Paola Staccioli, combattente comunista rivoluzionaria, oggi se n’è andata. Felice di come ha vissuto e lottato insieme a noi, insieme alla sua comunità ideale. Chi ama non muore mai, e tu, Paola, ci hai abbracciato forte, di amore e lotta, fino all’ultimo respiro

Se n’è andata serenamente, come nel sonno, con i compagni che hanno potuto starle a fianco durante il distacco. Lucida e coraggiosa come sempre, ci ha lasciato un’eredità immensa, felice di come ha vissuto e lottato, insieme a noi, insieme alla sua comunità ideale. Paola ci abbraccia forte

Si farà una commemorazione per accompagnarla, in modo che tutti possano salutarla

 

Tunisia – In morte della retorica sulla “transizione democratica”: genesi di un golpe annunciato (Seconda Parte)

Un’interpretazione materialista e non idealista dei fatti.
La costituzione tunisina così come tutte le costituzioni apparse fino ad oggi altro non sono che il risultato del rapporto di forza reale raggiunto in un determinato momento storico in un determinato paese tra diverse classi sociali, determinando l’involucro giuridico del potere politico.
Gli eventi politici sono infatti il risultato del movimento delle masse popolari e delle classi sociali i cui interessi sociali ed economici sono più o meno rappresentati coerentemente da partiti politici o organizzazioni collettive quali sindacati, associazioni patronali, ma anche da organizzazioni della cosiddetta società civile ecc.
Pensare che i fatti di questa settimana siano frutto della regia occulta dell’uomo forte, com’è stato definito da alcuni Kais Saied è un’idiozia politica: le interpretazioni di questo tipo che spaziano dalla demonizzazione del tiranno da un lato al culto della personalità del salvatore della patria dall’altro sfociano nell’idealismo e sono lontane dalla realtà.
E’ sempre l’intervento diretto delle masse (o l’assenza di esso/neutralità) sulla scena politica che determina l’evoluzione degli eventi politici stessi: senza le proteste popolari degli ultimi mesi e la mobilitazione popolare di massa e violenta del 25 luglio, non ci sarebbero stati i presupposti per il colpo di stato presidenziale ovvero per forzare momentaneamente le regole del gioco.
Kais Saied piuttosto ha sfruttato la propria carica istituzionale, che ricopre ricordiamo ancora grazie al voto prima e al sostegno dopo, di milioni di tunisini, per giocare le proprie carte in dialettica con “le mosse” degli altri soggetti che partecipano al gioco.

