E parlano di Stato di diritto e di costituzione: a Cuneo il diritto a manifestare si compra

Da due mesi a Cuneo le manifestazioni “politiche” sono diventate a pagamento e le procedure per chiedere un’autorizzazione al Comune sono ancora più complesse.

Da maggio eventi che in passato sono sempre stati gratuiti ora prevedono il pagamento di 32 euro (in marche da bollo, per la domanda e l’autorizzazione), oltre a una richiesta fatta almeno 15 giorni prima esclusivamente con posta elettronica certificata e Spid, l’identità digitale. Inoltre il nuovo regolamento comunale impedisce esplicitamente l’utilizzo di «impianti di amplificazione», come megafoni e casse.

Sul tema aveva presentato un’interrogazione nell’ultimo Consiglio comunale Nello Fierro, consigliere di Cuneo Beni Comuni: «Sembra un modo per limitare la partecipazione e l’azione democratica, per ridurre le richieste da parte di movimenti e partiti politici al di fuori del periodo elettorale». Nel dibattito erano stati critici anche i consiglieri Beppe Lauria per la minoranza («Con queste scelte giustificate le barzellette su Cuneo») e Carmelo Noto per la maggioranza («Anche a Trento, Padova o Milano hanno adottato lo stesso provvedimento, ma faccio fatica a comprenderlo»).

In Consiglio aveva risposto l’assessore alle attività produttive Luca Serale: «Abbiamo solo aggiornato il regolamento comunale recependo una norma del 2018 che prevede quali eventi possono essere esentati o meno dal pagamento. Il divieto di usare megafoni e amplificatori? C’è sempre stato, l’abbiamo semplicemente ribadito».
I Radicali non sono presenti in Consiglio comunale e oggi protesteranno con in sit-in. Il segretario Filippo Blengino: «A Cuneo l’iter per ottenere il suolo pubblico per manifestazioni politiche è divenuto complessissimo, come per una pratica edilizia. Ma la digitalizzazione della pubblica amministrazione dovrebbe semplificare le procedure, non renderle più complesse. Sono idee che possono venire in mente solo a chi è abituato a fare politica nel palazzo».

Contro le violenze poliziesche, siamo con la rete antifascista di Pavia

La Rete Antifascista di Pavia ha protestato “in ginocchio contro le violenze razziste della Polizia”. 

Davanti alla Questura, dalle 10.30, il presidio di FdI con lo striscione con la scritta “Le forze dell’ordine dalla violenza ci difendono“. Paola Chiesa, segretario del partito a Pavia, ha bollato come “un gesto inaccettabile” la protesta organizzata per il pomeriggio, nella centralissima piazza della Vittoria, dalla Rete Antifascista.
Appuntamento poi alle 18.30 per l’iniziativa “in solidarietà ai ragazzi aggrediti dalla polizia in piazza Sant’Eustorgio a Milano – come spiegano gli organizzatori – in quello che non esitiamo a definire un esempio di razzismo di Stato e di abuso poliziesco“. In una piazza neppure troppo affollata con la complicità del meteo incerto, una quindicina di militanti antifascisti, un po’ snobbati dai pavesi ai tavolini in piazza per l’aperitivo, hanno voluto simbolicamente rivendicare che “le violenze delle forze dell’ordine, a vent’anni dal G8 di Genova, sono una costante anche in Italia. Abbiamo visto tutti i video impressionanti delle torture al carcere di Santa Maria Capua Vetere, che hanno condotto all’arresto di ben 52 guardie riprese mentre violavano sfacciatamente i diritti dei detenuti”.

Non si tratta di 52 mele marce, il pestaggio è di stato… che al solito segue la pista anarchica e rimuove un ironico striscione con il simbolo dei centri sociali occupati

Dalla stampa

Violenze in carcere: gip, ‘si tentò alterazione video’

Minacce agli agenti con uno striscione su un cavalcavia a Roma, preoccupazione tra gli agenti della penitenziaria

Tra gli episodi di depistaggio emersi nell’indagine sulle violenze nei confronti dei detenuti commesse dagli agenti della Penitenziaria al carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), secondo l’accusa ci fu anche il tentativo di modificare i video delle telecamere interne per falsare la rappresentazione della realtà del 6 aprile 2020, giorno dei violenti pestaggi.

