1 MAGGIO OPERAIO, DI LOTTA, INTERNAZIONALISTA. – manifestazioni a MILANO/NAPOLI

Soccorso rossoproletario sostiene e invita a partecipare

Contro la repressione antioperaia e antipopolare e contro tutte le norme che limitano la libertà di sciopero e di organizzazione sindacale per la cancellazione dei decreti-sicurezza

Il 1 MAGGIO TUTTI IN PIAZZA!

Milano – ore 15 Piazza Cairoli

Napoli – ore 15 Piazza Dante

A più di un anno dall’inizio della pandemia di CoVid-19 è sempre più evidente che l’emergenza sanitaria e la crisi economica capitalistica si alimentano a vicenda, in una spirale che sembra senza via di uscita.

La tanto strombazzata “ripresa”, annunciata ai quattro venti dai governi nazionali e internazionali come effetto del Recovery Fund, si rivelerà nient’altro che una favola e una tragedia per i lavoratori. La massa enorme di denaro messa in circolazione da BCE e UE sta già andando quasi tutta nelle casse e nelle tasche dei soliti noti: i padroni del digitale, dell’informatica, delle infrastrutture e, come sempre, della produzione militare (in vista di nuove guerre imperialiste). Il PNRR e il Decreto Sostegni del governo Draghi lo dicono chiaramente: il grosso dei 248 miliardi è per i “sussidi” ai padroni e ai loro profitti, mentre per la spesa sociale (misure di sostegno ai salari, all’occupazione femminile e ai servizi per l’infanzia, alla sanità, all’istruzione, ai trasporti pubblici) ci saranno pochi spiccioli, con un ulteriore aggravamento delle già drammatiche condizioni di vita di milioni di lavoratori e lavoratrici.

L’impatto di queste politiche in termini di crescita e di nuova occupazione è del tutto incerto. Ad oggi, le uniche certezze che il governo Draghi sta dando alla classe operaia e ai lavoratori sono:

  • l’inasprimento della repressione contro gli scioperi, le lotte, le forme di dissenso sui posti di lavoro (basti pensare a quel che sta accadendo in queste settimane nei magazzini Fedex,Texprint, Arcelor Mittal, ecc.)
  • il via libera ai licenziamenti di massa a partire dal prossimo 30 giugno, che si andranno ad aggiungere alle migliaia di licenziamenti “occulti” di questi mesi per mezzo di provvedimenti disciplinari o di chiusure di attività, e agli 850 mila precari che hanno gia perso il lavoro
  • la cancellazione di “quota 100” per andare in pensione e la riduzione degli assegni familiari ai lavoratori dipendenti.

Tutto ciò incoraggia il padronato a spingersi ancora oltre nell’attacco ai lavoratori imponendo con la complicità di Cgil-Cisl-Uil, rinnovi contrattuali-capestro, salari da fame e una generale precarizzazione dei rapporti di lavoro. E’ uno scenario simile a quello dell’intera Europa, ma aggravato da un alto tasso di disoccupazione destinato, aldilà delle vacue promesse governative, a crescere ancora, con un costo particolarmente alto pagato dalle donne lavoratrici, dai giovani perlopiù immigrate/i (che continuano a morire a migliaia lungo le rotte dell’immigrazione).

La maggioranza dei lavoratori non è ancora riuscita a scendere in campo in maniera forte e generale di fronte all’attacco che si protrae da più di un trentennio. L’inizio di mobilitazione nelle fabbriche, in particolare metalmeccaniche, nel marzo dello scorso anno sui problemi della sicurezza è stato tradito, nonostante la formale proclamazione di sciopero della FIOM, dal gruppo dirigente della CGIL, e in particolare da Maurizio Landini per “impedire lo scoppio di uno scontro sociale” (sono parole sue). Tuttavia in questi mesi le lotte del SI Cobas nella logistica, Slai Cobas e altre realta del sindacalismo classista e combattivo sono state uno dei pochi argini all’offensiva padronale creato attraverso iniziative di lotta tanto sul piano economico che su quello politico. La battaglia per la tutela della salute e l’astensione dal lavoro nella fase del picco pandemico, gli scioperi contro l’utilizzo capitalistico dell’emergenza sanitaria, a partire dall’importante lotta portata avanti dai lavoratori Fedex-Tnt contro la repressione e la chiusura del sito di Piacenza, la resistenza in tanti posti di lavoro e territori a difesa del salario, dell’occupazione, della rappresentanza sindacale scelta dai lavoratori, si sono legate al tenace lavoro per la costruzione di un fronte largo dei proletari in lotta con l’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi e con il Patto d’azione Anticapitalista.

