Solidarietà a Denis, vigliaccamente aggredito dagli sbirri a Vicenza per il colore della pelle. SRP

Denis, il ragazzo che ha subito un tentativo di strangolamento da parte di un poliziotto sarà processato per direttissima per resistenza a pubblico ufficiale.
Da FB un appello alla solidarietà:
Vicenza, non Minneapolis, in Italia, non in USA, 11 Agosto 2020.
Mercoledì 12 Agosto (domani), Ore 9:00
presidio solidale davanti al tribunale di Vicenza

Blatte, scabbia e niente cure per i detenuti del carcere di Taranto – Un appello da FB

Buongiorno per chi avesse detenuti al carcere di Taranto bisognerebbe fare urgentemente un esposto al carcere tramite avvocati, perché la situazione in quel carcere e diventata devastante, iniziando dalla sporcizia, scarafaggi dappertutto, l’infermeria che non funziona, appuntati che non sono presenti costantemente che vengono chiamati per le emergenze e non si presentano, la cosa più importante che vi voglio dire a voi famigliari dei detenuti del carcere di Taranto che stanotte sono scesi dalla sezione persone affette di scabbia giù alle celle di isolamento, dove ci sono persone umane come tutti gli altri e ancora non prendono provvedimenti seri. Quindi noi da fuori diamoci da fare con i nostri legali urgentemente!

Pestaggi nel carcere di Modena… Colpa del metadone?

Due testimoni hanno raccontato di pestaggi nel carcere di Modena durante la pandemia
In un due lettere, di cui l’AGI è in possesso, danno la loro versione, negata dalla polizia penitenziaria.

L’articolo

Lo riportiamo a seguire con nostre brevi considerazioni:

AGI – L’8 e il 9 marzo, mentre gli italiani iniziano la fase più dura della pandemia chiudendosi in casa, una settantina di carceri da nord a sud viene attraversata dalle violente proteste dei detenuti innescate dal divieto di colloquio coi familiari per evitare che il contagio dilaghi tra le mura. Nella bolgia degli istituti incendiati e devastati perdono la vita 13 persone, nove nel carcere di Modena di cui quattro durante il trasporto da qui ad altri istituti, uno alla ‘Dozza’ di Bologna e tre nella prigione di Rieti. La maggior parte di loro sono giovani e tossicodipendenti che stavano scontando condanne per reati legati alla droga, stipati in celle di pochi metri.

Dai primi riscontri emerge che il loro decesso sarebbe dovuto all’ingestione di metadone e psicofarmaci saccheggiati dalle infermerie. È questa l’ipotesi su cui si concentrano le indagini per ‘omicidio colposo’ e ‘morte in conseguenza di altro reato’ delle procure che hanno disposto gli esami tossicologici i cui primi esiti confermano l’assunzione delle sostanze, letali se prese in grande quantità. Ma gli avvocati dei morti, che portano avanti le istanze delle famiglie, le associazioni attive nel mondo delle carceri e alcuni testimoni ritengono che non basti l’overdose a spiegare quanto accaduto.    

I testimoni, “spogliati e picchiati, il nostro amico morto non è stato curato”

In particolare, due detenuti denunciano di avere subito “abusi” nel carcere di Modena e che le persone decedute nel trasporto verso altri penitenziari subito dopo la rivolta non sarebbero state visitate dai medici prima di essere trasferite altrove, nonostante stessero male. E’ una scenario, tutto da verificare e nell’ambito di una vicenda che apre molti altri interrogativi, raccontato in due lettere, di cui l’AGI è in possesso, firmate dai compagni di viaggio di Salvatore ‘Sasà’ Piscitelli, uno dei 13 morti, secondo i primi riscontri, a causa dell’abbuffata di medicinali.

Entrambe le persone che riferiscono di essere state vittime di violenze gratuite hanno viaggiato da Modena ad Ascoli assieme a Piscitelli, il quarantenne per il quale i suoi compagni di teatro di Bollate, dove era recluso prima di Modena, avevano chiesto in una lettera resa pubblica a giugno di sapere la “verità” sulla sua scomparsa. Preferiscono restare anonime “per timore di ritorsioni”. 

