Rigettata la richiesta di estradizione per gli esuli politici rifugiati in Francia

Da Osservatorio Repressione

La Corte di Cassazione francese ha rigettato la richiesta di estradizione per gli esuli politici rifugiati in Francia ed è definitivo. Che gli affamati di vendetta se ne facciano una ragione. Meglio interrogarsi finalmente sulla storia.

La Cassazione francese ha confermato la decisione già presa dalla Corte d’Appello di Parigi di negare l’estradizione in Italia dei dieci ex militanti dell’estrema sinistra che nell’aprile 2021 erano stati arrestati su richiesta del “partito della vendetta”, e successivamente liberati. Il parere negativo della Cassazione sulle richieste di estradizione è dunque definitivo.

Le estradizioni erano state richieste dal governo italiano nel 2021: riguardavano Giorgio Pietrostefani, tra i fondatori del movimento Lotta Continua; gli ex brigatisti Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Maurizio Di Marzio ed Enzo Calvitti; l’ex militante di Autonomia Operaia Raffaele VenturaLuigi Bergamin dei Proletari Armati per il Comunismo e Narciso Manenti dei Nuclei armati per il Contropotere Territoriale. Hanno tra i 62 e i 79 anni e vivono in Francia da almeno venticinque anni.

È un immenso sollievo, sono veramente molto emozionata. Questa decisione della Corte di Cassazione rappresenta la vittoria del diritto a cui ho sempre creduto contro gli smarrimenti politici“. Ad affermarlo all’Adnkronos è Irene Terrel, l’avvocata francese di sette dei dieci ex militanti italiani fermati in Francia nell’ambito della cosiddetta operazione ‘Ombre rosse’ del 2021 commentando la decisione della Corte di Cassazione che respinge la richiesta di estradizione degli esuli politici italiani rifigiati in Francia.

Questa decisione definitiva – sottolinea Terrel – si basa sul merito e sul fondo. Riconosce che il procedimento in contumacia come previsto in Italia viola l’articolo 6 e dall’altro perché viene violato l’articolo 8 sul diritto alla vita privata e famigliare, i principi fondamentali previsti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo come aveva affermato la Corte di Appello di Parigi. E’ la consacrazione giudiziaria del diritto di asilo e chiude un capitolo lungo 40 anni“, conclude Terrel.

“Cosa dovevano fare? Portare in Italia una persona di 75 anni per rieducarla? Una persona che da 50 anni vive in Francia e che conduce una vita del tutto diversa” commenta l’avvocato Giovanni Ceola, legale italiano di Luigi Bergamin, uno dei dieci ex militante delle Pac per i quali la Cassazione francese ha confermato il rifiuto all’estradizione. “Valuto positivamente questa decisione – ha aggiunto il legale, parlando con l’ANSA – ce l’aspettavamo, è un esito scontato. Lo stesso procuratore generale aveva chiesto il rigetto di un ricorso che era stato fatto solo perché chiesto dal presidente della Repubblica francese”. Quello di oggi, ha concluso, “è un verdetto che si basa sui principi della Corte europea”.

Alla base della decisione dei giudici francesi il fatto che molti degli arrestati erano stati giudicati in Italia in loro assenza, e non avrebbero avuto la possibilità di difendersi in un nuovo processo poiché la legge italiana non offre questa garanzia. Poi il tribunale ricordava ai colleghi italiani che i rifugiati vivevano in Francia da ormai 25-40 anni. Questo significava una vita nuova familiare, sociale e lavorativa rompendo qualsiasi legame con l’Italia e la vecchia vita. Dunque per i giudici francesi la loro estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e famigliare. Tutte motivazioni già espresse nel giugno 2022 e che la Corte di cassazione considera oggi sufficienti e respinge quindi il ricorso

Il commento  a Radio Onda d’Urto  di Paolo Persichetti, ricercatore ed ex rifugiato politico in Francia. Ascolta o Scarica

Oggi giornata internazionale per i prigionieri politici lanciata dai compagni turchi di UPODAK

appello in francese e inglese – info poster sul simposio internazionale di stoccarda

18 Mars Journée Internationale Des Prisonniers Politiques

LIBERTE POUR TOUS LES PRISONNIERS POLITIQUES !