Il prossimo 1° maggio dev’essere un’occasione per rafforzare l’iniziativa e l’unità di classe, per rilanciare la necessità di un fronte unico dei lavoratori, autonomo da ogni schieramento borghese, libero dai localismi, alternativo ai sindacati di stato legati a doppio filo ai padroni e al governo Draghi, capace di promuovere una mobilitazione di massa per imporre ai padroni di pagare i costi di una crisi da essi stessi creata, in stretto rapporto con le lotte che si svolgono e si svolgeranno sul piano internazionale.

Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario a 30/32 ore!

Salario medio garantito a tutti i proletari e stabilizzazione di tutti i precari!

Patrimoniale del 10% sulle grandi ricchezze da impiegare per un servizio sanitario pubblico, universale, gratuito, la medicina territoriale e gli altri servizi sociali!

Documenti e permesso di soggiorno incondizionato a tutti gli immigrati!

Contro la repressione antioperaia e antipopolare e contro tutte le norme che limitano la libertà di sciopero e di organizzazione sindacale per la cancellazione dei decreti-sicurezza

Costruzione di un fronte unico di lotta internazionale e internazionalista di tutti gli sfruttati!

Per un 1 Maggio all’insegna dell’Internazionalismo sul piano mondiale!

Il 1 MAGGIO TUTTI IN PIAZZA!

Milano – ore 15 Piazza Cairoli

Napoli – ore 15 Piazza Dante

Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi

Patto d’azione anticapitalista per il fronte unico di classe

NON POSSIAMO RESTARE A GUARDARE. BASTA RAZZISMO E MORTI DI STATO!

Comitato Lavoratori delle Campagne

Negli ultimi giorni, da nord a sud, un fitto elenco di violenze, uccisioni e aggressioni nei confronti di persone immigrate è saltato agli onori della cronaca.

L’ultima strage in mare in cui hanno perso la vita 130 persone, con la complicità assassina dell’ Unione Europea e della guardia costiera Libica, ha dimostrato ancora una volta quanto, per le autorità che ci governano, alcune vite siano sacrificabili senza problemi, per onorare accordi criminali e mantenere equilibri politici. L’ennesima aggressione ai danni di lavoratori che vivono nel Gran ghetto di Rignano Garganico, uno dei quali ha perso un occhio in seguito a questo agguato, mostra ancora una volta come il razzismo di stato legittimi nei fatti violenze gravissime verso le persone immigrate, che da nord a sud imperversano da tempo.

Cosa ci aspettiamo da uno stato le cui forze di polizia non esitano ad aggredire e togliere la vita, soprattutto chi qui non ha una famiglia o rete che può pretendere giustizia a suo nome?

Sono proprio i rappresentanti dello stato, infatti, a mostrare come si fa.

Il 16 aprile è morta nell’ospedale di Alzano Lombardo Mame Dikone Samb, donna senegalese, dopo un fermo dei carabinieri in una banca con l’uso di taser e che si è concluso con un trattamento sanitario obbligatorio (TSO). La notizia è girata su internet con informazioni distorte, e ancora una volta, rispetto alla dinamica dell’accaduto, i testimoni e la famiglia della vittima non sono stati ascoltati e creduti (per informazioni più dettagliate su questa vicenda

https://hurriya.noblogs.org/post/2021/04/29/morti-invisibili-persone-immigrate-italia/).

Nella notte tra il 24 e il 25 aprile a Livorno  Fares Shgater, originario della Tunisia,  è morto in circostanze non ancora chiarite in seguito a un “controllo di polizia”: il  suo corpo è stato ritrovato dai Vigili del Fuoco a circa quattro metri di profondità nel Fosso Reale. Il giorno dopo tante persone si sono ritrovate in protesta e sono partite in corteo raccontando di tanti episodi di violenza subiti dalla polizia, urlando con forza per la fine degli abusi e del razzismo.

La sera del 25 aprile, a Padova, un giovane immigrato, per non essersi fermato ad un posto di blocco in bicicletta viene spintonato dalla polizia municipale, atterrato e bloccato alla schiena da uno degli agenti, che con un braccio gli stringe collo. La tragedia è sventata soltanto dalle urla e dall’intervento di persone che passavano da lì e si sono opposte con forza, mentre l’assessore alla sicurezza dell’amministrazione comunale ha difeso l’operato delle forze dell’ordine.

