Un desaparecido al 41 bis: la famiglia non ha sue notizie da più di un anno

l detenuto soffre di gravi problemi psichiatrici e rifiuta le necessarie cure e assistenza specialistica, sia medica che difensiva. L’ultimo contatto telefonico lo ha avuto più di un anno fa, da allora la moglie non ne ha più notizie. Parliamo di un uomo al 41 bis fin dal 2008, prima al carcere di Parma in area riservata (il super 41 bis), dopodiché è stato trasferito nel carcere di Novara.

di Damiano Aliprandi

Durante la detenzione a Parma ha cominciato ad avere allucinazioni lamentandosi di essere stato sottoposto a scosse elettromagnetiche. Da allora una discesa negli inferi della patologia psichiatrica. L’associazione Yairaiha Onlus ha raccolto la denuncia della moglie di Pasquale Condello, così si chiama il detenuto al 41 bis, visionando anche le cartelle cliniche che hanno accertato la sua grave patologia psichiatrica. Come appunto si evince dalla comunicazione della moglie e dalla documentazione, il detenuto soffre di gravi problemi psichiatrici e rifiuta le necessarie cure e assistenza specialistica, sia medica che difensiva.

La famiglia nutre grande preoccupazione per le sue sorti, non avendo sue notizie da più di un anno: l’ultimo contatto telefonico risale a febbraio 2021. Condello, nel 2012 è stato ritrovato nella sua cella al carcere di Parma in stato di incoscienza e ricoverato nell’ospedale dove glie erano stati diagnosticati ematomi alla testa. La moglie, con la lettera inviata all’associazione Yairaiha Onlus, denuncia che secondo lei non poteva ridursi in quel modo con una caduta. È rimasto incosciente per tanti giorni. Tornato dall’ospedale, non mangiava e non beveva più, per poi essere ricoverato nel centro psichiatrico di Livorno. Lì aveva ripreso a mangiare ed era più tranquillo. Trasferito nel carcere di Novara, è riprecipitato nel delirio.

La moglie riferisce che sentiva voci e discorsi fuori della sua stanza che erano inimmaginabili. Non si è mai sottoposto a visite mediche né tantomeno a cure. Ha sempre rifiutato di essere curato in carcere perché riteneva che lì lo volevano uccidere. Secondo la moglie avrebbe trovato sempre un ambiente avverso che lo spaventava.

A quel punto era stato mandato uno psichiatra in privato, che ha fatto 4 ore di visita tra cui anche dei test, con la diagnosi che era un malato psichiatrico e che quindi aveva bisogno di cure. Dopo la pandemia, la famiglia non ha più potuto fare i colloqui. Ricordiamo che durante l’emergenza, fu data la possibilità ai detenuti di poter fare più telefonate e video-colloqui. La moglie racconta che Condello telefonava dal carcere a Reggio per potere dare sue notizie. Tutto questo fino al febbraio 2021, dopodiché non si è fatto più sentire. Non ha voluto più ricevere visite dall’avvocato, né dal medico o dai familiari.

La famiglia ha insistito ad andare tante volte per effettuare un colloquio con lui, inutilmente. Non hanno sue notizie da allora. Secondo i famigliari non risulta che qualche perito lo abbia visitato nonostante venga richiesto da parecchi mesi, e nonostante sia in corso un processo per interdirlo, perché non è in grado neppure di avere un rapporto con gli avvocati che dovevano aiutarlo, per cui se ne dovrà occupare la famiglia al suo posto. La famiglia dice di aver incessantemente smosso garanti, associazioni, inutilmente.

Ad oggi ancora la famiglia non sa niente di Pasquale Condello, sta vivendo un tormento. La moglie denuncia che non è possibile che una famiglia non possa vedere un congiunto detenuto o almeno avere notizie. Non chiedono che esca dalla detenzione, ma che venga curato, quindi che venga almeno portato in una struttura adatta dove possa farsi curare. Yairaiha Onlus, rivolgendosi alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, si unisce alla richiesta dei famigliari, chiedendo che venga fatta luce sulla vicenda del detenuto Pasquale Condello.

