Soccorso Rosso Proletario

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Lunedì 18 gennaio su Report: cosa è successo ai tempi del Covid-19 nelle carceri italiane?

Domani su Rai3 alle 21.20: il servizio di Report sulle carceri. Cosa è successo a marzo? Tante le testimonianze raccolte da Bernardo Iovene a Modena, Opera, Rebibbia, San Gimignano, Napoli dai familiari che nell’ ultimo anno hanno dato vita ad una mobilitazione incessante per denunciare le condizioni estreme di disagio e paura dei detenuti.

Contagi nelle carceri fuori controllo? Svuotatele!!

Contagi nelle carceri fuori controllo, ma per il governo è sufficiente chiudere detenuti e detenute, positivi e negativi insieme, 24h al giorno, senza ora d’aria, senza colloqui, senza attività, senza vaccinazione. La vaccinazione, in carcere, è ritenuta prioritaria solo per le forze dell’ordine, tanto che è in corso una petizione on line, lanciata dalla onlus “La società della ragione”, per chiedere al Ministro della Salute e al Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 che anche le persone detenute e gli altri operatori penitenziari siano inseriti tra le categorie prioritarie nella vaccinazione contro il Covid 19.

Una petizione che ancora adesso stenta a crescere e che comunque non risolve il problema del sovraffollamento.

Come riporta un articolo su “Domani”, che riprendiamo sotto, La settimana tra l’11 e il 16 gennaio ha visto un’impennata di casi da Covid-19 nelle carceri italiane in particolare nei penitenziari milanesi dove i detenuti positivi sono cresciuti di oltre il triplo, mentre in tutta l’Italia sono aumentati del 25 per cento. 

La settimana tra l’11 e il 16 gennaio ha visto un’impennata di casi da Covid-19 nelle carceri italiane in particolare nei penitenziari milanesi dove i detenuti positivi sono cresciuti di oltre il triplo, mentre in tutta l’Italia sono aumentati del 25 per cento.

A comunicare la notizia è il Dipartimento amministrazione penitenziaria nell’ultimo bollettino con i dati riservati ai sindacati della polizia penitenziaria e aggiornati al 14 gennaio. Per quanto riguarda i casi nelle carceri milanesi i dati sono allarmanti: i casi a Bollate erano 36 il 7 gennaio e ora sono saliti a 109, a cui va aggiunto un altro detenuto ricoverato in ospedale. A San Vittore invece i casi sono passati da 17 a 59. In tutte le carceri della Lombardia i casi di Covid 19 sono 228, quasi un terzo di quelli nazionali.

«Colpa del sovraffollamento»

L’impennata delle carceri milanesi ha una chiara causa, secondo Francesco Maisto, garante delle persone private della libertà personale del comune di Milano. «I dati a cui assistiamo oggi sono dovuti a un sovraffollamento che è diffuso in tutta Italia, ma soprattutto in Lombardia e che rende di fatto praticamente impossibile il distanziamento sociale» :spiega il garante secondo cui per porre fine alla catena dei contagi nei penitenziari milanesi bisognerebbe «fare una scrematura dei detenuti da destinare a soluzioni alternative al carcere». Quella del carcere «isolato dal mondo» è una leggenda metropolitana secondo Maisto che nota come il Covid-19 sia arrivato fino ai detenuti posti al 41 bis nel carcere di Opera. L’aumento dei positivi non è un problema solo per i detenuti visto che che come racconta Maisto: «Anche due agenti penitenziari sono morti dopo avere contratto il virus. Si tratta di un dato molto alto se confrontato con le altre regioni».

Un problema nazionale

In tutto il paese, i detenuti positivi sono 718 di cui 681 sono asintomatici, 11 presentano sintomi e 26 sono stati ricoverati. Il 7 gennaio erano 556. Il Lazio è la seconda regione per numero di contagi, quasi tutti concentrati nei penitenziari romani. A Rebibbia sono 54 i positivi (altri quattro detenuti sono ricoverati in ospedale) e 35 i contagiati a Regina Coeli. Sessanta i casi in Veneto di cui 37 a Vicenza e 23 a Venezia. Gli altri focolai di maggiore entità sono a Sulmona  che conta 53 detenuti positivo mentre a Napoli sono quaranta i detenuti contagiati nel carcere di Secondigliano. Lo stesso numero è registrato a Palermo nel penitenziario di Lorusso. In tutta Italia i poliziotti penitenziari contagiati sono 640 che sommati ai positivi tra il personale portano a 701 il totale dei positivi nell’amministrazione penitenziaria.

Una situazione sempre più estrema

I dati sugli ultimi contagi in carcere solo solo uno dei problemi legati all’emergenza Covid-19. Domani ha raccontato come il Natale dei detenuti sia stato particolarmente duro a causa delle restrizioni imposte per evitare la crescita di contagi e dell’impossibilità di svolgere le normali attività. Una situazione che, come raccontato da una psicologa di San Vittore, «nei casi più gravi ha portato le persone in cella a tagliarsi o commettere atti di autolesionismo».

