Caso Cospito: “dichiaro di interrompere lo sciopero della fame”. Ma la battaglia contro la repressione, contro il carcere tortura/assassino deve continuare, ancora più forte

Dopo 181 giorni, Alfredo Cospito ha deciso di interrompere lo sciopero della fame contro il 41bis, iniziato il 20 ottobre 2022. Lo ha comunicato lui stesso su un modello prestampato a disposizione dei detenuti e in cui ha scritto: “Dichiaro di interrompere lo sciopero della fame” dopo 6 mesi di protesta, in cui ha perso 50 chilogrammi, con diversi problemi cardiaci e neurologici che ora andranno seguiti con molta attenzione e cura.

Solo ieri, martedì 18 aprile, la Consulta aveva bocciato come “illegittimo” il divieto alle attenuanti contro Cospito e Anna Beniamino, altra esponente anarchica sotto processo a Torino per le due bombe carta del 2006 fuori dalla scuola per allievi ufficiali carabinieri di Fossano, Cuneo, senza vittime nè feriti. La decisione della Consulta, oltre a segnare un punto di diritto universale, dovrebbe chiudere le porte alla richiesta di ergastolo per lo stesso Cospito, comunque per ora sottoposto ancora al 41 bis, istituto penale messo pubblicamente sotto accusa in questi mesi con uno degli scioperi della fame più lunghi mai realizzati in Italia.

Intanto i legali di Cospito hanno presentato un nuovo ricorso alla Corte di Strasburgo, questa volta contro direttamente il regime del 41bis. Nel ricorso si sostiene che sono stati violati diversi diritti di Cospito, tra cui quello a non essere sottoposto a maltrattamenti, perché “il regime differenziato applicato a Cospito è disumano per il suo carattere afflittivo, la sua illegittimità e sproporzione”.

Sulla vicenda l’avvocato di Cospito, Flavio Rossi Albertini, ha diffuso il seguente comunicato:

Comunicato stampa sulla vicenda involgente Alfredo Cospito

Era il 20 ottobre 2022 quando Alfredo Cospito, nel corso della prima udienza alla quale aveva diritto a partecipare dopo il suo trasferimento al 41 bis del 4 maggio 2022, dichiarava di voler iniziare uno sciopero della fame.

Le ragioni della protesta risiedevano nella aspra critica propugnata dall’anarchico contro il regime del 41 bis e l’ergastolo ostativo.

Dal 20 ottobre sono ormai trascorsi 181 giorni nei quali il Cospito, attraverso il suo corpo sempre più magro e provato, ha svelato cosa significhi in concreto il regime detentivo speciale: illogiche privazioni imposte ai detenuti, aspre limitazioni prive di una legittima finalità, deprivazione sensoriale, un ambiente orwelliano in cui si è costantemente osservati e ascoltati da telecamere e microfoni. Ed ancora, impossibilità di leggere, studiare ed evolvere culturalmente e di ricevere libri e riviste dall’esterno anche quando inviati da case editrici, detenuti anziani ai quali viene impedito per decenni di abbracciare, anche solo toccare la mano, di figli, coniugi, fratelli…

Grazie alla protesta di Cospito, alle mobilitazioni del variegato mondo dell’attivismo politico extraparlamentare, al movimento anarchico, agli intellettuali schieratisi a sostegno delle ragioni della protesta, al mondo dei media che ha permesso la veicolazione di questi scomodi argomenti nelle case delle persone, milioni di soggetti, tra cui soprattutto le nuove generazioni, hanno compreso l’incompatibilità del 41 bis o.p. con i principi di umanità della pena e quindi con la Costituzione nata dalla lotta antifascista.

Grazie alla vicenda Cospito, il 41 bis è sempre meno tollerato da una opinione pubblica che in questi mesi è stata chiamata ad un ruolo attivo che superasse e bandisse l’indifferenza nei confronti dell’altro. A questo risultato immediato se ne deve però aggiungere un altro ossia la dichiarazione di ricevibilità e conseguente registrazione del ricorso proposto dall’avv. Antonella Mascia di Strasburgo e dallo scrivente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, avente proprio ad oggetto il regime penitenziario differenziato previsto dall’articolo 41-bis O.P.