In attesa delle opportune verifiche da parte delle autorità preposte – scrive Yairaiha nella missiva – da associazione che si spende per la tutela dei diritti delle persone private della libertà personale indistintamente, a prescindere dunque dal nomen iuris del reato commesso dal detenuto, non possiamo che manifestare il nostro sconforto nel venire a conoscenza delle condizioni di abbandono in cui versa un detenuto anziano, affetto da patologie psichiatriche. Riteniamo che il diritto alla salute dei detenuti, anche di coloro che si trovano in regime di 41 bis, richieda un attento monitoraggio da parte di ogni componente della società democratica”.

da il dubbio

Coca Cola di Nogara: la polizia carica i manifestanti per difendere il profitto di pochi sull’interesse di tanti

Attiviste e attivisti di Rise Up 4 Climate Justice e Adl Cobas hanno manifestato questa mattina davanti allo stabilimento della Coca Cola di Nogara, una fabbrica che estrae quasi un miliardo e mezzo di litri d’acqua all’anno dalla vicina falda a un prezzo poco più che gratuito, guadagnando milioni che, grazie a un sistema di holding, vanno tutti in paradisi fiscali. Basti pensare che il prezzo a metro cubo pagato dalla multinazionale è di circa 1 centesimo, mentre il costo medio dell’acqua per l’utilizzo domestico è di circa 1 euro e 37 centesimi a metro cubo.

Rise Up Adl Cobas Coca Cola

La cosa, già di per sé scandalosa, assume ancora più gravità in questa fase storica che vede la crisi climatica diramare prepotentemente i suoi effetti sulle condizioni materiali di vita delle persone. Mai prima d’ora l’Occidente era stato in preda a una siccità su così larga scala ed a una reale carenza di acqua, dovuta in particolare ai disequilibri nella sua gestione. Governo e istituzioni locali si stanno apprestando infatti a varare misure di razionamento idrico per la popolazione, mentre ci sono multinazionali come la Coca Cola che la sprecano senza alcun limite. Ed è proprio al grido di “riappropriamoci dell’acqua bene comune”, che i manifestanti si sono avvicinati ai cancelli con alcuni cubiteni vuoti (l’obiettivo simbolico era quello di riempirli di acqua appunto per riappropriarsene) e sono stati caricati dalle forze dell’ordine.

Lo stabilimento della Coca Cola di Nogara (VR) è uno dei più limpidi esempi di estrattivismo nel nostro Paese. La fabbrica – già nota per condizioni di sfruttamento e precarietà a cui sono sottoposti i lavoratori – si avvale di concessioni che la stessa regione non ha mai voluto rinegoziare: meno di due anni fa un decreto del direttore della Direzione Ambiente escludeva addirittura l’azienda dalla procedura di V.I.A., rinnovando a tempo indeterminato l’uso delle derivazioni di acque sotterranee.
La Coca Cola continua a estrarre, sfruttare, produrre e incassare. «L’Adl Cobas nel 2017 aveva aperto in questo stabilimento contro il licenziamento di 40 persone» dice un rappresentante sindacale, «oggi siamo qua per altre ragioni, ma la logica è sempre la stessa perché stiamo parlando di sperpero di risorse pubbliche connesso a un grave sfruttamento del lavoro e dei beni naturali».

Nulla di più iniquo e diseguale, eppure si continua a non prendere alcun provvedimento. È la medesima logica “dell’emergenza”, che scarica verso il basso costi e responsabilità della crisi, che abbiamo visto palesarsi più volte negli ultimi anni, dalla pandemia alla guerra, passando per il “cambio” di modello energetico. «Forse è questa la “transizione” che hanno in mente i governi e le multinazionali: un nuovo grande terreno di accumulazione, a discapito di quella fetta di popolazione povera che si è fatta sempre più grande» dice un attivista di Rise Up 4 Climate Justice, che prosegue «nei giorni passati il Parlamento europeo ha approvato la nuova tassonomia che vedrà gas ed energia nucleare essere annoverate tra le rinnovabili. Questo, come lo sfruttamento incondizionato delle risorse del pianeta, è un altro passo verso la completa devastazione ecologica».

