Estradare e incarcerare la storia? Un dibattito interessante il 12 giugno a Napoli

Estradare e incarcerare la storia? Dibattito con Paolo Persichetti, Vittorio Bolognesi e Giovanni Gentile Schiavone.
Sabato 12 Giugno, ore 18:30
@Mensa Occupata
La richiesta di estradizione deg* esul* italian* in Francia ha scatenato un caso mediatico che ha aperto una prateria in cui hanno potuto liberamente scorrazzare pennivendoli, presunti esperti in cerca di visibilità, rottami da social e magistrati vendicativi.
Non ci risulterebbe difficile mentire le versioni fantasiose e ipocrite apparse sui principali quotidiani con firme più o meno autorevoli. Tuttavia, ci interessa di più approfittare di questa occasione per riprendere un dibattito sulla storia della lotta di classe in Italia, a lungo tenuta alla larga dalle sedi dei movimenti antagonisti.
Il timore di essere avvicinati, anche solo ideologicamente, a esperienze di autorganizzazione e lotta, dei decenni scorsi, è bastato a scoraggiare un dibattito e una narrazione interna al movimento su quella che, volente o nolente, rappresenta una parte della nostra storia collettiva.
Obiettivo dell’iniziativa è, dunque, ricostruire l’iter e gli anfratti legislativi di cui si serve la magistratura per portare a compimento i propri progetti repressivi. Ma anche quella di metterne in luce le contraddizioni politiche.
Alla tenacia con cui lo stato si accanisce oggi contro gli esuli in Francia, infatti, fa da contraltare la spensieratezza con cui la magistratura ha prescritto, solo pochi anni fa, i terribili reati di cui si erano macchiati i torturatori delle forze dell’ordine.
Vorremmo contribuire alla narrazione della realtà sociale e politica degli anni settanta e ottanta per restituire la complessità e la dignità rivoluzionaria delle scelte de* protagonist* dell’epoca. Rigettare l’uso pubblico e repressivo che ciclicamente si fa di esperienze che hanno segnato lo scontro di classe e per le quali molt* compagn* sono ancora a vario titolo perseguitat*.

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IL C.P.R. DI TORINO È UNA FERITA NELLO STATO DI DIRITTO

La morte di Moussa Balde, il 23 maggio, nei così detti “ospedaletti” del CPR di Torino, ci interroga, come cittadini e come giuristi, su alcune fondamentali questioni in merito al trattamento oggi riservato ai migranti.

Moussa Balde è stato trattenuto al C.P.R., e prima ancora è stato condotto presso gli uffici di polizia di Ventimiglia, perché cittadino straniero irregolare, subito dopo aver subito una selvaggia aggressione da parte di tre italiani, a Ventimiglia, il 9 maggio. Per quanto noto in questa fase, la sua condizione di persona offesa è stata immediatamente dimenticata, a causa dell’irregolarità del suo soggiorno, e non gli era stata fornita alcuna delle informazioni conseguenti, quali, tra l’altro, la facoltà di presentare denunce o querele, il diritto di chiedere di essere informato sullo stato del procedimento, la possibilità di avvalersi dell’assistenza linguistica. Gli è stato di fatto negato il diritto di partecipare al procedimento penale. Moussa Balde aveva anzi riferito di non avere neppure compreso che l’aggressione avesse generato delle indagini, che i suoi aggressori fossero stati identificati, né tantomeno sapeva che c’era un video che aveva ripreso quella aggressione (all’ingresso nel CPR i trattenuti vengono privati dei telefoni cellulari, benché la legge garantisca la libertà di comunicazione anche telefonica con l’esterno, e non hanno accesso ad internet). Questa prima parte della vicenda conferma per l’ennesima volta che per lo Stato italiano la persecuzione degli stranieri privi di un permesso di soggiorno è considerata una priorità assoluta, da esercitare a qualunque costo, anche a scapito di diritti fondamentali (in alcuni casi, e il Mediterraneo ne è muto testimone, anche della vita dei migranti).

L’altra grande questione che la tragedia di Moussa Balde solleva riguarda ciò che accade dentro i CPR italiani, e dentro il CPR di Torino in particolare.

Moussa Balde vi è stato rinchiuso senza alcuna valutazione preliminare sulla sua idoneità psichica al trattenimento e ciò nonostante le presumibili conseguenze di un’aggressione tanto violenta. Appena entrato al C.P.R., è stato privato del telefono cellulare ed è stato collocato nei c.d. “ospedaletti”, vere e proprie celle di isolamento non previste dalla normativa, separate dalle altre aree, lontane dagli uffici e dall’infermeria, dove è impossibile effettuare un controllo o un’osservazione di chi vi è rinchiuso. Luoghi in cui una patologia psichiatrica o una semplice depressione sono destinati ad aggravarsi e dove è purtroppo molto facile, in solitudine, compiere gesti anticonservativi.

Lo stesso CPR, le medesime camere di isolamento, dove, nel luglio del 2019, era morta un’altra persona, Faisal Hussein, affetto probabilmente da problemi psichici e abbandonato per cinque mesi nella segregazione del C.P.R. di Torino.

La vicenda di Moussa Balde ci deve ricordare quali sono le effettive priorità, che i diritti fondamentali non possono essere sacrificati e che non possono esistere luoghi di detenzione privi di regole, dove la vita delle persone è consegnata all’arbitrio.

I C.P.R. (che per ignoranza qualcuno continua a chiamare “centri di accoglienza”) sono strutture in cui le persone trattenute vengono private della loro umanità, parcheggiate e abbandonate, in condizioni peggiori rispetto a quelle esistenti in carcere, proprio per la carenza di regole e di garanzie. Anche i pochi diritti riconosciuti vengono sistematicamente calpestati da quella stessa pubblica amministrazione che le regole è chiamata a far osservare (e che sanziona con la privazione della libertà personale e con l’espulsione chi ha violato la normativa sul soggiorno).

