Processo G7 Taormina. Digos: si’ sono loro i colpevoli, ma io non c’ero…

Si è tenuta ieri la nuova udienza a Messina del processo per la manifestazione che ci fu contro il il G7 di Taormina a fine maggio 2017. In questo processo sono imputati ben 41 compagni e compagne (per la maggioranza della Sicilia), di cui 5 di proletari comunisti (4 di Taranto e 1 di Bergamo).

Il reato principale rimasto sarebbe quello di aver “violato la zona rossa” con il grande, combattivo corteo che si svolse ai Giardini Naxos, contemporaneamente al G7, in cui i potenti imperialisti, tra grandi bivacchi mangerecci e giri turistici, soprattutto delle loro signore, decidevano le sorti dei popoli e dei proletari del mondo. Una bella manifestazione appoggiata dalla popolazione della zona, nonostante divieti, terrorismo statale, “zone rosse” in ogni strada.

Polizia, Digos, carabinieri piombarono ai Giardini Naxos dal nord, centro, sud,  in maniera sempre ultramassiccia, e per non lasciare che la grande manifestazione attraversasse tutto il paese, esibirono dal mare e dalla strada i loro “muscoli”, con cariche e quantita’ industriale di lacrimogeni. Ma non riuscirono a fermare le migliaia di manifestanti.

Quindi, hanno aperto questo processo, che via via diventa anche ridicolo.

In questa udienza sono stati sentiti i testimoni della Digos, e tra di loro sono stati sentiti anche un Ispettore di Taranto e uno di Bergamo, per i 5 compagni e compagne di proletari comunisti.

E qui vi è stata la “farsa”, per cui molto bravo è stato il nostro avvocato Vincenzo di Palermo, con domande precise e incalzanti.

Questi della Digos hanno detto che avevano individuato i nostri compagni e compagne dalle immagini di foto e video, dato che loro quel giorno non erano sul posto!

Al che l’avvocato ha chiesto loro di collocare i “soggetti imputati” nel tempo e nello spazio a Taormina/Giardini Naxos, e più precisamente se questi compagni imputati erano dentro o fuori della cosiddetta “zona rossa”.

La risposta degli ispettori è stata: “Io non lo so, mica ero sul posto…”.

La prossima udienza, forse l’ultima, sara’ il 17 ottobre.

Un operaio dell’ex Ilva di Taranto scrive ad Alfredo Cospito. Venerdi’ 24 mobilitazione dovunque

Ciao Alfredo,

mi presento: mi chiamo Lorenzo Semeraro e sono un operaio dell’ex Ilva di Taranto, oramai da più di quattro anni in cassintegrazione. Ma non è di me che voglio scrivere.

Ho avuto modo di conoscere te e la tua storia lo scorso 3 dicembre a Roma alla manifestazione indetta dai sindacati di base contro guerra e carovita, quando un gruppo molto combattivo di compagni si è presentato con un enorme striscione sul quale campeggiava il tuo nome e la richiesta di libertà dal regime carcerario del 41 bis, non c’è voluto poi molto per saperne di più, da allora infatti non c’è giorno che non passi senza che i telegiornali non parlino di te, John Lennon direbbe che sei più famoso di Gesù.

Nel corso di questi mesi si è discusso molto tra compagni di questo argomento, e diciamo che le posizioni a riguardo erano (o forse ancora sono) due sostanzialmente: chi sostiene che debba essere cancellato per i prigionieri politici come te o la compagna Nadia Lioce, e chi ne vorrebbe l’abolizione totale. Sino allo scorso 18 febbraio posso dire che appoggiavo la prima delle due, dopodiché la partecipazione ad una assemblea tenutasi quel giorno mi ha fatto riflettere abbastanza tanto da mutare quello che credevo essere la cosa giusta. Dopotutto il confronto di opinioni e l’evoluzione del pensiero è caratteristica dell’essere umano.

Quel giorno è stato bello ascoltare l’esperienza di vari compagni che sono passati attraverso la disumanità del carcere e sentire quanto matura sia diventata la loro mente. Quando chiesi ad uno di loro (o meglio: di noi) il motivo per il quale noi avremmo dovuto lottare per l’abolizione totale di questo regime carcerario e non solo per i compagni, si è aperta una discussione che è andata al di là dell’assemblea stessa per proseguire anche durante la pausa pranzo. Di tutto quello che è stato detto la cosa più importante per me, quello che davvero mi ha spinto a cambiare idea, è stato sentir dire che uno Stato nel momento in cui dispone di uno strumento repressivo lo utilizzerà per certo per reprimere il dissenso, come oggigiorno avviene in quegli Stati dove vige la pena di morte la quale viene (ab)usata per sopprimere le proteste, e che siano gli “oscurantisti” Stati islamici o i “democratici e difensori della libertà” Stati Uniti poco cambia.