Coca Cola è solo una delle tante multinazionali del territorio che usano un bene comune a scopi industriali, continuando a mettere a profitto risorse sempre più scarse. Uno dei casi da poco emersi nelle cronache locali è quello di Acqua Vera a San Giorgio in Bosco, in provincia di Padova. L’azienda, che appartiene alla Nestlé, ha appena annunciato di voler creare un nuovo polo di imbottigliamento di oltre 37 mila metri quadri, raddoppiando di fatto la produzione.

E questo avviene nonostante 11 anni fa un referendum ha sancito che non ci potesse essere più alcun margine di business per l’acqua e che qualsiasi scelta sul servizio idrico dovesse passare attraverso il pieno controllo democratico. Non solo questo non è mai avvenuto, ma il trend a cui stiamo assistendo è l’esatto opposto: l’acqua sta diventando il simbolo della negazione della democrazia.

Ed è per questa ragione che Adl Cobas e Rise Up 4 Climate Justice annunciano che non si fermeranno nelle mobilitazioni per difendere un bene che le stesse Nazioni Unite definiscono “un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”.

India: arrestate 10 contadine adivasi che protestavano contro la rimozione illegale delle loro capanne. Le donne sono state molestate e trascinate via con forza dalle guardie forestali. Il CPI (maoista) chiede una lotta comune a sostegno degli agricoltori di Podu e le organizzazioni adivasi in Telengana proclamano un bandh (sciopero) per l’11 luglio.

Scontri tra tribali e polizia forestale, 10 arresti

C’è una situazione di tensione a Koyaposhagudem del distretto di Manchiryal di Telangana. Venerdì sono scoppiati scontri tra tribali e funzionari del Dipartimento forestale per il secondo giorno consecutivo, dopo che il personale del dipartimento forestale ha sgomberato con la forza le contadine adivasi dai terreni forestali che coltivano da generazioni e che permettono loro la sopravvivenza.

Circa 300 membri del personale del dipartimento forestale di polizia sono stati dispiegati a Koyaposhaguda di Dandepally mandal, nel tentativo di rimuovere le capanne.

A causa di questa azione del Dipartimento forestale, c’è molto risentimento tra i tribali che vi vivono. Per protesta, le contadine hanno cercato di fermare i poliziotti forestali con peperoncino in polvere e bastoni e si sono verificati scontri con la squadra del dipartimento, che ha arrestato con violenza 10 donne coltivatrici di podu.

Donne tribali che protestano contro la squadra del Dipartimento forestale

I video mostrano chiaramente il personale forestale che sgombera le donne, spogliandole dei loro vestiti e trascinandole con la forza.

Nel frattempo, lunedì 11 luglio, l’adivasi Adhikar Sangharsh Samiti ha chiesto un bandh nel distretto di Samyukta Adilabad contro il comportamento dei funzionari forestali con i tribali a Koyaposhagudem.

Condannando l’accaduto, l’organizzazione Adivasi Tudum Debba ha lanciato un appello invitando tutte le organizzazioni adivasi a bloccare gli uffici governativi nella regione un tempo unita di Adilabad, lunedì 11 luglio. Tudum Debba ha detto: “I contadini adivasi di Koyaposhagudem erano appena tornati dal carcere pochi giorni fa. Ora di nuovo il Dipartimento forestale li ha attaccati. Il primo ministro K Chandrasekhar Rao sembra essere dietro questi attacchi”. L’organizzazione Adivasi ha affermato di aver chiesto ripetutamente ai funzionari di risolvere la questione della terra di Podu, ma queste preoccupazioni non sono state affrontate.

“Il mese scorso, abbiamo fatto una manifestazione da Koyaposhagudem all’ufficio dell’Integrated Tribal Development Agency (ITDA) e abbiamo consegnato una rappresentanza all’ITDA Project Officer per risolvere immediatamente il problema. Questo attacco è avvenuto a causa del ritardo dei funzionari nell’affrontare la questione”, hanno affermato in una nota.

