Movimento di lotta disoccupati “7 novembre”, caduta l’associazione a delinquere per Eddy, Maria, Marco e Dario!

“Non sussistono gli estremi del delitto ex art- 416 c.p., in quanto il gruppo “7 Novembre”, non può in alcun modo qualificarsi quale associazione finalizzata alla commissione di reati (ipotizzati dalla P.G.) ma costituisce espressione del diritto di associarsi liberamente costituzionalmente garantito, associazione, nella specie, finalizzata alla soluzione di problemi economico/sociali”
Queste la parole della Procura con cui ieri abbiamo appreso la notizia dell’annullamento del procedimento per associazione a delinquere ai danni di Eddy, Maria, Marco e Dario.
L’impianto della P.G. si fondava su una serie di episodi già separatamente denunciati, in occasioni di manifestazioni che avevano visto protagonisti diversi compagni e compagne desumendo l’esistenza di una struttura associativa finalizzata ad esercitare pressioni sulle istituzioni pubbliche al fine di conseguire l’accoglimento di richieste come assunzioni di disoccupati, assegnazione di alloggi pubblici, ristori ai commercianti individuando Eddy al vertice dell’organizzazione che aveva ampliato la platea di disoccupati (definiti proseliti aderenti al gruppo di lotta denominato “7 Novembre”) ai fini dell’attività ritenuta in prospettiva pericolosa per la gestione dell’ordine pubblico, in quanto i protagonisti con le varie iniziative rendevano difficoltosa la circolazione stradale, dei mezzi pubblici di trasporto ecc…
Innanzitutto un ringraziamento ai compagni/e che da subito collettivamente hanno messo in campo molteplici iniziative di solidarietà con cui provare a rispondere accuse.
Ringraziamo chi sta continuando ad esprimere solidarietà. Il nostro pensiero va ai tanti che invece continuano a pagare il prezzo della repressione che chiaramente anche per noi non finisce qui.
Era il giugno del 2021 quando i nostri legali ci informavano della indagine per associazione a delinquere in corso per alcuni/e protagonisti/e delle lotte per il lavoro e quelle territoriali.
Si Cobas Lavoratori Autorganizzati, movimento NoTav, attivist* ambientali di Ultima Generazione, portuali di Genova, movimento per il diritto all’abitare di Cosenza: l’utilizzo di questa fattispecie di reato viene utilizzata per provare a distruggere esperienze di lotta collettive, un monito chiaro per chiunque avverta la necessità di mobilitarsi in difesa del diritto ad un salario o per un miglioramento delle condizioni lavorative, contro le opere inutili e dannose e la devastazione ambientale, per il diritto all’abitare totalmente assente nell’Italia dei palazzinari e degli affitti alle stelle.
A Napoli poi, puntale come un orologio svizzero, l’associazione a delinquere viene stata utilizzata contro i disoccupati e le disoccupate. Un teorema accompagnato da una valanga di denunce, multe, fogli di via.
Dopo 10 anni di lotta instancabile in tanti e tante dentro al movimento si stanno domandando esattamente cosa dovrebbe fare chi, provenendo da quartieri popolari o periferici, sta provando ad emanciparsi dalla marginalità sociale e dalle reti facili della criminalità presenti in quegli stessi quartieri; cosa dovrebbe fare chi, in una città con tassi di disoccupazione storicamente altissimi, si attiva in prima persona per poter campare dignitosamente.
Molte disoccupate e disoccupati hanno conosciuto la realtà del carcere, con la sua violenza disumanizzante, e hanno deciso di mettersi in gioco.
