Soccorso Rosso Proletario

Soccorso Rosso Proletario

Firenze antifascista non si tocca! Chiamata alla solidarietà e alla partecipazione

RAFFORZIAMO LA PRESENZA IN PIAZZA!
CHIAMATA ALLA SOLIDARIETÀ E ALLA PARTECIPAZIONE!
FIRENZE ANTIFASCISTA NON SI TOCCA!
Sabato 4 marzo h 14.00 appuntamento in piazza D’Azeglio per entrare nel corteo con concentramento in piazza Ss. Annunziata.
La Lega di Salvini continua nella stesura della sua lista di proscrizione.
Questa volta si scaglia contro Firenze Antifascista.
Il tema è la solidarietà espressa ad AIfr3d0 C0spit0. Il segretario provinciale della Lega si rivolge a Nardella e ai sindacati confederali chiedendo: “Sono per lo Stato e la Costituzione o per C0spit0?”
Per quanto può contare, vorremmo citare l’art.27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Il 4I b1s invece è tortura. Il carcere invece è tortura. Punto.
Infatti ci pare che la prigionia di C0spit0 sia più vicina alla condizione cui fu sottoposto Antonio Gramsci: “Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per venti anni”, disse il PM fascista nella sua requisitoria.
Firenze Antifascista ha detto altrettanto chiaramente che la questione, più che sul richiamo alla Costituzione, sta nei rapporti di forza tra le classi: nel mantenimento di tali rapporti di forza il carcere è una necessità della società capitalista. Il superamento di questa società porterebbe anche al superamento della necessità del carcere stesso.
Con questo presupposto viene quindi avanzata la provocazione della lega di “escludere gli appartenenti alla sigla di Firenze Antifascista dal corteo”. Non ci interessa se o cosa verrà risposto a questa domanda. Firenze Antifascista non ha bisogno di lasciapassare. È pienamente legittimata ad essere dove vuole essere e dire ciò che vuole dire. Questa legittimità è stata costruita in anni di azione e attività politica sul territorio fiorentino ed è un fatto.
Da più parti intanto arrivavano accuse e invettive sul fatto che la Firenze Antifascista si stesse accodando “a sindacati e Pd”. Il segretario provinciale della Lega, incredibile ma vero, però stavolta coglie un fatto su cui altri sorvolavano: Firenze Antifascista è un elemento di contraddizione per quella piazza.
Il fatto che Firenze Antifascista chiamasse alla mobilitazione stava fuori dai calcoli sia degli organizzatori che delle istituzioni. Contavano sul fatto che Firenze Antifascista si sarebbe chiusa in una posizione di purezza oppure in una sorta di vocazione minoritaria andando a manifestare altrove.
Insomma, che in ogni caso avrebbe lasciato ad altri una piazza con migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Sarebbe stata una mossa ideale per tutti coloro che avrebbero voluto dare una rappresentazione dell’antifascismo come semplice movimento d’opinione e pacificato, svuotato del suo significato propulsivo e di emancipazione nel rivendicare la necessità del superamento di una società basata sulla guerra e lo sfruttamento, dell’uomo sull’uomo, sulla donna e sull’ambiente.
Crediamo che la posta in palio sia alta. Tutti si stanno schierando e molte cose appaiono sempre più chiaramente per quello che sono.
È sempre più lampante il ruolo di alcune redazioni. I fascisti non hanno avuto bisogno di dire una parola. Per loro parlano articoli di giornale e servizi televisivi.
Il Partito Democratico, fresco di primarie, utilizza questa manifestazione per ridarsi una legittimità che in realtà è già caduta sulla questione dell’invio delle armi a Kiev e ai battaglioni nazifascisti ucraini.
