La soluzione finale per Julian Assange

La Corte di Westminster, a Londra, ha emesso l’ordine di estradizione per Julian Assange, il fondatore del sito WikiLeaks. Spetta ora alla ministra dell’Interno britannica, Priti Patel, approvare o meno l’estradizione di Assange negli Stati Uniti entro il 18 maggio.

di Gianluca Cicinelli

Adesso soltanto un improbabile ricorso all’Alta Corte potrebbe modificare la decisione, dopo che il mese scorso la Corte suprema si era rifiutata di riesaminare il caso. Ormai dal punto di vista giuridico il Regno Unito –  l’ex patria del “Free Speech Corner” – ha preso la sua decisione, servile nei confronti degli Usa.

Sette minuti. Tanto è durata l’udienza, la cui sentenza era già scritta da mesi, con cui si è posta la parola fine alla vita civile di Julian Assange, accusato dagli Stati Uniti di aver diffuso documenti riservati che provano i crimini di guerra commessi dai militari a stelle e strisce in Iraq e Afghanistan. Per chi non li avesse visti, si tratta in particolare di filmati dove gli statunitensi aprono il fuoco senza provocazione alcuna uccidendo civili inermi come fossero cani. Quei filmati sono un servizio reso al mondo civile, quello che sta scomparendo ogni giorno di più, che ha macchiato per sempre di sangue l’abito da “esportatori della democrazia” con cui le amministrazioni di Bush Jr (repubblicano) e di Obama (democratico) hanno giustificato le invasioni di Iraq e Afghanistan dopo gli attentati subiti l’11 settembre 2001.

Di seguito il filmato reso pubblico da Wikileaks, denominato “Collateral Murder” che mostra il massacro di civili compiuto dalle forze armate Usa il 12 luglio 2007, tratto dal programma Rai “Presa Diretta” di Riccardo Iacona

Julian Assange è rinchiuso da tre anni nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, dopo essere stato espulso dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra in cui aveva trovato rifugio quando presidente del Paese americano era Rafael Correa. Appena eletto nuovo presidente dell’Ecuador Lenin Moreno, il “rifugiato” Assange fu trascinato fuori a forza dall’ambasciata e arrestato dalle autorità inglesi.

Assange è in un pessimo stato di salute non soltanto fisica da molto tempo. Amnesty International ha dichiarato che un’eventuale approvazione della sua estradizione da parte della ministra dell’Interno Priti Patel violerebbe il divieto di tortura e costituirebbe un precedente allarmante per pubblicisti e giornalisti di ogni parte del mondo. Amnesty fa anche notare che se il governo di Londra consentisse a uno Stato estero di esercitare giurisdizione extraterritoriale per processare una persona che ha diffuso informazioni dal Regno Unito, altri governi potrebbero sfruttare la stessa strategia giudiziaria per imprigionare giornalisti e mettere il bavaglio ai media anche oltre i loro confini. All’udienza – che rischia di trasformarsi nella condanna a morte per Julian Assange – era presente l’ex leader laburista Jeremy Corbyn che ha dichiarato di sperare che il ministro dell’Interno britannico riconoscesse la sua “enorme responsabilità” nel difendere la libertà di parola, il giornalismo e la democrazia rilasciando Assange.

da La Bottega del Barbieri

India, muore Narmada Akka, leader del movimento rivoluzionario maoista, detenuta dallo stato fascista e genocida di Modi.