In tal senso ciò che a nostro avviso dovrebbe destare maggior interesse è rappresentato da due elementi:
– chi ha tratto giovamento dal colpo di stato del 25 luglio?
– le nuove condizioni politiche che si sono venute a creare possono favorire l’avanzamento delle istanze popolari espresse dai movimenti di lotta negli ultimi mesi?
Il colpo di stato ha colpito innanzitutto il governo reazionario di Ennahdha-Karama-Qalb Tounes, questo giano bifronte rappresentante la mediazione tra islam politico e vecchio regime, secondariamente ha colpito l’istituzione parlamentare nel suo insieme. Un “parlamento nero” e ultrareazionario per le forze che lo compongono che non poteva che dare alla luce un governo antipopolare espressione dell’accordo delle due fazioni attuali della classe dominante tunisina: la borghesia compradora e burocratica tradizionalmente legata fin dal ’56 all’imperialismo occidentale (ed in particolare a Francia, Italia e USA) e quella legata alle potenze regionali di Turchia e Qatar che ha avuto accesso al potere dal 2012.
I governi della “transizione democratica” seppur con forme parzialmente diverse sono stati caratterizzati da questo minimo comun denominatore in cui Ennahdha è stata la forza parlamentare e di governo egemone in questo processo graduale di restaurazione politica dall’indomani della Rivolta Popolare/rivoluzione fallita (o come l’hanno gramscianamente chiamata alcuni: rivoluzione passiva) fino ad oggi.
Non stupisce allora che la violenza popolare si sia concentrata e abbia colpito il partito politico di regime per eccellenza negli ultimi dieci anni, forza egemone del governo e in parlamento.
In particolare il governo ed il parlamento recentemente deposti, rappresentano l’ultima impersonificazione della cosiddetta “transizione democratica”, locuzione usata indistintamente da tutti i partiti parlamentari dalla Fratellanza Musulmana ai socialdemocratici e dai revisionisti di “sinistra” che cercano un accomodamento nelle istituzioni usando una fraseologia “rivoluzionaria”come il Partito dei Lavoratori (ex PCOT), dalle potenze straniere agli attivisti delle ONG finanziate da quest’ultime.
Una definizione fuorviante perchè denota uno sviluppo politico positivo e progressista in tema di acquisizione di diritti sociali ed economici mentre ciò che è realmente accaduto negli ultimi dieci anni è stato proprio il contrario: una progressiva restaurazione del vecchio regime ma con forme nuove a cui il governo deposto aveva impresso un’accelerazione.
Durante le ultime elezioni il parlamento è stato eletto dalla minoranza del popolo, considerato l’astensionismo record di due anni fa, a cui ha fatto da controaltare un’elezione plebiscitaria a favore di Kais Saied.
Kais Saied in tal senso ha condotto la propria azione politica impersonificando una forma di “populismo puro” in cui il contatto diretto tra masse e leader, l’interpretazione della volontà del popolo e le dichiarazioni e atti politici presidenziali conseguenti, sono legati a doppio filo.
Chi si arrovella intorno al falso problema della legittimità costituzionale inerente all’attivazione dell’articolo 80 non vede, e con questa impostazione idealista non può vedere, che lo scioglimento di un parlamento e di un governo di tale natura non solo non ha provocato scandalo nelle file del popolo ma al contrario sia stato salutato con giubilo dalle larghe masse.
Questa reazione è dovuta al fatto che le masse popolari con le loro organizzazioni e i partiti e gruppi rivoluzionari declamavano lo scioglimento di questo parlamento e la caduta di questo governo già da mesi, ma a causa delle proprie debolezze soggettive non sono riusciti a raggiungere tale obiettivo in maniera totalmente autonoma, allo stesso tempo la mobilitazione popolare ha permesso a Kais Saied di varcare il Rubicone appellandosi alle proprie prerogative istituzionali.
L’esito immediato del colpo di stato del 25 luglio ha risolto questo problema ed è quindi un passo in avanti nella direzione degli interessi del popolo tunisino.
A riprova di ciò il fatto che gli slogan lanciati nelle piazze il 25 luglio erano coerenti con quelli dei movimenti di lotta degli ultimi mesi:
“Ghannouchi assassino”, “Saied dissolvi il parlamento”, “Il popolo vuole rovesciare il sistema”, “Il sistema è corrotto, il capo del governo è corrotto”, “Libertà dallo Stato di polizia della morte”.
La seconda questione da noi posta è invece più complessa perchè ha a che fare con gli sviluppi futuri dell’attuale contraddizione che vede la polarizzazione delle forze reazionarie contrapposte a quelle popolari.
La reazione delle forze in campo e l’interesse delle masse popolari tunisine
Nell’attuale fase di polarizzazione delle forze in campo tutti i soggetti politici e sociali nel paese non hanno altra possibilità che collocarsi in una delle due parti della polarizzazione stessa, tertium non datur.
Nel “polo del sistema”, l’attore principale è Ennahdha che è stato il fulcro attorno a cui ha ruotato l’equilibrio della “transizione democratica”, un partito che ha rassicurato la classe dominante interna e le potenze straniere i cui interessi economici continuano ad essere soddisfatti a detrimento della sovranità e dignità nazionale e del benessere delle classi lavoratrici, dei contadini e del popolo tunisino in generale.