E’ domenica 8 marzo quando inizia a ribollire il carcere di Modena coi detenuti che protestano anche per le restrizioni ai colloqui coi familiari. “A me dispiace molto per quello che è successo – è scritto nella prima delle due lettere – Io non c’entravo niente. Ho avuto paura…Ci hanno messo in una saletta dove non c’erano le telecamere. Amatavano (ammazzavano?, ndr) la gente con botte, manganelli, calci e pugni. A me e a un’altra persona ci hanno spogliati del tutto. Ci hanno colpito alle costole. Un rappresentante delle forze dell’ordine, quando ci siamo consegnati, ha dato la sua parola che non picchiava nessuno. Poi non l’ha mantenuta”.

I pestaggi, stando a questa testimonianza, sarebbero proseguiti durante il viaggio verso Ascoli dove “Sasà è stato trascinato fino alla sua cella e “buttato dentro come un sacco di patate. Era debole, forse aveva preso qualcosa”. “E anche qua – dice – veniva la squadra. Come aprivi bocca per chiedere qualcosa, prendevi delle botte. Ci mettevano con la faccia al muro. Venivano a picchiare col passamontagna, per non far riconoscere le facce”. Il secondo detenuto conferma che “Sasà stava malissimo e sul bus lo hanno picchiato, quando è arrivato non riusciva a camminare. Era nella cella 52, ho visto che nessuno lo ha aiutato”. Sostiene inoltre che nessuno dei compagni di viaggio sia stato visitato dai medici, come sarebbe stato obbligatorio per il ‘nulla osta’ per  il trasferimento. 

La Polizia penitenziaria, nessuna violenza gratuita, situazione era devastante

La parte del racconto sui pestaggi viene negata da Gennarino De Fazio, segretario nazionale Uilpa  della polizia penitenziaria, che invita a riflettere invece su altre possibili mancanze nella gestione della protesta. “Mi sento di escludere che ci sia stata violenza senza motivo. Parliamo di un istituto penitenziario incendiato e devastato, sono stati divelti cancelli e tentata un’evasione di massa. Immagino ci siano state delle perquisizioni accurate perché alcuni avevano armi rudimentali od oggetti da taglio e che quindi si sia dovuto ricorrere anche al denudamento di qualche detenuto. Teniamo presente che parliamo di un carcere col 152% di sovraffollamento, la capienza regolamentare è di 369 detenuti, ce n’erano 560 in quel momento. Solo questa segna il livello di accuratezza della gestione all’interno del penitenziario. In quel contesto, se c’è stata violenza la possiamo definire ‘legittima’ perché serviva per ripristinare l’ordine, evitare evasioni ed eventuali soprusi di detenuti sui loro compagni”.

De Fazio sottolinea altri aspetti della vicenda: “Il fatto che i detenuti siano arrivati così facilmente alle infermerie degli istituti e si siano approvvigionati di metadone con così tanta facilità dimostra che qualcosa è mancato. Si aveva l’obbligo di rendere più sicure le infermerie? Non impedire la commissione di un reato, per il nostro codice penale, equivale a cagionarlo. Non è possibile che siano morte in questo modo 13 persone”. 

Gli avvocati della famiglie, troppo facile l’accesso all’infermeria

Sui fatti di Modena la Procura ha aperto un’inchiesta complicata dalla morte improvvisa, l’11 luglio scorso, del procuratore capo Paolo Giovagnoli. Alcune famiglie dei reclusi hanno deciso di affidarsi ai legali che già assistevano i loro congiunti in questa indagine.

Luca Sebastiani, avvocato di Hafedh Chouchane, racconta la difficoltà a comunicare il decesso ai parenti del suo assistito: “Se non fosse stato per me, la sua  famiglia tunisina, mamma e fratelli, non avrebbe saputo della sua morte. Ho impiegato diversi giorni a rintracciarli attraverso il consolato. La sua morte mi ha sconvolto, era un ragazzo di 36 anni, sempre sorridente, ne ho un bel ricordo. Avrebbe beneficiato a breve della liberazione anticipata, avevo appena depositato l’istanza. Nel giro di un paio di settimane sarebbe uscito, pensava al futuro, a un lavoro. Non aveva un’indole violenta, mi è sembrato strano sia finito in episodi turbolenti. Era finito dentro per spaccio. Mi chiedo come sia stata danneggiata la farmacia interna: in che modo, era accessibile, era stata lasciata aperta? Quando si è sentito male, quando sono arrivati i soccorsi? I detenuti in overdose sono stati portati via senza essere curati? Mi auguro che si vada a fondo”. 