E su un cavalcavia a Roma è stato trovato uno striscione, “52 mele marce? Abbattiamo l’albero!”, con il simbolo di un movimento anarchico. Lo striscione, secondo quanto si è appreso, è stato poi successivamente rimosso.

La frase, minacciosa, ha destato forte preoccupazione in agenti della Polizia Penitenziaria che hanno riferito del fatto. Lo striscione fa riferimento ai 52 poliziotti penitenziari destinatari di misure cautelari emesse per i pestaggi dei detenuti avvenuti il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta).

Da Lotta Continua

Il pestaggio di Stato

“Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle condizioni delle sue carceri” scrivevano Voltaire e Dostoevskij, un aforisma quanto mai valido nel tempo attuale quando le barbarie carcerarie si mostrano come una parte rivelatrice di quelle sociali.

Quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, come rivelato dai video pubblicati dal quotidiano Domani, non può essere derubricato come una situazione sfuggita di mano. Si tratta di un pestaggio di Stato. Le vittime della violenza sono detenuti per reati comuni, alcuni dei quali con problemi mentali e di tossicodipendenza. Nessun recluso della cosiddetta “alta sicurezza”, legata al crimine organizzato, è stato fatto oggetto del pestaggio.

Queste immagini ci riportano esattamente a 20 anni fa, nei giorni del G8 di Genova, nelle giornate della macelleria messicana. Ci riportano anche più indietro nei giorni delle sevizie e nelle torture contro i detenuti politici fra gli anni 70 e 80.

I video del carcere di Santa Maria Capua Vetere non ammettono amnesie o giravolte. L’uso indiscriminato di una violenza del tutto gratuita sta nelle immagini bestiali degli agenti che urlano di voler abbattere i detenuti come dei vitelli, di voler domare il “bestiame”, che calano sui detenuti chiavi e picconi. Quanto si vede nei filmati non sono supposizioni o denunce di parte di quei pochi organismi che si fanno carico di denunciare le condizioni della carcerazione nel nostro Paese. I detenuti sono stati fatti uscire dalle celle uno alla volta e sono stati pestati all’interno e all’esterno dei corridoi, un pestaggio premeditato durato alcune ore, coperto da chi avrebbe dovuto vigilare e intervenire. Ancora una volta la struttura carceraria ha prodotto la barbarie contro i “dannati della Terra”.

Questo è quanto si evince anche dalle carte della magistratura che ha disposto 52 misure cautelari tra arresti e interdizioni, misure che colpiscono non solo gli agenti, ma anche i dirigenti. Fra questi il Provveditore regionale per le carceri della Campania. Il ministro della giustizia Bonafede non ha rimosso il Provveditore, l’attuale ministra Cartabia lo ha fatto solo quando si è mossa la magistratura con il provvedimento di interdizione.

Bonafede ha molte cose da spiegare ai detenuti e a tutta l’opinione pubblica, così il suo successore che pure oggi dichiara di volere un “rapporto completo” e di volersi attivare perché “i fatti non si ripetano”. Ma è tutta la rete di comando che ha responsabilità gravissime in quello che è accaduto. Non si tratta di “poche mele marce”: quali erano le mele sane nei fatti di Santa Maria Capua Vetere?

Le carceri italiane sono sovraffollate, i detenuti vivono in condizioni disumane in edifici spesso vecchi e fatiscenti, ma è il sistema della carcerazione che va messo sotto accusa.

Le forze politiche di destra sostengono senza dubbio alcuno gli agenti di polizia penitenziaria, Salvini ha portato di persona la sua solidarietà. Non è un caso che chiedano la cancellazione del reato di tortura. Ma se la destra copre le violenze dei secondini, la cosiddetta sinistra non ha meno responsabilità se consideriamo il suo disinteresse per i problemi carcerari, se pensiamo ai “decreti sicurezza” inaugurati da Minniti e su cui si è in seguito inserito Salvini.

