Blitz antiterrorismo per un un lancio di vernice rossa all’ambasciata cilena nel 2019

Venerdì 24, ma poi anche Sabato 25, reparti antiterrorismo della Polizia di Stato, la digos di Roma, Latina e Torino, si preparano all’azione alle prime luci del mattino. Per questa importante operazione sono pronti a tutto: passamontagna e pistole spianate, entrano nelle case di pericolosi sovversivi. Obiettivo? Trovare prove che facciano luce sugli autori di un gravissimo, terrorizzante reato: un lancio di vernice rossa all’ambasciata cilena, datato 30 ottobre 2019.

Ma cosa succedeva in Cile in quei giorni?

Il 7 ottobre 2019 era un lunedì: quel giorno alcune centinaia di studenti delle secondarie di Santiago del Chile, scavalcando al grido di ¡Evade! i tornelli delle stazioni della metropolitana contro il rincaro delle tariffe, diedero avvio a una delle più vaste e significative tra le rivolte sociali che in tutto il pianeta stanno segnando questo tempo. In un paese reso sotto la sanguinosa dittatura di Pinochet un laboratorio delle ricette liberiste, che attualmente vede l’1 per cento più ricco della popolazione concentrare oltre un quarto del reddito nazionale mentre ad oltre metà della popolazione resta il 2 per cento della ricchezza, con sanità e istruzione privatizzate, affitti e prezzi liberalizzati e metà dei salari appena sopra il reddito minimo, quella protesta divenne una ribellione. Il lunedì successivo, 14 ottobre 2019, le stazioni della metro di Santiago cominciarono a chiudere per l’intensità degli scontri, nei giorni successivi iniziarono a essere distrutte dai manifestanti e venerdì 18 ottobre l’intero centro di Santiago divenne teatro di barricate e battaglie di strada con la polizia militarizzata dei Carabineros. La sera del 18 il presidente fascioliberista Sebastián Piñera, dopo essere stato sorpreso sorridente e rilassato a una cena in un ristorante di lusso, proclamava lo stato di emergenza per 15 giorni e il dispiegamento dell’esercito nelle strade. Il 19 veniva imposto il coprifuoco nella capitale, esteso rapidamente a tutti maggiori centri urbani del Cile in misura della costante estensione delle proteste e degli scontri. Il 25 ottobre 2019, malgrado la chiusura delle scuole decretata dal 22 e una scia di morti sotto il fuoco dei militari a partire dal 20, oltre un milione di persone scendevano in piazza a Santiago. Il 26 ottobre il bilancio della repressione dall’inizio della rivolta contava 19 morti, circa 2500 feriti dei quali molti resi orbi dalle pallottole di gomma sparate dai reparti antisommossa e 2840 persone arrestate. Il 27 Piñera era costretto a richiedere le dimissioni del governo, cambiato il 28 con la rimozione di 8 ministri, in primo luogo quello dell’Interno, Chadwick. Il tentativo a novembre di sedare la ribellione sociale con l’indizione di un referendum costituzionale per aprile, poi con il COVID rinviato al prossimo autunno, è fallito: al 28 dicembre 2019 le vittime della repressione erano cresciute a 29 e a febbraio di quest’anno, dopo un picco delle proteste a gennaio, erano 36. Mentre le persone che hanno perso un occhio per i colpi sparati dalle forze repressive sono centinaia. Fin dall’ultima settimana di ottobre 2019 si è manifestata una forte solidarietà internazionale con la lotta della popolazione cilena e contro la sua feroce repressione, con cortei, presidi e azioni in tutto il mondo.

Si potrebbe ironizzare sul grottesco agire delle forze dell’ordine e della magistratura italiana che a fronte di quello che succedeva in Cile apre un inchiesta scomodando l’antiterrorismo per l imbrattamento della sede diplomatica del paese sud americano. Ma comprendiamo l’obiettivo di queste perquisizioni: intimidire e allo stesso tempo accumulare materiali per futuri castelli di carta. Come da sempre usano fare.

Non a caso il PM è lo stesso Dall’Olio che ha firmato l’arresto di 7 tra compagne e compagni nell’operazione Białystock, in cui le accuse di associazione con finalità di terrorismo ruotano con insistenza attorno ad iniziative comunicative, relazioni, scritte, pubblicazioni, giornali etc…Tutte cose la cui gravità è chiaramente quella di esprimere idee, considerate pericolose e perseguibili dalla magistratura.

In un paese sull’orlo di una crisi che potrebbe mettere seriamente in discussione l’egemonia capitalista sul vivente, non c’è da stupirsi che gli apparati dello stato tentino di emarginare e rimuovere preventivamente tutte quelle realtà che potrebbero essere un catalizzatore di rabbia e desiderio di trasformazione. Per questo motivo non riteniamo sia da sottovalutare o da ridicolizzare questo episodio, proprio perché si inserisce in un tempo in cui operai, braccianti, persone detenute in lotta e realtà militanti vengono attaccati sempre più ferocemente dai guardiani dell’ordine costituito. Chiunque abbia imbrattato quei muri ha la nostra solidarietà e complicità.