Tommaso Creola, legale di Artur Luzy, moldavo di 31 anni,  in carcere per rapina, spiega di avere aiutato i familiari a recuperare la salma del giovane: “Non so se siano state commesse delle negligenze nella gestione della rivolta, a Modena di solito lavorano bene, era una situazione molto particolare. La magistratura darà delle risposte”. Lorenzo Bergomi,  legale di Ahmali Arial, marocchino di 36 anni, riferisce “di avere avuto un contatto coi familiari interessati al recupero della salma, poi più nulla”. Afferma “che a molti che si dice abbiano partecipato alla rivolta ora vengono negati i benefici, anche se non sono indagati e non hanno procedimenti disciplinari in corso. Uno di loro è stato riportato in carcere mentre stava scontando la pena ai domiciliari per il sospetto che abbia partecipato perché nella sua cella con altre 3 persone  è stato trovato un coltello rudimentale e si trovava nella zona dove hanno sfondato il cancello. ‘Lo abbiamo fatto perché bruciava tutto’, mi ha assicurato, negando che il coltello fosse suo.”.

 L’informativa in Parlamento non fa cenno alle cure mediche

Un aspetto da chiarire è quello delle visite mediche. In un’informativa inviata  al Parlamento, Franco Basentini, capo gabinetto del Ministero della Giustizia, scrive che gli I agenti “riuscivano a fiaccare la resistenza aggressiva e violenta dei ribelli, immobilizzare i più facinorosi, condurli all’esterno e collocarli immediatamente sui mezzi di trasporto preventivamente predisposti”. Non si fa cenno in questo passaggio ad alcuna visita medica. I familiari di Piscitelli, in particolare una giovane nipote che ha chiesto ai pm tramite l’avvocato Antonella Calcaterra di sapere come abbia perso lo zio, pensano che forse si sarebbe potuto salvare se fosse stato visitato prima di essere portato nelle Marche. Non è chiaro nemmeno dove sia morto: fonti interne al carcere affermano che sia sia spento nell’ospedale di Ascoli, al cui ingresso non avrebbe presentato segni di intossicazione né lesioni compatibili con violenze, a differenza del detenuto che parla di un decesso in cella preceduto da un forte malessere.

A Bologna la Procura chiede di archiviare 

Nella protesta al carcere di Bologna del 9 e 10 marzo è morta una persona, Kedri Haitem, 29 anni, tunisino. La Procura ha chiesto nei giorni scorsi l’archiviazione del fascicolo aperto a carico di ignoti con l’ipotesi di ‘morte in conseguenza di altro reato’. Secondo il pm Manuela Cavallo,  “la ricostruzione dei fatti più plausibile è che la persona deceduta, già destinataria di farmaci per il controllo dell’ansia e degli stati di agitazione, abbia assunto volontariamente sostanze prelevate abusivamente dalla farmacia del carcere due giorni prima durante la rivolta dei detenuti  e che sia morto per overdose”.

La sera del 10 marzo il ragazzo tunisino al compagno di cella  confida che “durante la rivolta ha assunto farmaci”, dice che è stanco e che vuole dormire e  a lungo. Alle 12.40 altri detenuti entrano nella cella per parlargli. Il compagno prova a svegliarlo  ma si accorge che non respira più. Solo a quel punto, secondo questo testimone, viene perquisita la cella e sotto il materasso del ragazzo morto vengono trovate 103 pasticche e 6 siringhe. L’unica parte offesa nel procedimento, il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, ha chiesto copia degli atti e non ha ancora comunicato se farà opposizione all’archiviazione.

Sulla ribellione di Bologna, l’AGI ha raccolto le parole di un uomo nel frattempo uscito di prigione e ospite di una comunità di recupero: “I detenuti albanesi – dice il testimone – hanno fatto partire tutto in modo strumentale, gli altri africani gli sono andati dietro distruggendo tutto e minacciando di morte chi non avesse partecipato. Altri si sono chiusi nelle celle sbarrandole coi letti, intanto alcuni hanno assalito l’infermeria prendendo tutto quello che c’era”.