Tra le numerose violazioni rilevate, queste le più gravi:

– la verifica dell’idoneità sanitaria al trattenimento viene fatta da medici interni del CPR, e non, come previsto dall’art. 3 del Regolamento CIE emanato dal Ministero dell’Interno il 2.10.2014 prot. n. 12700, da medici esterni afferenti alla ASL o alle strutture ospedaliere, prima dell’ingresso. E – come il caso di Moussa Balde dimostra con brutale evidenza – nessuna verifica di compatibilità psichica viene effettuata;

– il sostegno psichiatrico non è stato garantito dal marzo 2020 al febbraio 2021 e rimane comunque insufficiente e discontinuo;

– vengono trattenute persone presunte minorenni, in aperto contrasto con la normativa vigente;

– sebbene la legge non consenta l’isolamento dei trattenuti, la misura viene abitualmente e arbitrariamente utilizzata, senza obbligo di motivazione né possibilità di impugnazione o riesame;

– durante l’isolamento, i trattenuti vengono ristretti in celle pollaio, che ricevono luce solare per poche ore al giorno solo nel cortile (con visuale oltretutto limitata da una tettoia), senza diritto di uscire né di usare un telefono;

– vengono utilizzati luoghi di trattenimento non ufficiali (le celle di sicurezza nel seminterrato), nemmeno dichiarati al Garante nazionale e scoperti casualmente da quest’ultimo in occasione della visita del 2.3.2018;

– in spregio al diritto alla libertà di comunicazione con l’esterno sancita dall’art. 14, comma 2 del Testo Unico sull’Immigrazione e dall’art. 20, comma 3, del Regolamento di attuazione, i trattenuti vengono privati del telefono cellulare, così perdendo anche l’accesso ad internet, principale strumento di comunicazione e di informazione; le telefonate possono essere effettuate solo verso l’esterno, a pagamento e con linea fissa, con la conseguenza che, in considerazione dei costi, è estremamente difficile mantenere contatti con i parenti all’estero; i trattenuti non possono ricevere, privati del proprio apparecchio cellulare, chiamate dall’esterno, avendo sempre l’amministrazione rifiutato di fornire le utenze dei telefoni installati nel centro;

– i colloqui con i familiari e i conoscenti sono sospesi da oltre un anno e non è stato attivato alcun sistema di colloqui in videoconferenza, pur a fronte di trattenimenti che possono protrarsi per diversi mesi;

– i trattenuti vengono costretti in moduli abitativi sovraffollati, con servizi igienici non separati dai luoghi di pernottamento e privi di porte;

– non sono presenti mediatori culturali di lingue e Paesi rappresentati nel CPR.

A ciò si aggiunge il tema della competenza a decidere in materia di libertà personale ai giudici di pace, che tale competenza non hanno in alcun altro ambito. Si ricorda in merito il risultato delle ricerche dell’Osservatorio sulla giurisprudenza del giudice di pace in materia di immigrazione (Lexilium), che ha rilevato che il tasso di convalida dei decreti di trattenimento da parte dell’ufficio dei giudici di pace di Torino, nel 2015, è stato del 98% e quello di proroga del 97%, all’esito di udienze che, nella maggioranza dei casi, non hanno superato i 5 minuti di durata.

A fronte di queste gravissime violazioni, riaffermiamo con forza la necessità di riportare questi luoghi a standard minimi di decenza e dignità, chiedendo che:

– siano immediatamente chiuse le strutture illegali di detenzione, come i c.d. Ospedaletti e le camere di sicurezza nei sotterranei;

– vengano ripristinate le condizioni di legalità del trattenimento e, in particolare, il diritto di comunicazione anche telefonica con il proprio telefono cellulare e la ripresa dei colloqui con i familiari;

– particolare attenzione venga posta alla salute dei trattenuti, anche attraverso il previo esame da parte di medici dell’ASL sulla idoneità al trattenimento, e che venga garantita la presenza di psichiatri e psicologi, sia al momento dell’ingresso, sia nel corso del trattenimento;

– in caso di incapacità a rispettare gli standard minimi sopra illustrati, venga disposta la chiusura della struttura;

Ribadiamo inoltre la necessità di rispettare i principi del processo penale e i diritti delle persone offese, siano essi cittadini italiani o stranieri, indipendentemente dal possesso di un permesso di soggiorno.

Chiediamo infine un incontro urgente con il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e con il Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, per documentare i più gravi episodi verificatisi negli ultimi mesi all’interno della struttura, culminati nel suicidio di Moussa Balde.

Per tutte queste ragioni, abbiamo deciso di manifestare davanti alla Prefettura di Torino, in Piazza Castello, il 4 giugno 2021, dalle ore 16.00