E’ di ieri la notizia dell’ennesimo incendio nel ghetto di Borgo Mezzanone, in cui una donna ha perso la sua casa e la sua attività commerciale: ancora una volta un incidente, potenzialmente fatale, conseguenza delle condizioni di vita a cui sono costrette queste persone, nonostante da anni lottino per avere documenti, case e una vita normale. Stesse condizioni imposte dalle leggi razziste di questo paese portano alla morte ieri di quattro persone a Ragusa in un tragico incidente stradale. Si chiamavano Konate Saidou, Ceesay Lamin, Dallo Thierno Souleymane e Barry Modou, lavoravano come braccianti o ambulanti nella zona.

Quanti altri morti dovremo piangere prima di svegliarci? Perché ci si ritrova ad inneggiare sui social alle proteste di Portland o Minneapolis, e non ci si riversa nelle strade per il razzismo e le violenze dello stato che ogni giorno mietono vittime in Italia, soprattutto tra le persone immigrate?

Sta a ognuno decidere se essere complici o opporci a questa tragedia.

Per chi sta a Roma, il 30 aprile alle 18 a Piazza dei Mirti sarà un momento per incontrarsi e confrontarsi su tutte queste questioni, e non stare in silenzio.

BASTA RAZZISMO E MORTI DI STATO! NOI NON SIAMO COMPLICI.

Pasquale trovato morto nel carcere di Cuneo, una lettera anonima accusa: “Picchiato ogni notte”

Pasquale Amato, 42 anni, è stato trovato morto la mattina del 20 marzo nella sua cella del carcere di Cuneo. La sorella Lucia, qualche giorno dopo, riceve una lettera anonima proveniente dal carcere che denuncia i presunti pestaggi subiti da Pasquale e il suo suicidio per impiccagione. La famiglia ha dei dubbi, la Procura di Cuneo ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo. L’autopsia è stata effettuata il 24 marzo ma ci vogliono 60 giorni per i risultati: “E’ un mistero, mio fratello non si sarebbe mai suicidato” racconta Lucia.

Stando ai fatti, a quello che la polizia e la Procura hanno dichiarato ufficialmente, Lucia Amato sa soltanto che la mattina del 20 marzo suo fratello Pasquale è stato trovato morto in cella, nient’altro. Soltanto una settimana dopo, quando è andata di fronte al carcere di Cuneo per una manifestazione, ha ricevuto una lettera anonima da parte di un detenuto che le ha rivelato che suo fratello sarebbe stato trovato impiccato in cella, dopo giornate e nottate di continui pestaggi. La versione dell’impiccagione trova per ora conferme nella dichiarazione del garante dei detenuti della Regione Piemonte, Bruno Mellano, che ha dichiarato di aver ricevuto la notizia del suicidio di Pasquale Amato nella mattina del 20 marzo.

“Ho raccolto le notizie e sto cercando di farmene un’idea – spiega Bruno Mellano in una nota video – una ricostruzione che abbia il senso sicuramente di un percorso che ha visto il fallimento del carcere, della presa in carico del soggetto e di noi, varie istituzioni che non siamo riusciti a proteggere Pasquale Amato forse da sè stesso”.

Pasquale era al carcere di Cuneo da appena venti giorni però ed era un paziente affetto da una malattia psichiatrica cronica: “Era affetto da schizofrenia – racconta Lucia Amato – e aveva bisogno di cure continue, di parlare con uno psicologo. Noi nemmeno sapevamo che era lì, pensavamo fosse a Biella, non ci hanno detto nulla. Io non riesco più a dormire, mi immedesimo nei suoi ultimi giorni e vado fuori di testa a pensare a cosa possa essergli successo”.

Più di un dubbio infatti affligge la famiglia Amato, che ha chiesto che un consulente di parte fosse presente all’autopsia, effettuata il 24 marzo. La procura di Cuneo infatti, come atto dovuto per permettere le indagini, ha aperto un’inchiesta contro ignoti per omicidio colposo. “L’autopsia, quando usciranno i risultati tra 60 giorni – spiega l’avvocato degli Amato Andrea Lichinchi – sarà in grado di darci ulteriori elementi”.

“Vogliamo sapere – insiste Lucia Amato – se mio fratello riceveva le cure che doveva ricevere per la sua malattia, se ha subito delle percosse, se gli è successo qualcosa prima. Non crediamo che si possa essere suicidato”.

Gianluca Orrù

da fanpage.it

Gli anni 70 non si processano!

Il bombardamento mediatico di revisione della storia che sta facendo carta straccia di quella contemporanea del 900 con gli arresti di Parigi, impone di soffermarci a riflettere su quelle che sono le vere ragioni dell’operazione repressiva “ombre rosse” e sul filo nero che lega ieri, oggi e domani.