Considerazioni a caldo:
Troppe omissioni in questo articolo, e troppo spazio alle guardie e agli infami, come quello che, accusando albanesi e africani, se ne va quatto quatto in una comunità di recupero.
E si capisce che i 2 testimoni abbiano paura, ma proprio per questo le loro lettere andrebbero pubblicate anziché tenerle secretate!
E poi basta con questa storia dei 13 morti, ne sono come minimo 14 per loro (i media) stessa ammissione: a Rieti i detenuti sono stati 4 e non 3! Anche per il 4° si sono subito spicciati a dire che a farli fuori è stato il metadone.

 

Razzisti in divisa a Vicenza strozzano un giovane e lo arrestano. L’accusa è resistenza a pubblico ufficiale, la colpa è essere nero

A Vicenza un agente di polizia ha chiesto a caso e violentemente i documenti a un giovane nero. Alla fine, la gente di passaggio ha dovuto calmare l’agente che stava praticamente soffocando il giovane. Il tutto è stato ripreso in un video che mostra realmente come siano andate le cose.

Il video, che mostra il poliziotto utilizzare la tecnica della “presa al collo” con un ragazzo di colore, è diventato virale. La clip, postata dal profilo Instagram di C.S., un giovane vicentino di origini colombiane, mostra un episodio avvenuto attorno alle 18 di lunedì 10 agosto 2020 in piazzale De Gasperi, nel centro storico della città berica, non lontano dalla stazione ferroviaria.

Nel video si vedono due agenti con la divisa della polizia parlare con insistenza a un ragazzo di colore, il quale si allontana camminando veloce. A un certo punto uno dei due agenti immobilizza il giovane portandogli il braccio destro attorno al collo, e cercando successivamente di spingerlo a terra. A quel punto si sentono gli amici del giovane reagire gridando al poliziotto di lasciarlo, e dopo pochi secondi l’agente molla la presa.

A quanto afferma C.S., che ha postato il video su Instagram, l’episodio sarebbe avvenuto qualche minuto dopo una rissa accaduta in quella zona tra due persone sconosciute a lui e al ragazzo immobilizzato. Alcuni amici di C.S. e del giovane immobilizzato sarebbero intervenuti per separare i due. A quel punto sarebbero arrivati gli agenti, che avrebbero chiesto i documenti al giovane e lo avrebbero strattonato. Il giovane si sarebbe rifiutato di esibirli. Successivamente si sarebbe svolta la scena documentata nella clip.

Il ragazzo immobilizzato – che avrebbe 21 anni – è stato portato in Questura e attualmente si troverebbe agli arresti domiciliari in attesa di processo per direttissima con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Abbiamo chiesto alla Questura di Vicenza la ricostruzione della dinamica dell’episodio.

«Aiutatemi a condividere questo atto di razzismo» scrive C.S. nella didascalia del video. Dopo il caso di George Floyd, la cui morte “raccontata” in diretta con un video negli Usa ha provocato proteste di massa contro il razzismo nelle forze dell’ordine, è forte la sensibilità anche in Italia verso questo tema.

Per il Tribunale del riesame di Torino non fu tortura, rilasciato lo sbirro responsabile di “trattamenti inumani e degradanti”

Chiudere un detenuto in uno stanzino costringendolo a stare in piedi faccia al muro per oltre mezzora e successivamente picchiarlo con calci e pugni non è tortura, ma solo “trattamento degradante”.

Con questa tesi è stato quindi rilasciato, dai domiciliari, l’agente di polizia penitenziaria che lavorava presso il carcere le vallette di Torino e che nell’ottobre scorso fu indagato, insieme ad altri 5 poliziotti, per gravi e plurimi episodi di violenza nei confronti di detenuti commessi nel carcere di Torino nel periodo compreso tra aprile 2017 e novembre 2018

Ma come le vogliamo chiamare le violenze perpetrate dalla polizia in celle dedicate alla punizione dei detenuti, dove i prigionieri venivano obbligati a spogliarsi e a gridare frasi come “Sono un pezzo di m…” mentre gli agenti li malmenavano con schiaffi e pugni, attrezzati di guanti per non lasciare i segni?

