repressione antioperaia e antislai cobas a taranto

anche a Taranto in questi mesi sta andando avanti una repressione padronale/Istituzionale che ha chiare caratteristiche fasciste. 

Abbiamo già parlato e torneremo a farlo dei licenziamenti all’ex Ilva, poi ArcelorMittal e ora Acciaierie d’Italia, che hanno un evidente messaggio intimidatorio verso tutti i lavoratori: licenzio alcuni singoli lavoratori per imporre a tutti di abbassare la testa, di non pensare, non denunciare problemi di sicurezza, a fronte di una politica che ogni giorno mette a rischio il lavoro, attacca il salario di migliaia di lavoratori, la sicurezza e con incidenti/mancanza di manutenzionedegli impianti che mettono in grave pericolo la vita stessa dei lavoratori.

Un altro fronte è il Cimitero, dove tempo fa vi è stata un’aggressione criminale verso il delegato Slai cobas da parte del referente della Ditta creando un clima di pesantissima intimidazione, minacce contro tutti i lavoratori dello Slai cobas con il chiaro tentativo di far fuori materialmente lo Slai cobas, sindacato nettamente maggioritario al Cimitero.

In questa aperta repressione, Magistratura, Istituzioni locali, e per l’ex Ilva anche Ministri, si sono voltati dall’altra parte o hanno dato ragione ai padroni.

Recentemente sta andando in scena – questa volta tra i lavoratori e in particolare contro lo Slai cobas sc della ex pasquinelli, lavoratori impegnati in appalti pubblici che da 10 anni lottano per una stabilizzazione lavorativa nell’impianto di selezione della differenziata – un’altra faccia di fascismo padronale, in questo caso di un Ente pubblico, l’Amiu che vuole il licenziamento di 8 lavoratori. Questa volta il messaggio è ancora più chiaro, dice apertamente, e opera di conseguenza: io voglio attaccare, liberarmi dello Slai cobas e per farlo tolgo il lavoro ai lavoratori – indipendentemente se sono tutti dello Slai cobas o di altri sindacati, addirittura se erano presenti ad una iniziativa sindacale dello Slai cobas o no. Con un’azione di aperta ritorsione/vendetta: due hanno protestato e io per ritorsione faccio fuori 8.
Su quest’ultima repressione leggi il comunicato dello Slai cobas per il sindacato di classe nel blog tarantocontrohttps://tarantocontro.blogspot.com/2021/05/lavoratori-ex-pasquinelli-senza-lavoro.html
Queste repressioni sono accompagnate da dichiarazioni, reazioni alle denunce e iniziative sindacali, da parte delle aziende isteriche, anche viscerali, fuori da ogni “normale” contrasto azienda/sindacati, che mostrano l’attuale humus che caratterizza questi attacchi; in cui ciò che si vuole colpire non è neanche la lotta, la protesta in sè, ma il fatto che lavoratori, lo Slai cobas sc osi mettere in discussione il potere dei padroni, o di rappresentanti istituzionali.
Non è un caso che in generale, anche in altre realtà a livello nazionale, la motivazione di vari licenziamenti repressivi è la “rottura del legame di fiducia”, che tradotto è “non ti sei assoggettato a me”.
Tutto questo richiede, maggiore comprensione da parte dei lavoratori e una lotta, risposta, unità che deve necessariamente elevarsi per scontrarsi con questa nuova realtà.

 

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Ancora violenze poliziesche antioperaie

Roma: Cariche della polizia sugli operai Fedex-Tnt. 7 fermati

Cariche della polizia davanti a Montecitorio durante la manifestazione degli operai Fedex-Tnt che aderiscono al Si.Cobas.

Polizia e carabinieri hanno caricato i lavoratori, dopo la notizia che il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, non li avrebbe ricevuti per discutere la vertenza del Movimento 7 novembre. Circa una cinquantina i lavoratori  attendevano di incontrarlo.

Durante le cariche, alcuni sono defluiti lungo via del Corso, dove c’è stata un’altra carica di alleggerimento

I lavoratori avevano organizzato un piccolo corteo da piazza Barberini a Montecitorio per chiedere un tavolo interistituzionale sul lavoro per i disoccupati e contro chiusura dell’hub FedEx-Tnt di Piacenza.

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il comunicato dei SI Cobas

SULLA REALE DINAMICA DEGLI SCONTRI A ROMA

E SUI VERI MOTIVI ALLA BASE DELLA PROTESTA.