Come tutto il nostro amore va ai ribelli e alle ribelli cilene.

compagni e compagne

Nantes (Francia): violenza poliziesca e arresti su attiviste femministe

Martedì 14 luglio, sei donne sono state aggredite violentemente ed arrestate dalla polizia di Nantes, mentre affiggevano manifesti femministi.

Le attiviste erano vicine a un collage di “Liberté, égalité, impunité” quando due agenti della brigata canina sono intervenuti per aggredirle e arrestarle. Un ufficiale di polizia ha strappato il telefono di un’attivista prima di schiacciarle il collo ripetutamente e di serrarle le braccia ed i polsi. Quando sono arrivati i rinforzi le sono state messe le manette e nonostante le sue numerose richieste di rilascio, queste sono state strette a tal punto da provocarle lesioni ai polsi. Dopo l’arresto, la donna è stata anche minacciata direttamente all’interno della stazione di polizia, da un agente del BAC che ha detto: “Non voglio che la mia testa si trovi su Internet domani”. Una seconda attivista è stata aggredita, strangolata, e lanciata violentemente a terra. Porta ancora i segni di manette eccessivamente strette, oltre a una dozzina di lividi.
Tutte le attiviste sono state vittime di aggressioni e violenze verbali durante l’arresto e durante le 22 ore di custodia della polizia: commenti sessisti, misogini, degradanti, nonché varie umiliazioni e insulti. Inoltre la polizia ha anche rifiutato di fornire cure mediche alle donne che ne avevano bisogno.

A questo si aggiungono gravi carenze nel rispetto di alcune norme igieniche in tempo di epidemia da Covid-19 da parte di un servizio pubblico: niente maschere messe a disposizione, molti poliziotti senza maschera, celle con sputi sulla porta e sui muri, ma anche tracce di sangue sulle pareti e sulla sedia, nonché un bagno pieno di escrementi.

Gli oggetti personali sono stati perquisiti e, durante la loro restituzione alla fine della custodia, uno dei telefoni non era più in funzione e gli occhiali da vista erano stati rotti.

Delle sei persone arrestate, quattro sono state convocate in tribunale e il processo è fissato al 19 aprile 2021 a Nantes.

Quattro femministe sono incriminate per ′′ avere, senza armi e in riunione, opposto resistenza violenta ′′ e sono punibili con due anni di carcere e 30 euro di multa

A un’attivista è stato contestato anche il reato di ′′ violenza contro persone depositarie dell’autorità pubblica senza ITT “, e rischia fino a 3 anni di carcere e 45 000 euro di multa.

Questo caso è indicativo di un’enorme intensificazione della repressione della polizia nell’ultimo mese, segnalata da numerosi gruppi femministi in tutta la Francia. Una raccolta fondi è stata messa online per supportarne le spese legali. Maggiori informazioni qui.

Prossima fermata Piacenza … ecco perchè non si tratta di mele marce

Venezia, giovane manganellato per una battuta

Abusi in divisa . Un riferimento ironico ai fatti di Piacenza è bastato a scatenare la reazione di due Carabinieri che hanno inseguito e manganellato un ragazzo. Lanciato per martedì un presidio per denunciare i fatti

“Prossima fermata Piacenza!” E’ bastata questa battuta per scatenare la reazione violenta e la manganellate di due carabinieri. E’ accaduto a Venezia, nella notte tra il 24 e il 25 luglio.

Il giovane che ha denunciato il fatto è Jacopo Povelato, 27enne attivista del Laboratorio Morion, che rincasava dopo aver trascorso la serata al centro sociale di Venezia. Il fatto è accaduto all’imbarcadero della Palanca, all’isola della Giudecca. Il canale noto al mondo perché porta le contestatissime Grandi Navi a fare l’inchino a piazza San Marco.

Il giovane, accompagnato da due amiche, e due militari dell’arma, uno dei quali è il maresciallo Buttà di stanza all’isola di Sacca Fisola (che si trova una fermata dopo), erano a bordo del vaporetto della Linea Notturna che collega la Giudecca a Venezia. I cinque si conoscono e si salutano. Alla Palanca, i tra ragazzi scendono. Jacopo si gira e sorridendo dall’imbarcadero si rivolge ai carabinieri rimasti a bordo. “Prossima fermata Piacenza!” gli dice sorridendo, alludendo ovviamente ai noti fatti di cronaca della caserma emiliana che ha portato all’arresto di quelle che sono state chiamate le “mele marce dell’Arma”.

Una battuta magari discutibile ma che ha causato una reazione spropositata da parte dei militari che sono saltati giù dal battello prima che il marinaio chiudesse il barcarizzo e hanno rincorso il ragazzo, placcando letteralmente il sorpreso Povelato che ha provato a divincolarsi. Un militare gli ha chiesto i documenti, l’altro, il maresciallo Buttà, più sbrigativo, ha estratto il manganello e gli ha rifilato una violenta manganellata alla schiena.