Il ricorso, nel quale sono state lamentate gravi violazioni della Convenzione EDU, verrà valutato nel merito nel termine di due o tre anni (tali sono i tempi di una pronuncia) e potrebbe rappresentare il grimaldello giuridico che bandirà lo strumento inumano del 41 bis, così come avvenuto nel caso dell’ergastolo ostativo.

Da ultimo, ma non per minore importanza, l’oggettiva vittoria conseguita con la decisione di ieri, 18 aprile 2023, della Corte Costituzionale che, da quanto si apprende dal comunicato diffuso, non ha soltanto deciso sulle sorti del detenuto anarchico, ma ha compiuto una dichiarazione di incostituzionalità del divieto di prevalenza di tutte le attenuanti, nei confronti della recidiva reiterata, per tutti i reati la cui pena edittale sia fissa e contempli il solo ergastolo.

Conclusivamente la lotta intrapresa da Cospito può dirsi abbia raggiunto gli obiettivi prefissati, i tempi di attesa della decisione della Cedu, a differenza di quelli molto più contenuti della Consulta, non sono infatti compatibili con lo sciopero della fame mentre la decisione di Strasburgo merita di essere attesa.

Quindi Alfredo Cospito, trascorsi 180 giorni di digiuno e dopo aver esposto a rischio la propria vita, essere dimagrito 50 chilogrammi e aver ormai irrimediabilmente compromesso la propria funziona deambulatoria dovuta allo scadimento irreversibile del sistema nervoso periferico, il 19 aprile 2023 ha deciso di porre fine allo sciopero della fame. Ciò facendo, il medesimo, ringrazia tutti e tutte coloro che hanno reso possibile questa tenace quanto inusuale forma di protesta.

Avv. Flavio Rossi Albertini

Per Alfredo Cospito prima incrinatura contro la linea forcaiola/assassina di Governo, Nordio, Stato. Bene! Ora avanti, la battaglia continua

La Corte Costituzionale ha deciso che Cospito non può essere condannato all’ergastolo
Fuori Alfredo dal 41 bis ORA!

(da Repubblica) 

La Consulta dà ragione all’anarchico: “Incostituzionale non riconoscere le attenuanti

Alla Consulta hanno vinto Alfredo Cospito e il suo avvocato Flavio Rossi Albertini. La Corte costituzionale apre dunque la via per uno sconto di pena all’anarchico, facendo cadere la norma che avrebbe vincolato la Corte d’assise d’appello di Torino a condannarlo necessariamente all’ergastolo per l’attentato alla Scuola allievi carabinieri di Fossano del 2006.

La pena “rigida” dell’ergastolo chiesta dalla Cassazione ai giudici di Torino dovrà invece tenere conto delle circostanze attenuanti. Perché, scrive la stessa Corte nel rendere nota la sua decisione appena assunta, “il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti” previsto dall’articolo 69 del codice penale che disciplina la gradazione delle pene.

Bocciato come  “costituzionalmente illegittimo” l’articolo del codice “nella parte in cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell’ergastolo”.

L’avvocato di Cospito: “Finalmente una buona notizia, restituita dignità alle questioni giuridiche sottese alle vicende umane, non ultima quella di Alfredo Cospito”.

Netta sconfitta per l’Avvocatura dello Stato che ancora stamattina (ieri ndr) aveva sostenuto l’assoluta rigidità del codice nel vietare le attenuanti, soprattutto per un reato come quello di Cospito. E sconfitta anche per il governo e per il Guardasigilli, Carlo Nordio, che si era pronunciato per mantenere il regime del 41 bis. Ma sconfitta pure per la stessa Corte di Cassazione che non solo a luglio aveva chiesto di contestare a Cospito il reato di strage, quindi senza attenuanti, ma un mese fa ha anche confermato il regime del 41 bis deciso dal tribunale di sorveglianza..