Ovviamente il nostro Stato, non potendo usufruire di tale disumana crudeltà in quanto abolita, agisce per vie traverse ma crudeli in egual misura, misura che viene affiancata di volta in volta da nuovi strumenti repressivi, come i decreti sicurezza di salviniana memoria oppure il decreto anti-rave voluto dal ministro Piantedosi non appena insediatosi al Viminale.

C’è da dire che i mezzi di comunicazione di massa quando necessario all’interesse dell’ordine costituito distorcono in modo subdolo la realtà dei fatti o, forse più spesso, ne omettono delle parti in maniera tale da far passare solo una parte di quanto accaduto, e così che allora si influenza il pensiero di massa per allinearlo a quello dominante; ciò per dirti che anche se il tuo nome è adesso conosciuto da tutti praticamente quello che ancora non è molto chiaro sono le tue azioni, ed anche quando lo sono restano nell’opinione comune solo reati fini a sé stessi senza una reale motivazione. È dura. È dura riuscire a contrastare la forza delle televisioni, pubbliche o private che siano, dell’editoria di regime ed anche del web dove a farla da padrone sono le big tech.

Noi cerchiamo di contrastare col volantinaggio, compagni più bravi di me con gli appelli nelle piazze e nelle strade, ma i mezzi che abbiamo a disposizione sono irrisori messi al confronto.

Adesso ti saluto Alfredo, e proprio come il titolo di quel film documentario su Joe Strummer (da premettere che ancora, ahimè, non l’ho visto) il futuro non è scritto, e dunque l’epilogo della tua storia, anzi Storia, non è ancora deciso.

Scusa per la brevità della lettera, però sono totalmente certo che dal momento in cui ti è stata sbloccata la posta hai iniziato a riceverne così tanta da volere che siano tutte così brevi!!!

Spero di avere un giorno l’opportunità di conoscerti personalmente, sino a quel giorno resistiamo e lottiamo.

Un compagno.

Milano: basta sgomberi! Vogliamo case per tutt*!

Questa mattina alle ore 8:30 è iniziato lo sgombero dell’occupazione abitativa dell’ex stabilimento San Carlo di via Siusi, abbandonato da più di 20 anni. Da ottobre 2020 in via Siusi abitavano circa 40 persone tra cui alcune famiglie con minori, provenienti dal Mali, Gambia, Marocco, Brasile. La maggior parte di loro ha i documenti, altri sono in attesa di riceverli, altri ancora aspettano la sanatoria dal 2020. Lavorano nel settore edile, delle pulizie e della logistica o come rider. Nessuno di loro ha la possibilità di trovare nel mercato libero una casa in affitto sia per i costi esorbitanti sia perché il lavoro precario che svolgono con contratti a breve termine non rappresenta una garanzia per i proprietari di case. Negli spazi di via Siusi inoltre, in questi anni, si sono svolte diverse attività che hanno coinvolto il quartiere come la scuola di italiano, momenti ludici per bambini e incontri su lavoro precario, documenti, guerre politiche e colonialismi. Quella di via Siusi è stata una comunità che ha ricevuto forte solidarietà fin dall’ inizio dagli abitanti del quartiere che hanno contribuito portando libri, indumenti e arredi, e collaborato all’attività della scuola di italiano. Con lo sgombero di oggi, perdiamo un’esperienza e uno spazio importante per chi non ha casa a Milano. Tutto ciò accade in contemporanea con il “Forum dell’ abitare” in cui l’amministrazione comunale illustra le politiche abitative per il futuro di questa città. Un’amministrazione che, al contrario di quello che vuol far credere, non ha mai voluto ascoltare le voci di chi vive in prima persona il disagio abitativo.
Chiediamo a tutti solidarietà per gli abitanti di via Siusi, sgomberati senza che sia stata offerta una soluzione abitativa alternativa. Abitanti che rischiano con la perdita della casa, di perdere lavoro e documenti e ritornare in una condizione di forte marginalità.
Oggi c’è stato un presidio immediato in solidarietà alle persone sgomberate. Seguiranno aggiornamenti!!!