G8 di Genova 20 anni dopo: “Non ‘mele marce’ ma un problema strutturale”. La giustizia o è proletaria o non è. Fuori i compagni dalle galere!

Sono passati esattamente 20 anni dai gravi episodi del G8 di Genova, con la violenza brutale e assassina delle forze dell’ordine sia nelle strade, sia alla scuola Diaz, sia alla caserma di Bolzaneto.

Di quella violenza di stato, di quelle torture impunite si è alimentata da un lato l’ideologia della “polizia buona, ingannata dalle mele marce”, dall’altro l’introiezione di gran parte del movimento di  quell’ideologia più subdola, della “divisione in buoni e cattivi”. Entrambe figlie di una morale ipocrita borghese hanno spalancato le porte delle carceri a chi contestava il modo di produzione capitalistico e garantito a chi lo imponeva libertà di azione e impunità.  Quella stessa impunità e libertà di azione di continuare a delinquere in nome e per conto dello Stato invocata ora dai vari Salvini e Meloni sulla pelle dei detenuti, degli immigrati, delle donne, degli operai ribelli.

Non possiamo però dimenticare che gli esecutori di quella mattanza a Genova, i Gom (Gruppo Operativo Mobile), che rispondono direttamente al Capo del Dipartimento della Polizia Penitenziaria, furono voluti nel 1999 da Oliviero Diliberto, allora Ministro di Grazia e Giustizia del governo di centrosinistra D’Alema e sono gli stessi che si sono resi protagonisti della mattanza al carcere di S. M. Capua Vetere e che oggi fanno le vittime perché si sentono minacciati da qualche striscione.

E forse hanno ragione, perché non sarà certo dalle aule dei tribunali borghesi che avremo giustizia. Ma “la legge per i piccoli si applica, per i grandi si interpreta” e quei tribunali noi dobbiamo espugnare anche attraverso le strade perché trionfi la giustizia proletaria.

E come al G8 di Genova devono tutti pagare, dal più piccolo al più grande.

Da genova24.it

Ventennale G8, il pm Zucca: “Non ‘mele marce’ ma un problema strutturale con cui la polizia ancora non ha ancora fatto i conti”

Per il magistrato che indagò sulla violenze alla Diaz “a Bolzaneto successe qualcosa di ancor più grave che ricorda le torture di Abu Ghraib”

di Katia Bonchi

“Trasparenza e consapevolezza”. E’ quello che il sostituto procuratore generale Enrico Zucca chiede ai vertici della polizia di Stato “per dimostrare davvero di aver voltato pagina” a 20 anni dal G8 di Genova.

Per il magistrato che ha condotto il processo contro le violenze all’interno della scuola Diaz “diversi episodi di cronaca di questi anni vedono riproporsi lo schema dell’uso sproporzionato della forza cui segue la copertura con falsità che dimostra come il problema non siano soltanto le responsabilità individuali”.

Lo schema dell’uso sproporzionato della forza e della successiva copertura si ripropone invece come un metodo ben rodato. Per rimanere agli esempi genovesi, Zucca cita l’episodio di piazza Corvetto dove un giornalista di Repubblica è stato picchiato anche quando era a terra da 4 poliziotti del reparto mobile di Genova senza che avesse fatto assolutamente nulla e pochi secondi prima una ragazza riceve una manganellata sulla schiena, anche in quel caso senza aver fatto assolutamente nulla.

Per Zucca c’è quindi un problema “strutturale” con cui la polizia italiana non ha voluto fare i conti: “Visto che certi comportamenti rappresentano l’opposto di quello che viene insegnato ai poliziotti ai corsi o scritto nei manuali di addestramento, dovrebbe essere la stessa polizia a sanzionare chi esce dai binari del rispetto della legge, ben prima dell’ intervento della magistratura che peraltro si scontra con il conflitto di interessi di indagare sui propri collaboratori.

E quella parte della magistratura che decide di approfondire i fatti viene isolata e bollata come ideologica”.

Sono state le sentenze a dimostrare che le tesi della procura di Genova erano fondate, dalla Cassazione alla Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno qualificato quelle violenze come tortura.

La Cedu nel 2017 ha rilevato anche l’assenza di sanzioni per i poliziotti responsabili e l’assenza di identificazione di gran parte degli stessi. Cinque anni prima, nel 2012, la Cassazione aveva condannato in via definitiva per falso 15 funzionari di polizia per aver coperto gli agenti picchiatori con false prove e false accuse nei confronti dei 93 manifestanti che vennero arrestati (79 dei quali dalla scuola Diaz uscirono feriti) e accusati di associazione a delinquere per devastazione e saccheggio, arresti non convalidati dai gip. I picchiatori sono rimasti senza nome non essendo identificabili ad eccezione dei capisquadra: i reati sono finiti prescritti ma i poliziotti sono stati ritenuti responsabili per i risarcimenti in sede civile.