La sola possibilità che Ennahdha sia estromessa dal potere è fonte di preoccupazione dei paesi imperialisti che hanno interessi in Tunisia, in tal senso vanno interpretate le “preoccupazioni per il rispetto dell’assetto costituzionale e democratico del paese” espresse dai comunicati del Dipartimento di Stato USA e dai ministeri degli esteri di Francia e Italia.
Nonostante il 26 luglio il tentativo di riconquistare il parlamento con la forza da parte di Ennahdha-Karama-Qalb Tounes sia fallito miseramente, probabilmente queste forze, proveranno a riorganizzarsi rafforzate dal sostegno internazionale politico e finanziario di cui godono.
A rafforzare oggettivamento tale polo si aggiungono alcuni partiti liberali, socialdemocratici e riformisti (Partito Repubblicano, Corrente Democratica, Partito dei Lavoratori) che hanno condannato la mossa presidenziale.
Sorvolando sulle ex forze di governo, gli ultimi partiti qui citati assumono una motivazione di principio che denota la loro piena fiducia nel sistema democratico borghese e dei suoi meccanismi istituzionali e di potere e quindi del rispetto della legalità istituzionale formale anche se questa cozza con la volontà espressa esplicitamente e palesemente dal popolo nelle piazze, il popolo il cui interesse dovrebbe essere garantito dalla democrazia borghese stessa in via teorica ma che in realtà è calpestato quotidianamente.
Scontato dire che nella “società civile” anche l’estesa rete di ONG finanziate dai paesi occidentali e dall’UE coerentemente con la propria impostazione di “sostegno della democrazia tunisina e alla transizione democratica” sia dentro a questo polo.
Dall’altro lato della barricata la presidenza della repubblica gode momentaneamente di un vantaggio tattico che potrebbe rivelarsi inconcludente o più probabilmente controproducente se non si riuscisse a dare una forma politica e organizzativa definita al diffuso sostegno popolare.
Non è un caso che già il 27 luglio all’indomani del golpe, Kais Saied ha convocato tre riunioni nel palazzo presidenziale in cui sono stati invitati il sindacato unico nel paese UGTT, l’associazione patronale Utica, due associazioni femministe tra cui la storica Associazione Tunisina delle Donne Democratiche, il Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini, l’ordine degli avvocati, il presidente del Consiglio Superiore della magistratura, il presidente del Consiglio dell’ordine giudiziario ed il vice presidente del Consiglio dell’ordine amministrativo, con il tentativo evidente di includere nell’attuale fase di transizione innanzitutto i rappresentanti di alcuni settori sociali strategici nel paese (i lavoratori e la classe patronale), rassicurare il potere giudiziario e la sua più alta carica attuale, così come i giornalisti. Infine assicurarsi il sostegno delle donne, priorità onnipresente anche nei precedenti regimi dall’indipendenza ad oggi.
Una volta concluse queste riunioni Kais Saied ha fatto un appello pubblico rivolto a tutte le organizzazioni della società civile per contribuire a fissare delle linee guida di una road map per questo mese di transizione fino alla nomine del nuovo primo ministro incaricato di formare il governo.
Per quanto concerne i partiti politici istituzionali che hanno finora sostenuto apertamente il presidente della repubblica si tratta di un partito socialdemocratico e di un partito marxista-leninista (Partito Popolare e Partito dei Patrioti Democratici Rivoluzionario).
Il Partito degli Elkadehines (dei lavoratori più sfruttati/oppressi n.d.a) extraparlamentare marxista-leninista-maoista ha pubblicato un comunicato in cui giudica positivamente la mossa presidenziale ed in accordo con la volontà e gli interessi popolari, così come altri gruppi e partiti rivoluzionari che hanno avuto un ruolo nella rivolta e nelle manifestazioni dello scorso gennaio e febbraio giudicano positivo il colpo inferto al regime di Ennahdha, tutti questi però dichiarano di partecipare all’attuale movimento in maniera critica e indipendente con le proprie parole d’ordini, legate alla conquista di una reale indipendenza nazionale, al controllo diretto dei settori strategici del paese da parte dei lavoratori, differenziandosi dall’impostazione “costituzionalista” del presidente seppur valutando positivamente la rottura de facto del processo di “transizione democratica” (ovvero di restaurazione).
Effettivamente in questa fase in cui gli eventi si susseguono velocemente, le forze politiche che rappresentano gli interessi dei lavoratori e del popolo tunisino sono impegnate nel migliorare i propri sforzi politici e organizzitivi per svolgere in maniera più incisiva il proprio ruolo negli eventi in corso.
Nelle prossime ore sicuramente sarà più chiaro quale sviluppo intraprenderà la polarizzazione in atto, attualmente nessuno scenario è da escludere compreso lo scoppio di una guerra civile dispiegata o in egual modo un passo indietro di “riconciliazione nazionale” che potrebbe concretizzarsi nell’accettazione condivisa un nuovo appuntamento elettorale.
Di certo l’attuale rivolgimento politico è potenzialmente un’occasione per avanzare in direzione dei principi rivoluzionari di Lavoro, Libertà e Dignità Nazionale abortiti dalla “Transizione Democratica”.

