Sulle motivazioni degli arresti della Procura di Piacenza – il nostro dovere di elevare la lotta

Da Proletari Comunisti, riprendiamo e diffondiamo

La repressione, gli arresti su mandato della Procura di Piacenza dei dirigenti nazionali e locali del Si.cobas e Usb, oltre che gravi in sè, rappresentano soprattutto nelle motivazioni un tentativo di salto di qualità, di attualizzazione reazionaria del codice penale per adeguarlo alla fase odierna.
E’ un’operazione che punta a stravolgere i fatti, a far diventare reato la lotta sindacale di classe, gli scioperi, le vertenze sindacali, l’organizzazione sindacale quando essa è di base, espressione dei lavoratori e lavoratrici, e  alternativa ai sindacati confederali.
Le motivazioni:
– Chiamano “Associazione a delinquere” che avrebbe per fine la violenza privata” – l’organizzazione sindacale dei lavoratori, e le legittime lotte dei lavoratori, in cui ciò, tra l’altro, che non c’è assolutamente è il carattere “privato”, perchè le lotte sono sempre per la difesa degli interessi collettivi dei lavoratori;
– chiamano “resistenza a Pubblico Ufficiale” – la necessaria difesa dei lavoratori contro le cariche violente portate avanti da Polizia e carabinieri (come da bracci armati delle aziende) verso lavoratori, lavoratrici, che in queste lotte hanno pagato un prezzo altissimo in termini repressivi e di sangue, come dimostrato dagli omicidi di Abd El Salaam nel 2016 fuori ai cancelli GLS di Piacenza e di Adil Belakhdim lo scorso anno all’esterno del magazzino Lidl di Biandrate.
– chiamano “fatti criminosi” – scioperi, presidi, assemblee, picchetti (previsti anche dalla stessa Costituzione) – per cui, ogni sciopero, non “disciplinato”, “reso innocuo” come la maggiorparte di quelli dei sindacati confederali, diventa un “fatto criminoso”;
– chiamano “fatti estorsivi” – le rivendicazioni di aumenti salariali, di migliori condizioni di lavoro (a fronte di una condizione di super sfruttamento schiavista nella logistica, e non solo); quindi i grandi e medi padroni, coop appaltatrici possono tagliare i salari, estorcere pluslavoro per i loro profitti, ma se si chiedono aumenti salariali, allora tu lavoratore stai di fatto rubando, stai facendo un’estorsione (violenta) verso chi ti rapina ogni giorno.
Ma su questa accusa di “estorsione” c’è anche di più: si scrive che è reato “ottenere per i lavoratori condizioni di migliori favore rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale”. Questo è un indubbia indicazione dei sindacati confederali quali uniche organizzazioni sindacali legittime perchè uniche a rendere sempre più compatibili o, meglio subordinati, gli interessi e la difesa dei lavoratori agli interessi dell’economia capitalista. E chiaramente questo lo si vede bene dai CCNL che danno miserie salariali ai lavoratori e in alcune parti invece di dare tolgono diritti, rendendo fino in fondo giusto che i lavoratori pretendano “condizioni di miglior favore“.

Quindi questa repressione vuole mettere una “pietra sopra” al diritto di sciopero e di lotta, al diritto a chiedere aumenti salariali e fare vertenze, al diritto di organizzarsi nei sindacati di base.