 A Fossano non ci furono né morti né feriti, ma solo danni. Per questo, secondo la Corte d’appello di Torino, si sarebbe potuta riconoscere l’attenuante dei fatti di lieve entità, riducendo la pena di un terzo.

Opposta l’opinione dell’Avvocatura dello Stato che ha sposato in pieno la tesi della Cassazione, e cioè la “strage politica”, e quindi il reato più grave, il 285 del codice penale che obbliga i giudici a comminare la pena dell’ergastolo. Ovviamente per l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta in udienza le posizioni del governo che ha preso posizione altrettanto dura su Cospito come il Guardasigilli Carlo Nordio confermando il 41 bis, chi attenta alla sicurezza dello Stato commette uno “tra i reati più gravi in una democrazia”…

Palermo: studentessa condannata per aver invitato gli studenti a partecipare ad un corteo contro l’alternanza scuola-lavoro

Studentessa palermitana condannata per aver  “istigato” un certo numero di studenti a partecipare ad un corteo in programma a Palermo da piazza Politeama a piazza Verdi: il caso viene raccontato dall’Ansa e riguarda la studentessa Ludovica Di Prima per un fatto accaduto il 4 febbraio dell’anno scorso.

Per la questura Ludovica Di Prima era la “promotrice” di una manifestazione organizzata dal coordinamento Studenti Palermitani per protestare contro l’alternanza scuola-lavoro, protesta attivata anche dopo la morte di due ragazzi durante degli stage.
La notizia è stata data in una conferenza stampa nel Laboratorio Sociale Malaspina.
L’imputata è stata condannata alla pena base di 110 euro e 5 giorni di arresto, convertita in una multa complessiva di 660 euro per aver violato i decreti anti Covid, che autorizzavano solo presidi statici.

“La responsabilità penale di una libera scelta di espressione del dissenso, condivisa da tutta la piazza, ricade secondo la Questura unicamente su una singola persona” ha detto la studentessa che ha aggiunto: “Il divieto, arrivato la sera prima della manifestazione, veniva giustificato coi famosi decreti anti Covid e dunque con la ‘scusa’ della diffusione del contagio, anche se ormai da tempo non vi erano più restrizioni in molti ambiti della vita pubblica”.

La studentessa è stata condannata con un decreto penale e quindi senza un normale processo penale che le avrebbe dato almeno la possibilità di difendersi.

Ludovica Di Prima ha ancora detto: “A un anno da quelle manifestazioni in cui migliaia di giovani in tutta Italia mettevano in discussione un modello di scuola che manda gli studenti a morire in posti di lavoro insicuri, le rivendicazioni sono rimaste inascoltate e l’unica risposta è stata la repressione. La libertà di dissenso in uno Stato che si finge democratico è, dunque, garantita solo se compatibile con le scelte politiche dei governi”.

da La tecnica della scuola

Più manette e carcere, la proposta di FdI contro lo spaccio e detenzione di “lieve entità”

Da Osservatorio repressione

Più manette, più carcere. Dopo la “grande emergenza” dei rave e degli ecologisti che imbrattano i muri, Fratelli d’Italia punta ora ad un nuovo giro di vite: questa volta obiettivo è la droga, spaccio ma soprattutto possesso, mentre nel resto d’Europa il trend è quello della liberalizzazione

Una proposta di legge depositata alla Camera dalla deputata Augusta Montaruli, vicepresidente nella commissione di Vigilanza Rai e dimessasi a febbraio da sottosegretaria all’Università dopo la condanna definitiva per peculato nell’inchiesta “rimborsopoli” piemontese, innalza a cinque anni la pena massima per chi è responsabile di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope se il fatto è di “lieve entità”.

Il testo, visionato dall’ agenzia stampa Adnkronos, è stato presentato a Montecitorio da Montaruli e introduce delle modifiche agli articoli 73 e 85 bis del decreto del Presidente della Repubblica 309/1990 in materia di stupefacenti.

