Conferenza stampa: lacrimogeni ad altezza uomo, ferita grave un’attivista No Tav

Si è svolta questa mattina alle 12,30, al Centro Polivalente di San Didero, la conferenza stampa del Movimento No Tav per denunciare e fare chiarezza sui gravi fatti accaduti ieri sera a seguito della meravigliosa giornata di lotta e del lungo e partecipatissimo corteo che ha attraversato i paesi della Valle da San Didero a San Giorio.

Il movimento No Tav, infatti, ha poi concluso la giornata di mobilitazione di ieri, con un saluto ai presidianti che ormai da giorni resistono sul tetto del presidio all’interno delle recinzioni.

Le forze dell’ordine hanno avuto una reazione spropositata a questo atto di solidarietà del Movimento, scatenando un fitto lancio di lacrimogeni ad altezza uomo colpendo una ragazza in pieno volto.

Questa generosa donna è una valsusina acquisita fin dagli albori del Movimento No Tav. Infatti, è sempre stata  presente dal 2005 in poi con sua figlia, ha anche vissuto in Valsusa per qualche tempo e in ogni occasione possibile è sempre pronta a sostenere la lotta No Tav.

Giovanna attualmente si trova all’ospedale Molinette con due emorragie celebrali e plurime fratture al volto. Ha inoltre subito pressioni da un’operatrice nonostante lo stato fortemente provato per le lesioni subite e l’estrema situazione di fragilità, colpevolizzandola per il fatto di essere stata ferita nell’ambito di una iniziativa del movimento no tav violando quel patto di sicurezza e protezione che si dovrebbero trovare in una condizione normale nel momento in cui si varcano le porte dell’ospedale. E’ notizia di questa mattina, inoltre, che la polizia è andata alle Molinette entrando nella stanza di Giovanna cercando di interrogarla contrariamente a quanto definiscono le norme anti-covid che vietano l’entrata di esterni, compresi i parenti, in ospedale.

Presente alla conferenza anche Loredana Bellone, consigliere comunale di San Didero, che ha sottolineato come l’occupazione militare del territorio del proprio Comune, sia un fatto molto grave e come sia inaccettabile che le forze di polizia non permettano il normale svolgimento della vita quotidiana del paese. Ha inoltre denunciato il comportamento ignobile delle forze dell’ordine che hanno causato il grave ferimento di Giovanna.

Troviamo inaccettabile questo comportamento così come troviamo inaccettabile la scelta di violenza praticata e perpetrata dalle forze dell’ordine ogni volta che la popolazione valsusina decide di opporsi ai cantieri dell’alta velocità.

Da lunedì cittadini e amministratori sono in mobilitazione opponendosi alle operazioni propedeutiche alla costruzione di un nuovo autoporto, cantiere collaterale del progetto, ormai monco, della Torino- Lyone. Quello che si trovano di fronte sono forze militari che si muovono nella notte, spropositate per numero e violenza, accompagnate da idranti e gas lacrimogeni lanciati ad altezza uomo.

Ieri sera si è sfiorata una tragedia che possiamo definire annunciata.

Perchè purtroppo queste modalità le abbiamo già incontrate negli anni passati quando già in altre occasioni il lancio di lacrimogeni ad altezza uomo, ha causato diversi ferimenti gravi quali ad esempio la perdita di un occhio, svariate fratture al volto e alla testa. Lo diciamo infatti da anni, è inaccettabile che le forze di polizia, in uno stato democratico, violino ogni convenzione dei diritti umani partendo dalla privazione del diritto di manifestazione arrivando a sparare ad altezza uomo lacrimogeni al CS che ricordiamo essere vietati dalla convenzione di Ginevra.