NO TAV – il governo e lo Stato di polizia prepara più occupazione e militarizzazione in Val Susa… Ma chi semina vento raccoglie tempesta.

Tav, il ministro Lamorgese: “In un mese 10mila agenti di rinforzo in Valsusa per sorvegliare il cantiere”

Question time alla Camera della titolare dell’Interno: “Proteste seguite con la massima attenzione, dall’inizio dell’anno denunciati 63 attivisti”

Quasi diecimila agenti in più per sorvegliare il cantiere Tav: “Le iniziative di protesta sono seguite con la massima attenzione e con un notevole dispiegamento delle forze di polizia, anche con riguardo ai territori di quei Comuni per ora non ricompresi nel perimetro di quelle aree dichiarate di interesse strategico nazionale”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, nel corso del question time alla Camera in merito alle proteste No Tav in Val di Susa e ai recenti attacchi al cantiere di Chiomonte con pietre e fuochi d’artificio.
“Sul piano dei dispositivi di controllo e vigilanza del cantiere di Chiomonte la Questura di Torino dispone di un rinforzo continuativo di 180 unità giornaliere – ha aggiunto – al dispositivo concorrono anche 266 militari delle forze armate dell’operazione Strade Sicure. Presso il sito di San Didero è operativo un rinforzo continuativo con l’impiego di 120  unità delle forze di polizia, e un contingente di altri 50 militari di Strade Sicure per le attività di vigilanza”.
“L’imponente dispositivo di sicurezza viene rafforzato in occasione di specifiche iniziative di protesta – ha sottolineato il ministro Lamorgese – dal primo al 27 luglio corrente sono stati assegnati alla sede di Torino per queste esigenze 9.356 unità di rinforzo. Per i recenti episodi di contestazione violenta con danneggiamenti a strutture di cantiere sono in corso approfondimenti investigativi per individuare i responsabili – ha concluso il ministro – dall’inizio dell’anno le forze di polizia hanno denunciato 63 attivisti per l’illeciti nel corso delle proteste No Tav”.

Chiudere i Cpr, chiudere i lager di Stato centri di pestaggi e tortura: due esposti alla procura della Repubblica contro il Cpr di Milano

Tutti i “centri di accoglienza” sono illegali perché non si possono tenere persone in carcere, lo si chiami come si vuole, senza che queste abbiano commesso delitti. Lo Stato italiano usa leggi create ad hoc, disumane e fasciste, per reprimere i migranti, e, infatti, in questi centri ogni volta che c’è una “ispezione”, una “visita” (ce ne vorrebbero tante di più) si scopre che assomigliano appunto a dei veri lager dove si tortura.

L’articolo del Manifesto di oggi che riportiamo sotto parla di una di queste “visite” che si è conclusa non solo con la solita pubblica denuncia sugli aspetti moralmente insostenibili di tale situazione ma con due esposti alla procura della repubblica per tortura, chiedendo il sequestro preventivo del centro.