Essa è parte del moderno fascismo/fase di guerra in atto che vede un fronte unito tra capitalisti, padroni vari, Stato, governo, sindacati confederali, mass media. 
In questo senso va oltre anche l’aspetto gravissimo dell’arresto degli 8 compagni, è un’onda nera antiproletaria, fascista che va fermata perchè può colpire tutti. Per questo 10/100/1000 iniziative dovunque, alle fabbriche, ai magazzini della logistica, nei vari posti di lavoro, in ogni città, con la necessità di proseguire fino alla liberazione dei compagni, ma anche per allargare la lotta all’insieme dell’azione repressiva, di attacco alle condizioni di lavoro e di vita, ai diritti dei lavoratori e lavoratrici da parte del padronato generale, dello Sato, del governo. Da qui la proposta dello Slai cobas sc di una nuova manifestazione nazionale a Roma per il 17 settembre. Che “tocca uno toccano tutti” diventi effettivamente un’arma di solidarietà generale.
L’accanimento verso le lotte della logistica esprime anche l’intenzione – non solo della oscena Procura di Piacenza (già ben conosciuta per atti repressivi anche negli anni passati) – di normalizzare, metter a tacere un settore dove la presenza al 90% di lavoratori immigrati rende più accesa la contraddizione e la lotta, in un settore chiave dell’economia capitalista, fondamentale per la realizzazione del plusvalore, dei profitti del capitale industriale e commerciale. 

Questo Stato, questo Governo, gli organi della repressione, inoltre, non vogliono o non possono far passare che le lotte combattive, dei sindacati di base combattivi vincano, strappino dei risultati; perchè questo impone nei fatti rapporti di forza più favorevoli a lavoratrici e lavoratori e indebolisce i padroni e il loro fronte. Da qui la repressione violenta avvenuta il più delle volte durante li scioperi, picchetti, ma anche il “taglio delle teste”, arrampicandosi sugli specchi per costruire un “teorema” accusatorio.

Questa repressione è parte inevitabile e interna allo scarico sui proletari e masse popolari della crisi, pandemia prima e oggi dell’economia di guerra; per cui dalle lotte proletarie e sociali, che inevitabilmente cresceranno, al dissenso democratico non sono legittimi e devono essere messi a tacere, per imporre forzatamente consenso all’azione criminale, guerrafondaia, del/dei governi al servizio dei padroni nazionali e internazionali.

Ma, le pesanti pietre che stanno sollevando devono cadere sui loro piedi. Sono loro che stanno creando un clima, una situazione, compresa il marasma politico della crisi/caduta del governo Draghi, più favorevole alla lotta, ad elevarla, alla comprensione della partita in gioco. Come abbiamo scritto, dal punto di vista dei proletari e delle masse si stanno creando migliori condizioni per alzare la testa sulle questioni economiche e sociali che si aggravano, e lo sarà, se lavoriamo bene, anche sulla opposizione alla guerra imperialista per la sconfitta del nostro imperialismo, del governo attuale e futuro.

Arresti domiciliari per dirigenti Si.cobas e USB – I padroni, il governo Draghi, lo Stato borghese scatenano la repressione contro il sindacalismo di lotta classista e combattivo contro le lotte operaie e proletarie, nella logistica. Massima solidarietà e denuncia

Unità di lotta contro la repressione – preparare una grande risposta di massa, a Piacenza, in tutti i posti di lavoro e in ogni città – A Roma -proponiamo per il 17 settembre una manifestazione nazionale

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ARRESTATI DIRIGENTI NAZIONALI DEL SI COBAS E ATTIVISTI DEL USB

UN NUOVO, PESANTISSIMO ATTACCO REPRESSIVO CONTRO IL SINDACATO DI CLASSE E LE LOTTE DEI LAVORATORI.

All’alba di stamattina, su mandato della procura di Piacenza, la polizia ha messo agli arresti domiciliari il coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani e tre dirigenti del sindacato piacentino: Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli.

Le accuse sono di associazione a delinquere per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio e interruzione di pubblico servizio. Tale castello accusatorio sarebbe scaturito dagli scioperi condotti nei magazzini della logistica di Piacenza dal 2014 al 2021: secondo la procura tali scioperi sarebbero stati attuati con motivazioni pretestuose e con intenti “estorsivi”, al fine di ottenere per i lavoratori condizioni di miglior favore rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale…

Sul banco degli imputati figurano tutte le principali lotte e mobilitazioni condotte in questi anni: GLS, Amazon, FedEx-TNT, ecc.

