Lettera aperta di detenute e detenuti del carcere delle Vallette

Pubblichiamo la lettera che le detenute del carcere delle Vallette di Torino hanno inviato a garanti e istituzioni senza ricevere risposta

Siamo le detenute ed i detenuti del Carcere di Torino e con questa nostra lettera chiediamo che venga nuovamente presa in esame la proposta per la liberazione anticipata di 75 giorni (cinque mesi annuali).

Il problema delle carceri, dovuto al numero in eccesso di detenuti, ristretti in strutture fatiscenti, non si risolve con le misure alternative. Infatti, le misure alternative vengono applicate o meno in base alla discrezionalità dei magistrati di sorveglianza; purtroppo Torino ha il primato di rigetti ed inoltre l’accesso a queste misure non è praticabile per tanti ristretti (mancanza di un domicilio, di un sostegno esterno, carenza di percorsi di reinserimento o riabilitativi per tossicodipendenti).

Anche con il diffondersi del COVID-19, la situazione del sovraffollamento delle carceri non è migliorata e ci riteniamo fortunati di non aver fatto la fine dei residenti delle RSA.

Siamo il paese con le pene più alte d’Europa e pur facendo parte dell’UE il nostro sistema giuridico e penitenziario non è adeguato rispetto a quello degli altri stati membri ed alle normative comunitarie, testimonianza non sono solo le storie di noi detenuti, ma soprattutto le sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani e le sanzioni di cui l’Italia è stata oggetto.

L’accoglimento della liberazione anticipata speciale, estesa per l’intera popolazione detenuta, compresi coloro che hanno l’articolo 4 bis darebbe una sorta di civiltà ed utilità all’espiazione.

Nelle carceri si riflettono le stesse problematiche e gli stessi disagi sociale “dell’esterno” prima fra tutte la carenza di occupazione e di prospettive per il futuro.

Tutto ciò provoca un divario tra la popolazione detenuta stessa, si crea un distinguo tra detenuti di serie A, che lavorano, studiano o sono inseriti in corsi e detenuti di serie B.

Coloro che riescono a lavorare o frequentare un corso hanno la possibilità di farsi conoscere e seguire dagli educatori ed hanno così più possibilità di entrare in un percorso lavorativo e di reinserimento sociale evitando una più probabile recidiva in cui potrebbero incappare coloro che durante la detenzione sono abbandonati a loro stessi. Riducendo il sovraffollamento si ridà alla pena la sua finalità “rieducativa”, con un minor numero di detenuti si verrebbero a creare concrete possibilità (per un cambiamento), sia per noi che per gli operanti dell’area trattamentale che avrebbero l’opportunità di seguire al meglio il percorso dei detenuti e di finalizzarlo alla rieducazione ed alla diminuzione della recidività. Quest’ultimo aspetto riguarda sia chi compie sia chi subisce i reati ed in uno stato civile non dovrebbe essere sminuito.

Chiediamo inoltre che questa legge sia retroattiva all’anno in cui venne sospesa: dic. 2015

I detenuti del PAD F, ICAM, B, A, C, E

Rivolte nelle carceri – 12 detenuti a San Vittore accusati di sequestro di persona, devastazione e saccheggio, lesioni personali e rapina, ma ancora nessun imputato per la strage di stato di almeno 14 detenuti e la procurata epidemia nelle carceri per sovraffollamento e infami condizioni di detenzione

Coronavirus carceri rivolta San Vittore Anche a S. Vittore, come nel resto dei penitenziari italiani, la tensione, che già aleggiava per la paura del contagio da COVID-19, sfociò in una vigorosa protesta contro le infami condizioni di detenzione, il sovraffollamento (il 9 marzo scorso, giorno della rivolta, in questo carcere c’erano 1200 detenuti per 700 posti disponibili), le tragiche condizioni igienico-sanitarie, la sospensione dei colloqui e la limitazione dei permessi e della libertà vigilata. Queste condizioni, congiuntamente alla sospensione di ogni attività che comportasse l’ingresso e l’uscita di educatori ed operatori, mentre le guardie potevano continuare ad avere contatti con i detenuti senza neanche l’uso di dispositivi di protezione, furono la goccia che fece traboccare il vaso. 

