Italpizza Modena: giù le mani dal diritto di sciopero!

Da Proletari comunisti

Stato e padroni vogliono una condanna pesante di 500 mila euro per i picchetti

Continua l’attacco repressivo alle lotte dei lavoratori e dei sindacati di base che li organizzano. La magistratura è il braccio armato del padrone che a Modena vuole condanne pesanti per 67 operai e sindacalisti del Si Cobas (più altri 53 per gli scioperi e i picchetti svolti dal dicembre 2018 al luglio 2019).

Vogliono solo sindacati concilianti col padrone, come sono i confederali, con lotte senza picchetti e collaborativi. La lotta fuori e contro padroni e confederali fa paura. Il governo di turno gli aveva già mandato polizia e scaricato sui lavoratori e sindacalisti manganelli, lacrimogeni e denunce. E’ la guerra di padroni/governo/sindacati complici contro gli operai. Questa rappresaglia non deve passare! Massima solidarietà al Si Cobas e ai lavoratori/lavoratrici.

I lavoratori/lavoratrici sono accusati di manifestazione non autorizzata, resistenza, lesioni, invasioni di edificio, minacce, violenza privata. L’udienza è stata fissata per il prossimo 3 ottobre

il comunicato del Si Cobas Modena
SI APRE IL MAXI-PROCESSO ITALPIZZA: A MODENA FARE SINDACATO È REATO
Si è aperto stamattina (ieri, ndr) il maxi-processo Italpizza, colosso modenese di pizze surgelate, in costante crescita di fatturato da anni, grazie al regime di sfruttamento imposto ai lavoratori e alle buone amicizie politiche.
Ma alla sbarra non sono convocati i dirigenti d’azienda che applicano contratti illeciti, che giocano con matrioske di appalti, che percepiscono indebitamente milioni di euro di cassa integrazione pur non essendo affatto in crisi. No, per la procura di Modena gli accusati sono i lavoratori e le lavoratrici che hanno osato rivendicare i diritti minimi previsti dai contratti e dalle leggi. Gli imputati in questa prima tranche sono infatti 67 lavoratori e sindacalisti (altri 53 nella seconda tranche) per gli scioperi e i picchetti svolti dal dicembre 2018 al luglio 2019, tutti accusati dei reati del famigerato “codice Rocco”, cioè il codice di polizia creato dal fascismo per sopprimere opposizione e sindacati.
Nel mondo al rovescio della procura modenese è Italpizza ad essere parte lesa, ed è quindi autorizzata a chiedere almeno 500.000 euro di danni direttamente al sindacato S.I. Cobas, mentre per gli operai restano salari da fame, ricatti sui permessi di soggiorno e anni di udienze.
Rivendichiamo integralmente tutte le azioni sindacali per il diritto ad un lavoro dignitoso, per il diritto alla libertà sindacale, di opinione e di espressione, per la piena applicazione della Costituzione repubblicana. Processi e denunce non ci fermeranno.
Modena, 21 aprile 2022

Carcere: A processo gli agenti di Torino accusati di tortura

Da osservatorio repressione

Sono stati rinviati a processo i 22 agenti della polizia penitenziaria accusati di torture su 12 detenuti nel carcere Le Vallette di Torino.

La prima udienza si terrà il 4 luglio 2023. A segnalare per prima alla magistratura le presunte violenze che si sarebbero consumate tra l’aprile 2017 e l’ottobre 2019 nel settore C del carcere, era stata la garante comunale dei detenuti Monica Gallo.

Tra gli indagati, oltre a due sindacalisti della penitenziaria accusati di rivelazione di segreto e favoreggiamento, anche l’ex direttore della casa circondariale Domenico Minervini, rimosso dall’incarico dopo l’apertura dell’inchiesta, e l’ex comandante Giovanni Battista Alberotanza, entrambi accusati di favoreggiamento e omessa denuncia. Ed entrambi, insieme ad un altro agente imputato, hanno scelto il rito abbreviato.

Roma: Arrestati tre attivisti Extinction Rebellion

Da osservatorio repressione

Tre attivisti della campagna Ultima Generazione sono state arrestati dopo aver sanzionato una sede Eni. Lo stato difende gli interesse di chi distrugge e specula e attacca chi lotta per il futuro. Solidali e complici, la lotta non si arresta.

Tre attivisti di Ultima Generazione , Laura, Michele e Chloé sono stati arrestati ieri mattina, subito dopo l’azione non violenta alla sede ENI Energy store a Roma, in via Degli Ammiragli.