Se ci fossimo arresi dinanzi alle mille difficoltà incontrate in questo lungo percorso, avremo finito per accettare la situazione la condizione per cui, chiunque nasca nei quartieri popolari o periferici, sia condannato ad una vita già scritta, imposta e non modificabile: se nasci a Rione Traiano o a Scampia, a Soccavo o nella Sanità, devi vivere nella povertà, mettere in conto che puoi finire carcerato, stare senza un lavoro, ringraziando pure quando lo trovi sfruttato e senza tutele. Devi campare in case fatiscenti e senza alcun diritto per i tuoi figli; devi accettare in silenzio tutto ciò, consolandoti magari con le fictrion che parlando dei problemi che vivi in prima persona o ascoltando le belle parole con cui le istituzioni dicono di voler combattere la marginalità, l’abbandono scolastico, le difficoltà dei quartieri più poveri senza poi dare risposte concrete a chi scende in piazza per ognuno di questi motivi.
Ma noi non ci siamo mai arresi: fin dalla sua nascita, questo movimento di disoccupati e disoccupate ha avuto il merito di denunciare come le molteplici emergenze che affliggono il territorio partenopeo- ambiente, rifiuti, messa in sicurezza delle aree a rischio idrogeologico e vulcanico, decoro urbano, tutela del patrimonio artistico, assistenza sociale e sanitaria, evasione scolastica- richiederebbero un vero e proprio piano straordinario di investimenti pubblici e di assunzioni finalizzate ad attività socialmente utili e necessarie e/o al ricambio degli organici attuali, in larga parte composto da lavoratori prossimi all’età pensionabile.
Gli stessi disoccupati e le disoccupate poi, si impegnano quotidianamente per sviluppare forme di solidarietà e di socialità senza scopo di lucro, in territori abbandonati al degrado ed alla speculazione.
La storia del Movimento “Disoccupati 7 Novembre” e del Cantiere 167 Scampia è la storia di una lotta condotta da sempre alla luce del sole e senza “scheletri nell’armadio”. Essa è diventata un presidio di democrazia diretta per l’accesso al lavoro, uno spazio di crescita per molti disoccupati e molte disoccupate e per chi ha sempre vissuto combattendo contro la miseria, in una città che ha fatto del clientelismo, del mercimonio e del voto di scambio le uniche vie per ottenere un’occupazione stabile.
Ogni incontro istituzionale, ogni momento di piazza, ogni proposta, è stato discusso/ragionato/comunicato collettivamente in assemblee, dibattiti, aggiornamenti, pubblici e interni al movimento.
Abbiamo dimostrato che è possibile costruire un’alternativa alla violenza, all’isolamento, alla precarietà, ai destini segnati di migliaia di senza-lavoro ed è questo che fa tremendamente paura alle istituzioni: il fatto che gli sfruttati e le sfruttate stiano provando ad organizzarsi a più livelli e in maniera sempre più convinta non fa dormire sonni tranquilli ai padroni la cui unica esigenza diventa quella di prevenire e poi reprimere ogni tentativo di lotta che metta in discussione questo sistema sociale ed economico.
Per evitare che ciò possa accadere stato e sfruttatori ricorrono ai tanti strumenti repressivi in loro possesso e affinati nel corso di decenni di controrivoluzione, colpendo soprattutto le avanguardie di lotta più combattive e centinaia di proletari e proletarie che si sono stancati/e di subire in silenzio un destino scritto da qualcun altro. C’è ancora tanta strada da fare ne siamo ben consapevoli.
Viviamo nell’epoca storica scandita dalla guerra imperialista, dal disastro ambientale, dallo sviluppo capitalistico che moltiplica le sue contraddizioni economiche, sociali e politiche, dalla precarietà delle nostre vite, dall’imbarbarimento sociale.
Non è più tempo per la rassegnazione: uniamo le forze e facciamo sentire la nostra voce.
Per rispondere agli ultimi attacchi repressivi che stiamo subendo, Laboratorio Politico Iskra e SI Cobas Napoli hanno preparato un nuovo appello di solidarietà.
Per chiunque lo volesse sottoscrivere può inviare la propria adesione a questi indirizzi :
– Alle pagine fb “Laboratorio Politico Iskra” e “Si cobas Napoli”
– Alla pagina Instagram “Laboratorio politico Iskra”
– Inviando una mail all’indirizzo di posta elettronica “mov7nov@gmail.com”
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona, folla e il seguente testo "L'ASSOCIAZIONE DENWOUED L'ASSOCIAZIONE A A DELINQUERE L'ASSOCIAZIONE A DELINQUERE"