Le burocrazie confederali stanno cercando di riportare l’antifascismo su un terreno di compatibilità utile solo alla loro autoriproduzione.
In tutto questo, il territorio viene completamente scavalcato e travolto.
Le stesse Rsu delle scuole fiorentine strumentalizzate per legittimare un’operazione dove i livelli decisionali starebbero in capo a poche persone a Roma.
Infine, la manifestazione rischierebbe di svilire l’antifascismo al punto da farlo diventare terreno di ricomposizione elettorale tra Pd e M5S.
La presenza di Firenze Antifascista e l’appello “ANTIFASCISMO è ANTICAPITALISMO” in quella giornata sono quindi una spina nel fianco ad ogni opportunismo perché cercano di evidenziare tutte queste contraddizioni e rilanciano sulla necessità della costruzione quotidiana con nuovi appuntamenti già in calendario: 18 marzo a Milano per Dax e 25 aprile in piazza Santo Spirito.
Il CPA fi-sud lancia l’appello alla solidarietà verso Firenze Antifascista e affinché quello spezzone, dietro la bandiera della Brigata Sinigaglia, venga rafforzato il più possibile.
Centro Popolare Autogestito Fi-Sud
l’appello diffuso da Firenze Antifascista
APPELLO PER LO SPEZZONE “ANTIFASCISMO È ANTICAPITALISMO”
Sabato 4 marzo h 14.00 appuntamento in piazza D’Azeglio per entrare nel corteo con concentramento in piazza Ss. Annunziata
Davanti all’aggressione fascista avvenuta davanti al Michelangelo la Firenze Antifascista ha saputo dare una risposta che ha visto gli studenti in prima fila avere la forza e la capacità di coinvolgere molti docenti e addirittura alcuni Dirigenti scolastici affinché prendessero posizione rispetto all’accaduto.
Abbiamo visto i collettivi studenteschi decidere, prender parola e organizzarsi in modo completamente autonomo e indipendente da ogni opportunismo di sorta rivendicando a sé l’antifascismo come base culturale e azione pratica.
L’intervento del ministro Valditara, che ha fatto il paio con la sortita di Blocco Studentesco, ha disvelato una volta di più le pulsioni culturali e ideologiche di questo “nuovo” governo.
Pensiamo che quanto sta accadendo non sia frutto della contingenza ma semmai segni il punto cui siamo arrivati e le cui responsabilità arrivano fino allo stesso Partito Democratico.
La risposta non può essere estemporanea, ma deve porsi il problema della crescita e del radicamento.
Sta maturando nelle scuole fiorentine, e quindi anche in città, la possibilità di alzare il livello del dibattito, che studenti, docenti, lavoratori di altri settori e attivisti antifascisti diano vita ad un confronto e uno scambio che contribuisca a questa crescita.
Noi pensiamo che questa possibilità vada tutelata e perseguita.
Pensiamo che la manifestazione del 4 marzo, per le modalità con cui è stata convocata, possa però depotenziare questo lavoro facendolo deragliare.
La “difesa della Costituzione” è un mantra che sentiamo ripetere da anni e che ormai ci sembra utile solo a certi apparati e burocrazie che per autoaffermazione sbandierano un antifascismo di facciata.
La Costituzione è la Carta fondante della Repubblica scritta nel secondo dopoguerra.
È il compromesso tra le classi sociali e i partiti che le rappresentavano secondo i rapporti di forza che la Resistenza aveva stabilito.
Oggi quei rapporti di forza non esistono più e sono totalmente sbilanciati a tutto vantaggio della classe dominante.
Agitare la “difesa la Costituzione” al di fuori di questo ragionamento è un esercizio puramente retorico, capace al massimo di creare un movimento d’opinione completamente scollegato da una pratica di reale emancipazione.