Per il 25 aprile il CPI (maoista) ha dichiarato un bandh di un giorno (uno sciopero generale totale) nel Dandakaranya, che si estende a Chhattisgarh, Maharashtra, parti del Madhya Pradesh, Odisha, Telangana e Andhra Pradesh, per protestare contro le condizioni di detenzione dei prigionieri politici e per chiedere il rilascio di tutti i prigionieri politici
La compagna Nirmala, alias Narmada Didi, è stata uccisa dallo stato fascista indiano, asservito all’imperialismo anche nostrano. Era in cura per un cancro al seno quando è stata arrestata il 12 giugno 2019. Il cancro al seno si può curare, ma non in carcere, non nel carcere di Byculla, dove “75 donne sono detenute in un’unità costruita per ospitarne 35”, dove le detenute “dormono l’una accanto all’altra con una semplice stuoia posta sopra il pavimento, dove a ciascuna è assegnato uno spazio delle “dimensioni di una bara”.
In queste condizioni ha vissuto Narmada fino a pochi mesi fa, quando oramai c’era ben poco da fare, quando ha finalmente ottenuto di ricevere cure “palliative” in un’ospizio, dove comunque le veniva negato, su ordine del sovrindendente del carcere, anche di ricevere lettere da suo marito, anch’esso detenuto.
Narmada era una colonna portante del CPI (maoista) e dell’organizzazione rivoluzionaria delle donne Adivasi (KAMS) nel Dandakaranya.
Narmada proveniva da una famiglia comunista e si è unita al movimento maoista negli anni ’80. Successivamente, nel 1990, è andata in Dandakaranya, dove ha svolto un ruolo chiave nell’organizzazione delle donne tribali e nel Kams.
Sebbene molti altri maoisti di spicco si siano arresi, Narmada ha scelto di continuare a combattere.
Ha partecipato a diversi scontri con la polizia ed è riuscita a scappare più volte dalle maglie della repressione. Ha guidato gli assalti armati al governo e alle forze di sicurezza nella regione di Dandakaranya.
Membro attivo del Comitato Zonale Speciale Dandakaranya del partito maoista per 42 anni, è morta mentre combatteva per la sua vita il 9 aprile in una prigione nello stato del Maharashtra. La sua scomparsa ha creato un vuoto nella leadership del partito maoista.
Il CPI (maoista) ritiene il governo responsabile della morte della leader maoista Nirmala (alias Narmada)
Il partito maoista ha affermato che è morta perché in carcere non le sono state fornite cure e medicine adeguate.
Il CPI (maoista) e il Kams hanno indetto un bandh (uno sciopero totale) nella regione di Dandakaranya (stato del Chhattisgarh meridionale) per chiudere e far chiudere tutte le attività il 25 aprile.
Release all politicall prisoners!
Libertà per tutte e tutti i prigionieri politici indiani!
In Italia sono stati realizzati, a cura del movimentro femminista proletario rivoluzionario, una mostra fotografica delle donne incarcerate, stuprate, atrocemente torturate dalla “più grande democrazia del mondo”, e un dossier, dedicato a tutte le prigioniere politiche nel mondo, ma in particolare a quelle indiane, cuore della più grande guerra popolare nel mondo.
La mostra e il dossier, già in distribuzione, sono in solidarietà e per la liberazione di tutte le prigioniere politiche indiane e rientrano nella campagna internazionale di sostegno alla guerra popolare in India, promossa dal ICSPWI (COMITATO INTERNAZIONALE DI SOSTEGNO ALLA GUERRA POPOLARE IN INDIA)
Nei prossimi giorni la mostra e il dossier  saranno presentati a Bologna (30 aprile) e a Milano (3 maggio)
Per richiedere il dossier o info e iniziative, scrivere a:
mfpr.naz@gmail.com
csgpindia@gmail.com

Atto di intimidazione a Iglesias alla Giornata della Terra

Ieri 22 aprile si è svolta ad Iglesias la Giornata della Terra, promossa dal Comitato Riconversione RWM in collaborazione col Movimento Nonviolento e numerose associazioni territoriali. Durante la serata diverse associazioni ambientaliste e disarmiste hanno presentato il loro lavoro.

Dopo la presentazione del libro “Disarmare il virus della violenza” di Pasquale Pugliese e al termine di una serata che aveva visto anche la partecipazione di alcuni bambini della scuola primaria e l’esposizione dei loro lavori sulla pace, si è verificato un atto inconsueto ed assurdo durante un evento culturale, svoltosi tra l’altro in un locale comunale: alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine hanno proceduto all’identificazione di alcuni fra i presenti, senza fornire alcuna motivazione specifica. A quel punto, anche le altre persone presenti in sala hanno chiesto di essere a loro volta identificate.

A nostro avviso si tratta di un atto di intimidazione nei confronti di associazioni e movimenti della società civile, impegnati nel difficile compito di preparare la pace in un momento storico in cui il clima bellicista sta prendendo il sopravvento nella politica governativa e nelle istituzioni. Oggi mettere in discussione il potere dell’industria degli armamenti e di chi la spalleggia viene evidentemente considerata una colpa, così come quella di dichiarare pubblicamente la propria contrarietà alla guerra e all’invio di armi sul teatro bellico.

Come nonviolenti condanniamo questo episodio e confermiamo il nostro impegno per la pace ed il disarmo, rivendicando il diritto di poter fare cultura di pace, senza provocazioni né intimidazioni.

Cagliari, 23.04.2022

Movimento Nonviolento Sardegna

da pressenza

Tre combattenti delle Ypj uccise dai droni turchi. Ancora attachi in Rojava e a Shengal

L’autocrate turco Erdogan sta intensificando gli attacchi contro le esperienze di autogoverno e confederalismo democratico in nord-Iraq e Siria del nord-est. Da lunedì 18 aprile è iniziata una nuova operazione militare, supportata anche dai Peshmerga curdo-iracheni del cacicco locale, Barzani (KRG, conservatore) e da pezzi dell’esercito governativo iracheno (clicca qui per la prima corrispondenza di Radio Onda d’Urto).