Infine, è motivo di riflessione il comportamento dei sindacati della polizia penitenziaria. Dal SAP, di cui conosciamo le posizioni fin dai tempi di Aldrovandi, alla Uil, fino alla Funzione Pubblica della CGIL. Tutti hanno espresso solidarietà verso i poliziotti arrestati o si sono fermati alla leggenda delle “poche mele marce”. Da parte loro nemmeno il pudore di un’autocritica, neanche di fronte all’evidenza dei filmati.

I “dannati della Terra” sono vittime di violenze inaudite, forse non sarà sufficiente un nuovo regolamento di vita penitenziaria che sarebbe, come scrive l’associazione Antigone, un segnale di tangibile cambiamento che tuttavia non pare possibile in un mondo politico da anni silente e complice davanti alle violenze di Stato.

Marcio è il meleto, è il sistema da sradicare! Detenuto picchiato in carcere a Monza: quattro agenti della polizia penitenziaria a processo

Sono stati rinviati a giudizio quattro agenti della polizia penitenziaria di Monza: i poliziotti sono accusati di atti di violenza nei confronti di un detenuto avvenuti nel carcere di Monza due anni fa. I tre agenti e l’ispettore sono accusati di lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, abuso d’ufficio e omessa denuncia. È stata invece chiesta l’archiviazione per il reato di tortura. Il processo, in base a quanto confermato dal Procuratore Capo di Monza Claudio Gittardi, inizierà il prossimo novembre.

Gli episodi risalgono all’agosto del 2019
Gli episodi risalgono all’agosto del 2019. Il detenuto si trovava all’interno del carcere e da diverso tempo chiedeva di poter essere trasferito. A essere venuta a conoscenza della sua storia è stata l’associazione Antigone che aveva ricevuto la denuncia di un famigliare. Sulla base di quanto affermato dall’uomo, dopo una settimana di sciopero della fame, stava per essere riportato in cella da un’infermiera quando un agente lo avrebbe preso a pugni e schiaffi mentre gli altri lo tenevano fermo.

Come si sono difesi gli imputati
Dopo essere stato lasciato dolorante in cella, è stato trasferito in isolamento affermando di essere stato lui aggressivo con gli agenti di polizia. I momenti delle violenze sono stati ripresi da alcune telecamere, ma secondo gli agenti non è stato ripreso il momento precedente quando il detenuto avrebbe sferrato un calcio al volto dell’agente. I presunti responsabili hanno raccontato che le lesioni sono state causate da una caduta dopo il trasferimento in cella e da un atto di autolesionismo del detenuto.

Da https://www.fanpage.it/

A Melfi come in tutta Italia, no all’archiviazione delle torture

Denudati, picchiati e insultati: al carcere di Melfi come a Santa Maria Capua Vetere

Gli episodi nella notte tra il 16 ed il 17 marzo 2020, ma le immagini risultano inutilizzabili. L’avvocata Simona Filippi, dell’Associazione Antigone, si è opposta alla richiesta di archiviazione dell’esposto

Detenuti del carcere di Melfi legati con le fascette ai polsi, denudati, fatti inginocchiare e messi con la faccia a terra o rivolta al muro. A quel punto schiaffi, umiliazioni e manganellate da parte di un gruppo consistente di agenti penitenziari che, secondo le testimonianze, apparterrebbero ai Gom.

Le immagini delle telecamere risultano inutilizzabili

Le telecamere di video sorveglianza del carcere, però, risultano inutilizzabili per l’acquisizione delle immagini a causa di un backup periodico. Diversi detenuti della sezione di Alta Sicurezza di Melfi sarebbero stati messi con la faccia a terra e tenuti fermi con gli anfibi. Altri ancora, per essere condotti sul pullman, sono dovuti passare tramite un cordone formato dagli agenti e al passaggio sarebbero stati manganellati e insultati. Alcuni testimoniano di aver visto detenuti con la testa sanguinante, occhi tumefatti e nasi rotti.