Lo facciamo oggi con il contributo di Silvia De Bernardinis e di un articolo di Frank Cimini

Contro chi e cosa lottavano i militanti delle organizzazioni combattenti degli anni Settanta, che per i dati forniti dallo Stato stesso non sono liquidabili come sparuto gruppo di assassini, e soprattutto che stavano all’interno di uno scontro sociale che viene sistematicamente omesso nella narrazione “condivisa”?

Dall’altra parte c’era chi aveva compiuto stragi, defenestrato (a proposito, chi è stato?), depredato risorse ed esistenze, fatto della politica una compravendita di favori, avvelenato d’amianto, ucciso di fame, di lavoro, rischiando ben poco e senza mai risponderne direttamente di persona. Contro quelli che, vittoriosi allora, di emergenza in emergenza ci hanno portato ad un oggi che fa orrore, che puzza di sopraffazione e morte. Contro questo lottavano. Il mondo di oggi è forse meno violento di quello di ieri?

Eppure la “violenza degli anni ’70” viene narrata come la più feroce. La mostrificazione creata ad hoc sui protagonisti dell’ultimo scontro di classe del XX secolo – dai folli omicidi isolati dalla società, agli infiltrati, agli sciocchi eterodiretti – serve a coprire il vero nervo scoperto di quel periodo storico, e cioè, la messa in discussione, pratica e teorica, del monopolio della violenza dello Stato da parte delle classi subalterne. La violenza degli anni ’70 che non si vuole amnistiare è la violenza dei dominati verso i dominanti, lo scontro di classe.

Silvia De Bernardinis

Operazione “Ombre Rosse”: non solo un’operazione di vendetta, ma anche avvertimento e propaganda politica

Stamattina in Francia  sono stati arrestati, in attesa di estradizione, 7 esuli politici e altri 3 sono ricercati.

Si tratta di Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi – tutti ex militanti delle Brigate Rosse – Giorgio Pietrostefani (ex di Lotta Continua), Narciso Manenti (ex Nuclei Armati contro il Potere territoriale). All’arresto sono sfuggiti, fortunatamente, Luigi Bergamin, Maurizio Di Marzio e Raffaele Ventura, anche loro ex militanti, ultrasessantenni, di organizzazioni rivoluzionarie degli anni ’70.

I fatti per i quali sono accusati risalgono anch’essi agli anni ’70, ma il governo del banchiere Macron, all’indomani dell’approvazione della legge liberticida sulla “sicurezza globale”, li ha fatti arrestare, accontentando così il governo italiano dell’alta finanza, dell’alta velocità, del fascio leghismo e del populismo giustizialista di destra e sinistra.

Non a caso l’hanno chiamata “Operazione Ombre Rosse”, come uno spettro che agita i sonni della borghesia europea e non solo, ogni qual volta che l’imperialismo pone le basi per un suo rovesciamento.

Il messaggio repressivo e autoritario è chiaro a tutt*: Chiunque, dalla logistica alle fabbriche, alla Val Susa… osi riprendere il filo di quei fantastici anni ’70 deve marcire in galera, perché alla “democrazia” borghese non gliene frega niente dei diritti umani calpestati nelle fabbriche, nelle carceri, nelle strade, sui posti di lavoro e sul territorio, non gliene frega niente dell’ambiente, della salute e della giustizia sociale.

Solidarietà alle “ombre rosse” senza se e senza ma

Voi non potete fermare il vento, gli fate solo perdere tempo

Lettera dal carcere delle Vallette di Torino, più di duecento detenute e detenuti chiedono diritti!

Una nuova lettera delle detenute e dei detenuti del carcere delle Vallette di Torino.
Le carceri sono in totale sovraffollamento da ben prima della pandemia e oggi, con tali numeri, è fisicamente impossibile attuare ogni misura di tutela per la salute.
Continuano ad essere le detenute e i detenuti a proporre però diverse soluzioni, già previste per legge, per diminuire drasticamente le percentuali della popolazione detenuta in carcere.
E qui continua a mancare l’attenzione del Governo e di tutte le sottostanti istituzioni.
La Ministra Cartabia, da subito sollecitata proprio perché da subito ha fatto dichiarazioni molto forti che mostravano quantomeno apparentemente un cambio di rotta, ad oggi ancora non si è mossa in alcuna direzione. Come se fosse sospesa. I Tribunali di Sorveglianza continuano a concedere misure alternative al carcere con troppa reticenza. Nel mentre però dentro si vive di solitudine e si rischia costantemente di essere contagiati.
Per questo consigliamo la lettura del seguente testo, firmato da oltre 200 tra detenute e detenuti del carcere di Torino, tra cui anche la nostra Dana ancora detenuta presso le Vallette al tempo della stesura della lettera.