Attualmente la legge in vigore prevede, nel caso in cui il fatto contestato sia di “lieve entità”, una reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro. Per la Montaruli però si tratta di pene troppo leggere, così infatti la cornice normativa attuale “rende al momento impossibile applicare la misura cautelare in carcere”, “essa si rende tuttavia necessaria allorquando la condotta tipica del reato per le modalità dell’azione determini, nonostante la lieve entità, un fenomeno criminoso comunque grave con il ritorno dello spacciatore – impropriamente comunemente chiamato piccolo spacciatore – sulla strada“, viene spiegato nella relazione che accompagna la proposta di legge.

La proposta quindi è quella di alzare la pena massima, così da buttare in cella più persone. Per l’ex sottosegretaria all’Università è “indispensabile conferire alla magistratura giudicante questo ulteriore strumento per arginare la reiterazione del delitto quando gli elementi de facto a seguito di una puntuale e attenta valutazione siano tali da richiederne l’applicazione”.

Il secondo articolo del provvedimento allarga la possibilità di confiscare gli stupefacenti anche ai casi di lieve entità. La norma attuale – si legge sempre nel testo – risulta infatti irragionevole dal momento che la lieve entità seppur caratterizzata da una minore circolazione del denaro non considera che esso deriva comunque da una condotta criminosa che non può che assumere contorni sempre più gravi quando non viene sottratto all’agente il fine ultimo del delitto ovvero una forma di guadagno proveniente da reato“.

Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, associazione per la riforma delle politiche sulle droghe con status consultivo alle Nazioni Unite, interviene alla proposta di legge dell’On. Montaruli di Fratelli D’Italia per la modifica del Testo Unico sulle droghe con l’innalzamento della pena massima per fatti di lieve entità (art. 73, comma quinto):

“Chi oggi propone un aumento delle pene per i fatti di lieve entità sulle droghe costruisce il suo castello repressivo sul mito che gli spacciatori non finiscano mai in galera.

Peccato che nella realtà sia esattamente il contrario: le nostre carceri sono piene zeppe di persone accusate di spaccio, per lo più pesci piccoli. La legge sulle droghe è il principale veicolo di ingresso in carcere e quindi causa del sovraffollamento carcerario: il 35% dei detenuti lo è per effetto del Testo Unico sulle droghe. È il doppio della media europea (18%), molto di più di quella mondiale (22%) e di paesi che non sono certo teneri sulle droghe, come la Russia (29%).

Si tratta quindi di una crociata puramente ideologica. Che avviene mentre tutti gli organismi internazionali segnalano la necessità di depenalizzare le condotte meno gravi, il comitato dell’ONU contro le detenzioni arbitrarie denuncia come “alcuni Stati sono andati oltre quanto è richiesto dai trattati sul controllo delle droghe in termini di criminalizzazione e sanzioni associate, mentre altri hanno dimostrato uno zelo eccessivo nell’applicare le previsioni di criminalizzazione” e il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite ha richiamato formalmente l’Italia per l’eccessiva criminalizzazione della normativa sulle droghe.

Solo chi continua a indossare i paraocchi non vede come la guerra alla droga, fondata su repressione e codice penale – con pene draconiane come quelle della legge italiana – non solo abbia fallito clamorosamente nei suoi obbiettivi – la riduzione di domanda e offerta di droghe illegali – ma abbia generato più danni di quelli delle sostanze stesse, a partire dalla violazione dei diritti umani in tutto il mondo, Italia compresa.

È ora di cambiare rotta. Per fortuna anche in Europa si comincia a respirare aria di cambiamento, dopo l’annuncio tedesco di riforma delle politiche sulla cannabis nel senso della decriminalizzazione subito e della regolamentazione legale poi. La politica italiana non faccia finta di niente.”

Appello alla solidarietà con i movimenti dei disoccupati 7 novembre e Cantiere 167 Scampia

SCRIVIAMO QUESTO APPELLO RIVOLGENDOCI ALLA SOCIETÀ CIVILE TUTTA, AL MONDO ACCADEMICO, AL MONDO DELL’INFORMAZIONE, AI GIURISTI E ALLE GIURISTE, AGLI ARTISTI E ALLE ARTISTE, AGLI E ALLE INTELLETTUALI

Ancora una volta i Movimenti di lotta “Disoccupati 7 Novembre” di Napoli e “Cantiere 167” Scampia – dall’estate scorsa, per decisione collettiva hanno unificato le proprie istanze – sono sotto attacco.