Per adesioni di associazioni e singoli scrivere a: giustiziapermoussa@gmail.com

PROMOTORI

ASGI

LEGAL TEAM ITALIA

GIURISTI DEMOCRATICI OSSERVATORIO CARCERE PIEMONTE E VALLE D’AOSTA UNIONE CAMERE PENALI ITALIANE

ASSOCIAZIONE ANTIGONE

ASSOCIAZIONE ANTIGONE PIEMONTE

ADIF Associazione Diritti e Frontiere

A.P.I. ONLUS

StraLi

CONTRO STATO DI TORTURA E MISURE DI SICUREZZA

Pochi giorni fa, Belmonte Cavazza aspettava di varcare la soglia del carcere di Piacenza, andando finalmente incontro alla libertà.
La sua condanna di 19 anni sarebbe dovuta terminare il 19 aprile. Veniva invece trasferito il 23 aprile presso la casa di lavoro di Castelfranco Emilia (MO).
La ragione? Una misura di sicurezza disposta nei suoi confronti nel 2003.
Le misure di sicurezza, introdotte da Mussolini nel ‘30 e ancora in vigore, si basano, analogamente alla sorveglianza speciale (misura di prevenzione), su un giudizio di pericolosità sociale: ciò che rileva è la personalità dell’individuo, le sue abitudini ed il suo profilo.
Queste misure vengono disposte sulla base di un “pregiudizio” giuridico di possibile reiterazione del reato; sulla condotta comportamentale durante la detenzione; sull’essere stato condannato o prosciolto per parziale o totale infermità di mente. Possono essere comminate dal giudice come misure accessorie, diventano cioè eseguibili una volta che la pena, alla quale si è stati condannati, è terminata.
“Ergastolo bianco”, è così che sono state definite tali misure di sicurezza. “L’ergastolo bianco” è rinnovabile all’infinito, non essendo previsti per legge termini di durata massima. Di fatto un’altra pena di morte viva, forse la più dimenticata visto che è opinione diffusa che le case di lavoro non esistano più.
Deputati all’internamento di chi è in esecuzione di una misura di sicurezza, oltre alle case di lavoro, sono le colonie agricole e le REMS (che hanno sostituito i vecchi OPG) destinate a chi viene prosciolto da un reato per infermità mentale. Dentro questi luoghi si trovano rinchiusi gli ultimi degli ultimi dei circuiti detentivi. Persone che non possono contare sul sostegno di una famiglia o di una rete di relazioni.
Nonostante le informazioni su tali luoghi siano difficilmente reperibili, sembra che ad oggi – a seguito della chiusura di quella presente sull’isola di Favignana – in tutta Italia rimangano 3 case lavoro: a Vasto, a Castelfranco Emilia (in cui è presente anche una sezione a custodia attenuata) e ad Isili (Sardegna), dove c’è una sezione denominata “colonia agricola” .
Durante la seconda guerra mondiale il Forte urbano di Castelfranco Emilia fu un luogo di prigionia (casa lavoro) fascista, scenario nel ‘44 di esecuzioni nei confronti di partigiani, antifascisti, disertori alla leva.
La storia a venire non ha riservato a quel luogo un’infamia minore, considerati alcuni dei soggetti che ci hanno messo le mani in pasta.
Nel 2005, vi nasceva la colonia agricola penale per persone tossicodipendenti, la cui gestione veniva affidata, per volere del ministro Castelli, all’associazione di Andrea Muccioli, della Comunità di San Patrignano. Fu sponsorizzata da Carlo Giovanardi e inaugurata alla presenza di Gianfranco Fini, come un nuovo fiore all’occhiello. Il Forte urbano veniva quindi ad assumere due funzioni, quella di casa lavoro per l’esecuzione delle misure di sicurezza degli internati e quella di casa di reclusione a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti. Nel 2017, la gestione interna delle serre per il lavoro agricolo fu affidata a Caleidos, la cooperativa nota per la sua egemonia nel modenese in particolare nella gestione di canili, gattili e centri di accoglienza per richiedenti asilo, descritti dalle stesse persone che li hanno attraversati come luoghi di prigionia, controllo e sfruttamento. Nel 2020, a mettere le mani in pasta nel business legato alla casa lavoro è la cooperativa modenese L’Angolo, a cui è affidata la gestione della lavanderia industriale (così come al Sant’Anna). La cooperativa è nota alle cronache perché, anch’essa nel business dell’accoglienza, dava da mangiare ai migranti che vivevano nelle sue strutture cibo avariato e mordicchiato da ratti che, insieme alla muffa, invadevano letti e stanze.
Ma arriviamo al 2021. A ricoprire l’incarico di direttrice del Forte Urbano di Castelfranco Emilia è Maria Martone, la direttrice pro tempore ai tempi della rivolta nel marzo 2020 – e tutt’ora in forze – del carcere Sant’Anna di Modena. Recentemente è stata elogiata dal Sappe per gli sforzi da lei compiuti nel ripristino e ricostruzione del carcere cittadino dopo la rivolta.
Proprio a proposito di quest’ultimo punto, è bene fare un passo indietro, e ricordare quanto recentemente avvenuto. La risposta immediata dello Stato alle rivolte nelle carceri del marzo 2020 fu una strage di 14 morti tra le persone detenute.
Nel dicembre scorso, cinque tra i detenuti che erano stati trasferiti da Modena ad Ascoli Piceno dopo la rivolta al Sant’Anna, presentarono un esposto alla Procura di Ancona, in quanto testimoni della morte di Sasà Piscitelli nel carcere ascolano. Testimoniarono degli spari, dei pestaggi delle guardie e della mancata assistenza medica prima dei trasferimenti nel carcere Sant’Anna di Modena. Uno di loro è proprio Belmonte.
Pochi giorni dopo, con il pretesto ufficiale di dover essere sentiti dalla Procura di Modena, i cinque furono riportati in quel luogo di strage e tortura. Furono rinchiusi in una stanza liscia, al freddo, con le finestre rotte e privati della possibilità di mettersi in contatto con i propri cari: fu evidente a tutte/i il carattere intimidatorio e di ritorsione che ebbe quel gesto.
Si mobilitarono in molte/i e in breve tempo, la solidarietà fu ampia: dopo qualche giorno furono infine trasferiti altrove, ciascuno verso una diversa destinazione penitenziaria. Dopo diversi giorni, si venne a sapere che Belmonte era stato trasferito a Piacenza, dove a febbraio la magistrata di sorveglianza di Reggio Emilia, su richiesta del carcere di Piacenza, gli notificava il provvedimento di censura di tre mesi sulla corrispondenza.
Oggi a pena finita, si trova internato nella casa di lavoro di Castelfranco, la cui direzione è in mano alla stessa persona che dirigeva, all’epoca dei fatti raccontati dall’esposto, il carcere di Sant’Anna. Non dimentichiamo che nell’inchiesta della Procura modenese sulle morti al Sant’Anna, questa stessa direttrice ha affermato che tutti i detenuti, prima dei trasferimenti, avevano ricevuto assistenza medica presso il presidio sanitario allestito nel piazzale. Peccato che durante e dopo questi trasferimenti, altre 4 persone perderanno la vita. E altre 5 la perderanno proprio dentro il suo carcere.
Nonostante le minacce, le ritorsioni, i pestaggi, le violenze fisiche e psicologiche e i decenni passati dentro le galere il 27 aprile, Belmonte faceva sapere tramite lettera di aver “intrapreso uno sciopero della fame perché da diversi anni mi tengono sequestrato dallo Stato italiano e quindi non ho altre vie per protestare contro questo abuso di potere che ha il nostro ordinamento penitenziario in Italia, mi trattengono con delle normative di Benito Mussolini e poi festeggiano la liberazione dal fascismo…”.
Ad oggi non è stato ancora possibile ricevere notizie sulle sue condizioni di salute e se ha proseguito lo sciopero.