I detenuti salirono sui tetti chiedendo indulto e libertà, devastando celle ed interi reparti per farsi sentire. Stracci, carte e materassi furono dati alle fiamme per farsi vedere, raccogliendo da fuori la solidarietà di quanti, solidali e famigliari, scelsero di sfidare i divieti per non lasciarli soli, per dar forza alla loro voce, alla loro lotta, e per questo furono caricati violentemente dalla polizia in assetto antisommossa.

Ora di quelle azioni di protesta, bollate dalla Procura di Milano che ha chiuso le indagini sui tumulti del 9 marzo come “un unico piano criminoso”, sono rimaste le accuse, pesantissime, di sequestro di persona, devastazione e saccheggio, lesioni personali e rapina a carico di 12 detenuti tra i 21 e i 48 anni, 5 italiani e 7 cittadini di Marocco, Tunisia, Gambia e Algeria.

Ora di quelle proteste resta il bilancio tragico di almeno 14 detenuti morti, a cui solo dopo mesi, si è riusciti a dare un nome.

Si chiamavano Marco Boattini, Salvatore Cuono Piscitelli, Slim Agrebi, Artur Iuzu, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Ali Bakili, Erial Ahmadi, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez, Haitem Kedri, Ghazi Hadidi, Abdellah Rouan.

Seppure fossero morti per “overdose”, come si sono affrettati a sostenere Bonafede e DAP, erano comunque in loro custodia ed essi ne sono i responsabili.

Ora di quelle proteste restano le denunce dei detenuti pestati e torturati dalle guardie; restano le oscure morti per covid e mancanza di assistenza sanitaria in carcere;
resta la repressione dello stato, con l’incriminazione di compagne e compagni accusati di associazione sovversiva per aver espresso solidarietà alla giusta lotta dei detenuti e ai prigionieri politici

Ed è ad essi e ai detenuti ribelli che si rivolgono, con crescente evidenza, le minacce del DAP, del SAPPE e di Bonafede all’uso del regime del 41bis come misura preventiva antiinsurrezionale.

Oggi nelle galere il lockdown è tutt’altro che superato: i droni sorvegliano gli istituti penitenziari e la tendenza è quella di normalizzare questa situazione.

Contro questa “normalità”, che è la normalizzazione della repressione, dobbiamo costruire una mobilitazione nazionale, unitaria e organizzata, in solidarietà ai detenuti ribelli. Dobbiamo sostenere la legittima lotta dei detenuti per il diritto alla cura e all’affettività, per una vita dignitosa, per la richiesta di amnistia/indulto.

Contro la repressione sociale e politica, contro il carcere assassino e il carcere tortura, per la solidarietà di classe e militante nei confronti di tutti i prigionieri politici e dei proletari ribelli detenuti nelle carceri dell’imperialismo.

Un appuntamento da costruire insieme con una assemblea nazionale che proponiamo per settembre

Soccorso rosso proletario srpitalia@gmail.com

Sciopero della fame dei detenuti di Caltanissetta contro la sospensione delle video-chiamate e dei generi alimentari consentiti

Pubblichiamo, da Associazione Yairaiha Onlus, la lettera di familiari dei detenuti di Caltanissetta sullo sciopero messo in atto dai propri parenti in carcere:

Cara associazione Yairaiha, sono la moglie di un detenuto di Caltanissetta e portavoce dei familiari dei detenuti del carcere di Caltanissetta.
Vi scriviamo per informarvi che da tre giorni i detenuti stanno facendo lo sciopero della fame perchè hanno tolto le chiamate da 10 minuti e ci hanno lasciato 2 chiamate al mese. Vogliono togliere anche le videochiamate; il colloqui visivi sono ridotti ad uno al mese di un’ora. Le videochiamate permettono ai nostri cari di vedere pure i bambini, invece ,i colloqui visivi di un ora al mese, permessi ad un solo familiare, i bambini non possono più vedere i loro padri e viceversa. È giusto tutto questo? Non fanno entrare più nemmeno il mangiare dalla buca; hanno tolto i salumi e i formaggi costringendo i detenuti ad acquistarli tramite la spesa interna a 35 € al kg; non fanno entrare più nessun tipo di mangiare. Noi familiari siamo allo stremo perchè in questi 5 mesi c’è chi ha perso il lavoro e facciamo sacrifici per mantenere i nostri figli e i nostri cari in carcere, non ci si può vietare di mandare il mangiare a prezzi più accessibili né si può proibire a bambini innocenti di vedere il proprio padre. È un carcere disumano, per favore fate qualcosa.
I familiari dei detenuti di Caltanissetta
Di seguito il link per sottoscrivere l’appello per il mantenimento delle video chiamate in forma stabile, come misura di civiltà:

Sospensione dei colloqui via skype: proteste anche nel carcere di Lecce

Tensione nella casa circondariale di Lecce per una protesta dei detenuti che ha messo in allarme la polizia penitenziaria. Nei giorni scorsi, racconta il sindacato Osapp, circa 500 detenuti hanno cominciato a sbattere contro le inferriate alcuni oggetti recuperati nelle celle provocando rumore per circa un’ora.

Il motivo? “I detenuti non hanno accolto positivamente la circolare di sospensione del sistema skype che consentiva di tenersi in contatto con le famiglie –  spiega il sindacato.

Ancora trasferimenti punitivi dal carcere di Santa Maria Capua Vetere, per arginare le nuove proteste dovute alla sospensione della sorveglianza dinamica e dei colloqui via skype

I cosiddetti “promotori” sono stati trasferiti in altre strutture; si tratta di una ventina di detenuti, tutti del reparto maschile, ma si potrebbe arrivare a una cinquantina di trasferimenti a breve.

“La situazione è tesa e diventa grave. Chiediamo una repressione totale delle violenze che avvengono all’interno degli istituti carcerai. Ci sono dei detenuti che fanno il bello ed il cattivo tempo, decidono le sorti della vita carceraria, questo non deve più essere concesso. Il carcere deve servire da punizione e da monito e allora è necessario prendere delle misure affinché alcuni individui rispettino le regole e non prendano il comando della situazione, lo Stato deve farsi sentire.”

Lo ha dichiarato il Consigliere della Regione Campania dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli, facendo eco alle dichiarazioni del SAPPE secondo cui in Italia ci sarebbe troppo garantismo e le misure prese per il contenimento del covid 19, oltre che per rispondere alle condanne della CEDU e del CPT (dalla sentenza Torreggiani fino al DL Carceri) avrebbero portato le carceri “alla deriva” e alla “resa dello Stato”.
La ricetta per uscire da questa “deriva” sarebbe, per questi “fedeli” servitori dello stato, negare ai detenuti i più elementari diritti umani, insabbiare le indagini sulle morti in carcere, colpire “una certa magistratura”, libertà di tortura, aumento ulteriore del numero e del potere del personale penitenziario e, non ultimo, nomina di un supercommissario con pieni poteri su ogni altro organo dello Stato.
Ecco quanto dichiarato dal SAPPE due settimane fa:

i detenuti ormai hanno dichiarato guerra allo Stato. L’unico baluardo rimasto a difendere le Leggi  e a far rispettare le regole a chi non le ha mai rispettate è la Polizia Penitenziaria.

Una guerra che è sotto gli occhi di tutti, ma che si tende a sottovalutare o addirittura negare, in virtù dell’iper garantismo imperante in questo Paese dove le carceri sono lasciate alla deriva.

Ma abbiamo già dimenticato che fior di galantuomini sono in carcere? Mafiosi, camorristi, ndranghetisti, violentatori di bambini, spacciatori di morte, malati mentali, tossici, extracomunitari, fiancheggiatori dell’estremismo islamico, sicuramente non mammolette o personcine a modo vittime del sistema.