Da quasi 10 anni questi movimenti si battono per la conquista di un lavoro stabile e sicuro o di un salario garantito, vivendo del protagonismo collettivo di padri e madri che il lavoro lo hanno perso, di famiglie che soffrono l’inflazione alle stelle o che patiscono la distruzione totale di ogni forma di welfare, di uomini e donne che lottano ogni giorno per mettere il piatto a tavola o che fanno i salti mortali per pagare affitti da rapina.

Una lotta condotta da chi prova a emanciparsi dalla marginalità sociale ed anche dalle reti facili della criminalità presenti nei quartieri popolari e periferici della città di Napoli. Le stesse periferie – Traiano, Soccavo, Quartieri, Sanità, Bagnoli, Scampia, Montesanto – nelle quali i disoccupati e le disoccupate si impegnano quotidianamente per sviluppare forme di solidarietà e di socialità senza scopo di lucro, in territori abbandonati al degrado ed alla speculazione.

Fin dalla sua nascita, questo movimento di disoccupati e disoccupate ha avuto il merito di denunciare come le molteplici emergenze che affliggono il territorio partenopeo – ambiente, rifiuti, messa in sicurezza delle aree a rischio idrogeologico e vulcanico, decoro urbano, tutela del patrimonio artistico, assistenza sociale e sanitaria, evasione scolastica – richiederebbero un vero e proprio piano straordinario di investimenti pubblici e di assunzioni finalizzate ad attività socialmente utili e necessarie e/o al ricambio degli organici attuali, in larga parte composto da lavoratori prossimi all’età pensionabile. Attraverso iniziative pubbliche o di approfondimento, è stato messo in luce come ciò venga impedito sia dalle politiche di tagli alla spesa pubblica, sia da una gestione delle risorse (vedi PNRR) orientata unicamente ad alimentare il circolo vizioso degli appalti e dei subappalti, cioè la fame di profitti dei privati e delle clientele connesse alle consorterie istituzionali che di volta in volta si alternano al potere.

La storia del Movimento “Disoccupati 7 Novembre” e del “Cantiere 167 Scampia è la storia di una lotta condotta da sempre alla luce del sole e senza “scheletri nell’armadio”. Essa ha il merito di essere diventata un presidio di democrazia diretta per l’accesso al lavoro, uno spazio di crescita per molti disoccupati e molte disoccupate e per chi ha sempre vissuto combattendo contro la miseria, in una città che ha fatto del clientelismo, del mercimonio e del voto di scambio le uniche vie per ottenere un’occupazione stabile. Ogni incontro istituzionale, ogni momento di piazza, ogni proposta, è stato discusso/ragionato/comunicato collettivamente in assemblee, dibattiti, aggiornamenti, pubblici e interni al movimento.

Nel corso di questi anni il Movimento dei/delle disoccupati/e ha incontrato numerose volte il vescovo di Napoli, Mimmo Battaglia, in sedi istituzionali Prefetti, Sindaci, delegati di ogni ente locale, ha partecipato ai tavoli organizzati con i ministri del Lavoro e ha interloquito perfino con la segreteria del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Deputati e senatori della Repubblica si sono espressi per sollecitare una soluzione alla vertenza dei disoccupati, oggi dichiarati/e come delinquenti da settori di quegli stessi organi dello stato.

Neanche un mese fa, dopo numerosissimi tavoli ed incontri inter-istituzionali, i Movimenti dei disoccupati erano in attesa degli ultimi adempimenti per poter iniziare ad intravedere l’inizio di un percorso di formazione e di inserimento al lavoro in progetti di pubblica utilità nei settori della tutela dell’ambiente, del territorio, della città e del potenziamento dei servizi sociali.

Un impegno puntualmente slittato per motivi mai chiariti.