La manifestazione indetta oggi (venerdì) a Roma dal SI Cobas presso Montecitorio è si è caratterizzata fin dal principio da un sentimento diffuso di rabbia nei confronti del governo Draghi, in particolare del ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti.

Il motivo di questa rabbia è da ricercarsi nel silenzio omertoso del MISE sulla vertenza FedEx, sulla chiusura dell’hub di Piacenza, sulle centinaia di posti di lavoro messi a repentaglio dalla multinazionale americana con il suo progetto di internalizzazione-truffa, e sullo squallido gioco di sponda tra padroni e triplice confederale, che ha lo scopo di cancellare gli accordi di secondo livello strappati negli scorsi anni dal SI Cobas e di eliminare la presenza del sindacalismo combattivo in tutta la filiera.

DAL MISE 2 MESI DI SILENZIFin dal momento della chiusura unilaterale del sito di Piacenza a fine marzo, con 280 lavoratori e relative famiglie finite per strada, il SI Cobas ha accompagnato alle azioni di sciopero e di lotta sui luoghi di lavoro la richiesta di un intervento immediato dei Ministeri del lavoro e dello sviluppo economico al fine di aprire un tavolo istituzionale tra le parti.

Da 2 mesi chiediamo che il Mise ci convochi, senza esito alcuno.

È per questo motivo che già lo scorso 4 maggio il SI Cobas i disoccupati 7 novembre e i lavoratori della manutenzione stradale occuparono il Nazareno, riuscendo ad aprire una prima interlocuzione col Ministro Orlando, il quale in tale occasione, pur dando sfoggio dell’ consueta attitudine dei politici al gioco dello scaricabarile, si impegnò a sollecitare un interessamento del dicastero di Giancarlo Giorgetti sulla vertenza FedEx.

Nel corso di queste due settimane, così come avvenuto per due mesi, non vi è stata alcuna risposta ufficiale da parte del Mise alle nostre richieste d’incontro:

https://www.facebook.com/sicobas.lavoratoriautorganizzati.9/photos/pcb.1538185113046847/1538185003046858/

Al contrario, siamo venuti a conoscenza del fatto che il ministro Giorgetti nelle scorse ore avrebbe incontrato in gran segreto i vertici di FedEx, che quest’ultima avrebbe confermato anche al MISE la sua volontà di procedere al piano di licenziamenti di massa, mascherato abilmente dietro il fumo negli occhi dell’internalizzazione-truffa, e che il Ministero avrebbe garantito ai padroni americani di non volere “interferire” in alcun modo nella vicenda.

Un tale accordo segreto sulla pelle di migliaia di lavoratori sarebbe tanto più grave se si tiene conto che negli scorsi giorni più di 170 addetti del sito FedEx di Bologna, tutti aderenti al SI Cobas, hanno manifestato la loro indisponibilità ad accettare accordi-capestro sottoscritti dai padroni con sindacati di comodo (Cgil-Cisl-Uil) che non hanno iscritti e quindi sono privi della benché minima titolarità a trattare a nome dei lavoratori, e che nonostante ciò vogliono imporre la firma di accordi tombali con le ditte appaltatrici uscenti in cambio dell’assunzione alle dipendenze di Fedex, con un chiaro metodo estorsivo.

Proprio nelle stesse ore in cui eravamo in piazza, due nuovi colpi di mano venivano messi a segno dai padroni con la complicità, rispettivamente, dei sindacati confederali e del governo: da un lato la stipula del nuovo CCNL Trasporto Merci e Logistica, nel quale si barattano forti peggioramenti nelle condizioni normative dei lavoratori con una manciata di aumenti salariali da fame; dall’altro il colpo di spugna del governo sui subappalti inserito del Decreto Semplificazioni, che di fatto legalizza le forme più brutali di sfruttamento, di caporalato e di abusi nel settore degli appalti pubblici.

La natura di classe e filopadronale delle istituzioni “democratiche” non è mai apparsa tanto chiara come nel caso del governissimo di Mario Draghi.

I FATTI DI PIAZZA COLONNA

A fronte di questa manifesta complicità del MISE con FedEx e con i loro immancabili soci in affari di Filt-Cgil, Fit-Cisl e UIL trasporti, nella mattinata di venerdì i lavoratori sono giunti nella capitale con delegazioni dei magazzini di Piacenza, Milano, Torino, Bologna, Roma, Caserta e Napoli, muovendosi in corteo da piazza Barberini a Montecitorio e decisi a vendere cara la pelle.