Dal presidio di ieri al carcere dell’Aquila. Info SRP

 

Un presidio non molto numeroso da un punto di vista numerico, ma combattivo, determinato e importante da un punto di vista qualitativo, si è svolto ieri davanti al carcere dell’Aquila, “emblema” del regime di tortura bianca del 41 bis e l’unico ad avere anche una sezione femminile in cui è reclusa, già da 18 anni, la prigioniera comunista Nadia Lioce.

Al presidio erano presenti una quarantina di compagne e compagni, provenienti principalmente da Roma e da varie realtà abruzzesi, soprattutto anarchiche; c’è stato un collegamento con Radio Onda Rossa in staffetta radiofonica con altre radio indipendenti.

Due ragazze, per la prima volta di fronte a un carcere di massima sicurezza, sono rimaste colpite, nonostante ne avessero sentito parlare, vedendo i pannelli in plexiglass, oltre le sbarre, ad impedire la vista del cielo. Ma da quei pannelli qualcuno è riuscito a sventolare qualcosa in segno di saluto.

Alla musica si sono alternati vari interventi al microfono da parte delle compagne di ROR, Cassa di solidarietà La Lima, Soccorso rosso proletario-MFPR, e di un compagno del Soccorso Rosso Internazionale.

E’ stata ripercorsa la lotta contro il 41 bis, il carcere tortura e assassino, sin da metà degli anni 2000, con la manifestazione a L’Aquila del 2007, la campagna “pagine contro la tortura”, la protesta di Nadia Lioce contro le vessazioni continue di questo regime, lo sciopero della fame delle compagne anarchiche recluse nella sezione AS2 dell’Aquila, dove di fatto vigeva il regime di 41 bis, e le battiture di solidarietà che ne seguirono e che, insieme ai presidi fuori di quel carcere, portarono alla chiusura di quella sezione.
Una lotta che è proseguita e si è estesa alla denuncia di tutto il sistema carcerario, della repressione e il razzismo istituzionale con la strage del marzo 2020, le torture e i pestaggi dei detenuti in rivolta.
Una lotta a cui lo sciopero della fame di 182 giorni di Alfredo Cospito ha dato maggior respiro, estendendola su tutti i fronti, rendendola popolare e internazionale, facendola conoscere e fare propria da ampi settori di movimento, da quello degli studenti delle scuole e delle Università, a quello dei lavoratori, delle donne, degli immigrati, fino ad arrivare ad infrangere il tabù persino all’interno delle istituzioni e dei media. Una lotta che ha aperto una breccia nella cappa di silenzio intorno agli abomini repressivi del 41 bis e dell’ergastolo ostativo che non si richiuderà, soprattutto ora, con una guerra esterna molto vicina e una guerra interna con cui questo governo fascista promette di governare la crisi, reprimendo ogni forma di dissenso.
Se la lotta di Alfredo ha ottenuto, sul piano giuridico, dei piccoli ma importanti risultati, dopo i quali ha interrotto lo sciopero della fame, a livello sociale e di opinione pubblica ha ottenuto una vittoria ancora più importante, denunciando la mostruosità del regime di 41 bis e dell’ergastolo ostativo, facendo emergere con forza la vera finalità di questi strumenti repressivi: avere in mano un forte deterrente contro le resistenze, le opposizioni sociali e politiche.
Ma il 41 bis e l’ergastolo ostativo sono finalmente diventati obiettivi da abbattere grazie anche alla solidarietà, alle azioni e alla lotta di tanti compagni e compagne che sono stati al suo fianco. Questa lotta deve ora proseguire fino al raggiungimento degli obiettivi, estendendola a tutte e tutti i prigionieri politici richiusi nelle galere, facendo crescere la consapevolezza che per una vera liberazione sociale non ci sono altre strade da percorrere se non quella della solidarietà di classe e della lotta rivoluzionaria. E il presidio di ieri a L’Aquila è stato una tappa di questo percorso.
E’ stato ricordato più volte come tanti giovani e giovanissimi hanno animato ed animano questo movimento di solidarietà, il suo carattere internazionale e internazionalista, la mobilitazione ampia di altri prigionieri politici e comuni, come sia entrato anche nelle lotte dei lavoratori. In particolare il Soccorso Rosso Internazionale ha citato una lotta dei lavoratori della logistica a Modena, che hanno messo, tra i punti di rivendicazione dello sciopero, l’uscita di Alfredo Cospito dal 41 bis.
Il Soccorso rosso proletario è tornato sulla natura aberrante del 41 bis, una forma di tortura, perché non può definirsi altrimenti un regime che sopprime il più elementare diritto, quello della parola, di esplicazione di un pensiero, una violenza della stessa natura umana. E la sua applicazione ai detenuti politici rivoluzionari ne disvela sempre più la sua reale funzione, quella di una misura massima che grava su tutto l’apparato repressivo e si estende a cascata, come una minaccia che incombe sempre più verso l’esterno. Un esterno di cui si vuole impedire anche la manifestazione del pensiero antagonista, del dissenso, perché da questo può nascere una scintilla che brucerà la prateria, e di questo ha paura lo Stato borghese. Il suo timore, ora come ora, non è tanto e non è solo del collegamento dei detenuti con le manifestazioni esterne e di un loro presunto ruolo di “incitatori” della lotta sociale e politica – questa, per dirla con Cospito, ha ben altri “istigatori”, e la Francia, ancora oggi, lo dimostra – quanto piuttosto l’inverso: il collegamento dell’esterno con l’interno.
Un collegamento innescato dalla lotta di Alfredo e che la solidarietà di classe ha reso possibile, portando la denuncia e la lotta nelle piazze, nelle Università, nei posti di lavoro, nelle fabbriche, nelle assemblee, facendo crescere la consapevolezza di ciò che rappresenta e ciò che è in gioco con il regime del 41 bis, come testimonia la lettera di un operaio dell’ex Ilva di Taranto ad Alfredo Cospito,  di cui è stata data lettura a conclusione dell’intervento.