La procura di Milano si prenderà il suo tempo, tempo che non ha chi è rinchiuso in questi lager, e la “soluzione”, quindi, potrà venire solo dalla lotta per la loro chiusura definitiva, nel frattempo ancora una volta si smaschera il finto buonismo dei “gestori” di questa feroce società borghese.

cpr torino

Milano, due esposti contro il Cpr: ipotesi di torture e abusi d’ufficio

La denuncia. Dopo la visita di una delegazione composta dai senatori Gregorio De Falco (gruppo misto) e Simona Nocerino (5 Stelle) con esperti della rete «Mai più lager-No ai Cpr»

Nello schermo della videosorveglianza interna un uomo in un cortile si fa dei tagli su tronco e braccia, mentre in un corridoio vicino agenti anti-sommossa si preparano a intervenire. La sequenza è avvenuta nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milano, ma riflette la quotidianità anche degli altri Cpr. Ne abbiamo notizia solo perché è stata vista dalla delegazione composta dai senatori Gregorio De Falco (gruppo misto) e Simona Nocerino (5 Stelle) che, con esperti della rete «Mai più lager-No ai Cpr», è entrata nella struttura il 5 e 6 giugno scorsi. Quei fotogrammi aprono il rapporto Delle pene senza delitti. Istantanea del Cpr di Milano, reso pubblico ieri contestualmente alla presentazione di due esposti presso la Procura del capoluogo lombardo.

Il primo ipotizza il reato di lesioni e tortura aggravata in concorso per dei pestaggi che, secondo le testimonianze dei reclusi, sarebbero avvenuti nel centro il 25 maggio 2021. Una «smazzoliata» nelle parole di un dipendente dell’ente gestore. Il secondo verte sul rifiuto di atti d’ufficio e chiede il sequestro preventivo del centro per l’indisponibilità di accesso alle cure sanitarie specialistiche. Le ragioni di accuse così gravi sono contenute nelle 90 pagine del rapporto, che disegnano i contorni di una struttura degna di un film horror.

Nel Cpr i reclusi abusano di psicofarmaci, ingeriscono cibo avariato, possono chiamare gli operatori solo prendendo a calci una porta, tentano il suicidio o si infliggono continuamente dei danni fisici. Una «struttura inutile e costosa» che nella metà dei casi fallisce perfino nel suo obiettivo di rimpatriare le persone (nel 2020: 2.232 rimpatri su 4.387 detenzioni in tutti i Cpr). «La questione da porsi è se una società civile possa tollerare un prezzo così alto, in termini di lesioni di diritti e dignità della persona, ma anche economico, per un’azione che in definitiva ha più un fine politico-simbolico che concretamente operativo», chiede il rapporto

https://ilmanifesto.it/milano-due-esposti-contro-il-cpr-ipotesi-di-torture-e-abusi-dufficio/

Sanremo ancora carcere assassino

Dramma nel carcere di Sanremo, detenuto si impicca in cella

A nulla sono valsi gli immediati soccorsi della Polizia Penitenziaria e del personale sanitario
Sanremo. Un uomo italiano, di 49 anni, detenuto nel carcere di Sanremo, si è tolto la vita nella notte, impiccandosi nella propria cella. A fare la macabra scoperta, trovando il corpo senza vita, sono stati gli agenti della polizia penitenziaria. L’uomo, condannato per estorsione aggravate e reiterate per una serie di truffe agli anziani, era ristretto nel circuito “sex-offenders”.
«Per il detenuto non c’è stato nulla da fare – spiega Fabio Pagani, Segretario Uil Polizia Penitenziaria -. A nulla sono valsi gli immediati soccorsi della Polizia Penitenziaria e del personale sanitario» «Il Carcere di Sanremo – aggiunge – conta oggi 242 detenuti e rappresenta l’istituto più critico della Regione Liguria: caratterizzato da sovraffollamento, carenza nell’organico della Polizia Penitenziaria e una “disorganizzazione” senza precedenti».

Tunisia – In morte della retorica sulla “transizione democratica” in Tunisia: genesi di un golpe annunciato

Pubblichiamo oggi la prima parte di questo articolo, domani la pubblicazione della seconda parte

Prima parte

Manifestanti assaltano una sede di Ennahdha

Antefatto

Il colpo di Stato militare sotto la direzione politica del presidente della repubblica Kais Saied che ha messo fine al regime reazionario Ennahdha-Karama-Qalb Tounes non è un fulmine a ciel sereno ma è la conseguenza degli eventi politici degli ultimi 12 mesi, ovvero da quando è entrato in carica il governo Mechichi il 25 luglio 2020, e più in generale una reazione inedita al movimento di restaurazione politica di cui Ennahdha è il principale soggetto agente negli ultimi 8 anni.