Tudum Debba ha affermato che i funzionari sono riluttanti ad affrontare la questione poiché sia ​​l’Unione che i governi statali vogliono sfrattare gli Adivasi dalla foresta.
Il presidente del distretto di Tudum Debba Adilabad, Godam Ganesh, ha chiesto che fosse intentata una causa contro i funzionari forestali che hanno attaccato e ferito le donne Adivasi. Ha detto che il personale coinvolto nel raid dovrebbe essere licenziato dal lavoro.

“In risposta alle molestie da parte dei funzionari forestali che hanno impedito agli agricoltori adivasi di coltivare nell’ex distretto di Adilabad presentando casi illegali, abbiamo chiesto il bandh. Esortiamo tutti i partiti politici ad estendere il loro sostegno a noi e rendere il bandh un successo”, ha detto Ganesh.

Tradizionalmente, gli agricoltori Adivasi sia in Telangana che in Andhra Pradesh hanno praticato l’agricoltura Podu, una forma di coltivazione a turni nella foresta. È in corso da anni un conflitto tra il Dipartimento forestale e gli Adivasi per la proprietà di queste terre. Nel distretto di Jayashankar Bhupalapally a Telangana vennero alla luce, nel 2017 gli atti barbarici del governo e del personale forestale, che per cacciare le donne adivasi che vivevano nelle foreste, le legavano agli alberi mentre davano fuoco alle loro capanne. Queste violenze, da parte dei funzionari forestali, sono quindi considerate un’abitudine dai tribali. In seguito, il governo statale aveva annunciato di concedere titoli di proprietà fondiari a richiedenti meritevoli. Tuttavia, il processo iniziato nel novembre 2021 è stato interrotto bruscamente il mese successivo.

Condannando la violenza contro gli Adivasi, il presidente del Congresso Telangana Revanth Reddy ha dichiarato: “Le terre dei Podu ora assomigliano a campi di battaglia. I distretti di Mancherial, Mahabubabad, Nagarkurnool e Khammam sono costantemente in preda alla questione della terra dei podu. Assicurando che daranno titoli di proprietà della terra a podu, KCR ha ottenuto voti e ora le donne vengono spogliate e trascinate via”.

In una dichiarazione pubblicata da The hindu il 6 luglio, il Comitato di Divisione Bhadradri Kothagudem-Alluri Sitarama Raju (BK-ASR) del CPI (maoista) ha chiesto una lotta comune per sostenere la causa dei coltivatori di podu danneggiati nelle aree tribali.

Nella dichiarazione, rilasciata dal portavoce ufficiale del partito maoista, il compagno Abhay, i maoisti hanno affermato che i contadini podu sono stati molestati e coinvolti in falsi casi per aver tentato di arare le terre forestali coltivate da loro per generazioni.

I maoisti hanno accusato le persone al timone nello Stato di non aver mantenuto la promessa pre-elettorale di affrontare tutte le questioni relative ai coltivatori di podu.

I maoisti hanno criticato il governo del BJP al Centro con l’accusa di aver tentato di diluire i diritti duramente conquistati degli Adivasi e di stendere un tappeto rosso sulle grandi entità aziendali per consentire loro di saccheggiare la ricchezza mineraria nelle aree forestali.

Hanno inoltre affermato che il CPI (maoista) estenderà il suo sostegno alle lotte di massa degli Adivasi per l’attuazione del Forest Rights Act, del Panchayats (Extension to the Scheduled Areas) Act (PESA) e del Land Transfer Regulation (LTR) Act di 1 del 1970.

Fonti:

https://www.abplive.com/news/india/telangana-a-clash-broke-out-between-tribals-and-forest-officials-to-vacate-the-huts-built-on-the-forest-department-s-land-ann-2163836

https://www.redspark.nu/en/peoples-war/cpi-maoist-calls-for-joint-struggle-in-support-of-podu-farmers/https://www.thehindu.com/news/cities/Hyderabad/cpi-maoist-calls-for-joint-struggle-for-podu-farmers/article65604085.ece