Altrimenti rischieremmo anche di non capire i motivi per cui la Costituzione altro non è che un “pezzo di carta” ormai svuotato di ogni significato dalla realtà materiale dei fatti: basta parlare di guerra, lavoro, scuola, sanità e servizi essenziali per rendersene conto.
Non ci dobbiamo concentrare sulla Costituzione e sulla sua forma.
Ci dobbiamo concentrare sulla sostanza dei rapporti di forza.
I rapporti di forza che oggi producono la distruzione della scuola, della sanità e del trasporto pubblico.
I rapporti di forza che producono l’utilizzo di fondi e infrastrutture pubbliche al servizio della guerra.
I rapporti di forza che hanno prodotto la riabilitazione del fascismo e del nazionalismo come base di arruolamento nelle politiche autoritarie e di guerra.
I rapporti di forza che esaltano la “difesa dei confini nazionali” al prezzo di migliaia di morti nel Mediterraneo e della costruzione di CIE e CPR.
I rapporti di forza per cui, nonostante la crisi climatica e eventi atmosferici sempre più catastrofici, si continua a parlare di trivellazioni, carbone e addirittura nucleare.
I rapporti di forza che producano sempre maggiore sfruttamento sul lavoro fino alla possibilità di delocalizzare e chiudere una fabbrica disdettando unilateralmente il contratto collettivo dei metalmeccanici come sta accadendo in GKN dove gli operai non prendono stipendio da 5 mesi.
I rapporti di forza per cui gli studenti vengono mandati in alternanza scuola-lavoro e a morire in fabbrica a neanche 18 anni.
I rapporti di forza che legittimano la tortura di Stato e di fatto la condanna a morte di Alfredo Cospito, prigioniero politico al 41 bis in sciopero della fame da 120 giorni.
I rapporti di forza per cui nelle carceri pestaggi, autolesionismo e suicidi sono il pane quotidiano.
I rapporti di forza per cui, ogni istanza esca dalla compatibilità viene prima criminalizzata e poi repressa, proprio come le occupazioni studentesche ormai gestite come “problema di ordine pubblico” a partire proprio dagli stessi Dirigenti scolastici.
I rapporti di forza su cui dobbiamo agire perché la storia del futuro sia diversa da quella di questo presente.
Questa è la nostra urgenza: costruire consapevolezza e organizzazione.
Per questo, all’interno di manifestazione su cui abbiamo già espresso le nostre perplessità, facciamo appello alla costruzione di uno spezzone che continui a coltivare la possibilità di una vera crescita, si ponga il problema del domani e non si esaurisca con il “grande evento” che lascia poi il vuoto dietro di sé, respinga al mittente la logica degli “opposti estremismi”, legittimi l’azione necessaria alla chiusura delle sedi fascisti come risultato della capacità popolare di renderli luoghi avulsi dal contesto sociale in cui provano ad agire e non conceda spazio all’opportunismo di chi si richiama all’antifascismo solo per calcolo elettoralista.
Uno spezzone che sappia rimarcare con determinazione che “Antifascismo è Anticapitalismo” e che dalla piazza del 4 marzo rilanci verso l’appuntamento nazionale di Milano del 18 marzo perché, se è vero che il fascismo è nato su un marciapiede qualunque, è necessario ricordare che quel marciapiede è anche quello su cui Dax fu accoltellato alla gola dai fascisti 20 anni fa e su cui i suoi compagni furono massacrati di botte dalla polizia poche ore dopo all’ospedale San Paolo.
Uno spezzone che rilanci su Firenze un prossimo appuntamento di assemblea pubblica per la costruzione collettiva del 25 aprile della Firenze Antifascista in piazza Santo Spirito.