Rivolta soffocata nei pestaggi a Rebibbia: ecco cosa c’è dietro, altro che anarchici o mafiosi!

Da il Riformista

Tutti in isolamento in cella 24 ore su 24, Conte ci ha abbandonati

Tutti in isolamento in cella 24 ore su 24, Conte ci ha abbandonati

Il primo dell’anno ci siamo svegliati con un focolaio da Covid 19 nel reparto G12 di alta sicurezza. Nel momento in cui scriviamo la situazione è di 36 persone contagiate su 117 presenti nel reparto che è suddiviso in tre sezioni. In una sola sezione, i contagiati sono 29 su 40, mentre altri 7 sono nelle altre due sezioni. Dei 36 contagiati, 31 sono stati isolati nel reparto G9 destinato al Covid, gli altri 5 sono stati ricoverati in ospedale e non sappiamo le loro effettive condizioni di salute.
Le misure adottate nei confronti di chi non è stato contagiato sono stringenti. Tutte le attività sono state chiuse. Non entrano volontari, professori universitari o tutor, anche le funzioni religiose sono sospese. Praticamente siamo tutti in isolamento, chiusi in cella 24 ore su 24, usciamo solo per telefonare ai nostri cari e per la doccia.
La spazzatura prodotta nelle celle viene ritirata in appositi contenitori monouso per rifiuti sanitari speciali, mentre i cartoni e le plastiche di imballaggio della spesa acquistata e distribuita vengono prima sanificati sui carrelli e poi portati fuori dal reparto.
Siamo ansiosi, stressati, preoccupati e in apprensione non solo per le sorti dei nostri compagni contagiati. L’ansia aumenta a ogni tampone perché si teme che altri di noi possano risultare positivi.
In questa situazione di emergenza, la Direttrice Rosella Santoro ha subito attivato un dialogo con noi. Le abbiamo dato i nomi delle persone che a causa delle patologie conclamate, dell’età e, soprattutto, del focolaio in corso avrebbero bisogno di una sospensione della pena. Consapevole delle nostre preoccupazioni e di quelle delle nostre famiglie, la direzione ha aumentato le telefonate e le ha autorizzate anche nei giorni festivi, nei quali non venivano effettuate. Anche gli agenti di custodia hanno mostrato professionalità e attenzione alla situazione nella quale siamo tutti coinvolti. Un plauso va dato agli infermieri.
Abbiamo inviato una missiva al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiedendogli di intraprendere una politica che riconsideri le cose da fare, anche per il carcere. Lo abbiamo ringraziato per aver ricevuto Rita Bernardini, dal 7 gennaio di nuovo in sciopero della fame, e per la visita fatta a Regina Coeli. Tuttavia, la sua affermazione “per le carceri è tutto sotto controllo” per noi ha avuto il sapore dell’abbandono politico.
Prima del focolaio a Rebibbia, abbiamo inviato un reclamo – ai sensi dell’art. 35 dell’Ordinamento penitenziario – al Presidente della Repubblica, dal quale emerge chiaro un quadro delle preoccupazioni e degli interventi mancati nelle carceri della Repubblica da qualche decennio a questa parte. Avevamo fatto riferimento a un peggioramento della situazione che nella nostra struttura penitenziaria si è puntualmente verificato. All’evidente abbandono politico delle carceri dobbiamo registrare anche l’abbandono della Costituzione. Infatti, a oggi, nessun provvedimento serio di decongestionamento è stato preso da Governo e Parlamento.
Ancora ad oggi non si è capita l’importanza dei laboratori “Spes contra spem” nelle carceri. Finalizzati al dialogo, alla nonviolenza e quindi alla consapevolezza di dover la persona assumere un comportamento responsabile, hanno contribuito a stemperare le tensioni alimentate dalla pandemia.
Noi che abbiamo fatto l’esperienza dei Laboratori di Nessuno tocchi Caino e la formazione giuridica e umanistica alle spalle, abbiamo aiutato diverse persone a preparare e inviare istanze di differimento pena, arresti o detenzione domiciliari. Siamo rimasti sbigottiti leggendo le motivazioni di rigetto delle istanze della prima ondata da Covid 19 che riguardavano persone allora non contagiate ma che ora lo sono. Mancano i riferimenti medico-scientifici e si paragona il carcere a qualunque altro luogo della società. Di chi è adesso la responsabilità se una delle persone a cui era stata rigettata l’istanza dovesse morire?
Siamo resilienti in questa caverna di Rebibbia dove stiamo lottando contro questa pandemia e sperando che tutto presta finisca. Però, resta incomprensibile il silenzio del servizio pubblico sul focolaio scoppiato a Rebibbia. Evidentemente, la vita delle persone detenute in questa valle di lacrime vale meno di quelle libere.
* Detenuti nel carcere di Rebibbia

Oggi presidio a Rebibbia dopo il pestaggio dei detenuti al g12 e domani presidio a Milano in solidarietà con i processati per la rivolta di marzo nel carcere di Opera

Parenti e solidali al carcere di #Rebibbia dopo i pestaggi e i trasferimenti punitivi di questi giorni.