I fatti sarebbero avvenuti nella notte tra il 16 e il 17 marzo 2020

Parliamo del carcere di Melfi e sono le 3 di notte del 17 marzo 2020. Un gruppo rilevante di agenti incappucciati in tenuta antisommossa con caschi, scudi e manganelli irrompe nelle celle della sezione AS1 per far uscire i detenuti. Alcuni di loro li avrebbero presi a calci, schiaffi e a manganellate mentre si trovavano legati e inginocchiati con la faccia rivolta al muro. Altri ancora, mentre si dirigevano verso il pullman per essere trasferiti in altre carceri, sarebbero stati presi a manganellate dagli agenti che avevano formato un cordone. «Venivo messo con la faccia rivolta verso il muro del corridoio della sezione dove era ubicata la cella detentiva e in attesa che arrivassero gli altri detenuti, venivo percosso con il manganello mentre mi insultavano».

Le testimonianze dei detenuti concordano sulla modalità dei pestaggi

È una delle tante testimonianze dei detenuti del carcere di Melfi relative a presunti pestaggi avvenuti alle 3 di notte del 17 marzo 2020. Una situazione simile a quella che è accaduta al carcere di  Santa Maria Capua Vetere. Un altro detenuto racconta: «Durante tutto il tragitto l’agente della scorta mi ha preso a manganellate fino al locale colloqui, arrivati qui mi ha fatto entrare nella stanza dei colloqui, era presente anche l’ispettore dei colloqui, uno bassino pelato, ed era presente anche l’appuntato dei colloqui che mi aveva fatto uscire dalla cella. Sempre il poliziotto che mi ha preso a manganellate mi ha detto: mettiti faccia al muro e spogliati, ogni indumento che mi toglievo avevo una manganellata».

Circostanza confermata anche da un altro detenuto, il quale ha ricordato che, mentre era in attesa di effettuare la perquisizione, ha sentito che il ristretto «veniva malmenato nello stanzino dei colloqui», tanto che lo stesso chiedeva «al personale in servizio di lasciarlo stare perché lo stavano massacrando».Un altro detenuto racconta di essere stato bruscamente svegliato da alcuni poliziotti penitenziari in tenuta antisommossa, muniti alcuni di caschi protettivi, altri da passamontagna, i quali gli hanno chiesto di vestirsi ed uscire velocemente dalla cella. Nel contempo, sia a lui che al compagno di cella, avrebbero applicato delle fascette in plastica ai polsi, dietro la schiena, in modo da impedire qualsiasi movimento.

Faccia al muro e costretti a passare in un “cordone umano”

Usciti fuori dalla cella, ovvero nel corridoio, li avrebbero messi faccia al muro in attesa di essere trasferiti ai piani inferiori. «Lungo il tragitto che ci avrebbe portato all’interno dei pullman – prosegue il racconto del detenuto -, gli agenti, intimandoci di tenere la testa bassa, avevano formato un cordone umano e alcuni di loro ci colpivano con dei calci nel sedere e in altre parti del corpo».

Tutte testimonianze che raccontano lo stesso evento.

Un altro detenuto ancora racconta di essersi svegliato a causa delle urla di altri detenuti. Aperti gli occhi, ha visto 5 agenti antisommossa dentro la sua cella. Uno di loro si è rivolto a lui e all’altro compagno di cella, intimando loro di vestirsi. Una volta uscito dalla cella, il solito modus operandi con le fascette di plastica ai polsi.

«Una volta immobilizzato – racconta il detenuto -, due agenti di Polizia penitenziaria mi hanno fatto inginocchiare e mi tenevano bloccato, faccia a terra, con gli anfibi. Durante queste fasi, venivo percosso dai predetti agenti di Polizia penitenziaria, con calci e sfollagente, gli stessi mi colpivano ripetutamente alla schiena, in testa, vicino alle gambe e nelle altre parti del corpo».