Senza neanche degnarsi di avvisare, di comunicare le ulteriori problematiche emerse, di capire quali fossero le alternative tecniche su cui si stesse discutendo, le istituzioni locali si sono assunte le responsabilità di lasciare per strada senza notizie oltre 600 giovani, famiglie, mamme e padri dalla mattina alla sera.

Non solo mancano risposte concrete ma poi, ultimo in ordine il presidente della Regione, si attacca questa lotta collettiva definendola violenta, banalizzando e minimizzando una storia di dignità ed emancipazione collettiva oltre che anni di passaggi di impegni istituzionali di tavoli, incontri, confronti.

All’immobilismo istituzionale e alle continue provocazioni, si affianca una escalation repressiva fatta di multe, denunce, procedimenti di vario tipo, fino all’indagine per “Associazione a delinquere” che ha colpito alcuni/e appartenenti alla platea.

Dinanzi a tutto ciò si risveglia una sensazione, mai sopita, di inquietudine e una consapevolezza poco gradita: chi oggi chiede risposte concrete alle tante emergenze che affliggono centinaia di migliaia di persone, o non viene ascoltato o viene trattato come un soggetto dalla pericolosità sociale, indagato/a e perseguita/o come tale.

In un momento di crisi economica e sociale drammatica le istituzioni, invece di dare risposte concrete al disagio sociale, alla disoccupazione, alla precarietà ed al lavoro nero, criminalizzano e reprimono chi si organizza per emanciparsi dalla povertà e dalla marginalità tramite la lotta.

Alla luce di questa situazione ci chiediamo: è contro la legge manifestare e mobilitarsi per il riconoscimento del diritto al lavoro sicuro e retribuito? È forse contro la legge il tentativo di tanti e tante di provare a sottrarsi alla marginalità sociale, vera e propria piaga che condanna ad una vita infernale fasce sempre maggiori della popolazione a Napoli come altrove?

Dinanzi agli spot e alle infinite produzioni audiovisive che stanno raccontando Napoli e la stanno rilanciando ulteriormente come vetrina da turismo di ogni tipo, e alle serie TV e film che spopolano nel raccontare la Napoli dei bassifondi piena di ragazzi difficili e sfortunati, spesso limitandosi solo a una narrazione superficiale e parziale di queste storie, come è possibile che continuino a mancare interventi strutturali che favoriscano l’emersione dalla marginalità e la costruzione reale di alternative individuali e collettive per i “dannati della metropoli”?

Il movimento dei disoccupati organizzati ha dimostrato che è possibile costruire un’alternativa alla violenza, all’isolamento, alla precarietà, ai destini segnati di migliaia di senza-lavoro.

Questa esperienza è oggi duramente sotto attacco.

La determinazione di tutta la platea è un dato di fatto, ma da sola non può bastare.

Ci rivolgiamo quindi a chi ritiene inaccettabile l’atteggiamento delle istituzioni e l’accanimento repressivo, a chi guarda alla necessità di schierarsi al fianco di chi legittimamente combatte per un salario e una vita dignitosa.

Siamo convinti/e che sia necessaria una presa di parola collettiva rispetto a tutto ciò.

La risposta, in questi casi, deve essere sociale e collettiva. L’ isolamento è la più grande arma del potere: non lasciamo nessuno e nessuna da sola/o a portare avanti la propria vertenza.

Facciamo appello a tutte le istituzioni – governo nazionale, regione Campania, città metropolitana e comune di Napoli – affinché operino concretamente per far sì che questa vertenza si sblocchi nel più breve tempo possibile.

Chiediamo ai giudici del Tribunale di Napoli-sezione penale incaricati di esprimersi sui capi di accusa a carico del movimento dei disoccupati, di valutare attentamente il contesto sociale, le ragioni e le finalità di rango costituzionale in nome delle quali si sono svolte le iniziative e le manifestazioni oggetto di rinvio a giudizio, e dunque si esprimano per un’assoluzione.

Come già fatto altre volte, ci rivolgiamo nuovamente ai giornalisti e alle giornaliste, interessate/i a raccontare la storia collettiva del Movimento “Disoccupati 7 Novembre” e del “Cantiere 167 Scampia” e a chiunque, in giro per l’Italia, voglia confrontarsi con i/le protagonisti di questa lotta oggi sotto attacco.