Qui l’indirizzo per scrivergli:

Belmonte Cavazza
via Forte Urbano, 1
41013 – Castelfranco Emilia (MO)
CONTRO LO STATO E I SUOI LUOGHI DI TORTURA,
AL FIANCO DI BELMONTE E DI CHI ALZA LA TESTA

5 giugno contro i Cpr – Presidio a Via Corelli

La gestione dell’immigrazione: un circuito infame e mortifero
L’eccidio che si consuma da anni alle frontiere è frutto delle politiche razziste funzionali al capitale saccheggiatore di vite e di risorse. Nessuno mette a fuoco l’unica causa di queste morti: il divieto di movimento per chi arriva dai paesi da depredare.
Quando si vedono bambini morti sulle spiagge o il numero delle vittime di uno degli ennesimi naufragi è troppo grande per voltare la testa dall’altra parte, allora qualche turbamento prende le anime belle democratiche e due o tre parole di cordoglio escono dalle loro bocche, per un giorno, due, poi più nulla. Si passa ad altro e tutto continua come prima.
Solo nei primi mesi del 2021 sono già 700 i morti nel Mediterraneo, per quanto è dato sapere. Ma chissà quanti barconi affondano continuamente senza lasciare traccia. Dal 2013 al 2020 i morti e i dispersi nel mare davanti casa nostra sono stati quasi 22 mila. Almeno 1.773 emigranti sono morti alle frontiere interne dell’Europa. Circa 3.174 persone sono morte, dall’inizio del 2020, nelle rotte migratorie mondiali.
Senza una lotta contro le “politiche migratorie” degli stati, le immagini delle morti alle frontiere, la notizia dei soprusi e delle torture nei campi d’internamento fuori o dentro l’Europa, produrranno forse qualche senso di colpa, ma senza atti conseguenti.
“Le immagini dei bambini morti sono inaccettabili” dice Draghi, ma non sono le immagini a essere inaccettabili, è la loro morte che lo è.
Come lo sono le morti nei Centri per il Rimpatrio, ultimo infame anello del circuito dell’esclusione per gli emigranti sgraditi. Al CPR di Torino è morto un ragazzo di 23 anni, Musa Balde, che dopo aver subito un meschino pestaggio a Ventimiglia da parte di tre italiani è stato incredibilmente rinchiuso in un CPR invece di essere soccorso e protetto.
Là ha trovato altri aguzzini? I pestaggi da parte della polizia all’interno di quei centri non sono certo un evento raro, prova ne sia l’ultimo nel tempo avvenuto il 25 maggio a Corelli.
Oltre a essere rinchiusi senza neppure aver commesso reati, in spazi lisci come le più inquietanti celle di isolamento in carcere, ricevendo cibo avariato e nessuna assistenza né sanitaria né legale, quando si “permettono” di protestare ciò che li aspetta sono bastonate, arresti e deportazioni.
Dalla prima legge Martelli del 1990 in materia di rifugiati e profughi, fino ad arrivare all’ultimo pacchetto sicurezza Lamorgese del 2020, passando per la Turco-Napolitano del 1998 che istituì i centri di reclusione per i senza documenti e la Bossi-Fini con le sue spietate modifiche, la “questione migratoria” è sempre stata affrontata come un problema di ordine pubblico ed economico.
Il meccanismo fondamentale di controllo dell’immigrazione rimane la politica dei flussi. Le ricadute per il sistema sono evidenti: se si agisce una spietata repressione contro gli immigrati li si tiene sedati e ricattati, uniti potrebbero creare sconvolgimenti difficilmente gestibili, e diventerebbe più semplice far accettare norme restrittive della libertà anche per tutti gli altri.
Il razzismo è insito nella pretesa di offrire accoglienza, quando non esiste per queste persone la libertà di muoversi. Decretando quali individui possano e quali no raggiungere una qualunque parte del mondo, si aprono campi vastissimi per guadagnare soldi e potere sulla pelle degli indesiderati.
Gli emigrati sgraditi diventano una risorsa da mettere a profitto per trafficanti di varia specie. Da chi gestisce centri ipocritamente definiti d’accoglienza, lager da cui non si può uscire o luoghi in cui attendere improbabili documenti liberatori, da chi fornisce servizi per cibo e vestiario, sempre di pessima qualità, a chi si ricava uno stipendio come controllore, mediatore o qualunque figura possa impersonare per ritagliarsi una propria quota di profitto nella divisione della torta.
Un colossale affare che gareggia con altri considerati deprecabili, quelli d’armi e droga.
In solidarietà con i reclusi e i rivoltosi dei CPR, contro i Lager di Stato
Invitiamo al Presidio che si terrà il 5 giugno dalle 17 al CPR di Milano in via Corelli

Presidio operai Fedex a San Giuliano milanese aggredito con mazze e bastoni da bodyguard e crumiri – massima solidarietà

Lavoratori FedEx di Piacenza e solidali Si Cobas vittima nella notte di una grave aggressione fuori al magazzino Zampieri di San Giuliano Milanese. A picchiare dei bodyguard armati di mazze e pistole taser, arrivati per consentire l’ingresso dei crumiri, pagati pure loro una miseria: 30 euro.