Alla Cortese attenzione

Ministro alla Giustizia M. Cartabia

Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

Garante dei Detenuti M. Palma e E. Rossi

Ass. Yairaiha Onlus

Ass. Antigone

Garante Comunale M.C. Gallo

Siamo le detenute e i detenuti del carcere di Torino, con un altro messaggio proviamo ad arrivare lì fuori per rompere il muro di silenzio che si sta alzando intorno a tutte le prigioni d’Italia.

Dopo le rivolte, le proteste pacifiche, gli appelli passati in sordina, scritti sia da noi reclusi che da fuori: noi non ci rassegniamo a questo limbo. Non vince l’impotenza che dilaga tra queste mura. Non accettiamo di rimanere in silenzio di fronte a questa doppia pena a cui tutti noi siamo stati condannati nel corso dei diversi lockdown.

Queste parole sono rivolte a coloro che sostengono da più di un anno le nostre proposte riguardo alla necessità dell’applicazione di misure deflattive: in primis l’ampliamento della liberazione anticipata a 75 giorni estesa a tutta la popolazione detenuta. Necessaria per fronteggiare sia l’emergenza covid, sia lo stato di sovraffollamento che da troppo non permette a noi reclusi di vivere e superare degnamente il tempo della carcerazione.

Siamo sicuri di trovare il vostro sostegno.

Ma questa volta ci rivolgiamo anche a coloro che del “buttiamo via la chiave” hanno fatto una ragione di vita ed anche a coloro che credono che le carceri siano un hotel.

Ci rivolgiamo a voi perché vi rendiate conto che il carcere così come è “strutturato” non è proficuo né per i rei né per le vittime. La vendetta pubblica che è il risultato di questo sistema penitenziario ha un effetto boomerang, gli effetti desocializzanti hanno la meglio su quelli rieducativi. Rieducazione e reinserimento annoverati dalla Costituzione non sono la realtà.

C’è un semplice calcolo: 6(ore) X 12(mesi) = 72 ore totali, che rappresenta quanto sia alienante la carcerazione.

72 ore, pari a 3 giorni in un anno, è il tempo che viene autorizzato e concesso per i colloqui visivi, (per i detenuti al 4bis o al 41bis è ancora meno) tempo per coltivare affetti…

45 giorni all’anno (suddivisi in 12 mesi) di permesso premio, beneficio raggiunto magari dopo anni, grazie alla buona condotta, per tornare ad approcciarsi con la realtà esterna e con gli affetti. Bene, questo tempo a noi concesso, da più di un anno è ridotto se non bloccato, con un aggravio sia sulla pena che sulla sfera psico-emotiva. L’accesso a pene alternative è ancora più complesso.

L’Italia è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti a causa del trattamento inumano e degradante nelle carceri.

Ora, noi che stiamo pagando per aver infranto le leggi scontando una pena in questi luoghi e con questo sistema a sua volta condannato perché disattende principi fondamentali, ci troviamo in una “bolla” intrisa di contraddizioni oltre che di ingiustizie accentuate ancor più dalla pandemia.

Il nostro appello richiama non clemenza gratuita bensì il rispetto di articoli della Costituzione: 27 comma 3, Art. 3 e do articoli del cod. penale (146 e 147) i quali sanciscono l’uguaglianza di diritti e la preminenza del diritto alla salute sulla potestà punitiva dello Stato, a prescindere dal reato.

Per questo chiediamo che si applichi l’ampliamento della liberazione anticipata estesa a tutta la popolazione detenuta, che tale provvedimento abbia “effetto retroattivo” al 2015 (anno in cui venne sospesa) in modo da avere un risultato concreto sul numero di ristretti. Sarebbe logico che fosse approvata questa legge rimanendo in vigore anche in futuro perché senza una riforma dell’ord. penitenziario e la ristrutturazione di queste carceri fatiscenti ci ritroviamo in una zona rossa costante a prescindere dal Covid.

Grazie per l’attenzione

LE DETENUTE DELLA 3^ SEZIONE FEMMINILE

I DETENUTI DEL BLOCCO A – BLOCCO B 1^ Sezione – BLOCCO C 2^, 3^, 9^, 10^ e 12^ Sezione.