Bersaglio di raid aerei e tentativi – finora fallimentari – di incursione via terra sono in particolare le postazioni del Pkk sui monti dell’ settentrionale e il distretto di , il territorio dell’autonomia democratica ezida, ma anche la regione di Hasake in  con colpi di cannone che hanno raggiunto anche il centro di Kobane. Qui le Women’s Defense Units (YPJ) hanno annunciato la morte di tre compagne – Dilar, Ronahî and Kobanê – uccise da un drone turco

Sale nel frattempo pure il bilancio di militari turchi uccisi: secondo il Pkk sono almeno cento, di cui sei alti ufficiali. Secondo Ankara, invece, sarebbero due in tutto.

Da Shengal, dove alla resistenza delle Ybs (le forze di autodifesa ezide) si unisce la mobilitazione della società civile, sentiamo la corrispondenza di Nayera, compagna che si è recata nel nord-Iraq per condurre una ricerca sulla comunità ezida e sul suo autogoverno. Ascolta o scarica

da Radio Onda d’Urto

La questura di Padova vieta il corteo in difesa del diritto di aborto

Non Una di Meno – Padova
14 h ·
NEGATO IL CORTEO DI DOMANI IN DIFESA DEL DIRITTO ALL’ABORTO!
La Questura di Padova ha negato la possibilità di fare un corteo, prescrivendoci di restare staticamente in piazza Garibaldi, nello stesso momento in cui il Comitato No194 ha agibilità davanti al Santo.
Sono però due manifestazioni che non possono stare sullo stesso piano, perché quella del Comitato NO194 è pensata per cancellare diritti conquistati in decenni di lotte femministe, è fatta per infilarsi nelle corsie ospedaliere o nei consultori per terrorizzare, accusare di assassinio, condannare le donne* che abortiscono.
La nostra è invece espressione di chi si attiva tutti i giorni per ampliare i diritti e in difesa delle persone stigmatizzate, discriminate e rimpallate da un ospedale all’altro per colpa delle altissime percentuali di medici obiettori.
É quindi responsabilità di tutt3 scendere per le strade, parlare con la cittadinanza e attraversare le vie del centro, per dire che non si tratta di opposti estremismi in una retorica di “democratica espressione della libertà di manifestazione”, perché non c’è e non ci sarà mai nulla di democratico nei messaggi che il comitato NO194 porta in piazza.
Per dire che vogliamo gli obiettori fuori dagli ospedali, vogliamo un’educazione sessuale transfemminista nelle scuole, vogliamo anticoncezionali gratuiti e accessibili, vogliamo che la Chiesa e i suoi dogmi non abbiano voce in capitolo sulle nostre scelte.
Gli antiabortisti devono stare fuori dalle nostre città e attraverseremo le strade per gridare che vogliamo “molto più della legge 194” e riaffermare il nostro diritto ad autodeterminare i nostri corpi e le nostre scelte!
194 volte libere di scegliere!
Ci vediamo sabato 23 aprile alle ore 14 in piazza Garibaldi
Porta il tuo cartello e una gruccia, da strumento usato per l’aborto clandestino diventa rivendicazione della nostra autodeterminazione!

Bologna: tentarono di impedire il comizio di Salvini, antirazzisti condannati

VENTIMILA LEGHE DI RICATTO. Raccolta fondi in solidarietà agli antirazzisti condannati

Nell’autunno del 2014 la Lega capitanata da Matteo Salvini si trovava in fase di grande ascesa e Bologna era stata designata come luogo simbolo della sua avanzata in tutta Italia.

L’8 novembre dello stesso anno il leader della Lega, assieme a Lucia Borgonzoni e Alan Fabbri, aveva programmato una “visita” al campo sinti di Villa Erbosa. Quella rom sinti e camminati rappresenta una comunità che da secoli subisce violenze e discriminazioni e ancora oggi risulta essere la “minoranza più discriminata d’Europa”. Basti pensare che nel suddetto campo vivevano 21 famiglie già drammaticamente note alla cronaca locale per aver subito l’assalto della banda della Uno Bianca del dicembre 1990 in via Gobetti (due i morti, Patrizia della Santina e Rodolfo Bellinati).

La mattina dell’8 Novembre, Bologna si presenta diametralmente divisa: da un lato la volgare provocazione della Lega alla costante ricerca di sensazionalismi, per rilanciare la propria campagna elettorale in vista delle regionali previste per la fine del mese; dall’altro la comunità sinti, supportata dalla Bologna antifascista e antirazzista che voleva evitare l’ennesima speculazione politica sulla pelle degli ultimi.