Da notav.info

CONTRO TUTTI I CPR – presidio in centro a Gradisca d’Isonzo

Il Cpr di Gradisca – precedentemente noto come Cpt e Cie – ha riaperto il 17 dicembre 2019. Un mese dopo, colpito dalle botte di otto membri delle forze dell’ordine, lì dentro è morto Vakhtang Enukidze, che era nato in Georgia e aveva 38 anni. Tra le varie versioni di quello che è successo nelle ore che hanno preceduto la morte di Vakhtang, noi abbiamo subito creduto e diffuso quella dei suoi compagni di prigionia, che, in cambio della loro testimonianza, hanno ricevuto dallo Stato italiano un decreto di espulsione e sono stati immediatamente deportati nei Paesi di provenienza.

Dopo altri due mesi, a Gradisca e nei territori circostanti cominciava un confinamento sociale per ragioni sociosanitarie, che – tra le altre cose – ha trasformato de facto il centro di accoglienza (Cara) a fianco del Cpr in un altro Cpr, o campo d’internamento.

Nella primavera del 2020, il lockdown ha ridotto brutalmente la presenza solidale sotto le mura del Cpr di Gradisca: le voci delle persone rinchiuse, che per la prima volta avevano valicato il muro di cinta raccontando all’esterno la violenza dell’istituzione, per mesi non hanno avuto, lì sotto, nessun orecchio che le ascoltasse. Nel frattempo, le deportazioni si erano fermate, ma i Cpr non hanno mai chiuso: nemmeno il rischio di un collasso sanitario e di una strage di esseri umani intrappolati hanno potuto incrinarne l’esistenza.

Durante l’estate, il Cpr di Gradisca ha ammazzato un’altra persona. Il suo nome era Orgest Turia ed è morto dopo un’overdose di farmaci: la verità sulla sua morte, come su quelle di Vakhtang e dei morti delle carceri di marzo, sta subendo un processo di insabbiamento con molti responsabili.

Come si è detto più volte in questo ultimo anno, la pandemia ha esacerbato le differenze sociali, pur non avendo innescato il conflitto. Tra i gruppi subalterni che hanno subito più forte la crisi sociosanitaria e la costrizione al lavoro in condizioni più pericolose del solito, ci sono le persone senza cittadinanza italiana, senza documenti regolari oppure appese al ricatto del rinnovo del permesso di soggiorno.

Le migrazioni sono un fenomeno antropologico connaturato all’essere umano, ma nella storia sono avvenute in varie forme e per varie ragioni. Il sistema globale neoliberista prevede lo sfruttamento di molte aree della terra e di popolazioni per il benessere di alcune specifiche aree, popolazioni e classi sociali. A causa di questo sistema, molte persone sono costrette a spostarsi contro la loro volontà; altre sono costrette a fuggire dalle bombe e dalla repressione; altre scelgono di muoversi per altre ragioni. L’esistenza delle frontiere, la gestione razzista e classista dei passaporti e dei visti e la militarizzazione dei confini europei di terra e di mare rendono i viaggi migratori una scommessa di vita o di morte per migliaia di persone. Per chi approda in Europa, si apre un altro viaggio tra minaccia dell’irregolarità, lavoro nero e razzismo sistemico.

Come scrive la rete Mai più lager, che il 24 aprile si mobiliterà contro i Cpr in varie città italiane, «I CPR, di tale percorso, sono l’epilogo, la fase terminale espulsiva di un sistema respingente e repressivo, lì dove alla negazione del diritto e dell’accoglienza si aggiungono la privazione della libertà e l’offesa della dignità personale, prima della rispedizione al mittente».

Sabato 24 aprile saremo a Gradisca per ricordare a quella città che sta ospitando un lager e per far sapere a chi è dentro che qualcuno è loro solidale e crede che quel posto non vada reso migliore ma raso al suolo.

Nel frattempo, a Trieste, chi agisce in solidarietà alle persone in arrivo dalla Rotta balcanica subisce sta subendo viene accusato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Da Gradisca a Trieste, siamo solidali con l’associazione Linea d’ombra: per noi, gli unici che favoriscono l’immigrazione clandestina sono gli Stati e i governi che impediscono l’immigrazione cosiddetta legale.