Per chiunque volesse sottoscrivere l’appello può inviare la propria adesione:

– Inviando una mail all’indirizzo di posta elettronica “mov7nov@gmail.com”

Cantiere 167 Scampia

Movimento di Lotta – Disoccupati “7 Novembre

Sabato 22 aprile – Presidio al carcere di L’Aquila

Stando all’ultimo rapporto del garante nazionale di chi è privato/a della libertà, pubblicato a fine marzo, sono 740 le persone detenute in 41 bis, tra cui 12 donne. Nel carcere di L’Aquila, l’unico ad avere una sezione femminile di quel regime di totale isolamento, sono rinchiuse ben 150 persone. Il numero più alto di tutti gli altri 60 reparti distribuiti in 12 carceri.
E’ stato detto più volte, la lotta portata avanti con il proprio corpo da Alfredo, compagno anarchico, ha disvelato cosa si nascondeva dietro ciò che è stato definito, sin dalla sua nascita, uno strumento magari un po’ contraddittorio ma necessario ai fini della “democratica” lotta alla criminalità organizzata, della eroica lotta dei paladini del “bene” contro il “male”.
Il 41bis si è rivelato essere ciò che realmente è: un regime carcerario che vuole silenzio, non solo al suo interno ma anche intorno a sé.
Nato come provvedimento emergenziale si è trasformato gradualmente in prassi, sino ad essere normato come luogo di sperimentazione di tutte quelle pratiche e restrizioni che servono a dividere ed indebolire
l’intera popolazione carceraria. Dal divieto della parola, della socialità, della corrispondenza, dei rapporti familiari al divieto della lettura. Luogo di esasperazione del carcere in cui tutto può succedere e divenire consuetudine.
Ciò che finalmente è emerso è la brutalità del 41bis, agghiacciante nella sua “logica” regolamentare e di giustificazione autoassolutoria.
Strumento ritorsivo e di annichilimento della volontà, identità e dignità della persone a cui è applicato.
E poiché, per altro, tale condizione può aver fine solo attraverso la collaborazione con lo Stato e le sue forze repressive, ecco che definire il 41bis uno dei moderni strumenti di tortura, non può avere il sapore di una spropositata enfatizzazione. Resti chiuso/a lì dentro fino a che non ti dissoci, fino a che non collabori. Tutto il resto, la privazione più totale delle relazioni e sensazioni, non ha importanza: sei un numero e devi imparare ad accettarlo e far tua questa consapevolezza.
Emblematica la decisione di applicare ad Alfredo il 41bis.
Siamo nel pieno di una guerra esterna, questa volta molto vicina a noi.
Si profilano mutate strategie geopolitiche, scontri egemonici per l’accaparramento di risorse. Pioggia di miliardi per i signori della guerra, per chi finanzia l’industria delle armi e la ricostruzione dei territori, miseria e lutto per gli/le esclusi/e.
La indotta crisi economica e sociale può portare con sé le condizioni affinché il dissenso cresca e si trasformi in qualcosa che vada a modificare, magari ribaltandoli, gli equilibri sempre più fragili che stanno alla base del sistema di sfruttamento che ha portato al peggioramento delle condizioni di vita: lavoro, sanità, scuola e ambiente sono ormai ridotti allo stremo.
Per questo è necessario che alla guerra esterna venga affiancata una guerra interna, ormai sempre più evidente: propaganda, paure e razzismo sono la ricetta che i governi vari propongono per allontanare l’incubo dei conflitti interni.
È necessario, al fine di promuovere ulteriori strette repressive che arriveranno a colpire anche il dissenso dei più sinceramente democratici, creare un nuovo nemico interno. Lasciare morire Alfredo, esaspera ed esaspererà gli animi dei solidali che si mobilitano, per poi poter tuonare sulla “intollerabile violenza” rappresentata da qualche incendio, vetrina rotta o scritta sul muro. Tutte le azioni di rabbia e solidarietà saranno tacciate di “terrorismo”.
L’obiettivo: “colpirne uno per educarne 100”. Isolare, controllare e intimidire al fine di prevenire qualsiasi espressione di protesta contro le politiche di uno Stato che ha, per esempio, come ministro della difesa un mercante d’armi che ci sta portando a passi da gigante verso una guerra nucleare.
Per chi non ci sta, non si sottomette, sono pronti sgomberi, licenziamenti, repressione e carcerazione, di cui il 41bis è il fiore all’occhiello e punta dell’iceberg.
Il carcere di L’Aquila, con la sua quasi totalità di persone detenute in 41bis, rappresenta la quintessenza della cinica e sprezzante arroganza di chi sta fagocitando le nostre vite. Di chi porta avanti politiche di annientamento corporeo e mentale. Di chi è responsabile di stragi in mare, nelle strade, nei luoghi di lavoro e non ultimo nelle carceri.
La lotta contro il 41bis, che ha acquisito maggior respiro da quando Alfredo ha iniziato lo sciopero della fame, non può prescindere dal farla conoscere a chi quel regime lo vive sulla propria pelle.
Rompiamo l’isolamento.
Tutte e tutti a L’Aquila – sabato 22 aprile ore 15 – PRESIDIO AL CARCERE