Dopo oltre un’ora e mezza di inutile attesa in piazza Montecitorio, abbiamo deciso di spostare la protesta fuori a Palazzo Chigi, e a fronte della superblindatura di forze dell’ordine attorno al fortino di Mario Draghi, al solo fine di evitare un confronto diretto con le forze dell’ordine, abbiamo cercato di rimetterci in corteo in direzione del MISE. In quel preciso momento la Questura di Roma, con un’azione repentina, ha avuto la brillante idea di sbarrare la strada al corteo finendo per alimentare ulteriormente una tensione già chiara e palpabile tra i lavoratori FedEx e tra le realtà di lotta scese in piazza al loro fianco: su tutte i disoccupati 7 novembre, giunti a Roma per sollecitare la convocazione di un tavolo interistituzionale per la loro vertenza, e i lavoratori del Porto di Napoli che da anni sono bersagliati da licenziamenti e atti di arbitrio di ogni tipo da parte del fronte padronale dei Terminalisti.

Di fronte agli spintoni e all’aggressività delle forze dell’ordine, i lavoratori, i disoccupati e i solidali hanno scelto, legittimamente, di non arretrare e non abbassare la testa, e ciò ha portato agli scontri, sfociati nel ferimento e nel fermo di almeno 7 manifestanti tra lavoratori e solidali, gran parte dei quali colpiti da manganellate alla testa.

Il governo Draghi e il ministro Giorgetti sono dunque gli unici responsabili delle tensioni avvenute nei pressi di palazzo Chigi.Se lorsignori credono di intimidirci e di tapparci la bocca a colpi di manganello, sappiano che hanno fatto male i conti, perché evidentemente non conoscono la storia del movimento dei lavoratori della logistica: un movimento che da 10 anni lotta a testa alta fuori ai cancelli dei magazzini dovendo fare i conti non solo con i padroni, ma anche con quel sistema delle cooperative e del caporalato che nella gran parte dei casi vede il protagonismo diretto di mafia, camorra e ‘ndrangheta, sapientemente occultati nelle filiere dello sfruttamento operaio grazie alle connivenze e alle complicità delle istituzioni nazionali e locali.In questi anni non siamo mai arretrati di fronte all’arroganza padronale, anche quando questa ha usato la criminalità organizzata contro i lavoratori: non lo faremo neanche di fronte alla complicità dello Stato e di quelle istituzioni che finora non hanno mosso mai un dito contro il sistema di illegalità e di malaffare che ha governato il settore trasporto merci e logistica, e che è stato fermato solo grazie alle lotte portate avanti dal SI Cobas.

Invitiamo la stampa a rettificare la cronaca degli incidenti, in quanto nessun carabiniere è stato aggredito e ferito dai manifestanti, i quali si sono limitati all’esercizio legittimo dell’autodifesa della manifestazione dall’aggressione delle forze dell’ordine al servizio di Draghi, di Giorgetti e della FedEx, e che al contrario hanno rimediato ben 7 manifestanti feriti sotto i colpi dei manganelli della Questura di Roma.Precisiamo inoltre che la manifestazione aveva come scopo principale un incontro con il MISE nella persona del ministro Giorgetti sul tema della vertenza Fedex, e non col Ministro Orlando come erroneamente riportato da alcune testate.

Comunichiamo infine che a seguito del perdurante silenzio del MISE, il SI Cobas proseguirà ad oltranza lo stato di agitazione nazionale su tutta la filiera FedEx e preparerà a breve una manifestazione nazionale contro il governo Draghi e la sua sfacciata complicità coi piani padronali fondati su licenziamenti di massa e supersfruttamento.

A riprova di quanto affermiamo, riproduciamo copia delle PEC inviate al MISE a partire dal mese di marzo, tutte senza risposta.

GIÙ LE MANI DAI LAVORATORI, SOLO LA LOTTA PAGA!

UNITI SI VINCE!

storie di ordinaria repressione

Da Gabriella Spada

Le nuove tecniche acab:

( Sono entrato nell’ufficio e sono stato ammanettato e messo a sedere, sulla mia sinistra è stato piantato un treppiedi con una telecamera. Di fronte a me due uomini in camicia della scientifica, dietro di me 5 o 6 agenti della Digos. Due carabinieri in uniforme, infine, a presenziare alla cerimonia.