Contro la repressione del governo Meloni, contro ogni discriminazione, contro la guerra… street parade ieri sera a Palermo

 PALERMO STREET PARADE CONTRO LA REPRESSIONE  22 aprile

Una partecipata parata con carri, musica e slogans promossa da centri sociali e altre organizzazioni sociali e militanti si è snodata lungo il centro storico di Palermo ieri sera contro il governo della repressione, il governo omofobo, razzista e guerrafondaio di Giorgia Meloni e i suoi ministri.
Contro le politiche guerrafondaie e di aumento delle spese militari propugnate da Crosetto e Salvini, per reclamare il diritto alla casa, al reddito, alla salute di tutti e tutte.

La parata, partita da piazza Sant’Anna, animata da diversi carri con striscioni, musica e slogan, è arrivata fino al tribunale, “simbolo del potere giudiziario e dell’utilizzo di misure sempre più punitive per colpire il dissenso sociale… per la riappropriazione della propria città e delle proprie strade – simbolicamente – contro abusi di potere e metodi repressivi dal decreto anti rave, agli sgomberi coatti in città, fino all’utilizzo improprio della repressione per la risoluzione delle emergenze sociali, relegate a materia di ordine pubblico”.
Sanzionata la Banca d’Italia con uova di vernice, in uno striscione “Insorgiamo! Cambia il sistema non il clima” per protestare contro i finanziamenti al fossile e la speculazione sull’ambiente.

Le nuove Brigate Rosse non esistono più ma Lioce, Morandi e Mezzasalma restano al 41bis

Vendette di Stato. Comminare il carcere duro anche a coloro le cui organizzazioni di appartenenza siano state sgominate o siano inesistenti è un controsenso in termini di legge. È la condizione che vivono Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi. Subiscono questo trattamento dal 2003

di David Romoli

Sulla carta il regime di carcere duro ai sensi dell’art. 41 bis serve a impedire contatti tra i boss detenuti con le loro organizzazioni criminali. Per considerare “boss” tutti i 728 detenuti in regime di carcere duro bisogna interpretare il termine in modo un bel po’ estensivo ma tant’è. Secondo logica, dunque, l’esistenza di dette organizzazioni dovrebbe essere condizione imprescindibile per dispensare le delizie del 41 bis. Anche qualora dalla carta si passi alla sostanza, in soldoni all’uso del massimo rigore carcerario come forma di pressione, o meglio di tortura, al fine di estorcere “pentimenti”, cioè denunce, il discorso non cambia. Per denunciare i complici bisogna che quelli esistano.

Comminare il 41 bis a detenuti le cui organizzazioni di appartenenza siano state nel frattempo sgominate e non esistano più da lustri è di conseguenza un controsenso anche in termini di legge. Il carcere duro si configura in questi casi neppure più come forma di tortura finalizzata a un obiettivo ma come pura e semplice persecuzione. Una persecuzione alla quale i sepolti vivi in questione non hanno alcun modo per sottrarsi.