Nuova giornata per la liberazione dei prigionieri palestinesi – manifestazione a Parigi


AUX PRISONNIERS POLITIQUES ET RÉVOLUTIONNAIRES, FLAMBEAUX DE LA RESISTANCE !

LUNDI 17 AVRIL 2023 – 18H – RASSEMBLEMENT AU MÉTRO MÉNILMONTANT (11e)

« La solidarité, toute la solidarité avec les résistants dans les geôles sionistes et dans les cellules d’isolement au Maroc, en Turquie, en Grèce, aux Philippines et ailleurs de par le monde ! ». Ce mot d’ordre, ceux qui le connaissent, l’associent instantanément et automatiquement à la parole de Georges Abdallah. C’est, en effet, un des mots d’ordres clés qui clôt depuis des années chacune des déclarations de notre camarade.

Pour Georges Abdallah, ce mot d’ordre n’est pas que parole : comme pour tous les combats qu’il a menés durant toute sa vie, le verbe va inéluctablement de pair avec l’action. Cette dialectique de la théorie et de la pratique jalonne l’ensemble de son expérience et de sa lutte et on ne compte plus les occasions – avant naturellement mais aussi pendant ses très longues années de détention – où cette solidarité clamée s’est aussi traduite dans les actes.

Ce 17 avril 2023 prochain – journée des prisonniers palestiniens et des prisonniers politiques – sera une nouvelle occasion qui nous sera donnée pour exprimer notre soutien inconditionnel à la lutte héroïque du peuple palestinien et en particulier notre entière solidarité avec la lutte armée que mènent les lionceaux de cette résistance contre l’occupant sioniste. Ce 17 avril 2023 prochain sera une nouvelle occasion qui nous sera donnée pour exiger aussi la libération des flambeaux de cette résistance tombés aux mains de l’ennemi : celle de tous les prisonniers palestiniens, de Walid Dakka en particulier dont l’état de santé est désormais alarmant et de notre camarade Georges Abdallah détenu par l’Etat français depuis maintenant plus de 39 ans.

Et à ce titre, nous appelons donc toutes les organisations amies et tous les soutiens de la Palestine et de notre camarade Georges Abdallah à participer au rassemblement que la Campagne Unitaire organisera au métro Ménilmontant, place Jean Ferrat, en ce lundi 17 avril 2023, à partir de 18h.

Ensemble Camarades, et ce n’est qu’ensemble que nous vaincrons !

La solidarité, toute la solidarité avec les résistants dans les geôles sionistes et dans les cellules d’isolement au Maroc, en Turquie, en Grèce, aux Philippines et ailleurs de par le monde !

Liberté pour Georges Abdallah, pour Walid Dakka, pour tous les prisonniers palestiniens et pour tous les prisonniers révolutionnaires !

Paris, le 13 avril 2023

Campagne unitaire pour la libération de Georges Ibrahim Abdallah