Nonostante l’inferiorità numerica e l’ampio schieramento dei mazzieri i lavoratori del SI Cobas sono riusciti a difendersi e a mantenere il presidio fin quando quest’ultimo non è stato completamente accerchiato dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa.

Con noi Asmeron, compagno dei Si Cobas di Milano. Ascolta o scarica

da Radio Onda d’Urto

ISRAELE VUOLE ARRESTARE 500 PALESTINESI DEI TERRITORI –

costruiamo l’iniziativa necessaria il 19 giugno Milano per la libertà di tutti i prigionieri politici nel mondo

Oggi, la polizia israeliana ha annunciato la sua intenzione di arrestare oltre 500 cittadini palestinesi dei territori del ’48 nelle prossime 48 ore.

Questa ondata di arresti di massa avverrà come parte di quella che l’ entità sionista chiama una campagna di “legge e ordine”. Migliaia di agenti di polizia eseguiranno arresti violenti, sfondando porte, brutalizzando famiglie e rapendo i nostri fratelli, sorelle, compagni e compagne.

Questo non è solo un tentativo di intimidire e ” disciplinare” coloro che hanno partecipato alle rivolte popolari per la giustizia e la liberazione.

Questa è una dichiarazione di guerra. È il modo in cui il progetto coloniale dei coloni tenta di schiacciare lo spirito, la resistenza e la resilienza del nostro popolo. Oltre 1400 sono già stati arrestati dal 9 maggio. Almeno 200 persone verranno accusate e sentenziate.

Le campagne di arresto israeliane hanno preso di mira principalmente minori e ragazzi della classe lavoratrice provenienti dalle comunità povere.

Non restiamo in silenzio. Parliamo di questo e rendiamolo una priorità. Scriviamo ai rappresentanti, ai politici e alle istituzioni e costringiamoli a condannare tutti questi crimini. Facciamo ti tutto per non fare passare tranquillamente questa operazione contro i palestinesi!

#giovanipalestinesiditalia

– “Lo Stato non deve procedere all’estradizione degli esuli politici italiani” – una presa di posizione in Francia – Noi diciamo “Gli anni 70 non si processano!” Assemblea a Milano 19 giugno ore 16 – luogo da comunicare

Quelle ombre rosse perseguitate da una vendetta di Stato…

Mercoledì 28 aprile, una grande operazione di polizia ha arrestato nove esuli italiani nel quadro di una procedura di estradizione per rinviare 10 uomini e donne in Italia, dove rischiano l’ergastolo. Le 10 persone coinvolte dalla procedura di estradizione, iniziata quel giorno, vivono in Francia dove sono state accolte decenni fa.

Le vite sono state ricostruite, le famiglie fondate, protette dal rifiuto di principio della Francia di rispondere alle richieste di estradizione degli attivisti politici. In Corte d’appello, la giustizia francese ha deciso diversi gradi di libertà vigilata in attesa delle udienze previste a giugno per ciascuno di loro davanti alla Camera istruttoria per esaminare la richiesta di estradizione in Italia.

Arrestare persone in esilio quarant’anni dopo è una vergogna per l’immagine internazionale della Francia, in totale contraddizione con i valori universali che dice di difendere. Queste persone in esilio in Francia vi avevano trovato una fragile protezione contro la repressione e la giustizia d’eccezione che allora imperversava nel loro paese.

A partire dalla fine degli anni ‘70, diverse centinaia di italiani ricercati dalla giustizia del loro paese sono fuggiti in Francia, dove alcuni si sono stabiliti. L’Italia era alla fine di un decennio di scontri politici e sociali su vasta scala, a volte con grande violenza.

Dall’attentato neofascista di Piazza Fontana a Milano nel dicembre 1969 a quello alla stazione di Bologna nell’agosto 1980, due terzi dei 362 omicidi attribuiti ai militanti di estrema sinistra dal ministro della giustizia francese Eric Dupond-Moretti, sono stati commessi dall’estrema destra, abile in attacchi indiscriminati che hanno ucciso decine di persone in luoghi pubblici.

Questa estrema destra, le cui ramificazioni nell’apparato statale sono ormai provate, è stata perseguita solo marginalmente.

I presunti reati risalgono a più di 40 anni fa. Le persone interessate sono state processate e condannate in Italia in condizioni di repressione feroce e di massa (60.000 processi, 6.000 prigionieri politici), segnate da numerose incarcerazioni senza condanna, basate su indagini aleatorie.

Marina Petrella [tra gli arrestati del 28 aprile], per esempio, ha passato otto anni in detenzione preventiva in Italia. Le procedure utilizzate per imporre le condanne sono state considerate all’epoca incompatibili con i principi dello stato di diritto francese. In quel periodo, infatti, fu messo in atto in Italia un arsenale di legislazione eccezionale, diretto soprattutto contro l’estrema sinistra.

La Legge Reale del 1975 e i decreti legge del 1978, 1979 e 1980 hanno rafforzato i poteri della polizia, aumentato le pene e militarizzato la lotta al terrorismo. Il sistema del pentimento permetteva la remissione della pena agli imputati che denunciavano altre persone. È nel quadro di queste leggi e sulla base di tali dichiarazioni che sono state pronunciate molte condanne.

Questa legislazione eccezionale, denunciata da Amnesty International e da altre organizzazioni per i diritti umani, è stata alla base della decisione della Francia di non estradare le persone che si erano rifugiate sul suo territorio, a condizione che abbandonassero ogni attività illegale.