È precisamente la situazione assurda in cui si trovano Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi, i militanti delle Nuove Brigate Rosse condannati per gli omicidi dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi, il 20 maggio 1999 e il 19 marzo 2002, e del sovrintendente di polizia Emanuele Petri, ucciso il 2 marzo 2003 in un uno scontro a fuoco sul treno Roma-Firenze in cui perse la vita anche il brigatista Mario Galesi e fu arrestata Nadia Lioce. Gli altri componenti del gruppo, tra cui Mezzasalma e Morandi, vennero arrestati il 24 ottobre dello stesso anno. Da allora sono sempre stati sottoposti al 41 bis.

Un’altra militante delle Nuove Br, Diana Blefari Melazzi, fu arrestata il 22 dicembre 2003 e condannata in primo e secondo grado all’ergastolo. La sua salute mentale non resse al carcere duro, tanto che la Cassazione annullò la sentenza chiedendo che venisse verificata la sua condizione psichiatrica. Fu diagnosticata una condizione di stress post traumatico dovuto alla detenzione col 41 bis ma, nonostante le sue condizioni fossero ulteriormente peggiorate, il 27 ottobre 2009 la condanna fu confermata.

I giudici considerarono “i suoi atteggiamenti apparentemente paranoici come il rifiuto del cibo” come una “reazione coerente al suo modo di porsi e conseguenza di un forte impatto dell’ideologia Br sulla sua personalità”. Diana Blefari Melazzi si impiccò tre giorni dopo la sentenza.

Dal 2003 , Lioce, Mezzasalma e Morandi, tutti condannati a diversi ergastoli per i tre omicidi delle Nuove Br, non sono mai usciti dal regime di 41 bis. Una settimana fa la Cassazione ha respinto il ricorso di Nadia Lioce per la decisione del Tribunale di sorveglianza di non consegnarle una lettera. Secondo la Cassazione il Tribunale di Sorveglianza ha solo “bilanciato i diritti della detenuta in regime speciale con la necessità di tutelare l’ordine pubblico”. Non che sia una novità: sia il Tribunale di Sorveglianza che la Cassazione hanno sempre respinto i ricorsi della brigatista anche se dell’organizzazione con cui non dovrebbe comunicare non c’è traccia dal 25 settembre 2006, data di un fallito attentato contro la caserma della Folgore a Livorno. È significativo che i responsabili di quel attentato siano stati accusati di “cospirazione politica mediante accordo” e non di banda armata. La banda armata nel 2006 non c’era già più. Inutili però ricorsi e proteste, e Nadia Lioce è stata una delle prime a protestare rumorosamente contro il 41 bis, con una prolungata battitura delle sbarre che le è costata un ennesimo processo, nel quale però è stata assolta. La risposta a ogni richiesta di tornare alle normali condizioni di detenzione è stata sempre negativa.

Che le Br, vecchie o nuove, esistano o no non importa. Nel respingere il ricorso contro l’ultima proroga biennale del 41 bis decisa dal ministero della Giustizia il 5 settembre 2019 e già respinto dal Tribunale di Sorveglianza, la prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Monica Boni, confermava nel maggio dell’anno scorso “l’approdo ormai pacifico della giurisprudenza costituzionale” secondo cui il 41bis mira a impedire i collegamenti con i membri delle organizzazioni criminali in libertà. Specificando però che si tratta di “un accertamento prognostico” finalizzato alla prevenzione. Pertanto che l’organizzazione criminale esista o meno è secondario, perché il fatto che non ci sia oggi non esclude che possa ricostituirsi domani. “Il mero decorso del tempo non costituisce elemento sufficiente a escludere o attenuare il pericolo di collegamenti con l’esterno”, scrivevano infatti i giudici. Neppure incide il fatto che l’organizzazione sia palesemente inesistente. Bisogna infatti evitare i contatti dei tre detenuti anche in assenza “di pieno accertamento della condizione di affiliato”.