Un’azione che è partita – come sempre – avvertendo chiunque fosse all’interno del locale di non avvicinarsi alle vetrate per evitare di farsi male, e invitando a uscire per una maggiore sicurezza. Si sono sedut poi sul marciapiede, gridando quello che cittadini e cittadine di tutto il mondo stanno gridando da anni: abbiamo paura, e aziende come ENI – con programmi che vanno a sostenere trivellazioni e sfruttamento di combustibili fossili, vestendosi di una finta attenzione per la crisi climatica – sono ciò che sta più di ogni altro contribuendo a una situazione di catastrofe che non potrà fare altro che peggiorare se non si agisce immediatamente.

Questa mattina il processo per direttissima. In piazzale Clodio, davanti al tribunale in cui avverrà il processo, è in corso un presidio.

Il collegamento di Radio Onda d’Urto con Beatrice attivista di Ultima Generazione Roma  Ascolta o scarica

La testimonianza a Radio Onda Rossa Ascolta o Scarica

AGGIORNAMENTO DEL POMERIGGIO DEL 20 APRILE 2022: I 3 attivisti sono stati rilasciati, ma andranno a processo il prossimo 15 settembre. Commenta la notizia a Radio Onda d’Urto Beatrice. Ascolta o scarica

Ancora sotto processo la #solidarietà. Stavolta tocca a #Baobab e #AndreaCosta

Da nonseneparla.it

Di Tiziana Barillà

Andrea Costa è un amico, un compagno, un fratello. È una brava persona, un uomo solidale. L’ho incontrato per la prima volta a Roma tanti anni fa, tra quelli che la legge delle frontiere tratta e considera “rifiuti umani”. Da allora, Andrea, l’ho sempre incontrato laddove la libertà di movimento e la solidarietà vengono sacrificate sull’altare dei confini e del business della detenzione e dei respingimenti. A Riace, nella Val Roja, a Ventimiglia. Ovunque ci sia sete di solidarietà, lui prende la macchina e arriva di corsa.

Ora Andrea è in attesa della sentenza (prevista il 3 maggio) di un processo che lo vede accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E c’è da preoccuparsi, perché l’aria che tira – garantiscono a Roma – è quella di una condanna.

Lui e gli altri componenti di Baobab sono stati intercettati e indagati per mesi, nel tentativo di accusarli di associazione per delinquere (e arrivando ad attribuire il caso alla Direzione Distrettuale Antimafia)

Ma non hanno trovato niente e adesso l’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Chi combatte il traffico di essere umani viene accusato di favorirlo. E questo mentre si finanziano i veri trafficanti, come in Libia, come in ogni luogo in cui l’Ue esternalizza repressione, respingimenti e lager.

La guerra dell’Unione Europea ai migranti è guerra anche ai solidali, considerati traditori perché non allineati alla loro legge ingiusta e disumana.

Gridiamolo dai tetti che solidarietà non è reato.

Ecco la ricostruzione di Baobab experience

Corre l’anno 2016.

Il 30 settembre, 5 giorni prima di quella intercettazione, il campo informale dove i volontari e le volontarie di Baobab portavano assistenza viene smantellato dalla Prefettura e circa 300 migranti, rifugiati e richiedenti asilo, restano privi anche dei giacigli di fortuna e degli aiuti umanitari portati dai solidali a Via Cupa.

L’accanimento di quei giorni è forte. Chi porta sostegno è allontanato e la parola d’ordine è “disperdersi” e disperdere la Comunità. 

Impossibile anche montare un telo di plastica per mettere al riparo una donna incinta: la polizia interviene con 3 camionette e 5 automobili per togliere la precaria protezione dalla pioggia di quei giorni.

Corre l’anno 2016: è il periodo in cui le ong che salvano i migranti nel Mediterraneo vengono definite “amici dei trafficanti” e “taxi del mare” e delle dichiarazioni del Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, in merito a indagini in corso sulle organizzazioni di ricerca e soccorso in mare, poi rivelatesi inconsistenti nel quasi silenzio della stampa. 

Corre l’anno 2016 e in Sudan imperversa il momento più atroce di un conflitto interno perdurante e lacerante, caratterizzato da ripetute e seriali violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani: le forze governative, guidate dal dittatore Al-Bashir, si macchiano di gravi attacchi contro i civili, incluse esecuzioni di massa, stupri, ricorso ad armi chimiche e devastazioni delle proprietà private. 

Nel 2016, il Sudan è il quinto Paese di origine per numero di rifugiati al mondo, di cui oltre il 90% si vede riconoscere la protezione internazionale.