Chi non uscì in barella dalla Diaz, venne portato alla caserma di Bolzaneto dove per Zucca è accaduto qualcosa di ancor più grave rispetto all’ assalto alla scuola: “C’è un filo conduttore – dice – che porta dal carcere temporaneo istituito all’interno della caserma di Bolzaneto alle immagini raccapriccianti delle torture all’interno dei centri di detenzione di Abu Ghraib”.

Per il magistrato “le tecniche dei carcerieri sono uguali anche se Genova non è uno scenario bellico ma già le forze di polizia, evidentemente così addestrate, si muovono in questo modo dimenticando codici e leggi nella peggiore tradizione delle dittature”. Il processo per le torture di Bolzaneto (così definite anche in questo caso dalla Cedu) ha visto 45 imputati tra poliziotti, carabinieri, agenti penitenziari e medici. Gran parte dei reati si sono prescritti già prima dell’appello e in Cassazione sono rimaste 7 condanne penali ma la Corte ha confermato la colpevolezza di gran parte degli imputati per gli effetti civili.

Accanto ai processi contro le forze dell’ordine il terzo principale filone giudiziario ha riguardato i 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: 15 imputati su 25 sono stati assolti fin dal primo grado perché secondo i giudici avevano reagito alla carica illegittima sul corteo delle tute bianche di via Tolemaide. Dieci sono stati invece condannati per devastazione e saccheggio con pene dai 6 ai 14 anni di carcere, pene che “non hanno paragoni nel contesto delle democrazie occidentali – ricorda Zucca – e nemmeno con la Russia di Putin che prevede un massimo di 8 anni”.

Viaggio di Draghi/Cartabia al carcere delle torture – a cosa è servito?

Le dichiarazioni più ipocrite ad uso propagandistico sono proprio nelle misure annunciate di “riforma” carceraria, che dovevano essere attuate indipendentemente dalle violenze/torture contro i detenuti in Santa Maria Capua Vetere; altrimenti si ammette che solo le mattanze hanno posto l’inderogabilità di questi provvedimenti.

Presentate invece come risposta alla mattanza del carcere di Santa Maria Capua Vetere – come di altri carceri, non lo dimentichiamo – servono solo a derubricare la mattanza come uno dei tanti problemi esistenti nelle carceri; non vengono date risposte alle violenze e torture (gli agenti solo sospesi e non arrestati, nessun  provvedimento ancora verso dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, nessun Ministro che si è dimesso…) come alle richieste dei detenuti (indulto, amnistia subito…), declassificano le violenze a responsabilità individuali, fino a mettere sulla stessa bilancia “i fatti documentati dalle indagini” e gli agenti penitenziari, verso cui Draghi “manifesta un sentimento di rispetto e fiducia verso il corpo della penitenziaria…”, aggiungendo che i fatti accaduti hanno “scosso nel profondo la coscienza degli agenti della polizia penitenziaria  che lavorano con fedeltà in questo carcere…”, lanciando così un amo a Salvini e alla Lega.

Ma tornando alle proposte di riforma (in sè necessarie e urgenti da tempo), che c’entra la mancanza di agenti con la mattanza? Lì ad aprile c’erano fin troppi agenti e altri corpi repressivi; che c’entrano gli spazi e nuove strutture? I detenuti a Santa Maria Capua Vetere non sono certo stati massacrati perchè stavano in spazi angusti…

Un viaggio, quindi, che per il governo è servito soprattutto a riprendere il controllo politico, a normalizzare, a far rientrare, a rimettere il coperchio, piuttosto che a scoperchiare…

Riportiamo stralci dall’articolo di Domani, condivisibili nella denuncia/smascheramento di questo tour di Draghi/Cartabia nel carcere delle torture.

“Il tour conoscitivo nell’istituto del pestaggio di stato si chiude con la condanna delle violenze, la denuncia del sovraffollamento, la necessità di pene alternative e altre osservazioni generali che avrebbe potuto fare anche in assenza della mattanza. Un magro epilogo per un evento preparato in ogni dettaglio.

Per l’occasione l’istituto è stato tirato a lucido. Il carcere profumato, hanno lavato pavimenti, pulito i parti, abbellito il giardino. «L’istituto di pena sembra un villaggio turistico, lindo e pinto, per il grande evento. I problemi c’erano ieri e ricominciano domani», dice la garante dei detenuti di Caserta, non invitata.