Israele ripristina la pena di morte per i palestinesi

Il governo Netanyahu approva la proposta di legge, promessa elettorale dell’ultradestra. Nel mirino i palestinesi. Piovono già condanne: «Crudeltà aggravata dalla discriminazione su base etnica» Amnesty International: «Apartheid»

Da Osservatorio repressione

di Chiara Cruciati

Itamar Ben Gvir lo aveva promesso appena nominato ministro della sicurezza nazionale, due mesi fa: tra le priorità del suo dicastero ci sarebbe stata la reintroduzione della pena di morte in Israele per i palestinesi accusati di terrorismo. Domenica la promessa si è concretizzata nel primo passo della futura legge: il comitato ministeriale sulla legislazione ha approvato un disegno di legge che istituisce la pena capitale per i terroristi.

Via libera del governo Netanyahu, dunque, nonostante il parere contrario (e in teoria vincolante) della procuratrice generale Gali Baharav-Miara che ha definito la proposta «incostituzionale» (a maggior ragione, dice, nella parte che fa riferimento ai Territori occupati, essendo appunto illegalmente occupati).

A presentare il disegno di legge è stato Otzma Yehudit, il partito di ultradestra Potere ebraico, che dettaglia il concetto di «terrorista»: chiunque «intenzionalmente o meno causa la morte di un cittadino israeliano quando l’atto è compiuto per motivi razzisti o di odio e con l’obiettivo di danneggiare lo Stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella propria patria».

Definizione ampia e che non indica i palestinesi come primo obiettivo (tra l’altro, il 20% dei cittadini israeliani è palestinese) da cui la necessità di Ben Gvir e del premier Netanyahu di dare qualche dettaglio in più, indicando nell’uccisione di due coloni israeliani vicino Nablus la molla finale della proposta di legge. La stessa stampa israeliana, a partire dal Jerusalem Post, indica come assai improbabile che a essere condannato a morte possa essere un ebreo che assassina un palestinese.

A livello internazionale le reazioni non sono certo di giubilo. Già qualche giorno fa Amnesty aveva condannato la proposta sia per la crudeltà della pena di morte sia perché la legge «è il tentativo di creare una distinzione su base etnico-nazionalista e questo la rende una legge di apartheid». Condanna anche dagli esperti Onu: «Passo profondamente regressivo» che «tra l’altro si applicherà alle minoranze e a chi vive da 55 sotto occupazione».

da il manifesto

******

La pena di morte per puntellare l’apartheid israeliana

Al di là dell’impressione suscitata dall’assistere a un passo del genere proprio nell’unico stato del Medio Oriente in cui la pena capitale non è applicata, il testo lascia sgomenti: per com’è scritto, è evidente che non riguarderà il caso, contrario, in cui l’omicida sarà un ebreo e l’ucciso un palestinese

di Riccardo Noury – portavoce di Amnesty International Italia

Nonostante la procuratrice generale avesse avvisato che sarebbe stato meglio valutare prima se il provvedimento avrebbe potuto avere qualche effetto deterrente, domenica scorsa il comitato legislativo del governo israeliano ha dato via libera alla legge sulla pena di morte.

Secondo il testo proposto dal partito di destra Otzma Yehudit, che ieri ha passato il primo voto in parlamento, «chi intenzionalmente o meno causa la morte di un cittadino israeliano, se l’atto è portato a termine per motivi razzisti o di odio allo scopo di danneggiare lo stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella sua patria», è passibile di pena di morte.

Se il crimine è commesso in Cisgiordania, la pena verrà inflitta da un tribunale militare anche in caso di non unanimità del verdetto.

IL MINISTRO per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha dichiarato che «si tratta di una legge morale, tanto più necessaria in uno stato in cui i cittadini israeliani vengono presi di mira da un’ondata di terrorismo, e che esiste nella più grande democrazia del mondo», un chiaro riferimento agli Stati uniti. Che dunque non avranno motivo di protestare. Nella nota di accompagnamento alla legge, si fa riferimento al «grande effetto deterrente» della pena di morte, che peraltro proprio negli Stati uniti ha dimostrato di non esistere.

Al di là dell’impressione suscitata dall’assistere a un passo del genere proprio nell’unico stato del Medio Oriente in cui la pena di morte non è applicata (il numero globale è di 144 stati, l’ampia maggioranza del pianeta) e del ritorno della mai dimostrata idea della «deterrenza», il testo lascia sgomenti: per com’è scritto, è evidente che non riguarderà il caso, contrario, in cui l’omicida sarà un ebreo e l’ucciso un palestinese.