Lioce, Mezzasalma e Morandi hanno passato in carcere a tempo pieno, senza permessi o misure alternative e anzi in regime di massimo isolamento, più decenni della stragrande maggioranza degli ex terroristi, inclusi i vecchi capi delle Br e dei Nar, mai formalmente dissociatisi. Quegli ex terroristi, pur senza dissociazione, avevano però dichiarato chiusa l’esperienza armata. Ma anche considerando gli irriducibili non solo di nome, come i capi delle Br-Partito guerriglia, la differenza di trattamento è evidente. Natalia Ligas, arrestata nel 1982, fu spedita al carcere duro in condizioni di estremo rigore a Messina nel 1992. Quattro anni dopo a protestare contro quell’isolamento furono il magistrato Ferdinando Imposimato e il giurista futuro sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Nel 1998 le furono concessi i primi permessi e due anni dopo le misure alternative alla detenzione. Giovanni Senzani, leader delle Br-Partito guerriglia, ottenne la semilibertà nel gennaio 1999, a 17 anni dall’arresto. Erano tempi più civili. Lo stesso Imposimato, a lotta armata sconfitta, si diceva stupito per “i trattamenti differenziati, oggi, tra politici dissociati e irriducibili”. Le cose sono cambiate: se tre persone vengono sepolte vive senza alcun motivo ragionevole non se ne stupisce più nessuno.

Peggio: non se ne accorge più nessuno.

da il Riformista

Cariche della polizia a Napoli: “Piantedosi, Minniti assassini in giacca e cravatta”



