cercato il dialogo con Federica Angeli, la giornalista che da qualche mese Virginia Raggi ha delegato al rapporto con le periferie e che svolge la sua funzione con notevole attaccamento alla dimensione mediatica della faccenda (verrà ricordata per aver tentato di fermare le piazze di spaccio con dei bus scoperti dai quali si suonavano stornelli).

Ma Angeli non ha mai risposto, negando ogni tentativo di interlocuzione. Dal canto suo, la delegata di Raggi rivendica l’operazione dalla sua pagina Facebook, utile a «prevenire il riemergere di fenomeni di bivacco soprattutto nella prospettiva dei prossimi mesi invernali».

«Noi continueremo a farci trovare qui a Tiburtina per dare assistenza sanitaria, legale e informativa a donne, uomini e bambini che arrivando trovano il vuoto istituzionale», assicurano gli antirazzisti.

Monza, Foa Boccaccio in corteo dopo lo sgombero: “Non vi lasceremo in pace”

Una prima risposta allo sgombero del csoa Foa Boccaccio è stato un riuscito corteo con centinaia di compagne e compagni che è partito dal retro della stazione di Monza.

Attualmente siamo impegnati/e nel recupero dei nostri materiali – scrivevano in mattinata compagne e compagni monzesi – ma a brevissimo seguiranno aggiornamenti sugli appuntamenti in risposta all’infame attacco che Cai Monza e Moss s.r.l. hanno portato alla storica esperienza autogestita monzese”.

Lo stabile, che era stato occupato nel 2011, è stato infatti comprato dalla locale sezione del Club Alpino Italiano nonostante ospiti da dieci anni l’esperienza di autogestione. La prima occupazione del Boccaccio risale al 2003, negli anni – tra sgomberi e ri-occupazioni – il centro sociale brianzolo ha cambiato numerose sedi.

“Non vi lasceremo in pace” sono le parole con cui il Foa Boccaccio chiude il volantino distribuito durante il corteo organizzato nella serata di mercoledì 13 luglio.

“Uno sgombero è solo un contrattempo – scrive il Boccaccio – tra un’occupazione e quella successiva. E quello di oggi non diminuisce la nostra forza: la forza di un collettivo numeroso e deciso con alle spalle due decenni di esperienze e lotte, dentro un’ampia collettività di individui e spazi complici e solidali”. Tra i temi messi sotto accusa dal Foa ci sono le politiche urbanistiche di Monza e la cementificazione della città.