Il caso seguito da Antigone

È Antigone ad occuparsi di questo caso. In particolar modo l’avvocata Simona Filippi, sempre in prima fila per i casi di pestaggi e tortura che purtroppo avvengono in alcuni penitenziari. A marzo del 2020 Antigone viene contattata dai familiari di diverse persone detenute presso la Casa Circondariale di Melfi. Questi denunciano gravi violenze, abusi e maltrattamenti subiti dai propri familiari nella notte tra il 16 ed il 17 marzo 2020. Si tratterebbe, esattamente come nel caso di Santa Maria Capua Vetere, di una punizione per la protesta scoppiata il 9 marzo 2020. Le testimonianze, come abbiamo riportato nello specifico, parlano di detenuti denudati, picchiati, insultati e messi in isolamento.

L’avvocata Simona Filippo ha presentato un esposto, ma la procura ha chiesto l’archiviazione

Molte delle vittime sarebbero poi state trasferite. Ai detenuti sarebbero poi state fatte firmare delle dichiarazioni in cui avrebbero riferito di essere accidentalmente caduti, a spiegazione dei segni e delle ferite riportate. Il 7 aprile 2020 l’avvocata Filippi di Antigone ha presentato un esposto contro agenti di polizia penitenziaria e medici per violenze, abusi e torture. Ma la procura di Potenza ha avanzato richiesta di archiviazione.

Presentata opposizione e chiesto di sentire i compagni di cella

L’avvocata Simona Filippi di Antigone non ci sta e ha presentato opposizione. Secondo il legale, la procura non ha approfondito fondamentali circostante. Innanzitutto chiede di sentire i compagni di cella dei denuncianti. Secondo l’opposizione all’archiviazione, questi potranno confermare il racconto reso dalle persone offese sia rispetto alla dinamica di quanto posto in essere dagli agenti di polizia penitenziaria intervenuti sia rispetto alle lesioni riportate dalle vittime. Per quanto riguarda il riconoscimento degli agenti, Antigone chiede di procedere all’acquisizione dell’elenco degli agenti appartenenti al reparto Gom ed intervenuto nella notte tra il 16 e il 17 marzo 2020.

Un agente in servizio sarebbe stato riconosciuto

Risultano infatti acquisiti tra gli atti di indagine gli elenchi del personale intervenuto facente riferimento al Provveditorato territoriale. C’è anche un detenuto, compagno di cella di una delle presunte vittime dei pestaggi, che ha riconosciuto un agente in servizio nel carcere. Quest’ultimo, secondo la testimonianza, avrebbe detto ai Gom di andarci piano con quel detenuto, perché aveva seri problemi fisici. In sostanza, mancherebbero accertamenti fondamentali per avere riscontri. Ci sono diversi detenuti da sentire che sono testimoni dell’accaduto. C’è l’elenco dei Gom per individuare chi è intervenuto quella notte. Magari sentendo anche il Comandante che ha coordinato le operazioni, per approfondire in quali reparti e in quali celle sono andati gli agenti di polizia penitenziaria in servizio e anche gli agenti di polizia penitenziaria appartenenti ai Gom.

Il Gip accoglierà l’opposizione dell’avvocata di Antigone?

La dinamica denunciata è uguale a quella che è avvenuta nel carcere campano di Santa Maria Capua Vetere. Con la sola differenza che non è stato possibile dare corso all’acquisizione delle riprese video, in quanto, come emerso dall’esito degli approfondimenti, le telecamere poste all’interno del carcere consentono solo la visione diretta, ma non la registrazione. Non solo. Quelle che avrebbero potuto registrare i trasferimenti risultavano danneggiate dalla rivolta. Per le sole telecamere che hanno registrato tutto, allocate nella fascia perimetrale, il caso vuole che il backup periodico ne abbia impedito l’acquisizione. Il gip accoglierà l’opposizione dell’avvocata Filippi di Antigone? Di sicuro, ci sono ancora tanti accertamenti da compiere.