È evidente che ci troviamo di fronte all’offensiva finale da parte di stato e padroni contro lo straordinario ciclo di lotte che ha visto protagonisti decine di migliaia di lavoratori che in tutta Italia si sono ribellati al caporalato e condizioni di sfruttamento brutale.

È altrettanto evidente il legame tra questo teorema repressivo e il colpo di mano parlamentare messo in atto pochi giorni fa dal governo Draghi su mandato di Assologistica, con la modifica dell’articolo 1677 del codice civile tesa a ad eliminare la responsabilità in solido delle committenze per i furti di salario operati dalle cooperative e dalle ditte fornitrici.

Ci troviamo di fronte a un attacco politico su larga scala contro il diritto di sciopero e soprattutto teso a mettere nei fatti fuori legge la contrattazione di secondo livello, quindi ad eliminare definitivamente il sindacato di classe e conflittuale dai luoghi di lavoro.

Come da noi sostenuto in più occasione, l’avanzare della crisi e i venti di guerra si traducono in un’offensiva sempre più stringente contro i proletari e in particolare contro le avanguardie di lotta.

Contro questa ennesima provocazione poliziesca, governativa e padronale il SI Cobas e i lavoratori combattivi, al di là delle sigle di appartenenza, sapranno ancora una volta rispondere in maniera compatta, decisa e tempestiva.

Invitiamo sin da ora i lavoratori e tutti i solidali a contattare i rispettivi coordinamenti provinciali per concordare le iniziative da intraprendere.

Seguiranno aggiornamenti.

Le lotte contro lo sfruttamento non si processano.

La vera associazione a delinquere sono stato e padroni.

ALDO, ARAFAT, CARLO E BRUNO: LIBERI SUBITO!

SI cobas nazionale

Siamo tutti ASKATASUNA! –

 

L’avvocato Claudio Novaro, difensore di molti militanti: «Si vuole eliminare la protesta sociale»

Tanto per esser chiari, scrive alla fine l’avvocato Claudio Novaro, il senso (della vicenda) è in una canzone del Sessantotto francese, di Dominque Grange: «Même si vous vous en foutez, chacun de vous est concerné», anche se ve ne fregate, ognuno di voi è coinvolto. Nel lungo e articolato pezzo — pubblicato sul sito Volerelaluna.it, il difensore di tanti militanti antagonisti parla della maxi inchiesta di Digos e Procura sul centro sociale Askatasuna, con l’obiettivo di ampliare la riflessione (giuridica) e allargare l’orizzonte (politico), come da titolo: «Costruire il nemico. Askatasuna, i No Tav, il conflitto sociale». Difatti, l’ultimo capoverso è proprio un appello alla politica: «Sarebbe bene che quel poco di sinistra che ancora esiste a Torino e nel Paese – scrive il legale – iniziasse a interrogarsi e a preoccuparsi di queste derive giudiziarie, perché non si tratta solo di Askatasuna o della repressione per via giudiziaria delle attività di un centro sociale». Piuttosto, «le affermazioni sopra riportate (quelle relative all’inchiesta, ndr) rendono plasticamente conto dei rischi di una deriva autoritaria non solo della giustizia, ma, visto il ruolo preponderante nell’inchiesta dell’autorità amministrativa, incarnata nella Polizia di stato, delle istituzioni, con il tentativo di delegittimare ed eliminare dallo scenario collettivo il conflitto e la protesta sociale». Va da sé, il punto (non secondario) è con quali mezzi e strumenti sono poi portati avanti, conflitto e protesta sociale.