Chaque année, le 18 mars, Journée internationale des prisonniers politiques, nous sommes confrontés à la réalité que des milliers de personnes dans de nombreux pays du monde sont emprisonnées pour leurs pensées et soumises à de graves tortures.  Car la crise du système actuel s’approfondit chaque jour. En conséquence, le fossé entre les gouvernants et les gouvernés se creuse progressivement. Dans de nombreux pays du monde, les attaques contre les forces de l’opposition sociale s’intensifient à cause de cela. Avec les nouvelles réglementations légales, la pression augmente contre ceux qui critiquent le système et manifestent leur réaction par diverses actions et activités. Les lois déterminant de nombreux droits fondamentaux, en particulier les lois sur les rassemblements et les manifestations et les lois sur la sécurité existantes,  se durcissent chaque jour.

Contre ces attaques du système dans de nombreux pays; avec des manifestations de rue, des grèves ouvrières et paysannes, des activités de défense de la nature, les forces d’opposition sociale organisent leur opposition de plus en plus puissante.  En conséquence, des centaines de milliers de personnes dans le monde sont emprisonnées et soumises à de graves tortures. Chaque jour, l’augmentation du nombre de détenus politiques se mue en une armée de prisonniers politiques.

Les conditions dans les prisons s’aggravent.

Les conditions carcérales se détériorent dans tous les pays. Les conditions d’isolement imposées causent de lourds dommages aux prisonniers en raison d’années de captivité. Avec cela, des tortures sévères sont systématiquement appliquées aux détenus dans toutes les prisons. D’autant plus que les précautions adéquates ne sont pas prises dans les lieux de détention, contre la pandémie de la covid. De nombreux prisonniers qui ont déjà des problèmes de santé sont confrontés à des maladies qui s’aggravent de plus en plus. Malgré la poursuite des campagnes internationales, les prisonniers souffrant de graves problèmes de santé ne sont pas libérés et sont abandonnés jusqu’à leur mort.

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Per Alfredo – intervista a Flavio Rossi Albertini, avvocato del compagno anarchico Alfredo Cospito – Invitiamo ad organizzare e partecipare a tutte le nuove iniziative capillari e generali nelle forme possibili e alla giornata del 24 marzo

L’intervista è tratta dal giornale Resistenza

Con la linea di decidere di non decidere e lasciare le cose al loro corso, le autorità giudiziarie si sono infilate in un vicolo cieco che conduce direttamente a una sorta di “condanna morte” di fatto del prigioniero Alfredo Cospito. Pretendono una dissociazione politica anche solo per considerare la revoca del 41bis. Stante l’indisponibilità di Alfredo a dissociarsi – e considerando che la questione è prima di tutto politica – al punto in cui si è giunti sembra che non esista alcuna strada legale per risolvere la situazione. È così, oppure anche dal punto di vista legale ci sono strade da percorrere?

Più che dissociazione io direi che quello che richiedono in realtà è proprio una collaborazione, perché per poter uscire dal 41bis il detenuto, in questo caso Alfredo, dovrebbe fornire un vero e proprio contributo atto a chiarire magari la storia della FAI (Federazione Anarchica Italiana, ndr) in un’ottica accusatoria, per cui quello che si richiede a Alfredo sostanzialmente, al pari di tutti gli altri detenuti, è quello di sostituire la propria persona con un amico, un parente, un compagno o chiunque sia, per cui certamente questo Alfredo non lo fornirà mai.

Ci sarebbero altre strade da percorrere ma l’unica questione, l’elemento centrale nella valutazione sono i tempi di Alfredo, quanto potrà effettivamente continuare uno sciopero della fame che oggi (l’11 marzo, ndr) è arrivato al centoquarantunesimo giorno, per cui qual è l’aspettativa di vita per un uomo che ha intrapreso una battaglia così importante, come lui la definisce per la vita ma non per la morte, ma che ormai si approssima ai cinque mesi.

Noi sicuramente nei prossimi giorni, anche forti della decisione del Comitato per i diritti umani che è organo del Patto internazionale per i diritti politici e civili dell’ONU presenteremo un ricorso alla CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ndr).