Il presidente del Consiglio e la ministra arrivano a metà pomeriggio. Il governo ha così scelto di andare a vedere il carcere prima di riferire in parlamento sulle violenze. L’evento è stato curato nei dettagli. A partire dal tenore comunicativo, ispirato a una regola aurea dichiarata fin dall’inizio: nessuna domanda. I cronisti vengono catechizzati preventivamente al telefono. «Alla fine non ci sarà spazio per quesiti, ma solo per comunicazioni del presidente e della ministra», chiariscono gli uffici stampa. E le domande? «Oggi è la giornata dell’ascolto», rispondono. Non vogliono sbavature, polemiche, spettacolarizzazioni salviniane. Il canovaccio è scritto per evitare sorprese e prevede, per il finale, annunci importanti della ministra. La stampa viene sistemata sotto gazebo da campeggio a 15 metri dal palchetto dove parlano i rappresentanti del governo…

La strada che conduce al penitenziario è lastricata non di buoni propositi, ma di buche. Prima dell’ingresso, sulla sinistra, svetta l’impianto di trattamento dei rifiuti che porta sciami di zanzare e un lezzo insopportabile quando si alza il vento. Sulla destra c’è la superstrada che costeggia il muro con il filo spinato, dietro una discarica di pattume. Dentro il carcere l’acqua non c’è, perché non c’è mai stata la rete idrica. «Ogni anno promettono l’avvio di una gara di appalto, ma poi non cambia niente», dice Pietro Ioia, garante dei detenuti di Napoli e conferimento delle prime denunce da parte dei familiari dopo il pestaggio di massa del 6 aprile del 2020…

Nelle parole di chi attende i colloqui c’è lo stupore per quelle immagini e la paura che nessuno paghi. Il 6 aprile dello scorso anno 300 agenti della penitenziaria sono entrati in carcere, molti muniti di casco e non identificabili, e hanno massacrato di botte, per oltre quattro ore, i detenuti del reparto Nilo, che ospita per buona parte tossicodipendenti e anche una sezione di pazienti con problemi di salute mentale…

Quando inizia la visita all’istituto dai gazebo si sente qualche applauso e le urla dei detenuti. «Fuori, fuori», gridano, e poi «Draghi, Draghi», ma non è possibile avvicinarsi. Il presidente e la ministra entrano anche nel reparto Nilo, il teatro dell’orribile mattanza. I detenuti dalle celle chiedono pene alternative, gli agenti penitenziari di non processare l’intero corpo. La visita dura circa un’ora, poi ministra e presidente escono per le attese comunicazioni…

La presentazione delle autorità spetta alla direttrice dell’istituto, Elisabetta Palmieri, che sale sul palco e parla di speranza e di «giornata speciale». È la stessa direttrice che non c’era il giorno del pestaggio, che non è indagata ma ha continuato a difendere la catena di comando, a credere alla tesi dei depistatori e a dire di Lamine Hakimi che «era strafatto». Lamine è morto dopo il pestaggio, che è stato seguito da un periodo di isolamento ingiustificato e accompagnato dall’assunzione di un mix di oppiacei. Ma lo scorso ottobre la direttrice ha raccontato a Domani un’altra storia, evocando «bastoni e olio bollente» usati dai detenuti contro gli agenti. I bastoni e l’olio erano soltanto false prove costruite per giustificare la spedizione punitiva.

Palmieri lascia la parola a Draghi e poi a Cartabia. Finite le comunicazioni i giornalisti provano ad avvicinarci, ma un cordone di sicurezza proibisce ogni tipo di contatto. Cosa ne pensa il governo dell’introduzione del codice identificativo? Perché non ha riferito in parlamento? E perché nulla è stato fatto prima degli arresti disposti dal giudice? Ancora una volta il governo ha scelto di non rispondere.”

Francia – dopo la manifestazione nazionale del 19 giugno – ora piano di iniziative verso la manifestazione al Carcere di Lannemezan del 23 ottobre

Plusieurs centaines de personnes se sont mobilisés, ce samedi 19 juin, à l’occasion de la journée internationale des prisonniers révolutionnaires pour scander l’exigence de la libération de Georges Abdallah.

Après la lecture de la déclaration de Georges Abdallah, de celle de la Campagne Unitaire pour la libération de Georges Abdallah et les prises de parole, le cortège dense, dynamique, rouge et combatif a

parcouru les rues des quartiers populaires du 19e, 20e et 11 arrondissements, de Place des Fêtes à République et a reçu un accueil enthousiaste de la population, en ces temps de terrasses pleines. Plus de 1000 tracts ont été distribués et des centaines de cartes signées. Puis est venu le temps d’une rencontre solidaire où la fête a continué autour d’un verre de l’amitié et de chants révolutionnaires internationaux.

Cette 5éme manifestation nationale, au franc succès cette année encore, vient clore une semaine d’actions internationales qui a été l’occasion d’initiatives organisées dans plusieurs villes de France et au niveau international (en Belgique, Italie, Canada, Tunisie, Suisse, Palestine occupée, Espagne, Angleterre).

Continuons le combat, avec les prochaines échéances de mobilisation:

– le 03 September: repas solidaire de rentrée militante

– les 10, 11 et 12 Septembre: fête de l’Huma dont la grande manifestation pour la libération de Georges Abdallah le samedi 11.

– le 24 September:  repas solidaire “Un car pour Lannemezan”

– du 24 septembre au 23 Octobre: mois international d’actions pour la libération de Georges Abdallah.

Georges Abdallah, tes camarades sont là !

De Paris à Gaza, résistance, résistance !

Salutations rouges, internationalistes et solidaires