Corre l’anno 2016 e il Ciad è uno Stato autoritario dove alla recrudescenza dell’estremismo violento ad opera del gruppo terroristico nigeriano Boko Haram si aggiunge la “risposta” delle forze di sicurezza: sequestri di persona giustificati sulla base di ragioni politiche, arresti e detenzione arbitrari in condizioni di privazione spesso inumana, grave restrizione delle libertà di parola, riunione ed espressione.

8 ragazzi sudanesi e un ragazzo ciadiano, in fuga dalle violenze dei rispettivi paesi, sgomberati, umiliati e abbandonati a Roma da un’amministrazione ostile, dopo aver saputo che il campo della Croce Rossa della Capitale è in condizioni di sovraffollamento, cercano tutela altrove. 

In quella circostanza, come in altre migliaia di circostanze simili, i volontari e le volontarie di Baobab Experience hanno offerto il loro supporto per identificare il biglietto del treno o del bus più economico, per contribuire all’acquisto dei titoli di viaggio per coloro che non possiedono le risorse economiche per sostenere il costo di un biglietto, per preparare kit con l’essenziale per affrontare lo spostamento, contenente un pranzo al sacco e prodotti per l’igiene.

Per questa condotta, Andrea Costa è equiparato dall’accusa ai tanti trafficanti che agiscono impunemente nelle Stazioni italiane e che quel biglietto se lo fanno pagare caro, anche con la vita, che vendono documentazione falsa al prezzo di una illusione e speculano sulla fragilità di persone abbandonate a loro stesse.

Se la vocazione e l’agire umanitari del Presidente di Baobab Experience, Andrea Costa, rappresentano un reato, ognuno di noi è un criminale.

Se Andrea è colpevole, lo siamo tutte e tutti.

Se Andrea è colpevole significa che l’assistenza alle persone migranti che per sette anni, donne e uomini, avvocati e studenti, medici e insegnanti, pensionati e ricercatori di Baobab Experience hanno offerto senza alcun tornaconto economico è visto alla stregua dell’agire di chi sulla pelle dei migranti si arricchisce indebitamente.

In anni di accanimento contro le ong, nessun trafficante di esseri umani è stato assicurato alla giustizia. Piuttosto si è scoperto che i capi dell’operazione militare europea fossero a conoscenza che la Guardia costiera libica, addestrata e istruita con il loro contributo, fosse coinvolta nella tratta dei migranti: situazione spregevole, di dominio pubblico ormai.

Mentre l’Italia e l’Unione Europea sono accusate di respingimenti per procura alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel Bel Paese ci si continua ad accanire contro i nemici sbagliati.

La direttiva 2002/90/CE del Consiglio – nota come “Facilitation Directive”, fornisce una definizione comune del concetto di favoreggiamento dell’immigrazione illegale e stabilisce che gli Stati membri possono introdurre una clausola umanitaria, che mette gli operatori e i volontari che prestano assistenza umanitaria al riparo dal rischio di finire sotto processo.

Ovviamente l’Italia si è ben guardata dal farlo.

Ancora oggi, nel nostro ordinamento, non è stata introdotta alcuna differenza tra trafficanti di esseri umani e solidali: viene il dubbio che il fine non sia quello di combattere la criminalità organizzata, l’abuso, il raggiro e la tratta di esseri umani. E’ invece sempre più evidente che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, così come disciplinato in Italia, voglia demonizzare – gettando fango sulle associazioni di volontariato e mortificando e scoraggiando l’aiuto umanitario – la migrazione stessa e precludere la possibilità di uomini, donne e bambini di mettersi in salvo da conflitti, violenze e fame.

INDIA: continua la guerra contro il popolo del governo del fascista indù di Narendra Modi con attacchi aerei dell’esercito nelle foreste del Dandakaranya – la denuncia del PCI (Maoista)

Condanniamo fermamente gli attacchi aerei del 15 aprile 2022 nel Dandakaranya (Sud Bastar)!

Che il popolo alzi la voce per protestare contro questo fatto!

Alziamo la voce contro gli attacchi perpetrati congiuntamente dalla polizia, dai paramilitari e dalle forze militari!

Villaggi come Kottam, Rasam, Erim, Mettagudem, Sakiler, Madpa Duled, Kannemarka, Pottemangum, Bottam, ecc. nel sud di Bastar sono stati bombardati da droni militari tra il 14 e il 15. Condanniamo fermamente questi attacchi.

Lavoratori, agricoltori, studenti, giovani, intellettuali progressisti e democratici, organizzazioni per i diritti umani, organizzazioni sociali, partiti e organizzazioni maoiste di tutto il mondo, tra cui il Chhattisgarh, devono manifestare contro questo orribile attacco, che fa parte di un’offensiva congiunta di forze paramilitari e militari. Chiediamo a tutti i lavoratori di espandere la loro presenza.