Già all’inizio dell’anno in occasione del decennale della caduta del regime di Ben Ali (14 gennaio 2011), una rivolta giovanile e manifestazioni di protesta nella capitale avevano messo a dura prova il governo che era ricorso ad arresti di massa (oltre duemila giovani di età compresa tra i 15 e i 30 anni finiti in prigione), divieti di manifestare e metodi da stato di polizia che tanto ricordavano l’ancient regime.

In quell’occasione il Presidente della Repubblica Kais Saied aveva tuonato contro gli arresti arbitrari e aveva ricorso allo strumento della grazia presidenziale in occasione di alcune feste civili e religiose per scarcerare una parte dei giovani arrestati, si era anche recato nei principali quartieri ribelli come a Ettadhamen ricevendo una buona accoglienza.

Inoltre nello stesso periodo Mechichi aveva proposto alcuni ministri per un rimpasto di governo, chenon avevano mai potuto prestare giuramento in quanto il presidente della repubblica si è sempre rifiutato di fissare una data per il giuramento accusando tali candidati di avere casi pendenti con la giustizia relativi a fatti di corruzione.

Nel mese di giugno in seguito ad un episodio di brutalità poliziesca, che ben si inscrive nel clima di stato di polizia che si respira ormai da anni (dopo una breve pausa negli anni immediatamente successivi alla Rivolta), in cui un giovane era stato manganellato e denudato in strada per poi essere arrestato con accuse tendenziose, Kais Saied aveva convocato nel palazzo presidenziale di Cartagine la ministra della giustizia Hasna ben Slimane ed il ministro dell’interno ad interim cioè il primo ministro Mechichi per una “tirata d’orecchie” sui metodi polizieschi e giudiziari inaccettabili in una Tunisia post-2011, il giorno dopo il giovane veniva scarcerato ed il presidente si recava in visita nel suo quartiere per porgere ufficialmente scuse di Stato, anche in questo caso ricevendo un’accoglienza festosa.

Ma l’elemento determinante che ha decretato la fine del governo Mechichi è stato l’ostilità diffusa di cui ha goduto nei quattro angoli del paese per la crisi economica senza precedenti che a livelli macroeconomici ha portato il paese ad un passo dal default finanziario con un debito pubblico che supera il 90% del Pil e che nella vita quotidiana del popolo si traduce in un carovita inaccettabile che unito ad un elevato tasso di disoccupazione ed al piano di “riforme strutturali” appena iniziato ha relegato ampi settori della popolazione alla povertà.

A essa si aggiunge la pessima gestione della pandemia ovvero molto semplicemente l’assenza di una strategia finanche di protocolli sanitari coerenti che ha fatto schizzare il numero di morti , ricoveri e contagi raggiungendo il picco massimo di oltre 300 morti in un solo giorno lo scorso 23 luglio e l’assenza di scorte d’ossigeno anche negli ospedali della capitale, il paese ha ricevuto quindi i cosiddetti aiuti umanitari da Italia, Francia e Algeria nelle scorse ore per evitare il collasso ospedaliero totale anche se non è ancora scongiurato del tutto.

Infine il periodo in cui il governo Mechici è rimasto in carica è stato caratterizzato da uno scontro istituzionale che ha contrapposto la presidenza della repubblica da un lato e la presidenza del parlamento (presieduto da Rached Ghannouchi, il presidente del partito islamista Ennahdha) e Hichem Mechichi dall’altro non solo per la nomina ministeriale ma anche per quello dei componenti della Corte Costituzionale.

Negli ultimi mesi Kais Saied in occasioni ufficiali ha tenuto a rimarcare più volte di essere il capo delle forze armate, “di tutte le forze armate” includendo non solo l’esercito ma anche la polizia e la guardia nazionale, quest’ultime in realtà secondo l’ordinamento tunisino fanno capo al ministero dell’interno ovvero nella fattispecie a Mechichi.