Non solo nessuno di loro è stato coinvolto in alcun atto legalmente riprovevole dal loro arrivo in Francia, ma hanno dovuto ricostruire le loro vite nella precarietà permanente dell’esilio, senza lo status legale di rifugiati politici. Eppure, hanno trovato i mezzi per investire se stessi nella loro vita professionale ma anche nella vita sociale e culturale…

Inoltre, stiamo parlando di persone ormai anziane, tutte vicine ai 70 anni, delle quali non si può far credere che rappresentino un pericolo per qualcuno. D’altra parte, nulla è cambiato nel diritto italiano negli ultimi quarant’anni. Al contrario, lo Stato italiano ha ulteriormente degradato i diritti della difesa.

Invertendo questa decisione, il governo francese sta attuando un accordo fatto su una lista nominativa con Matteo Salvini, il leader di estrema destra, quando era ministro dell’interno. È stato quest’ultimo ad ottenere nel 2019 l’estradizione di Cesare Battisti, rifugiato in Bolivia.

Il rifiuto di qualsiasi amnistia, a volte mezzo secolo dopo il fatto, è scioccante, quando è stata concessa a fascisti e collaboratori subito dopo la guerra (legge del 1944 e amnistia di Togliatti del 1946).

Ma concedere l’amnistia significherebbe riconoscere la natura politica del conflitto che ha scosso l’Italia in quegli anni, e smettere di trattare gli attivisti politici come delinquenti, o addirittura mafiosi.

Per cancellare dalla memoria e dalla storia dieci anni di lotte sociali e operaie, ribattezzati gli anni di piombo, lo Stato italiano, senza alcun riguardo per l’umanità, vuole far morire uomini e donne in carcere mezzo secolo dopo il fatto.

Questa operazione di estradizione, negoziata tra i due stati, è stata chiamata Ombre rosse. L’ostinato desiderio di vendetta di Stato che il governo italiano sta riattivando si incontra ora con la strategia ultra-securitaria del governo francese, che sta mettendo in atto una legislazione liberticida.

Accogliendo questa richiesta di estradizione per la prima volta collettivamente, lo Stato francese non solo sarebbe complice di questa operazione di riscrittura della Storia, ma farebbe un altro passo sul suo territorio verso la criminalizzazione di coloro che si oppongono al potere in nome della lotta al terrorismo.

Dopo la richiesta dell’Italia, saranno soddisfatte anche le richieste dei regimi antidemocratici di estrema destra in America Latina, Africa, Asia o Medio Oriente, e ora anche in Europa? E come possiamo assicurare agli esuli politici che il governo francese non li estraderà per motivi geopolitici di buon vicinato?

Per noi, gli esuli italiani non sono ombre, ma donne e uomini inseguiti da una vendetta di Stato senza limiti, che hanno pagato caro il diritto di vivere dove hanno ricostruito la loro vita per quarant’anni. Per questo chiediamo la loro totale libertà, la sospensione dell’estradizione e la fine delle persecuzioni giudiziarie.