Non a caso, Amnesty International Israele ha preso una posizione ferma: l’organizzazione per i diritti umani ha definito la legge «un altro tassello di un colpo di stato legale che intende aggirare se non eliminare gli ultimi contrappesi che, di tanto in tanto, hanno cercato di difendere i diritti umani delle minoranze: un colpo di stato legale nato dalla contorta idea della supremazia ebraica e che intende legittimarla».

Siamo di fronte a un altro tassello del sistema di apartheid israeliano: una legge che crea una distinzione su base nazionale ed etnica tra chi compie un omicidio e di cui si propone l’applicazione anche dove la legge della Knesset non ha competenza e dove regnano le ordinanze militari, ossia nei Territori occupati palestinesi.

L’ORRORE è che il sistema dell’apartheid si rafforzi attraverso una legge sulla pena di morte. L’Europa, che ha una consolidata posizione abolizionista e che è da tempo promotrice delle risoluzioni contro la pena di morte all’Assemblea generale delle Nazioni unite, prenderà posizione? O prevarrà, come sempre quando si tratta di diritti umani, «l’eccezione Israele»?

Anche di questo si parlerà il 14 marzo a Roma, in un convegno in programma alle 15.30 all’Università La Sapienza cui prenderanno parte, tra le altre, Francesca Albanese (relatrice speciale delle Nazioni unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967), Leila el Houssi (docente di Storia e istituzioni dell’Africa presso la facoltà di Scienze politiche, Sociologia e Comunicazione), la giornalista e scrittrice Paola Caridi e, per Amnesty International, la coordinatrice delle campagne Tina Marinari.

Oggi a Bari studenti contro la repressione

BARI. SEI STUDENTI DENUNCIATI PER UNO STRISCIONE IN UNIVERSITA’ CONTRO LA GUERRA. NON ABBIAMO PAURA, LA LOTTA NON SI FERMA!

++ Conferenza stampa giovedì 2 marzo ore 15:00 ingresso del Politecnico in Via Orbona ++

Sei militanti della nostra organizzazione, tutti studenti dell’Università di Bari, sono stati perquisiti e denunciati nella giornata di sabato 25 febbraio per aver esposto davanti al Politecnico uno striscione – poi sequestrato – di denuncia contro gli accordi tra l’ateneo e le industrie belliche, un’azione compiuta in collegamento con la manifestazione nazionale chiamata dai lavoratori portuali a Genova che ha visto nello stesso giorno scendere in piazza oltre diecimila persone in opposizione alla guerra e dove, come studenti e universitari, ci siamo mobilitati a fianco della lotta per bloccare il transito delle armi nei porti.

Vogliamo subito mettere in chiaro che non indietreggeremo minimamente davanti a queste intimidazioni, siamo convinti delle ragioni della nostra protesta e del fatto che dentro le nostre università debba esserci garantito spazio di agibilità politica e democratica.

La nostra organizzazione da tempo è impegnata nel portare allo scoperto il tema delle numerose relazioni tra industria bellica e mondo accademico. Non solo il Politecnico ma anche l’Uniba sono, infatti, al centro di una massiccia operazione che vede schierati in prima fila industrie belliche e il Ministero della Difesa in ottica di rafforzamento militare del quadrante Mediterraneo.

La guerra in corso in Ucraina, che vede coinvolta l’Italia dentro l’alleanza atlantica della NATO, sta portando ad un irrigidimento del controllo sul “fronte interno” e ad un irrequietudine del controllo politico su quello che si muove nel paese e dunque anche nelle università. Ma non saranno queste denunce a fermare le nostre lotte. Con ancora maggiore convinzione continuiamo la mobilitazione, diamo appuntamento giovedì 2 marzo ore 15:00 all’ingresso di Via Orbona del Politecnico di Bari per una conferenza stampa.