Gli interventi sono stati trasmessi in diretta su rete evasioni

Iniziano intanto i processi ai detenuti per le rivolte di marzo.

A Milano inizia domani, 18 gennaio, il processo a 22 detenuti accusati di resistenza, lesioni e incendio nel carcere di Milano-Opera.
L’udienza si terrà alle 9,30 in videoconferenza all’aula bunker vicina al carcere di San Vittore.
In contemporanea si terrà un presidio solidale in Piazzale Aquileia.

Da Panetteria occupata:

Lunedì 18 gennaio alle 9.30 – presidio in Pz.le Aquileia
In solidarietà con i processati per la rivolta di marzo nel carcere di Opera
E’ passato quasi un anno dalle proteste e rivolte carcerarie di inizio marzo che hanno visto il coinvolgimento di pressoché tutti gli istituti italiani con migliaia di detenuti mobilitati, moltissimi presenti sui tetti degli edifici penitenziari e tanti familiari, amici e solidali fuori dalle mura.
Una situazione del tutto inconsueta che non si vedeva dai primi anni del 1970 quando nelle carceri di mezza Italia si lottava contro il carcere preventivo, la recidiva e per la “riforma dei codici”.
Le misure speciali adottate dal governo per scongiurare la diffusione del virus all’interno delle carceri si sono dimostrate del tutto insufficienti e inadeguate. Anche gli appelli a provvedimenti di indulto o amnistia provenienti da associazioni, da intellettuali e dalla Magistratura di Sorveglianza sono rimasti del tutto inascoltati nonostante quest’ultima avesse dichiarato l’impossibilità di adempiere ai propri compiti istituzionali a causa del collasso dei propri uffici.
L’unica misura effettivamente presa per ridurre il sovraffollamento carcerario non ha nulla di speciale e consiste nello snellimento della procedura vigente per l’ottenimento degli arresti domiciliari, per chi una casa ce l’ha, e nella concessione di permessi più lunghi per i semiliberi. Una vera e propria beffa vista anche la mancanza dei braccialetti elettronici le cui commesse hanno solo gonfiato le tasche di Telecom, faccendieri e politici.
Così, a marzo, da un giorno all’altro, la popolazione reclusa si è trovata completamente isolata, senza poter vedere i propri familiari, senza poter svolgere alcuna attività e senza alcun contatto al di fuori delle guardie a causa della sospensione dei colloqui, di ogni attività trattamentale e dell’accesso di educatori, avvocati e personale civile.
Le proteste e le rivolte verificatesi nelle carceri nel mese di marzo sono state dunque la necessaria conseguenza di quanto non è stato fatto per preservare la popolazione detenuta dal rischio di contagio e delle ulteriori restrizioni introdotte all’interno delle carceri soprattutto con il divieto di poter svolgere i colloqui “in presenza” con i propri cari.
A queste lo stato ha reagito con estrema durezza e crudeltà, non solo picchiando a sangue durante quelle giornate ma continuando a farlo nei giorni successivi sui corpi inermi e già provati delle centinaia di detenuti trasferiti a chilometri di distanza, in barba ad ogni misura di prevenzione dal rischio di contagio.
Il bilancio di quella mattanza è di 14 detenuti morti e centinaia di feriti ai quali non solo non sono state prestate le dovute cure ma che hanno continuato a subire la rappresaglia dello stato nei giorni successivi. Ciò è documentato dalle ormai tante testimonianze raccolte e pubblicate in questi mesi che raccontano un’altra verità di quella dei morti per abuso di farmaci e della regia mafiosa che è stata raccontata all’indomani di questa ennesima strage di stato.
Ad oggi la situazione nelle carceri è rimasta la stessa di marzo.
Al 30 novembre i reclusi erano poco più di 54 mila a fronte dei 53 mila di metà maggio.
I colloqui sono ancora bloccati e quando si svolgono “in presenza” avvengono a due metri di distanza separati da una lastra di plexigass che costringe tutti ad urlare e nessuno riesce a capire granché; perlopiù si riesce a comunicare attraverso telefonate e videochiamate se non ci sono problemi tecnici, come spesso accade.
La sanità è completamente assente. Lo stato ha messo in evidenza che, in ogni caso, le vite di chi sta in carcere sono meno importanti di quelle di chi sta fuori. I centri clinici creati appositamente per i positivi al virus sono diventati dei lazzaretti; in carcere chi non è positivo è senza distanziamento in cella, tutti sono senza cure né medici.