PREMIÈRES ET PREMIERS SIGNATAIRES

  1. Gilbert Achcar, universitaire
  2. José Alcala, cinéaste
  3. Christophe Alévèque, humoriste
  4. Pierre Alferi, écrivain
  5. Tariq Ali, écrivain
  6. Arié Alimi, avocat
  7. Eric Alliez, philosophe
  8. Jean-Claude Amara, cofondateur du D.A.L. et de Droits devant !!
  9. Nils Anderson, éditeur
  10. Jean Asselmeyer, réalisateur
  11. Ron Augustin, éditeur
  12. Olivier Azam, réalisateur
  13. Bernard Baissat, réalisateur
  14. Etienne Balibar, philosophe
  15. Ludivine Bantigny, historienne
  16. Philippe Baqué, journaliste
  17. Jérôme Baschet, historien
  18. Jean-Pierre Bastid, auteur et cinéaste
  19. Andreas Becker, écrivain
  20. Bertrand Belin, musicien écrivain
  21. Tarek Ben Hiba, ancien conseiller régional
  22. Yazid Ben Hounet, CNRS
  23. Véronique Bergen, écrivaine et philosophe
  24. Alain Bertho, anthropologue
  25. Raphaële Bertho, universitaire et photographe
  26. Eric Beynel, syndicaliste Solidaires
  27. Alexandre Bilous, journaliste
  28. Julien Blaine, poète
  29. Pascal Boissel, psychiatre
  30. Jean-Denis Bonan, cinéaste
  31. Irène Bonnaud, metteuse en scène
  32. Mathieu Bonzom, universitaire
  33. Aïcha Bourad, sociologue
  34. Oscarine Bosquet, poétesse
  35. Youssef Boussoumah, militant décolonial
  36. Houria Bouteldja, militante décoloniale
  37. Jean-Pierre Bouyxou, écrivain et cinéaste
  38. Marie Bottois, monteuse
  39. Saïd Bouamama, sociologue
  40. Alima Boumédienne avocate
  41. Jean Jacques Bourdin, universitaire
  42. José Bové, ancien député européen
  43. Patrick Braouezec
  44. Chantal Briet, cinéaste
  45. Alain Brossat, philosophe
  46. Sebastien Budgen, éditeur
  47. François Burgat, politologue
  48. André Burguière, historien
  49. Yannick Butel – universitaire
  50. Dominique Cabrera, réalisatrice
  51. Cali, auteur et chanteur
  52. Cécile Canut, sociolinguiste, cinéaste, universitaire
  53. Pierre Carles, cinéaste
  54. Gianni Carrozza, bibliothécaire retraité
  55. Vanessa Caru, historienne
  56. Barbara Casciarri, anthropologue
  57. Carmen Castillo, cinéaste
  58. Didier Castino, écrivain
  59. Philippe Caumières, enseignant de philosophie
  60. Laurent Cauwet, éditeur
  61. Bernard Cavanna, compositeur
  62. Sorj Chalandon, auteur
  63. Bernard Chambaz, écrivain
  64. Jean-Luc Chappey, historien
  65. Nicolas Chevassus-au-Louis, journaliste
  66. Alexandre Civico, éditeur
  67. François Cluzet, acteur
  68. Déborah Cohen, historienne
  69. Marie-France Cohen-Solal, militante antiraciste
  70. Philippe Corcuff, sociologue
  71. Fanny Cosandey, historienne
  72. Laurence De Cock, historienne
  73. Déborah Cohen historienne
  74. Yves Cohen, historien
  75. Jean-Louis Comolli, réalisateur
  76. Anne Coppel, sociologue
  77. Delphine Corteel, anthropologue
  78. Annick Coupé, militante altermondialiste
  79. Saskia Cousin, anthropologue
  80. Sylvain Creuzevault, metteur en scène
  81. Alexis Cukier, philosophe
  82. Leyla Dakhli, historienne
  83. Pierre Dardot, philosophe
  84. Christophe Darmangeat, anthropologue
  85. Michèle Decaster militante anticolonialiste
  86. Christine Delphy, sociologue
  87. Philip Deline, géographe
  88. Alèssi Dell Umbria, auteur, réalisateur
  89. Philippe de Pierpont, cinéaste
  90. Sophie Desrosiers, enseignante-chercheure
  91. Thierry Discepolo, éditeur
  92. Stéphane Douailler, professeur émérite de philosophie
  93. Joss Dray, auteure photographe
  94. Marnix Dressen-Vagne, professeur émérite
  95. Christian Drouet syndicaliste sud rail
  96. David Dufresne, écrivain et réalisateur
  97. Marie-Laure Dufresne-Castets, avocate
  98. Charlotte Dugrand, éditrice
  99. Cédric Durand, économiste
  100. Renaud Epstein, sociologue
  101. Jean Michel Espitallier, écrivain
  102. Annie Ernaux, écrivaine
  103. Christian Etelin, avocat
  104. Marie-Christine Etelin, avocat honoraire
  105. Jules Falquet, sociologue
  106. Mireille Fanon-Mendès France, ex experte à l’ONU
  107. Patrick Farbiaz, militant écologiste
  108. Nina Faure, réalisatrice
  109. Pascale Fautrier, auteure
  110. Silvia Federici, universitaire
  111. Luc Fierens, artiste
  112. Bernard Fischer, employé de la Sécurité sociale
  113. Jacques Fontaine, géographe
  114. Geneviève Fraisse, philosophe
  115. Dan Franck, écrivain
  116. Jacques Gaillot, évêque
  117. Fanny Gallot , historienne
  118. Jean- Luc Galvan, réalisateur
  119. Rémo Gary, chanteur
  120. Isabelle Garo, philosophe
  121. Stéphane Gatti, réalisateur
  122. Willy Gianinazzi, historien
  123. Liliane Giraudon, poétesse
  124. Jean-Marie Gleize, écrivain
  125. Franck Gaudichaud, universitaire
  126. Denis Gheerbrant, cinéaste
  127. Noël Godin, humoriste
  128. Françoise Gollain, sociologue
  129. Olivier Gorce, scénariste
  130. Dominique Grange, chanteuse engagée
  131. Fabien Granjon, sociologue
  132. Alain Gresh, journaliste
  133. Emmanuelle Guattari, écrivaine
  134. Robert Guediguian, cinéaste
  135. Antoine Guégan, universitaire
  136. Gérard Guégan, écrivain
  137. Alain Guénoche, chercheur CNRS émérite
  138. Michelle Guerci, journaliste
  139. Caroline Guibet Lafaye, philosophe
  140. André Gunthert, historien
  141. Samuel Hayat, politiste
  142. Benoit Hazard, anthropologue
  143. Laurent Hebenstreit
  144. Odile Hélier, anthropologue
  145. Michel Husson, économiste
  146. Rada Iveković, professeure de philosophie
  147. Celia Izoard, autrice, traductrice
  148. Magali Jacquemin, professeure des écoles
  149. Samy Johsua professeur émérite université Aix-Marseille
  150. Leslie Kaplan, écrivaine
  151. Anne Kawala, poétesse
  152. Jean Kehayan, journaliste essayiste
  153. Raphaël Kempf, avocat
  154. Razmig Keucheyan, sociologue
  155. Christiane Klapisch-Zuber, historienne
  156. Aurore Koechlin, sociologue et militante féministe
  157. Michel Kokoreff, sociologue