Per aggirare il confronto con sindacati, realtà politiche e società civile, e poter fare il proprio comizio in favor di telecamera, Salvini e il suo seguito si avvicinarono al campo da un ingresso secondario.

Un gruppo di manifestanti, per evitare di regalare l’ennesimo palcoscenico di propaganda razzista, si pose davanti alla vettura di Salvini che, anziché indietreggiare, decise di avanzare a tutta velocità finendo per investire alcuni dei ragazzi presenti. I numerosi video della giornata pubblicati in diversi social non lasciano molto spazio all’interpretazione: l’auto, inizialmente ferma, a un certo punto accelera in maniera improvvisa verso i manifestanti!

Sulla base di questi fatti la procura ha deciso di procedere solo nei confronti di coloro che si erano frapposti tra la popolazione sinti e lo squallido gesto di sciacallaggio della Lega e di Salvini che a quell’epoca, va ricordato, strizzava più di un occhio a Casapound e all’estrema destra italiana.

Difficile metterla diversamente: quando la Bologna antirazzista e antifascista decideva di opporsi a Salvini all’inizio della sua parabola politica aveva tutte le ragioni dalla sua parte.

A distanza di 8 anni da quei fatti, gli effetti delle politiche promosse (soprattutto) dalla Lega e dal suo leader sono sotto gli occhi di tutti: le politiche disumane sui confini del Mediterraneo responsabili di oltre 1.315 di morti o dispersi da gennaio ai primi di novembre del 2021 e 28.600 migranti intercettati in mare e riportati indietro dalla Guardia Costiera libica; la discriminatorietà dei decreti sicurezza; la retorica razzista volta gettare benzina sul fuoco della competizione etnica. Senza considerare i 49 milioni di euro di rimborsi elettorali spariti nel nulla…

Oggi, all’inizio del 2022, si consuma la vendetta di Salvini e del suo partito. Un’ occasione che evidentemente la Lega intende sfruttare per “fare cassa”, visto che Matteo Salvini, Lucia Bergonzoni e Alan Fabbri si erano costituiti parte civile chiedendo a risarcimento somme superiori a 200 mila euro, cifra esorbitante per i fatti della giornata!

La Corte d’Appello con sentenza del 28 febbraio 2022 ha ridimensionato la richiesta, ma condannato giovani ragazzi/e, comunque, a pene elevatissime se considerate in relazione alle dinamiche della giornata (tra i 2 mesi e un anno e mezzo di reclusione). Inoltre, alla pena detentiva si aggiunge il ricatto di quella pecuniaria, che vede gli imputati costretti a risarcire la Lega e i suoi esponenti coinvolti di una somma folle pari a 20 mila euro per danni morali!!

Si tratta di una cifra da capogiro se fatta gravare sulle spalle di una manciata di giovani precari, colpevoli semplicemente di essersi messi in gioco in prima persona per difendere l’idea di un mondo equo e senza razzismo.

Di fronte a questo vergognoso attacco facciamo appello a tutte e tutti, realtà organizzate e singole individualità, che in questi anni si sono battute/i, con forme e modi differenti, contro le politiche e le retoriche fascio-leghiste.

I ragazzi condannati sono lavoratori precari senza santi in paradiso e senza patrimoni che possano aiutarli a far fronte ad una simile somma di risarcimento, vigliaccamente pretesa da personaggi che di certo non hanno problemi di portafogli.

Crediamo che, come antifascisti/e, sia doveroso mostrarsi complici e solidali con i ragazzi condannati, e facciamo appello alla solidarietà di tutte e tutti per contribuire alle spese che incombono sui ragazzi.

In tali circostanze la solidarietà non solo rappresenta l’unico strumento per far fronte a questa sentenza, ma costituisce anche messaggio di speranza per chi in futuro si troverà a lottare contro le ingiustizie.

Come poter portare la propria solidarietà?

  • Tramite CROWFUNDING (https://gofund.me/e1d14a1c): ogni euro raccolto in tutte le città d’Italia sarà utile per la causa;
  • Partecipando alle iniziative di autofinanziamento che vi segnaleremo nei prossimi giorni;
  • Diffondendo più possibile questo appello!

Con la certezza che sarete in molti a stringervi attorno ai condannati e sventare il sopruso che si cela dietro questa amara sentenza mandiamo a tutti un caloroso saluto e ribadiamo con ancora più convinzione la nostra opposizione a ogni genere di razzismo e fascismo.

I condannati e i solidali per i fatti dell’8 Novembre 2014