 

«L’obiettivo è lo sgombero, come con l’ex Asilo»

La riflessione dell’avvocato Novaro arriva dopo che, l’11 luglio scorso, il tribunale del Riesame ha parzialmente accolto l’appello della Procura su alcune richieste di misure cautelari e, soprattutto, su un’ipotesi di reato, inizialmente bocciata dal gip: quell’associazione sovversiva che i giudici hanno ora riqualificato in associazione per delinquere. Con questa specificazione, riferisce il legale: «A costituire un’associazione per delinquere non è il centro sociale ma “un gruppo criminale dedito a compiere una serie indeterminata di delitti, principalmente in Val di Susa”». Seguono durissime critiche, chiaramente di parte (difensiva), a Riesame e Procura: poiché la prospettiva interpretativa dei giudici «cerca di salvare l’insalvabile, ma ne condivide il pressapochismo, la scarsa aderenza alla realtà dei fatti e, soprattutto, la scarsa conoscenza delle pratiche, dei linguaggi, perfino delle idee che caratterizzano il variegato mondo dell’antagonismo italiano». Morale, sempre secondo l’avvocato Novaro: la polizia aveva in mente per Askatasuna la stessa operazione fatta con l’ex Asilo occupato, cioè lo sgombero. Ma qui, sostiene il legale, «la posta in gioco è ancora più alta». Perché si va dalla «conflittualità metropolitana, legata alle manifestazioni di piazza, alle politiche abitative cittadine», fino «al bersaglio più grosso, la resistenza in Val di Susa contro la Tav». Tant’è che, «106 reati sui 112 contestati originariamente, ora ridotti a 66 su 72, riguardano episodi commessi in Valle, nell’ambito della lotta No Tav». Mentre, per quanto riguarda le tantissime intercettazioni, «si tratta di conversazioni malamente e approssimativamente lette e decifrate sulla base di un’interpretazione esclusivamente letterale, anche quando ci si trova di fronte a battute, risate, frasi scherzose». Poi però, spesso, gli scontri con le forze dell’ordine, sono verissimi. Opposta, ovviamente, la lettura di Digos e pm, che in due anni di inchiesta sono convinti di aver ricostruito un’attività illegale sfociata nei reati a vario titolo contestati. Sull’effettività delle misure cautelati dovrà esprimersi ora la Cassazione, su tutto il resto si aspetterà, eventualmente, un dibattimento.

 

 

Torture ai detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, 105 rinviati a giudizio

I reati ipotizzati dalla Procura sono, a vario titolo, tortura, lesioni, violenza privata, abuso di autorità e, per 12 imputati, l’omicidio colposo per la morte di un detenuto alcuni giorni dopo le violenze
DA IL DUBBIO: MERCOLEDÌ 13 LUGLIO 2022

Il gip di Santa Maria Capua Vetere Pasquale D’Angelo ha disposto il rinvio a giudizio per 105 imputati per le violenze sui detenuti nel carcere sammaritano avvenute ad aprile 2020. È stata così accolta la richiesta presentata lo scorso 26 aprile dal pm Alessandro Milita di rinviare a giudizio 105 imputati tra appartenenti al corpo della Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione penitenziaria. La Procura sammaritana non aveva chiesto il rinvio a giudizio per uno solo dei 108 imputati dell’udienza preliminare, che ha dimostrato di non essere presente all’interno del carcere nel giorno delle violenze, mentre altri due imputati hanno chiesto e ottenuto il rito abbreviato, che sarà celebrato il 25 ottobre.

I reati ipotizzati dalla Procura sono, a vario titolo, tortura, lesioni, violenza privata, abuso di autorità e, per 12 imputati, l’omicidio colposo per la morte di un detenuto alcuni giorni dopo le violenze. La prima udienza sarà celebrata il 7 novembre davanti alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere, culminata il 28 giugno 2021 con l’esecuzione di 52 misure cautelari, è stata avviata a seguito delle segnalazioni di violenze avvenute all’interno del carcere nel giorno successivo a una protesta dei detenuti dopo l’emersione di alcuni casi di positività al Covid-19.

la persecuzione contro Askatasuna a Torino – «Parla la nostra storia non le loro accuse. L’associazione a delinquere siete voi