E quando i detenuti erano troppo malconci e dovevano farsi visitare li minacciavano dicendo loro che “dovevano dichiarare che era stato un altro detenuto a picchiarlo, altrimenti avrebbero usato nuovamente violenza su di lui, così costringendolo il giorno successivo alle violenze a rendere in infermeria questa falsa versione dei fatti”

Non è a questo stato che dobbiamo chiedere giustizia, la giustizia si prende e non si chiede, lo stato borghese si abbatte e non si cambia

In corso sgombero illegale del campo rom sull’Olimpica a Roma

Notizia ANSA – ROMA, 11 AGO – E’ in corso lo sgombero di un campo nomadi nei pressi dell’Olimpica a Roma. Sul posto la polizia locale con diverse pattuglie. Secondo quanto si è appreso, al momento all’interno dell’insediamento sono state trovate circa 15 persone che verranno identificate.

All’art. 103, comma 6 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 e successive modificazioni (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19) si legge: “L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche
ad uso non abitativo, e’ sospesa fino al 30 giugno 2020.”
Evidentemente chi amministra la Capitale non sa o non vuole leggere ed approfitta dell’estate per riprendere la politica degli sgomberi e della gentrificazione. Nell’articolo Ansa si giustifica l’intervento con l’incendio scoppiato nei giorni scorsi in un autodemolitore vicino all’insediamento, che sollevò una nube di fumo che invase via del Foro Italico. Quindi invece di indagare sui motivi dell’incendio e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro e di vita si sfolla il campo rom.

Di seguito il servizio di Radio Onda d’Urto

La sindaca Virginia Raggi annuncia che si ricandiderà, l’anno prossimo, alle elezioni amministrative. “Guardo a sinistra”, dice la Raggi, cercando una possibile intesa con il Pd, che però nicchia.

Per chiarire…cosa intenda la Raggi con “sinistra”, all’alba di oggi – martedì – la Polizia capitolina ha iniziato lo sgombero di un insediamento popolato da diverse famiglie, sopratutto rom, nella zona dell’Olimpica.

L’insediamento si trova nell’area dell’autodemolitore interessato nei giorni scorsi da un grosso incendio. Il Comune di Roma prova così a presentare quindi lo sgombero come un’operazione…ambientale. Le famiglie, le-i solidali e l’Associazione 21 Luglio raccontano tutta un’altra storia: “Con apposita deliberazione – spiega l’Associazione 21 luglio – il Comune di Roma ha annunciato lo sgombero dell’insediamento collocato da 30 anni in via del Foro Italico per la mattina di martedi 11 agosto alle ore 7,00. Sarà il primo di una lunga serie che metterà in strada, nei prossimi due mesi, più di 500 persone residenti nelle baraccopoli formali della Capitale. Queste azioni di sgombero sono illegali perchè nelle modalità risultano contrarie a quanto stabilitò dalla Convenzioni internazionali e dalla legislazione nazionale. Come accaduto in passato le autorità locali approfittano proprio del periodo agostano per promuovere tali azioni segnate dalla violenza e dalla violazione dei diritti umani.  Ma i diritti umani non vanno in ferie!

Martedi 11 agosto, dalle 6,30 del mattina, ci saremo anche noi, in maniera pacifica e civile, alle porte dell’insediamento. Faremo colazione insieme ai bambini delle famiglie rimaste ed aspetteremo le ruspe comunali. Agli operatori incaricati dello sgombero (funzionari comunali, forze di polizia, operatori sociali…) consegneremo copia del Decreto Legge n.18 del 17 marzo 2020 che, nelle successive modificazioni, ordina la moratoria degli sgomberi sul territorio nazionale fino al 31 dicembre 2020. Un’azione di resistenza per continuare a chiedere alle autorità locali la sospensione di ogni sgombero forzato che interessa le baraccopoli romane che non preveda una genuina consultazione e un’alterantiva alloggiativa adeguata per le vittime dello sgombero. Così come previsto dal diritto internazionale e dalla legge italiana”.

Dal campo di via del Foro Italico con noi una compagna di Radio Onda Rossa, storica emittente radiofonica militante dell’etere romano. Ascolta o scarica