Più di 50 bombe sono state sganciate su alcuni dei villaggi e delle foreste menzionate. Il resoconto completo deve ancora arrivare. Ma, avendo preso precauzioni, le nostre forze dell’Esercito Guerrigliero popolare di liberazione (PLGA) sono sopravvissute al bombardamento questa volta. Il nostro partito non solo sostiene, ma guida le persone che vivono nelle giungle dell’India centrale e che combattono per la loro acqua, le loro foreste e i loro diritti al ijjat (potere popolare).

Mentre questi attacchi continuano, il governo fascista brahmanico Hindutva a livello Centrale, gli elementi antipopolari e anti-tribali del Chhattisgarh, la campagna di annientamento Nghera-Dalao (Coro) viene condotta sotto il mandato delle autorità guidate dal governo del Congresso contro il nostro partito, l’Esercito guerrigliero di liberazione (PLGA) e i comitati popolari rivoluzionari. I loro preparativi sono in corso dal mese scorso. I campi di polizia a Palmira, Cherla, Basaguda, Dornapal a Jagarguda e Silangar hanno già schierato un gran numero di truppe aggiuntive su larga scala di almeno 5-6 mila membri. Queste forze armate governative hanno anche un numero significativo di personale militare schierato in varie stazioni di polizia e campi sotto le spoglie di DAG (gruppi di difesa) e STF (task force speciali).

Anche i Levrieri (forze speciali di polizia) degli stati di Telangana e Andhra Pradesh partecipano all’evento su larga scala. Nei campi di Palmed, Wimpa e altri sono stati schierati diversi droni. Decine di camion hanno portato munizioni nei campi. Elicotteri all’avanguardia, droni, aerei leggeri, ecc., volano sopra le teste delle forze dell’Esercito Popolare di Guerriglia di Liberazione (PLGA) giorno e notte.

Le forze armate non permettono ai tribali che vivono nelle foreste di entrarvi. Il Mahua Binne, un’importante fonte di reddito per i tribali, viene perso a causa dei bombardamenti aerei. Il nostro partito chiede nuovamente a tutte le forze progressiste, democratiche e rivoluzionarie del paese e del mondo di costruire un movimento di protesta contro questi orribili attacchi aerei sul nostro partito e sull’Esercito Popolare Guerrigliero di Liberazione Popolare (PLGA) da parte delle istituzioni pubbliche e delle élite dominanti che sfruttano il popolo.

Il Comitato Speciale di Zona invita i lavoratori del partito, le forze dell’Esercito Guerrigliero di Liberazione Popolare (PLGA), i comandanti, i comitati pubblici rivoluzionari e le persone che hanno resistito a questi attacchi per cinque anni, a unirsi al popolo con coraggio e combattere nella guerra popolare, e a resistere all’assalto delle forze armate del governo.

Vikalp,

Portavoce

Comitato Speciale di Zona Dandakaranya,

Partito Comunista dell’India (Maoista)

Libertà per Nûdem Durak

la musicista curda Nûdem Durak è incarcerata in una prigione turca dall’aprile 2015, è stata condannata a 19 anni in due processi separati per aver eseguito canzoni curde con contenuto politico
sua madre, Hatice Durak, ha dichiarato che la salute di sua figlia è peggiorata e che attualmente soffre di gozzo e di un indebolimento delle sue ossa
Roger Waters le ha inviato una delle sue chitarre, ma l’amministrazione carceraria ha rifiutato di accettarla e di consegnarla a Nûdem
Waters ha in programma di visitare presto la Turchia per portarle di persona la chitarra firmata da numerosi artisti e musicisti
e continuare così ad attirare l’attenzione su questa ingiustizia. da anni molti eventi di solidarietà si susseguono: francobolli tedeschi con il suo ritratto, ritratti tra cui quello di Mahn Kloix, un concerto in Italia e molti musicisti hanno eseguito le sue canzoni
la Turchia del dittatore Erdogan continua a punire con processi sommari e carcere duro chi osa esprimersi liberamente
libertà per Nûdem Durak
per tutti i dissidenti
per il popolo curdo