“Criminali, non sovversivi”. I giudici riscrivono le accuse su Askatasuna

Il tribunale del Riesame di Torino ha parzialmente accolto un ricorso della procura e ha disposto undici misure cautelari per sponenti del centro sociale. Gli attivisti: la nostra storia parla per noi

Non un gruppo sovversivo, ma un’associazione criminale che attacca le istituzioni dello Stato e fa della violenza uno strumento di lotta. Il tribunale della Libertà ha ridisegnato le ipotesi d’accusa che la procura aveva sollevato nei mesi scorsi nei confronti degli attivisti del centro sociale di corso Regina, autori da anni delle battaglia contro la Tav e di manifestazioni di protesta in città. (continua solo per gli abbonati, n.d.r.)

 

Undici misure cautelari ad Askatasuna, per i giudici nel centro sociale un’associazione per delinquere

I pm di Torino avevano ipotizzato per il centro sociale l’accusa di associazione sovversiva, il Tribunale del riesame ha modificato il reato. Gli attivisti: «Parlano per noi la nostra storia»

Gli esponenti di Askatasuna, storico centro sociale legato all’area dell’Autonomia, «formano un’associazione per delinquere». Questo, secondo le prime informazioni, è il senso di una pronuncia del Tribunale del riesame di Torino che ha parzialmente accolto un ricorso della procura.

 

I pubblici ministeri avevano chiesto una serie di misure cautelari ipotizzando l’associazione sovversiva. I giudici, sempre il secondo le prime indicazioni, hanno dato una lettura diversa, senza connotazioni politiche. Il Riesame, accogliendo dunque parzialmente un ricorso della procura, ha disposto undici le misure cautelari e restrittive, due delle quali in carcere,  a carico di esponenti del centro sociale. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione per delinquere, violenza privata, rapina e sequestro di persona. Per sei indagati  si parla di arresti domiciliari e per tre di divieti di dimora nei due comuni della Valle di Susa in cui insiste un cantiere del Tav.

 

Provvedimenti non immediatamente esecutivi

Ancora non si è appreso se il tribunale del riesame ha disposto tutte o solo alcune delle misure cautelari richieste dalla procura. I provvedimenti comunque non sono immediatamente esecutivi perché la decisione può essere impugnata dalle difese in Cassazione.
Il procedimento è il prodotto di un’inchiesta avviata nel 2019 dalla Digos, che si avvalsa di numerose intercettazioni telefoniche e ambientali. Nel corso dell’udienza davanti al Tribunale del riesame i rappresentanti della procura avevano ribadito la tesi dell’associazione sovversiva sottolineando però che l’accusa non era rivolta a tutti i frequentatori e tutti gli attivisti del centro sociale, ma solo a un gruppo di indagati.

La replica degli antagonisti

«Parla la nostra storia non le loro accuse. L’associazione a delinquere siete voi»  sostiene sulle proprie pagine social il centro sociale Askatasuna. «A marzo di quest’anno sono avvenuti numerosi arresti ai danni di compagni e compagne con l’accusa, inizialmente bocciata dal gip, di associazione sovversiva. Non soddisfatti della decisione, avvenuta dopo indagini durate dal 2009 ad oggi tramite migliaia di pagine di intercettazioni, i pm hanno condotto un ricorso che ha avuto come risultato la trasformazione da associazione sovversiva ad associazione a delinquere». «Prima – si legge sui post – vogliono costruire un disegno farlocco tentando il tutto e per tutto, ora provano a dipingerci come delinquenti». Askatasuna aggiunge: «Leggeremo le carte non appena possibile. Quello di cui siamo sicuri è che non saranno i tribunali a riscrivere le storie delle lotte, di chi resiste e di chi vive per costruire un futuro giusto e migliore per tutti. Parlano per noi le nostre lotte, le persone con cui abbiamo condiviso tutti i momenti di lotta individuali e collettivi».