Protesta ieri sera nel Carcere di Marassi

La protesta con la battitura ieri sera nel Carcere di Marassi.
I detenuti della seconda sezione chiedono da tempo più ore di apertura delle celle a cui per regolamento avrebbero diritto, controlli sulla qualità del vitto e sui costi del sopravvitto.
La sorveglianza dinamica in gran parte di Marassi è applicata al ribasso con sole 4-5 ore di apertura reale delle celle, il regime di maggior apertura a cui la seconda (quella dove si trovano i definitivi) avrebbe diritto da molti anni non è più applicato.

Urgente, si aggravano le condizioni di Mattia nel carcere di Ancona. Altro che malasanità, questa è vendetta

Riceviamo e pubblichiamo un testo riguardo la grave situazione di pressione che nel carcere di Ancona stanno facendo vivere a Mattia (uno dei 5 detenuti dell’esposto). Tra loro Mattia non è l’unico che stanno provando a sfiancare in vari modi. Dalla seconda metà di febbraio a Cavazza (carcere di Piacenza) hanno messo la censura sulla posta. Tutti loro sono stati inoltre sottoposti a nuovo interrogatorio da parte della procura Modena. È chiaro che vogliono stare col fiato sul collo a tutti loro affinchè cedano, così come è chiara la volontà da parte delle guardie, dei medici conniventi e dell’amministrazione penitenziaria di dare un chiaro monito a chi ha ancora voglia di alzare la testa di fronte alle loro violenze.
Sosteniamoli ancora, come meglio crediamo!
Per scrivere a Mattia, Claudio, Cavazza e Francesco
Belmonte Cavazza_, C.C. Piacenza, Strada delle Novate 65, 29122 Piacenza.
Claudio Cipriani,_ C.C. Parma, Strada Burla 57, 43122 Parma
Francesco D’Angelo,_C.C. Ferrara, Via Arginone 327 44122 Ferrara
Mattia Palloni, _C.C. Ancona Montacuto, Via Montecavallo 73, 60100 Ancona

San Didero: violenza inaudita e vandalismo di stato contro i No Tav

Un giovane No Tav racconta la manifestazione di lunedì 13/04 a San Didero e della violenza che continua ad essere perpetrata dalle forze di polizia in Val di Susa.

Succede proprio in mezzo alla Valle, quando la popolazione decide che non accetta una militarizzazione del proprio territorio per favorire la costruzione di opere inutili come l’alta velocità Torino-Lione e le opere accessorie ad essa collegate.

Succede a San Didero, luogo in cui un giovane No Tav viene violentemente colpito alla testa da uno dei migliaia di lacrimogeni che la polizia ha lanciato in questi giorni, anche ad altezza uomo, anche in mezzo al paese.

Vandalismo di Stato, incendiata macchina attivista no tav a San Didero

Questa è la macchina di un’attivista No Tav. Martedì sera aveva parcheggiato l’auto alla rotonda da cui si raggiunge il paese. Quando la polizia ha iniziato a spingere i manifestanti verso l’abitato di San Didero con cariche, lacrimogeni e idrante la macchina è rimasta oltre i cordoni. Questa è la condizione in cui è stata ritrovata, con il motore completamente incendiato e i finestrini spaccati.

Non siamo nuovi a questo modus operandi delle forze dell’ordine in Val Susa, frustrati poiché si sentono mercenari in terra ostile si danno al vandalismo, ma non ci faremo intimorire di certo, abbiamo affrontato ben altro in trenta anni di lotta. Quando in tv sentite parlare dei No Tav come Black Bloc, come teppisti ripensate a queste immagini, cartoline dai territori occupati!

A breve attiveremo una sottoscrizione per dare una mano all’attivista No Tav che ha subito questo danno. Seguiranno comunicazioni

Da https://www.notav.info