Da OsservatorioRepressione

Cariche a Napoli durante contestazione a Piantedosi e Minniti
“Assassini in Giacca e Cravatta!” poi la contestazione e le cariche al passaggio di Minniti e Piantedosi! Quando un giorno si farà la storia dei crimini di Stato nel Mediterraneo e del razzismo istituzionale sarà importante se si potrà dire che c’è stato chi si è opposto, chi ha resistito, chi ha chiamato gli assassini col loro nome, chi ha detto coi fatti “non nel mio nome”! Un centinaio di manifestanti – appartenenti alle associazioni antifasciste e antirazziste napoletane – si sono radunati all’esterno della Stazione Marittima al Molo Beverello per protestare contro le politiche del governo soprattutto sul tema dell’accoglienza e dell’immigrazione. Una delegazione dei manifestanti, poi intenzionata a deporre una corona di fiori davanti al monumento al migrante, un totem per la pace che sorge proprio all’interno della Stazione Marittima in memoria di tutte le persone morte in mare durante le traversate. I manifestanti hanno però trovato la polizia, in assetto antisommossa, schierata all’ingresso della Stazione Marittima a sbarrargli la strada. Quando alcuni partecipanti al corteo hanno insistito affinché li lasciassero passare, per deporre i fiori sono scattate le cariche e le manganellate e due manifestanti sono rimasti feriti Il comunicato di Antirazzist* di Napoli e Napoli senza confine Così oggi oltre un centinaio di antirazzist*, migranti, autoctoni, studenti, associazioni hanno contestato alla Stazione Marittima di Napoli la presenza del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e dell’ex Ministro Marco Minniti. Con le mani bagnate di vernice rossa i manifestanti hanno gridato “questo è il sangue di cui sono sporche le vostre”. La polizia ha caricato due volte, quando è passata la macchina di Marco Minniti mentre i manifestanti volevano deporre una corona di fiori sotto al monumento del migrante che si trova all’ingresso della stazione marittima e quando è passata l’auto del ministro dell’Interno verso cui gli attivisti hanno tirato foglie di insalata a ricordare che lo sfruttamento nelle campagne e sul lavoro è l’altra faccia di decreti come quello che è al voto in parlamento: attaccando la protezione speciale (e non solo) aumenta clandestinità e ricattabilità delle persone. Dopo le cariche tra i manifestanti molti contusi e un ferito alla testa… “Basta parlare di Stragi del mare – si spiega dal camioncino dello speaker- quando 94 persone come a Cutro muoiono affogate a due passi dalla riva, dopo essere state avvistate da almeno un giorno bisogna parlare di Stragi di Stato, per la quale i parenti delle vittime e la democrazia italiana hanno diritto ad avere Verità e Giustizia!” Se Matteo Piantedosi è il tecnocrate che fa la guerra al soccorso in mare in nome di un governo di estrema destra che parla senza vergogna di “difesa della razza”, Marco Minniti è l’architetto di quel memorandum sulla Libia che dal 2016 finanzia bande di aguzzini in Libia per sequestrare, torturare, violentare e schiavizzare migliaia di esseri umani. “Morti in mare – Schiavi in terra!” denunciava lo striscione del movimento migranti, un altro “Minniti e Piantedosi Not Welcome” e quello al centro “Stragi di Stato – Minniti e Piantedosi assassini in giacca e cravatta!”. La contestazione precede la manifestazione antifascista e antirazzista del 25 aprile (da piazza Garibaldi alle 10) e quella nazionale del 28 aprile a Roma contro il nuovo decreto in discussione in parlamento, per la quale solo da Napoli sono già stati organizzati dieci autobus di manifestanti.
Da potere al popolo Napoli
Si è da poco conclusa la manifestazione alla Stazione Marittima, contro le politiche razziste del governo italiano sull’immigrazione, in occasione della presenza a Napoli di Minniti e Piantedosi.
Durante la contestazione pacifica, ci sono state alcune cariche. Ancora una volta, lo Stato risponde con la violenza a una manifestazione di dissenso. In questo modo, si criminalizza chi chiede un cambiamento. In realtà, i veri violenti sono i politici che, negli anni, occupando posizioni di potere, hanno lasciato morire migliaia di persone al largo delle coste del Mediterraneo.
La nostra protesta non si ferma qui: il 28 aprile saremo a Roma per Non sulla nostra pelle
Dalla stampa
Napoli, Piantedosi contestato: scontri e lancio di ortaggi e vernice contro l’auto per i morti di Cutro. Striscioni e proteste contro il ministro «Piantedosi e Minniti non siete i benvenuti a Napoli». È uno degli slogan dei movimenti di protesta davanti l’ingresso della Stazione marittima di Napoli in attesa del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per partecipare al Forum sui beni confiscati. In piazza, gli attivisti di Mediterranea, del Movimento migranti e rifugiati Napoli, di Potere al popolo… I manifestanti parlando delle politiche del Governo Meloni affermano che «hanno le mani sporche di sangue». Alcuni manifestanti si sono tinti le mani di vernice rossa espressione del sangue dei migranti. Nel momento in cui i manifestanti hanno tentato di avvicinarsi di più all’ingresso ci sono stati contatti con le forze dell’ordine. E poi ci sono stati gli scontri tra manifestanti e polizia… Oggetto della contestazione il cosiddetto decreto Cutro che ridimensiona la protezione speciale per i migranti che arrivano in Italia. Dure le critiche anche all’indirizzo dell’ex ministro Marco Minniti, anche lui a Napoli… Vernice e ortaggi sono stati lanciati contro l’auto del ministro. I manifestanti – collettivi studenteschi e universitari, associazioni di migranti – hanno preso di mira l’auto del ministro. La polizia, presente sul posto in tenuta antisommossa, è intervenuta con cariche di alleggerimento. Ma ci sono anche stati tafferugli. I manifestanti, che già in precedenza avevano tentato di avvicinarsi all’ingresso della struttura venendo però respinti dalla Polizia, hanno avuto un altro contatto con le forze dell’ordine. Uno dei manifestanti è stato visto con una ferita alla testa.

Alfredo Cospito ha sospeso lo sciopero della fame, ma la mobilitazione continua – sabato 22 presidio al carcere dell’Aquila

Da Radio Onda Rossa

E’ di ieri la notizia dell’interruzione dello sciopero della fame di Alfredo, ma la questione sul carcere duro all’interno della società ormai è stata posta e la mobilitazione continua. Questo sabato ci sarà un presidio fuori le mura del carcere dell’Aquila, unico carcere che prevede la sezione femminile di 41bis. Ne parliamo con un compagno e rilanciamo l’appuntamento di sabato alle 12 a largo preneste.

contro 41bis e carcere

Sabato 22 aprile 24 ore di staffetta radiofonica dalle 8 di mattina contro #carcere e #41bis in FM e streaming su RadioOndaRossa, Radiondadurto, Radioblackout, RadioWombat RadioEustachio. Con contributi di RadioCiroma, RadioCittàPescara, RadioGramma, RadioNeanderthal, RadioSpore, RadioQuar 06491750 numero unico per intervenire