Gli ulteriori provvedimenti presi dal governo sul tema delle carceri poco o niente hanno a che vedere con le condizioni di vivibilità interna o di prevenzione del rischio di contagio della popolazione reclusa. Per quanto riguarda le scarcerazioni e i permessi premio, sulla spinta dell’allarme per le presunte scarcerazioni facili, le decisioni della Magistratura di Sorveglianza sono state vincolate al parere dell’antimafia, concedendo a chi dispone del potere di condannare anche quello di decidere di come scontare la pena.
E’ stata data maggiore autonomia e potere ai Gruppi Operativi Mobili (GOM) della Polizia Penitenziaria ovvero alle squadraccie di picchiatori professionisti già ampiamente conosciute e sono stati posti al comando del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) due magistrati dell’antimafia affinchè le ragioni di sicurezza e impunità dello Stato prevalgano su tutte le altre.
Il 18 gennaio comincerà il processo a 22 detenuti accusati di resistenza, lesioni e incendio che a marzo si trovavano nel carcere di Milano-Opera. L’udienza si terrà alle 9.30 in videoconferenza all’aula bunker vicina al carcere di San Vittore.
Crediamo sia importante manifestare quel giorno per non lasciare ancor più isolati quei detenuti e i loro familiari, come vorrebbe invece chi li ha portati a processo, e che hanno anzi bisogno di solidarietà e sostegno.
Dietro l’inefficacia e l’inefficienza delle politiche governative di prevenzione dal contagio c’è la natura antiproletaria delle politiche governative di gestione dell’emergenza Covid che rendono sempre più difficili le condizioni di vita, di lavoro e di salute di milioni di persone che si trovano senza più alcuna tutela economica e sanitaria e che vengono pestati, denunciati, processati, incarcerati e anche uccisi se osano opporsi alla dittatura degli interessi capitalistici.
Per contatti: olga2005@autistici.org
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‘..In questi giorni poi la situazione è molto critica, colpa del virus e dalle decisioni prese dal governo, con molte restrizioni per noi. Siamo stati esclusi da tutto e tutti, in perenne quarantena. Nel regime che mi ritrovo queste restrizioni si sono fatte sentire di meno, perché a parte qualche volontario e i colloqui con i familiari non è che c’era altro. Mentre i piani della Media sicurezza che sono un migliaio nei confronti di una cinquantina di noi hanno subito molto queste restrizioni certo che si sono ribellati, e credo che li fuori l’eco è arrivato di questa ribellione come del resto molti istituti sono in rivolta, però la società libera non sa come queste canaglie dell’ingiustizia reprimono queste ribellioni. Ieri hanno qui massacrato di botte centinaia di detenuti. Li hanno caricati con idranti e manganelli, è stato davvero uno strazio, l’impotenza ti ammazza l’anima. Ieri sera più di invitarli a smettere e a minacciarli noi dell’As1 non potevamo fare altro, relegati qui sotto, sezione distaccata da tutti gli altri..’
(Lettera dalla sezione As1 del carcere di Milano Opera)
‘Ci hanno tolto il cibo, la televisione, il fornello, siamo stati privati delle ciabatte delle mutande e delle magliette, ci sono state negate le telefonate ci è stata staccata la luce. Siamo stati picchiati, abbiamo le ossa rotte e di non abbiamo ricevuto cure.’
(Le parole dei prigionieri nei giorni successivi la rivolta)
“Se gli fosse successo qualcosa, avrebbe dovuto tenere presente da subito che non si sarebbe trattato di suicidio e nemmeno di assunzione di metadone”.
(Le parole di una familiare di un prigioniero di Opera)
‘….alla fine quella sera lo hanno preso e portato subito al carcere di Modena dove ero stato spostato anch’io, in una cella dove c’erano anche dei miei amici della mia città, sono rimasto lì finché è venuto il corona virus e quando è venuto il corona c’era un uomo malato del virus e non volevano farlo uscire e hanno vietato di farci vedere i famigliari. Dopo ciò è successa una rivoluzione e hanno bruciato il carcere e sono entrati le forze speciali e hanno iniziato a sparare sono morte 12 persone di cui 2 miei amici, sono morti davanti ai miei occhi sono ancora sotto shock. Io ero scappato fino al tetto del carcere così non mi sparassero dopo ci hanno presi tutti e ci hanno messo in una camera e ci hanno tolto tutti i vestiti e hanno iniziato a picchiarci dandoci schiaffi e calci. Dopo ci hanno ridato i vestiti e ci hanno messo in fila e ci hanno picchiato ancora con il manganello in quel momento ho capito che ci stavano per portare un altro carcere…’
(Le parole di un prigioniero del carcere di Modena)