Sostenere la lotta dei prigionieri politici turchi e dei loro avvocati – Ebru Timtik e Aytaç Unsal, due avvocati del popolo in carcere da tre anni, sono a 200 giorni di digiuno fino alla morte per ottenere un ″giusto processo″

Da Il Dubbio

Il coraggio degli avvocati prigionieri del “sultano”

L’appello del CoA di Bologna per Ebru Timtik e Aytaç Ünsal. Da oltre 200 giorni sono in sciopero della fame. Li hanno arrestati perché difensori di persone accusate di “terrorismo”.

Un coraggio e una fermezza nei propri principi che suscita ammirazione ma anche un diffuso allarme per il loro stato di salute.

Ebru Timtik e Aytaç Ünsal sono due avvocati turchi rinchiusi in carcere con la pesantissima accusa di “attività eversiva” e “fiancheggiamento del terrorismo solamente perché difendevano dei cittadini accusati di tali reati”. Un amalgama ormai diventata la regola nella Turchia governata con il pugno di ferro dal “sultano” Erdogan che, dal fallito Golpe del luglio 2016, ha trasformato la Turchia in uno Stato di polizia compiendo migliaia e migliaia di arresti. Gli avvocati sono una delle categorie più colpite dalle “grandi purghe”.

Da oltre 200 giorni Timkit e Ünsal sono in sciopero della fame e le loro condizioni appaiono sempre più preoccupanti. Anche perché non hanno alcuna intenzione di mollare né di ammettere crimini che non hanno mai commesso.

Se la comunità internazionale agisce con estrema lentezza e cautela limitandosi a generiche condanne della repressione di Ankara, le voci più vibranti sono quelle delle avvocature, in particolare di quella italiana, in prima linea fin dal principio nel denunciare gli abusi del regime e la cancellazione de facto dello Stato di diritto.

Su segnalazione della collega Barbara Spinelli ( già fermata e arrestata dal regime turco nel 2017 quando era nel paese in veste osservatrice internazionale n. d. r.) il Consiglio dell’ordine di Bologna ha emesso una delibera in cui si chiede alla Corte di cassazione turca di sconfessare le sentenze precedenti e di liberare i due legali ingiustamente detenuti. I quali dietro le sbarre stanno rischiando la propria vita.

Il Coa di Bologna intende così «richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica turca e internazionale per porre fine a questo strallo».

Come atto simbolico di solidarietà i colleghi bolognesi hanno nominato Timkit e Ünsal come componenti effettivi della Commissione internazionale e della Commissione per i diritti Umani del Coa. Come ha scritto l’avvocato Giovanni Delucca, consigliere dell’Ordine di Bologna, la lotta dei legali turchi deve servire da esempio per chi ha a cuore la democrazia, e le loro fewrite sono anche le nostre: «Chi difende i diritti a costo della vita, è uno di noi!» Secondo il rapporto The Arrested Lawyer Initiative a cura del Consiglio nazionale forense, negli ultimi quattro anni in Turchia quasi 2mila avvocati sono finiti sotto la lente di ingrandimento delle procure, 605 sono stati messi in prigione, 345 condannati in via definitiva in processi farsa in totale spregio delle regole del diritto, per un totale di 2158 anni di carcere.

India 28 luglio – Mentre in Italia l’ambasciata rifiuta di incontrare la delegazione del comitato di solidarietà, il governo fascista Modi arresta un professore universitario all’apertura della settimana dei martiri della rivoluzione

INTENSIFICARE CON OGNI MEZZO NECESSARIO LA CAMPAGNA DI SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE AI RIVOLUZIONARI PRIGIONIERI!

SRP

Dal Manifesto

«Vicino» ai maoisti indiani: arrestato professore universitario

India. Non si ferma la persecuzione contro gli attivisti per i diritti umani

Martedì 28 luglio la National Investigation Agency (Nia), una delle polizie federali indiane, ha arrestato a Mumbai il professor Hany Babu, accusato di intrattenere rapporti con membri del Partito comunista indiano (maoista). Dal 2009, il governo indiano ha messo al bando l’organizzazione politica maoista, considerata un’organizzazione terroristica.

L’arresto di Babu – 54 anni, professore associato di inglese presso la Delhi University – è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti giudiziari che ha colpito un nutrito gruppo di intellettuali indiani responsabili del coordinamento di una manifestazione pro-dalit (i «fuoricasta» del sistema castale indiano, tradizionalmente discriminati dalle caste alte) risalente agli inizi del 2018.

Quando centinaia di partecipanti si erano riuniti a Pune, stato del Maharashtra, per commemorare il 200° anniversario di una battaglia che vide la comunità Mahar (dalit) vittoriosa sull’esercito di casta alta fedele alla Corona britannica, un gruppo di estremisti hindu li attaccò con lanci di pietre. Negli scontri intercomunitari morì un ragazzo di 16 anni. In seguito a «riots» e manifestazioni che interessarono gran parte del Paese, le autorità aprirono una commissione d’inchiesta che, clamorosamente, scagionò gli ultrahindu e indicò i cosiddetti «maoisti» come responsabili delle violenze.

A metà 2018 partirono i mandati d’arresto contro diversi attivisti per i diritti umani, avvocati, professori, scrittori e poeti, tutti accusati di cospirazione. Secondo gli inquirenti, durante le perquisizioni nelle abitazioni degli accusati fu rinvenuta una lettera in cui si dava conto di un meeting segreto per organizzare l’assassinio del primo ministro Narendra Modi. In un passaggio della lettera si fa riferimento a «cellule segrete» maoiste in contatto con «organizzazioni della stessa opinione, partiti politici e rappresentanti delle minoranze in tutto il Paese», in combutta per porre fine al «regno di Modi».

Negli anni numerosi esponenti del progressismo indiano, in particolare il decano del giornalismo Prem Shankar Jha, hanno pubblicamente contestato il teorema di colpevolezza costruito dalla Nia, evidenziando una serie di incongruenze nella lettera che in molti credono falsificata dagli inquirenti. Ma tanto basta ai federali indiani per arrestare chiunque sia sospettato di «diffondere l’ideologia maoista», accusa che accomuna Babu ad altri eminenti esponenti dell’opposizione civile al governo Modi.

Tra questi spiccano i nomi di Rona Wilson (fondatore del Committee for Release of Political Prisoners), Surendra Gadling (attivista per i diritti umani), Sudhir Dawale (editore, attore e fondatore delle Republican Panthers, organizzazione dalit sul modello delle Black Panthers statunitensi), Varavara Rao (attivista e poeta) e Shoma Sen (professoressa di inglese alla Nagpur University e attivista per i diritti delle donne). Tutti sono al momento o in carcere o ai domiciliari senza che gli inquirenti abbiano formulato alcun atto di accusa in sede legale, grazie ai poteri speciali garantiti da una legge del 1967 («Unlawful Activities (Prevention) Act, Uapa). Nelle ultime settimane la stampa internazionale ha raccontato la vicenda di Rao, 79 anni, in carcere da due anni e risultato positivo al Covid-19, contratto in cella.

Lo scorso maggio, Amnesty International si è appellata al governo indiano per il rilascio di tutti gli attivisti per i diritti umani e oppositori del governo Modi arrestati ai sensi del Uapa, una norma «repressiva» che permette limitazioni della libertà senza dover formulare capi d’imputazione.