Eppure, nonostante le rivolte di marzo, nonostante l’arroganza che travalica anche il buon senso, c’è in Italia questa tendenza a compatire, a perdonare, a difendere gli oppressi anche se questi hanno messo a ferro e fuoco gli Istituti di pena, non si riesce a trasferirli in modo automatico lontano da casa, non si riesca ad applicare loro il 14 bis, non si riesce a farsi risarcire i danni (moltissimi di questi non hanno né avranno mai un centesimo nella “libretta”), non si riesce a far comprendere ad una certa magistratura che  in certe situazioni quando c’è da ristabilire la sicurezza, l’uso del manganello è legittimo (art.41 O.P.) […] E se la Polizia Penitenziaria nega qualcosa pretesa come un “diritto” … allora ti devi aspettare sommosse, rifiuti di entrare in cella, aggressioni. Insomma una vera e propria guerra dichiarata da lestofanti e delinquenti della peggiore specie cui lo Stato non riesce a rispondere adeguatamente, ovvero con la giusta severità o con provvedimenti di legge eccezionali che vengono presi quando c’è una guerra in atto e bisogna che lo Stato si riappropri del territorio (in questo caso delle sue carceri).”

un appello tutt’ora valido – verso una assemblea nazionale in settembre

contro l’uso dell’emergenza coronavirus per intensificare la repressione antiproletaria e antipopolare – l’attacco al diritto di sciopero e alla libertà di manifestazione – contro il carcere assassino e il carcere tortura – a sostegno delle lotte nelle carceri e in solidarietà con i prigionieri politici nel mondo

A fronte della crisi economico/pandemica, frutto del modo di produzione capitalista nella fase imperialista, il governo sfrutta le lezioni dell’emergenza per imporre le leggi e gli interessi dei padroni ed affinare le armi della repressione a tutti i livelli.

La Fase 2 per padroni e stato è all’insegna delle leggi e i provvedimenti liberticidi. Ai vari decreti e pacchetti sicurezza si aggiungono misure emergenziali, sanzioni e controllo sociale sempre più capillare, per usare il distanziamento sociale e le leggi anti-assembramento per impedire le lotte sociali e i movimenti di opposizione politica anticapitalista, antirazzista e antimperialista

Il cuore è l’attacco preventivo al diritto di sciopero – già esercitato in occasione della giornata internazionale delle donne – al diritto di manifestazione sindacale e politica in un quadro in cui si vuole cancellare ogni forma di libertà di espressione, militarizzando ogni aspetto della vita sociale.

Ogni manifestazione di dissenso viene immediatamente punita, sia attraverso multe comminate a proletari sia utilizzando l’arresto ed il carcere per punire la solidarietà proletaria.

Il diritto alla salute viene usato dal governo per un lockdown a favore di padroni che deve essere solo “lavorare per produrre profitto”.

Così diventano numerose le sanzioni, i licenziamenti punitivi su lavoratrici e lavoratori che si sono rifiutati di lavorare in condizioni di insicurezza, o che hanno osato solo denunciare la mancanza di dpi sul luogo di lavoro; le cariche, il controllo militare, la repressione poliziesca delle lotte operaie e sindacali, sulle manifestazioni e scioperi di lavoratori, disoccupati, migranti, pur se effettuate rispettando le regole sul distanziamento sociale e l’uso delle mascherine; i divieti e le misure “cautelari” imposte a lavoratrici e lavoratori precari, denunciati per aver difeso lavoratrici e lavoratori sfruttati, come successo a Bologna con accuse gravissime, come tentata estorsione, diffamazione ecc.

La repressione padronale delle lotte proletarie è andata ben oltre i limiti della cosiddetta “legalità”, innescando vere e proprie aggressioni criminali sui posti di lavoro ai danni di lavoratori ribelli e delegati dei sindacati di base e di classe 

Intanto si attaccano compagni, accusati di associazione sovversiva, costruendo montature

Nelle carceri, continua con virulenza la repressione, e l’ulteriore aggravamento delle già tragiche condizioni sanitarie e di sovraffollamento,

Dobbiamo sostenere la legittima lotta dei detenuti per il diritto alla cura e all’affettività, per una vita dignitosa, la richiesta di amnistia/indulto.

bisogna costruire una mobilitazionenazionale, unitaria e organizzata contro la repressione sociale e politica, contro il carcere assassino e il carcere tortura, per la solidarietà di classe e militante nei confronti di tutti i prigionieri politici e dei proletari ribelli detenuti nelle carceri dell’imperialismo.

Un appuntamento da costruire insieme con una assemblea nazionale che proponiamo per settembre

Soccorso rosso proletario srpitalia@gmail.com