Val Susa 03/07/2011 Io non dimentico

Solo, in mezzo ad un plotone di criminali in divisa, manganellate, calci, pugni e sprangate, si sono abbattute come una tempesta sul mio corpo, setto nasale fratturato, radio ed ulna spezzati a metà, ecchimosi su tutto il corpo, trauma cranico, 27 punti di sutura per chiudere la pelle lacerata nella zona occipitale, sputi, minacce e ingiurie e ancora manganellate, pugni, calci, mentre ero disteso su un lettino sotto il sole, faticavo a respirare, la bocca piena di sangue, in attesa che qualcuno si accorgesse di me.
Se ne accorse Davide, un ragazzo della croce rossa, che disse agli agenti che ero grave e che andavo trasportato d’urgenza in elisoccorso al C.T.O. Di Torino, ancora qualche sputo, qualche minaccia in diversi accenti “in carcere te damo er resto”, “t’accidimme bastard” e poi la corsa in ambulanza con Davide, verso l’elicottero, “I denti, ce li ho ancora i denti?” Chiesi a Davide, “I denti sono a posto, ma come ti hanno ridotto!?” Rispose Davide asciugando il sangue mescolato agli sputi sul mio viso, e poi il pianto, un pianto liberatorio, di chi capisce di essere finalmente salvo, poi il volo in elicottero disteso su un lettino con il collo bloccato, scortato da 3 carabinieri che mi guardavano in cagnesco, l’arrivo in ospedale, la Tac, e i carabinieri dall’altro lato del vetro che mi facevano il gesto del taglio della gola, passandosi il pollice da un lato all’altro del collo, gli infermieri che li allontanano e che poi vengono a tranquillizzarmi, la morfina, finalmente!
Poi i compagni e le compagne , che vennero in ospedale, la solidarietà da tutta Italia, il loro calore, la forza che mi hanno dato.
Davide, il ragazzo della croce rossa, che in un primo momento si propose di testimoniare, contattato da me qualche tempo dopo, si rifiutó, aveva subìto pressioni, disse, aveva paura di ritorsioni, nessuno dei tanti uomini delle forze armate presenti si fece avanti, nessuno vide nulla, io mi ero fatto male da solo, forse calpestato da altri manifestanti, il caso è stato archiviato. Per questo non credo alla favoletta delle “poche mele marce” ogni volta che si verifica un caso di mala polizia, è l’intero albero della giustizia che è marcio in Italia, e l’omertà è l’arma più potente che possiedono le “nostre” forze di polizia e le cicatrici che ho addosso stanno lì a ricordarmelo.
Quanto a voi, so che pagherete tutto, in un modo o nell’altro pagherete tutto!
Io non dimentico!
Ora e sempre No Tav!

Inizia un nuovo processo per Nicoletta Dosio.

Lunedi 5 luglio si terrà la prima udienza di Nicoletta Dosio per le evasioni del 2016, quando dichiarò pubblicamente che non avrebbe rispettato la misura arbitraria e ingiusta che le era stata imposta dal tribunale di Torino per aver partecipato a una manifestazione No Tav 5 anni prima.

 A Nicoletta infatti, é stato recapitato un elenco di oltre 200 evasioni che fanno pensare a come i soldi pubblici vengano spesi, oltre che per devastare l’ambiente anche per pedinare una donna di 75 anni.

Dopo un anno di pandemia è imbarazzante vedere come Questura e Tribunale abbiano continuato imperterriti a denunciare e portare avanti procedimenti contro i No Tav mentre tutto il resto del mondo si é fermato. È sicuramente questa l’Italia ad alta velocità prevista dal recovery Plan.

Per quanto ci riguarda, continuiamo fedeli al nostro motto a dire che si parte e si torna insieme per questo invitiamo tutti e tutte ad assistere all’udienza appuntamento

LUNEDI 5 LUGLIO ORE 8:30 AL TRIBUNALE DI TORINO

Da notav.info