La differenza tra la CEDU e l’ONU è che l’ONU può al più dare indicazioni non vincolanti al governo. Abbiamo visto che il governo, ovvero il Ministero della giustizia, ha immediatamente diffuso una nota nella quale dice che sostanzialmente non ritiene di dover compiere alcun passo a favore di Alfredo o che possa attenuare effettivamente la sua condizione detentiva.

È però un’arma importante perché politicamente è oggettivamente una “bomba”: è infatti la prima volta, per quello che noi sappiamo e che ci confermano gli esperti di diritto internazionale, che un Comitato dell’ONU si misura con un regime detentivo e non con la pena di morte o con la tortura, che sono normalmente l’oggetto dell’intervento di questi organismi. Quando uno Stato sottopone o intende sottoporre alla pena di morte un detenuto o quando intende espellerlo verso un altro paese che pratica la tortura, lì interviene normalmente questo Comitato per i diritti umani. Nel nostro caso invece, è la prima volta che il Comitato si esprime su quelle che possono essere le conseguenze di trattamenti inumani e degradanti, della violazione dell’umanità della pena nei confronti di un detenuto. È chiaro che se si è espresso in questi termini per Alfredo il giudizio è estendibile agli altri 749 uomini e donne che sono sottoposti allo stesso regime detentivo, per cui è estremamente importante.

Forti di questa pronuncia, quello che vorremmo fare a questo punto è adire la CEDU perché questa potrebbe invece assumere dei provvedimenti vincolanti per l’ordinamento giuridico interno italiano e pertanto apportare effettivamente un miglioramento nella condizione detentiva di Alfredo. Questo è l’obiettivo, adesso dovremo presentare il ricorso e verosimilmente questo avverrà la settimana prossima, detto ciò i tempi della CEDU potrebbero essere lunghi, non di anni ma di mesi, e pertanto anche in quel caso entrare in contraddizione con le condizioni di salute di un soggetto che è già prossimo ai 5 mesi di sciopero della fame, questo è il vero problema dal punto di vista giuridico.

La resistenza di Alfredo, oltre ad aver sollevato il coperchio sulla situazione carceraria e sugli arbitri delle autorità giudiziarie, ha suscitato un grande e variegato movimento di solidarietà. Un movimento che ha avuto un ruolo determinante nel far diventare la resistenza di Alfredo un “caso politico”. Condividi questa analisi? 

Condivido dell’analisi il fatto che Alfredo ha avuto un grande merito, quello di sollevare una cappa di silenzio che per trent’anni aveva avvolto uno strumento che noi ormai, come avvocati, definiamo apertamente uno strumento di tortura, uno strumento medievale come il 41bis che serve solamente a piegare e ad affliggere gli uomini e le donne che vi sono sottoposti per anni e anni, alcuni di loro sono da 30 anni al 41bis, con il solo obiettivo di ottenere non solo la confessione ma la chiamata di correità di qualcun altro.

È evidente che si aprono tante questioni sulle politiche emergenziali, sulle finalità di questi strumenti, sull’allargamento della loro applicazione e sulla tendenza a farle diventare norme ordinarie. Quello che manca in questo momento, di fronte a una battaglia così importante come quella intrapresa da Alfredo, sono rapporti di forza all’esterno, nella società, che oggettivamente mancano. Sicuramente si è espressa solidarietà per Alfredo ma è una solidarietà che verosimilmente non riesce ad incidere nei rapporti di forza con le controparti istituzionali.

Quali sono le strade da percorrere per rendere questo movimento uno strumento di pressione più efficace? (cioè chi puntare a coinvolgere, ad esempio).

È stata lanciata dalla città di Napoli una campagna condivisa dalle diverse aree politiche che si chiama Morire di Pena ed è contro il 41bis, l’ergastolo e il carcere ostativo, una campagna che dovrà diffondersi in maniera capillare nella società fino a permearla. Personalmente, sto partecipando ad esempio a incontri con studenti e studentesse nelle scuole e all’università per tentare di contaminare diversi contesti. Un altro dei contesti sicuramente interessanti con i quali stiamo sviluppando un dialogo è il Collettivo di Fabbrica della GKN.

È un percorso che certamente non darà dei risultati immediati ma stiamo provando a sedimentare qualcosa e a realizzare quelle condizioni che magari potranno portare in un prossimo futuro alla nascita di un movimento più consapevole anche su questi argomenti.