  158. Stathis Kouvélakis, philosophe
  159. Hubert Krivine, physicien
  160. Thierry Labica,  universitaire
  161. Thomas Lacoste, cinéaste
  162. Nicole Lapierre, socio-anthropologue
  163. Mathilde Larrère, historienne
  164. Christian Laval, sociologue
  165. Stéphane Lavignotte, théologien protestant
  166. Maurizio Lazzarato, sociologue et philosophe
  167. Michèle Leclerc-Olive, CNRS
  168. Hervé Le Corre, écrivain
  169. Olivier Le Cour Grandmaison, politologue
  170. Pierre Lemaitre, écrivain
  171. Olivier Le Trocquer, historien et enseignant
  172. Catherine Lévy,  ingénieur CNRS
  173. Gérard Lévy, conseiller municipal, commission paix et désarmement EÉLV
  174. Laurent Lévy, avocat
  175. Laure Limongi, autrice
  176. Pierre Linguanotto, cinéaste
  177. François Longérinas, militant associatif
  178. Frédéric Lordon,  CNRS
  179. Marius Loris, historien, poète
  180. Camille Louis, philosophe, écrivaine, metteuse en scène
  181. Edouard Louis, écrivain
  182. Michael Löwy, sociologue
  183. Seloua Luste Boulbina, philosophe
  184. Christian Mahieux, cheminot retraité, éditeur
  185. Arnaud Maisetti, universitaire
  186. Catherine Malabou, philosophe
  187. Henri Maler, philosophe
  188. Jean Malifaud, universitaire, syndicaliste
  189. Dominique Manotti, romancière
  190. Maguy Marin, chorégraphe
  191. Roger Martelli, historien
  192. Luis Martinez Andrade, sociologue
  193. Corinne Masiero, comédienne
  194. Gustave Massiah, membre du Conseil International du Forum Social Mondial
  195. Xavier Mathieu, comédien
  196. Gérard Mauger, sociologue
  197. Philippe Maurice, historien
  198. Marion Mazauric, éditrice
  199. Mehdi Meftah, militant décolonial
  200. Jean-Henri Meunier, cinéaste
  201. Lola Miesseroff, autrice
  202. Juan Milhau-Blay, écrivain
  203. Candy Ming, actrice et artiste incasable et inclassable
  204. Laure Mistral, éditrice et traductrice
  205. Georges Monti, éditeur
  206. Bénédicte Monville, conseillère régionale Île de France
  207. José-Luis Moragues, militant antiraciste, universitaire
  208. Gérard Mordillat, cinéaste
  209. Corinne Morel-Darleux, autrice
  210. Chiara Mulas, artiste
  211. Claire Nancy, helléniste
  212. Antonio Negri, philosophe
  213. Alexander Neumann, sociologue
  214. Olivier Neveux, universitaire
  215. Pascal Nicolas Le Strat, sociologue
  216. Gérard Noiriel, directeur d’études EHESS
  217. Nicolas Norrito, éditeur
  218. Bertrand Ogilvie, philosophe
  219. Julien O’Miel, politiste
  220. Marie-Odile Perret
  221. Jean Ortiz, universitaire
  222. Ugo Palheta, sociologue
  223. Charles Pennequin, écrivain
  224. Antoine Péréniguez, gérant de cinéma
  225. Timothy Perkins, artiste et architecte
  226. Agnès Perrais, cinéaste
  227. Mireille Perrier, actrice- metteur en scène
  228. Martyne Perrot, sociologue
  229. Jean-Claude Petit, compositeur ,chef d’orchestre
  230. Christian Pierrel, directeur de publication (La Forge)
  231. Ernest Pignon-Ernest, peintre
  232. Alain Pojolat, militant CGT
  233. Elaine Pratt, Universitaire retraitée
  234. Stefanie Prezioso, historienne, députée nationale en Suisse
  235. Christian Prigent, écrivain
  236. Nadège Prugnard , autrice, metteuse en scène
  237. Serge Quadruppani, écrivain
  238. Nathalie Quintane, écrivaine
  239. Pierre Rabardel, ergonome
  240. Tancrède Ramonet, réalisateur et chanteur
  241. Josep Rafanell I Orra, psychologue
  242. Lara Rastelli, cinéaste
  243. Judith Revel, philosophe
  244. Ulrike Riboni, universitaire
  245. Paula Rice, citoyenne européenne
  246. Mathieu Rigouste, chercheur en sciences sociales
  247. Laurent Ripart, historien
  248. Bernard Ripert, avocat
  249. André Robèr, peintre, poète, éditeur
  250. Gaël Roblin, conseiller municipal Guingamp
  251. Christian Rouaud, réalisateur, écrivain
  252. Liliane Rovère, comédienne
  253. Jean-Jacques Rue, programmateur de cinéma
  254. Lucia Sagradini, sociologue de l’art et de la culture
  255. Ivan Sainsaulieu, sociologue
  256. Arnaud Saint-Martin, élu local d’opposition
  257. Montassir Sakhi, anthropologue
  258. Christian Salmon, écrivain
  259. Catherine Samary, économiste
  260. Elias Sanbar, écrivain
  261. Paola Sedda, universitaire
  262. Éric Sevault, éditeur
  263. Omar Slaouti, militant anti raciste
  264. Bruno Solo, comédien
  265. Susanna Spero, traductrice
  266. Pierre Stambul, militant de l’ujfp
  267. Alessandro Stella, anthropologue
  268. Christian Sueur ; psychiatre, praticien hospitalier du service public
  269. Michel Surya, écrivain
  270. Gilles Suzanne, universitaire
  271. Céliane Svoboda, artiste-autrice
  272. Tardi, dessinateur
  273. Christian Tarting, écrivain et éditeur
  274. Pierre Tevanian, philosophe
  275. Julien Théry, historien
  276. Christian Topalov, sociologue
  277. Enzo Traverso, historien
  278. Catherine Tricot, architecte
  279. François Tronche, chercheur en biologie
  280. Aurélie Trouvé,  économiste et militante associative
  281. Béatrice Turpin, réalisatrice
  282. Kevin Vacher, sociologue
  283. Fred Vargas, écrivaine
  284. Carlo Vercellone, économiste
  285. Françoise Vergès, politiste, militante féministe décoloniale
  286. Patrice Vermeren, professeur émérite de philosophie
  287. Dominique Vidal, journaliste
  288. Marie Pierre Vieu, éditrice, journaliste
  289. Jean Vigreux, historien
  290. Christiane Vollaire, philosophe
  291. Maud Vadot, universitaire
  292. Sophie Wahnich, historienne politiste
  293. Michel Warschawski, militant anticolonialiste
  294. Béatrice Whitaker, militante altermondialiste
  295. Muriel Wolfers, syndicaliste
  296. Serge Wolikow, historien
  297. Yannis Youlountas, auteur et réalisateur
  298. Sophie Zafari, syndicaliste
  299. Olivia Zémor, responsable associative, journaliste retraitée

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