Comincia lo spettacolo, la telecamera inizia a registrare, viene aperta la busta del Ministero con il materiale, un funzionario di polizia recita una formula di rito a cui io rispondo negativamente. Tale formula ha il sapore della sentenza. Così gli agenti della Digos, aiutati dai carabinieri, si buttano su di me, mani al collo, testa all’indietro, stringono forte, cercano di farmi spalancare la bocca, mi danno colpi nel ventre e con le dita cercano di scavare le guance e nel costato. Intanto si avvicina uno dei due in camice e con il tampone mi preme con forza sulle labbra serrate. Mi tappano il naso, non riesco più a respirare, apro la bocca, l’agente ci ficca dentro il tampone per più volte. Mi lacrimano gli occhi, ho un conato di vomito, sono pieno di bava sulla faccia. L’operazione si ripete una seconda volta, sempre peggio e neanche i presenti, forse novizi della pratica, sembrano gradire la scena.

Finisce tutto, chiuso il sipario, ma senza applausi.

– testimonianza di un compagno di Torino)

NO TAV Fabiola in sciopero della fame

Fabiola scrive dal carcere delle Vallette, in cui si trova detenuta da ormai cinque mesi. Ci uniamo a lei e alle sue parole, che vi scriviamo qui di seguito. 

Il diritto all’affettività va garantito! Forza Fabiola, si parte e si torna insieme!

“Io Fabiola, detenuta nel carcere delle Vallette dal 31.12.2020 comincio lo sciopero della fame poichè mi vengono negati i colloqui con qualsiasi altra persona che non sia mio padre e mi sono state tolte le videochiamate con il mio compagno per un problema di contratto telefonico e mai ripristinate a problema risolto. essendomi negati i colloqui nonostante l’approvazione da parte del magistrato di sorveglianza Elena Massucco in data 28.4.21, ho deciso che da questa mattina non mangerò più fino a quando non mi sarà garantito il diritto alla mia affettività.”

Notizie da pablo hasel – ancora un processo mentre è in prigione

 

Pablo Hasel, rappeur communiste emprisonné à la prison de Ponent, est à nouveau en procès. Il est accusé de “crime de haine et de discrimination contre l’état espagnol” car il avait incendié un drapeau espagnol lors d’un concert à Majorque en 2018. Ce procès se tient à la suite d’une plainte du parti d’extrême-droite “Vox” suivie par le parquet. Par ailleurs, le tribunal de Lleida a confirmé hier une condamnation à six mois de prison du rappeur. Ce dernier avait eu une altercation en 2016 avec un journaliste de la télévision officielle catalane, qui essayait de s’imposer pour filmer une occupation du rectorat de l’Université de Lleida, malgré l’opposition des étudiant·es occupant le bâtiment. Notons que ce journaliste s’était à la base déplacé dans le but d’assister à une conférence de presse donnée par des étudiant·es abandonnant le mouvement et par les autorités de l’université.

Pablo Hasel

 

 

NO all’estradizione – No al processo agli anni 70

 A giugno le udienze sull’estradizione dei rifugiati politici in Francia –

NO all’estradizione – No al processo agli anni 70

19 giugno – Milano Assemblea e iniziativa – luogo e orario da definire

Soccorso Rosso Proletario 

info srpitalia@gmail.com

info da federico ruocco contropiano

La Corte di Appello di Parigi, secondo quanto ha appreso oggi l’Adnkronos, ha autorizzato formalmente l’intervento dello Stato italiano nell’ambito della procedura in corso nei confronti dei 9 rifugiati politici italiani che sono stati arrestati tra il 28 e il 29 aprile e che sono a rischio estradizione in Italia. Si tratta di una decisione definitiva che non potrà più essere contestata nel proseguo della procedura.

Le prime udienze sull’estradizione in Italia dei nove rifugiati politici italiani fermati in Francia nei giorni scorsi si sono concluse ieri alla Corte di Appello di Parigi. Le prossime udienze si svolgeranno a giugno e si svolgeranno in date diverse.

I nove rifugiati politici si sono presentati ieri in Tribunale ed hanno rifiutato l’estradizione.


Marina Petrella, ex militante delle Brigate Rosse, parlando con i giornalisti presenti in tribunale,  così ha commentato: ​”Stiamo arrivando verso la fine. Stiamo raschiando il fondo del barile. Io ho vissuto tutti questi anni con un grande dolore. Dolore e compassione per le vittime, per tutte le vittime. Per le famiglie coinvolte, compresa la mia. Da parte mia ho fatto 10 anni di carcere tra Italia e Francia. E 30 di esilio, una pena senza sconti e senza grazie, che ti impedisce di tornare nella tua terra”.

