Coca Cola di Nogara: la polizia carica i manifestanti per difendere il profitto di pochi sull’interesse di tanti

Attiviste e attivisti di Rise Up 4 Climate Justice e Adl Cobas hanno manifestato questa mattina davanti allo stabilimento della Coca Cola di Nogara, una fabbrica che estrae quasi un miliardo e mezzo di litri d’acqua all’anno dalla vicina falda a un prezzo poco più che gratuito, guadagnando milioni che, grazie a un sistema di holding, vanno tutti in paradisi fiscali. Basti pensare che il prezzo a metro cubo pagato dalla multinazionale è di circa 1 centesimo, mentre il costo medio dell’acqua per l’utilizzo domestico è di circa 1 euro e 37 centesimi a metro cubo.

Rise Up Adl Cobas Coca Cola

La cosa, già di per sé scandalosa, assume ancora più gravità in questa fase storica che vede la crisi climatica diramare prepotentemente i suoi effetti sulle condizioni materiali di vita delle persone. Mai prima d’ora l’Occidente era stato in preda a una siccità su così larga scala ed a una reale carenza di acqua, dovuta in particolare ai disequilibri nella sua gestione. Governo e istituzioni locali si stanno apprestando infatti a varare misure di razionamento idrico per la popolazione, mentre ci sono multinazionali come la Coca Cola che la sprecano senza alcun limite. Ed è proprio al grido di “riappropriamoci dell’acqua bene comune”, che i manifestanti si sono avvicinati ai cancelli con alcuni cubiteni vuoti (l’obiettivo simbolico era quello di riempirli di acqua appunto per riappropriarsene) e sono stati caricati dalle forze dell’ordine.

Lo stabilimento della Coca Cola di Nogara (VR) è uno dei più limpidi esempi di estrattivismo nel nostro Paese. La fabbrica – già nota per condizioni di sfruttamento e precarietà a cui sono sottoposti i lavoratori – si avvale di concessioni che la stessa regione non ha mai voluto rinegoziare: meno di due anni fa un decreto del direttore della Direzione Ambiente escludeva addirittura l’azienda dalla procedura di V.I.A., rinnovando a tempo indeterminato l’uso delle derivazioni di acque sotterranee.
La Coca Cola continua a estrarre, sfruttare, produrre e incassare. «L’Adl Cobas nel 2017 aveva aperto in questo stabilimento contro il licenziamento di 40 persone» dice un rappresentante sindacale, «oggi siamo qua per altre ragioni, ma la logica è sempre la stessa perché stiamo parlando di sperpero di risorse pubbliche connesso a un grave sfruttamento del lavoro e dei beni naturali».

Nulla di più iniquo e diseguale, eppure si continua a non prendere alcun provvedimento. È la medesima logica “dell’emergenza”, che scarica verso il basso costi e responsabilità della crisi, che abbiamo visto palesarsi più volte negli ultimi anni, dalla pandemia alla guerra, passando per il “cambio” di modello energetico. «Forse è questa la “transizione” che hanno in mente i governi e le multinazionali: un nuovo grande terreno di accumulazione, a discapito di quella fetta di popolazione povera che si è fatta sempre più grande» dice un attivista di Rise Up 4 Climate Justice, che prosegue «nei giorni passati il Parlamento europeo ha approvato la nuova tassonomia che vedrà gas ed energia nucleare essere annoverate tra le rinnovabili. Questo, come lo sfruttamento incondizionato delle risorse del pianeta, è un altro passo verso la completa devastazione ecologica».

Coca Cola è solo una delle tante multinazionali del territorio che usano un bene comune a scopi industriali, continuando a mettere a profitto risorse sempre più scarse. Uno dei casi da poco emersi nelle cronache locali è quello di Acqua Vera a San Giorgio in Bosco, in provincia di Padova. L’azienda, che appartiene alla Nestlé, ha appena annunciato di voler creare un nuovo polo di imbottigliamento di oltre 37 mila metri quadri, raddoppiando di fatto la produzione.

E questo avviene nonostante 11 anni fa un referendum ha sancito che non ci potesse essere più alcun margine di business per l’acqua e che qualsiasi scelta sul servizio idrico dovesse passare attraverso il pieno controllo democratico. Non solo questo non è mai avvenuto, ma il trend a cui stiamo assistendo è l’esatto opposto: l’acqua sta diventando il simbolo della negazione della democrazia.

Ed è per questa ragione che Adl Cobas e Rise Up 4 Climate Justice annunciano che non si fermeranno nelle mobilitazioni per difendere un bene che le stesse Nazioni Unite definiscono “un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”.