Ancora sotto processo la #solidarietà. Stavolta tocca a #Baobab e #AndreaCosta

Da nonseneparla.it

Di Tiziana Barillà

Andrea Costa è un amico, un compagno, un fratello. È una brava persona, un uomo solidale. L’ho incontrato per la prima volta a Roma tanti anni fa, tra quelli che la legge delle frontiere tratta e considera “rifiuti umani”. Da allora, Andrea, l’ho sempre incontrato laddove la libertà di movimento e la solidarietà vengono sacrificate sull’altare dei confini e del business della detenzione e dei respingimenti. A Riace, nella Val Roja, a Ventimiglia. Ovunque ci sia sete di solidarietà, lui prende la macchina e arriva di corsa.

Ora Andrea è in attesa della sentenza (prevista il 3 maggio) di un processo che lo vede accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E c’è da preoccuparsi, perché l’aria che tira – garantiscono a Roma – è quella di una condanna.

Lui e gli altri componenti di Baobab sono stati intercettati e indagati per mesi, nel tentativo di accusarli di associazione per delinquere (e arrivando ad attribuire il caso alla Direzione Distrettuale Antimafia)

Ma non hanno trovato niente e adesso l’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Chi combatte il traffico di essere umani viene accusato di favorirlo. E questo mentre si finanziano i veri trafficanti, come in Libia, come in ogni luogo in cui l’Ue esternalizza repressione, respingimenti e lager.

La guerra dell’Unione Europea ai migranti è guerra anche ai solidali, considerati traditori perché non allineati alla loro legge ingiusta e disumana.

Gridiamolo dai tetti che solidarietà non è reato.

Ecco la ricostruzione di Baobab experience

Corre l’anno 2016.

Il 30 settembre, 5 giorni prima di quella intercettazione, il campo informale dove i volontari e le volontarie di Baobab portavano assistenza viene smantellato dalla Prefettura e circa 300 migranti, rifugiati e richiedenti asilo, restano privi anche dei giacigli di fortuna e degli aiuti umanitari portati dai solidali a Via Cupa.

L’accanimento di quei giorni è forte. Chi porta sostegno è allontanato e la parola d’ordine è “disperdersi” e disperdere la Comunità. 

Impossibile anche montare un telo di plastica per mettere al riparo una donna incinta: la polizia interviene con 3 camionette e 5 automobili per togliere la precaria protezione dalla pioggia di quei giorni.

Corre l’anno 2016: è il periodo in cui le ong che salvano i migranti nel Mediterraneo vengono definite “amici dei trafficanti” e “taxi del mare” e delle dichiarazioni del Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, in merito a indagini in corso sulle organizzazioni di ricerca e soccorso in mare, poi rivelatesi inconsistenti nel quasi silenzio della stampa. 

Corre l’anno 2016 e in Sudan imperversa il momento più atroce di un conflitto interno perdurante e lacerante, caratterizzato da ripetute e seriali violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani: le forze governative, guidate dal dittatore Al-Bashir, si macchiano di gravi attacchi contro i civili, incluse esecuzioni di massa, stupri, ricorso ad armi chimiche e devastazioni delle proprietà private. 

Nel 2016, il Sudan è il quinto Paese di origine per numero di rifugiati al mondo, di cui oltre il 90% si vede riconoscere la protezione internazionale.

Corre l’anno 2016 e il Ciad è uno Stato autoritario dove alla recrudescenza dell’estremismo violento ad opera del gruppo terroristico nigeriano Boko Haram si aggiunge la “risposta” delle forze di sicurezza: sequestri di persona giustificati sulla base di ragioni politiche, arresti e detenzione arbitrari in condizioni di privazione spesso inumana, grave restrizione delle libertà di parola, riunione ed espressione.

8 ragazzi sudanesi e un ragazzo ciadiano, in fuga dalle violenze dei rispettivi paesi, sgomberati, umiliati e abbandonati a Roma da un’amministrazione ostile, dopo aver saputo che il campo della Croce Rossa della Capitale è in condizioni di sovraffollamento, cercano tutela altrove. 

In quella circostanza, come in altre migliaia di circostanze simili, i volontari e le volontarie di Baobab Experience hanno offerto il loro supporto per identificare il biglietto del treno o del bus più economico, per contribuire all’acquisto dei titoli di viaggio per coloro che non possiedono le risorse economiche per sostenere il costo di un biglietto, per preparare kit con l’essenziale per affrontare lo spostamento, contenente un pranzo al sacco e prodotti per l’igiene.

Per questa condotta, Andrea Costa è equiparato dall’accusa ai tanti trafficanti che agiscono impunemente nelle Stazioni italiane e che quel biglietto se lo fanno pagare caro, anche con la vita, che vendono documentazione falsa al prezzo di una illusione e speculano sulla fragilità di persone abbandonate a loro stesse.

Se la vocazione e l’agire umanitari del Presidente di Baobab Experience, Andrea Costa, rappresentano un reato, ognuno di noi è un criminale.

Se Andrea è colpevole, lo siamo tutte e tutti.

Se Andrea è colpevole significa che l’assistenza alle persone migranti che per sette anni, donne e uomini, avvocati e studenti, medici e insegnanti, pensionati e ricercatori di Baobab Experience hanno offerto senza alcun tornaconto economico è visto alla stregua dell’agire di chi sulla pelle dei migranti si arricchisce indebitamente.

In anni di accanimento contro le ong, nessun trafficante di esseri umani è stato assicurato alla giustizia. Piuttosto si è scoperto che i capi dell’operazione militare europea fossero a conoscenza che la Guardia costiera libica, addestrata e istruita con il loro contributo, fosse coinvolta nella tratta dei migranti: situazione spregevole, di dominio pubblico ormai.

Mentre l’Italia e l’Unione Europea sono accusate di respingimenti per procura alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel Bel Paese ci si continua ad accanire contro i nemici sbagliati.

La direttiva 2002/90/CE del Consiglio – nota come “Facilitation Directive”, fornisce una definizione comune del concetto di favoreggiamento dell’immigrazione illegale e stabilisce che gli Stati membri possono introdurre una clausola umanitaria, che mette gli operatori e i volontari che prestano assistenza umanitaria al riparo dal rischio di finire sotto processo.

Ovviamente l’Italia si è ben guardata dal farlo.

Ancora oggi, nel nostro ordinamento, non è stata introdotta alcuna differenza tra trafficanti di esseri umani e solidali: viene il dubbio che il fine non sia quello di combattere la criminalità organizzata, l’abuso, il raggiro e la tratta di esseri umani. E’ invece sempre più evidente che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, così come disciplinato in Italia, voglia demonizzare – gettando fango sulle associazioni di volontariato e mortificando e scoraggiando l’aiuto umanitario – la migrazione stessa e precludere la possibilità di uomini, donne e bambini di mettersi in salvo da conflitti, violenze e fame.