Questo mix esplosivo di contraddizioni sociali, economiche e politiche in cui oggettivamente Kais Saied si è destreggiato machiavellicamente ovvero con acume politico, sono esplose il 25 luglio, Festa della Repubblica, in cui migliaia di tunisini (principalmente di età compresa tra i 20 e i 30 anni) sono scesi nelle piazze di tutte le città da nord a sud attaccando le sedi di Ennahdha, dandone alcune alle fiamme, inutili sono stati gli interventi della polizia che è stata costretta a ritirarsi in tutte le città in cui era intervenuta; si stava quindi delineando uno scenario da guerra civile con la scesa in campo dei militanti di Ennahdha e dalla sua ala destra Karama contro il cosiddetto “movimento del 25 luglio”.

Immediatamente, la sera della stessa giornata il colpo di scena: Kais Saied riunito con i vertici militari, invocando l’articolo 80 della Costituzione, annuncia l’esautorazione di governo e parlamento, la revoca immediata dell’immunità parlamentare e la conseguente persecuzione giudiziaria nei confronti dei responsabili della crisi economica e sanitaria del paese; subito dopo l’esercito veniva dispiegato nella capitale ed in particolare presso la sede del ministero degli interni, della Casbah (la sede del primo ministro), il parlamento, la sede della televisione nazionale, e davanti le sedi dei governatorati nei capoluoghi di regione.

L’esercito ha anche sgomberato e sigillato la sede di Al Jaazera, l’agenzia stampa qatariota e notoriamente vicina a livello internazionale alla Fratellanza Musulmana di cui Ennahdha è la “rappresentante” in Tunisia.

Continuavano intanto gli attacchi alle sedi di Ennahdha non contrastati né dall’esercito né dalla polizia rimasta paralizzata con il proprio ministero “sotto assedio militare” e con il proprio ministro “trattenuto” nel palazzo presidenziale di Cartagine.

Nelle primissime ore del 26 luglio si erano completati i passaggi di ciò che tecnicamente è corretto definire colpo di stato e durante la notte Kais Saied in persona ha fatto un bagno di folla nella centrale Avenue Bourguiba.

Ennahdha ha immediatamente denunciato la mossa di Saied parlando esplicitamente di colpo di stato e strillando che ciò “colpisce la democrazia e la Rivoluzione”, Rached Ghannouchi prova quindi a raggiungere il proprio ufficio in Parlamento ma viene lasciato fuori dal cancello dai militari in presidio, stessa sorte tocca ad alcuni parlamentari di Karama ed Ennahdha, piccoli tafferugli si registrano tra manifestanti antigovernativi in giubilo per la mossa presidenziale e militanti islamisti ma la situazione attualmente resta fondamentalmente pacificata nonostante gli appelli di Ennahdha ai propri militanti di scendere in piazza per ripristinare la democrazia. Infine non sperando nel sostegno sperato della propria base, Ennahdha e Karama la mattina del 27 luglio hanno deciso di levare il loro piccolo assedio al parlamento. Lo stesso giorno è stato pubblicato il primo decreto legislativo presidenziale in cui oltre a sollevare dall’incarico il primo ministro e ministro dell’interno ad interim, il ministro della giustizia ed il ministro della difesa, si vieta di lasciare il territorio nazionale ai ministri, ai deputati, ai presidenti delle squadre sportive, ai sindaci, ai governatori delle regioni (che intanto sono stati dimessi in blocco), ai presidenti delle provincie e ai grandi funzionari in generale. Le amministrazioni pubbliche rimarranno chiuse per due giorni, per evitare possibili sparizioni di documenti sensibili ed è emesso un mandato di arresto per un parlamentare di Karama. Oltre a ciò alcune testate giornalistiche stanno diffondendo la notizia di un imminente rimpasto generalizzato sin dai più alti livelli concernente il ministero degli interni.

Un “colpo di stato costituzionale”?

La storia tunisina non è nuova a rivolgimenti politici dalla forma “originale”: Ben Alì aveva conquistato il potere il 7 novembre 1987 col cosiddetto “colpo di stato medico” facendo decretare da un gruppo di noti dottori lo stato di deficienza senile del primo presidente del paese Habib Bourghuiba, governando per oltre un ventennio fino alla Rivolta popolare del 2010/2011 che ne decretò la fine.