«Femministe criminali»: le donne turche trascinate in tribunale

Da il Manifesto
TURCHIA. La procura di Istanbul chiede la messa al bando della storica piattaforma We Will Stop Femicide per «atti contro la morale». Domani (oggi) manifestazione di protesta. Intanto nel paese gli uomini uccidono una donna al giorno e l’Akp di Erdogan progetta riduzioni di pena
Chiara Cruciati
Solo a marzo in Turchia uomini hanno ucciso 25 donne. Più della metà tra le mura domestiche. Nel 2021 ne hanno ammazzate 339, praticamente una al giorno.
A tenere il conto, da 12 anni, dei femminicidi commessi in Turchia, a denunciare sparizioni forzate, a guidare le donne nei procedimenti penali e a occuparsi delle vittime di abusi e violenze è We Will Stop Femicide Platform.
ASSOCIAZIONE BATTAGLIERA, in prima linea contro le (volute) disfunzioni dello Stato turco in materia, anima delle proteste di piazza e della battaglia seguita all’uscita, nel luglio 2021, di Ankara dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne, ora quella piattaforma rischia di chiudere. Per decisione di un giudice.
La procura di Istanbul, ieri, ha formalmente accusato il movimento femminista di «agire contro la legge e la moralità», trascinandolo in tribunale.
Quell’accusa è il cappello, l’ombrello a una serie di sotto-accuse che vanno da «disintegrazione della struttura familiare ignorando il concetto di famiglia» a «compromissione della famiglia mascherandola per difesa dei diritti delle donne» fino a «forte sospetto di crimine» (sic – dopotutto per la Convenzione di Istanbul il governo turco parlò di «normalizzazione dell’omosessualità»).
NESSUNA PROVA APPARENTE ma tutte buone ragioni, agli occhi della procura, per metterlo al bando. Una guerra alle donne sotto altra forma, a cui la piattaforma ha reagito immediatamente con un comunicato: «Sappiamo che non cammineremo mai da sole di fronte a simili attacchi alla nostra lotta giusta. Facciamo appello a tutte le donne, le persone Lgbtqi+ e ai cittadini che sostengono la battaglia delle donne perché si uniscano a noi contro questa denuncia».
«Abbiamo cominciato il nostro viaggio 12 anni fa – continua la nota – Abbiamo svelato la verità dietro femminicidi sospetti. Abbiamo ottenuto leggi sulle donne. Con i dati pubblicati ogni mese, abbiamo mostrato che combattiamo per la vita. Questa denuncia non è un attacco solo alla nostra lotta, è un attacco all’intero sistema democratico». Sui social la risposta è arrivata, in tanti – tra loro politici e intellettuali – hanno preso parola a difesa di We Will Stop Femicide.
E domani (oggi) a Istanbul si scenderà in piazza a Kadikoy, una protesta che – visti i precedenti – si immagina già tesa: da anni le manifestazioni femministe sono occasione di sfoggio della violenza della polizia, con barricate, manganelli e cannoni ad acqua.
A DARNE RIPROVA è stata ieri la notizia che 40 donne, detenute l’8 marzo proprio a Kadikoy dove stavano per imbarcarsi in direzione di Taksim e la marcia femminista, sono state incriminate per «partecipazione a manifestazione illegale disarmata» e per «mancata dispersione nonostante gli avvisi».
Secondo quanto riportato da Women’s Defence Network, nell’incriminazione si scrive che la marcia (40 donne che stavano raggiungendo un battello) avrebbe bloccato veicoli e pedoni.
Nel mirino anche i contenuti dei loro cartelli: «Creiamo un mondo femminista», «Resisti con la rivolta femminista», «Non stare in silenzio, le lesbiche esistono». Agenti antisommossa, ha aggiunto l’associazione, «hanno circondato le donne e non le hanno nemmeno fatte salire a bordo».
È in tale contesto di repressione che cade il tentativo di silenziare la piattaforma femminista. Che intanto continua a pubblicare i numeri che imbarazzano il governo: nel 2021 sono state uccise in Turchia almeno 339 donne, 96 sono state stuprate (dati relativi alle sole denunce sporte), 772 costrette a prostituirsi. In 20 casi di femminicidio, l’uomo era sottoposto a ordini restrittivi.
A MARZO IL PARTITO del presidente Erdogan, Akp, ha inviato al parlamento un disegno di legge contro la violenza sulle donne, aspramente criticato dai movimenti femministi.
Tra le proposte, una riduzione della sentenza per l’uomo che mostra rimorso e un incremento nel caso sia il coniuge, senza prevedere lo stesso nel caso di fidanzati o ex.
Nessuna solida riforma né riferimenti all’eguaglianza di genere, aveva commentato Fidan Ataselim di We Will Stop Femicide: «Di recente, una donna è stata accoltellata a morte per non aver accettato una proposta di matrimonio. La Corte suprema ha ridotto la sentenza di primo grado dicendo che se avesse accettato sarebbe ancora viva. I giudici stanno già riducendo le sentenze, è inaccettabile».