“Noi – ha spiegato Marina Petrella – ci siamo assunti una responsabilità politica collettiva, mentre il compito della giustizia è quello di giudicare e condannare in rapporto alle responsabilità di ognuno. Ci sono state vittime, e ci sono stati tanti compagni che hanno pagato con il carcere, alcuni con l’ergastolo. Queste vittime non sono rimaste impunite, senza memoria.

Ma paragonare, come ha fatto il ministro della Giustizia francese, il sangue degli anni di piombo con la strage del Bataclan è di “incredibile volgarità”, sottolinea Marina Petrella “Uno del Bataclan può essere paragonato a Piazza Fontana, a Brescia, alla stazione di Bologna, a Reggio Calabria? Io sono stata condannata sulla base dell’assunzione di una responsabilità collettiva”.

“Oggi è ancora presto – ha sottolineato Marina Petrella -, ma non escludo che arrivi una riflessione su un modo diverso di provare a spiegarsi. Un linguaggio comune? Mi sembra impossibile. Piuttosto penso ad un avanzare, un progredire, perché ormai non ci sono più poste in gioco. Ricordiamoci che prima, anni fa, la parola non era libera, non era esente da un premio, fra dissociati e pentiti. Oggi siamo alla fine, stiamo raschiando il fondo del barile e non ci sono più queste poste in gioco, non ci sono più ricompense. Ma al tempo stesso, da parte dell’Italia, un paese che non è capace di fare i conti con la sua storia, non c’è nessuna apertura. Chiedere un’operazione di questo tipo è difficile. A chi rivolgersi?”.

A cosa ha portato la lotta armata? “Non era fine a se stessa – risponde Petrella – tante riforme sono state fatte anche grazie a quella conflittualità che saliva, che costruiva istanze nuove. C’era un modello di trasformazione, il socialismo al di là degli esempi storici, è solidarietà, fratellanza, condivisione. C’è stato un processo di scontro atroce per tutti. Per tutti”.

“Queste cose fanno parte della parte spirituale, intima, non ne voglio parlare e non ne parlerò mai. Quello di cui si parla qui è la sfera della vita civile. Io faccio un lavoro socialmente utile, posso fare del bene alla gente, per me è una sorta di riscatto simbolico”.

Sulla eventuale disponibilità di Italia e Francia ad ascoltare le voci di persone che hanno partecipato alla lotta armata, Petrella non si fa illusioni: “Non ci stiamo dirigendo verso un’apertura dello spirito critico, un’evoluzione, andiamo verso una chiusura, fra liberalismo e autoritarismo, sia in Francia, sia in Italia”. In Francia, forse, un po’ di più, fra appelli di intellettuali e sostegno di fedelissimi: “Gruppi di intellettuali hanno cominciato a firmare degli appelli e altri ne arriveranno. Non sento un calo dei sostegni, piuttosto una difficoltà nell’esprimersi, una specie di autocensura che si impone sempre di più”.

Il tribunale di Parigi dovrà decidere se approvare o meno l’estradizione di ognuno degli imputati dopo i 7 arresti avvenuti in Francia lo scorso 28 aprile. Il 29 aprile poi si erano costituiti altri due rifugiati politici che il 28 aprile non erano stati fermati. Tra chi è comparso in tribunale non c’è Maurizio Di Marzio che per ora non ha accettato di costituirsi e per il quale i termini di prescrizione scadono il prossimo 10 maggio.

Il quotidiano francese Liberatiòn ha dedicato spazio all‘appello di un gruppo di intellettuali diretto al presidente Emmanuel Macron contro la concessione dell’estradizione per dieci rifugiati politici italiani. 7Nell’appello si ricorda la concessione dell’accoglienza durante la presidenza di Francois Mitterrand, negli anni Ottanta, la nuova vita in Francia degli ex militanti italiani che hanno rinunciato alle armi, le loro nuove famiglie. Viene invocata l’amnistia in Italia, un gesto che – secondo loro – consentirebbe al Parlamento di “voltare pagina e di guardare al futuro”. L’appello è stato firmato da una trentina di personalità, fra le quali i registi Costa-Gavras e Jean-Luc Godard, Agnes B., Charles Berling, Valeria Bruni-Tedeschi,

In un’altra pagina di Liberation viene però ospitato anche un intervento dell’ex magistrato ed ex presidente della Camera, Luciano Violante, che attacca l’appello e i suoi firmatari: “Insorgere contro l’arresto di ex militanti di estrema sinistra italiani che da 40 anni vivono in Francia, significa misconoscere i crimini terroristici di cui sono stati autori in passato” scrive Violante, forse uno degli esponenti più irragionevoli di quello che in Italia può essere definito come “Il Partito della vendetta”.