La notte del 26 luglio dopo il “comunicato numero 1” del presidente della repubblica Kais Saied in cui ha annunciato di aver assunto pieni poteri per almeno un mese, alcuni giornalisti hanno coniato la definizione di “colpo di stato costituzionale”.

Tale formula è giustificata dal discorso che lo stesso Saied porta avanti fin dalla campagna elettorale presidenziale: applicare coerentemente la costituzione “rivoluzionaria” praticando una cesura netta con il passato ovvero con le forze politiche dell’ancient regime che si sono riciclate nell’ultimo decennio (in particolare Qalb Tounes oggi) o come il PDL che invece rivendica la diretta discendenza del RCD benaliano, ma anche contro le forze “nuove” al potere che utilizzano metodi vecchi (leggi Ennahdha e Karama) e che hanno tradito la volontà popolare che si era espressa nella Rivolta Popolare stessa con le parole d’ordine di Lavoro, Libertà e Dignità Nazionale.

Kais Saied ha invocato l’attivazione dell’articolo 80 della costituzione che recita:

In caso di pericolo imminente che minaccia le istituzioni della nazione e la sicurezza e l’indipendenza del Paese e il funzionamento regolare dei poteri pubblici, il Presidente della Repubblica può prendere le misure necessarie per questa situazione eccezionale, dopo aver consultato il Capo del governo e il Presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo e aver informato il presidente della Corte costituzionale. Queste misure saranno annunciate al popolo attraverso un comunicato.

Queste misure devono avere come obiettivo garantire il ritorno nel più breve tempo possibile di un funzionamento regolare dei poteri pubblici. Durante questo periodo, l’Assemblea dei rappresentanti del popolo è considerata in uno stato di riunione permanente. in questo caso, il Presidente della Repubblica non può sciogliere l’Assemblea dei rappresentanti del popolo e non può essere accusato di una mozione di censura contro il governo.

Trenta giorni dopo l’entrata in vigore di queste misure, e su domanda del presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo o di trenta membri della suddetta Assemblea, la Corte costituzionale deve verificare la persistenza o meno della situazione eccezionale. La decisione della Corte è pronunciata pubblicamente non più tardi di 15 giorni di tempo.

Queste misure decadono quando hanno fine le circostanze che le hanno generate. Il Presidente della Repubblica rivolgerà un messaggio al popolo al riguardo”.

E’ attualmente in corso una battaglia di interpretazione a cui partecipano alcuni costituzionalisti tunisini sulla coerenza dell’atto presidenziale del 25 luglio rispetto al testo dell’articolo costituzionale, non abbiamo problemi ad affermare che appare evidente anche a chi non abbia conseguito studi di diritto costituzionale che Kais Saied abbia fatto un’evidente forzatura del testo costituzionale non avendo consultato gli altri due presidenti bensì avendoli messi davanti il fatto compiuto (contro cui il presidente del parlamento Ghannouchi ha infatti protestato), avendo sospeso momentaneamente i lavori parlamentari, inoltre nonostante le disposizioni costituzionali che prevedevano la nascita di una Corte Costituzionale, al momento di scrivere essa non ha ancora visto la luce.

Per tutti questi motivi è quindi evidente che non solo l’interpretazione fatta da Kais Saied dell’articolo 80 non è verosimile, di più è in parte in contraddizione con esso, inoltre l’articolo in questione è attualmente impraticabile causa l’assenza di una Corte Costituzionale e quindi del suo presidente il quale dovrebbe essere una figura istituzionale chiave insieme al presidente della repubblica per l’attivazione dell’articolo 80 stesso.

Per quanto detto è evidentemente erroneo tirare in ballo la costituzione sia da parte dei sostenitori che da parte dei detrattori del colpo di stato in corso.

Detto questo diciamo però con la massima tranquillità che questo dibattito che anima gli esperti di diritto costituzionale, com’è normale che sia, ma che eccita anche alcuni militanti di sinistra, è da ritenersi ultrasecondario e di nessun interesse politico per capire e interpretare gli eventi in corso.