Sciopero della fame dei detenuti di Caltanissetta contro la sospensione delle video-chiamate e dei generi alimentari consentiti

Pubblichiamo, da Associazione Yairaiha Onlus, la lettera di familiari dei detenuti di Caltanissetta sullo sciopero messo in atto dai propri parenti in carcere:

Cara associazione Yairaiha, sono la moglie di un detenuto di Caltanissetta e portavoce dei familiari dei detenuti del carcere di Caltanissetta.
Vi scriviamo per informarvi che da tre giorni i detenuti stanno facendo lo sciopero della fame perchè hanno tolto le chiamate da 10 minuti e ci hanno lasciato 2 chiamate al mese. Vogliono togliere anche le videochiamate; il colloqui visivi sono ridotti ad uno al mese di un’ora. Le videochiamate permettono ai nostri cari di vedere pure i bambini, invece ,i colloqui visivi di un ora al mese, permessi ad un solo familiare, i bambini non possono più vedere i loro padri e viceversa. È giusto tutto questo? Non fanno entrare più nemmeno il mangiare dalla buca; hanno tolto i salumi e i formaggi costringendo i detenuti ad acquistarli tramite la spesa interna a 35 € al kg; non fanno entrare più nessun tipo di mangiare. Noi familiari siamo allo stremo perchè in questi 5 mesi c’è chi ha perso il lavoro e facciamo sacrifici per mantenere i nostri figli e i nostri cari in carcere, non ci si può vietare di mandare il mangiare a prezzi più accessibili né si può proibire a bambini innocenti di vedere il proprio padre. È un carcere disumano, per favore fate qualcosa.
I familiari dei detenuti di Caltanissetta
Di seguito il link per sottoscrivere l’appello per il mantenimento delle video chiamate in forma stabile, come misura di civiltà:

Sospensione dei colloqui via skype: proteste anche nel carcere di Lecce

Tensione nella casa circondariale di Lecce per una protesta dei detenuti che ha messo in allarme la polizia penitenziaria. Nei giorni scorsi, racconta il sindacato Osapp, circa 500 detenuti hanno cominciato a sbattere contro le inferriate alcuni oggetti recuperati nelle celle provocando rumore per circa un’ora.

Il motivo? “I detenuti non hanno accolto positivamente la circolare di sospensione del sistema skype che consentiva di tenersi in contatto con le famiglie –  spiega il sindacato.

Ancora trasferimenti punitivi dal carcere di Santa Maria Capua Vetere, per arginare le nuove proteste dovute alla sospensione della sorveglianza dinamica e dei colloqui via skype

I cosiddetti “promotori” sono stati trasferiti in altre strutture; si tratta di una ventina di detenuti, tutti del reparto maschile, ma si potrebbe arrivare a una cinquantina di trasferimenti a breve.

“La situazione è tesa e diventa grave. Chiediamo una repressione totale delle violenze che avvengono all’interno degli istituti carcerai. Ci sono dei detenuti che fanno il bello ed il cattivo tempo, decidono le sorti della vita carceraria, questo non deve più essere concesso. Il carcere deve servire da punizione e da monito e allora è necessario prendere delle misure affinché alcuni individui rispettino le regole e non prendano il comando della situazione, lo Stato deve farsi sentire.”

Lo ha dichiarato il Consigliere della Regione Campania dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli, facendo eco alle dichiarazioni del SAPPE secondo cui in Italia ci sarebbe troppo garantismo e le misure prese per il contenimento del covid 19, oltre che per rispondere alle condanne della CEDU e del CPT (dalla sentenza Torreggiani fino al DL Carceri) avrebbero portato le carceri “alla deriva” e alla “resa dello Stato”.
La ricetta per uscire da questa “deriva” sarebbe, per questi “fedeli” servitori dello stato, negare ai detenuti i più elementari diritti umani, insabbiare le indagini sulle morti in carcere, colpire “una certa magistratura”, libertà di tortura, aumento ulteriore del numero e del potere del personale penitenziario e, non ultimo, nomina di un supercommissario con pieni poteri su ogni altro organo dello Stato.
Ecco quanto dichiarato dal SAPPE due settimane fa:

i detenuti ormai hanno dichiarato guerra allo Stato. L’unico baluardo rimasto a difendere le Leggi  e a far rispettare le regole a chi non le ha mai rispettate è la Polizia Penitenziaria.

Una guerra che è sotto gli occhi di tutti, ma che si tende a sottovalutare o addirittura negare, in virtù dell’iper garantismo imperante in questo Paese dove le carceri sono lasciate alla deriva.

Ma abbiamo già dimenticato che fior di galantuomini sono in carcere? Mafiosi, camorristi, ndranghetisti, violentatori di bambini, spacciatori di morte, malati mentali, tossici, extracomunitari, fiancheggiatori dell’estremismo islamico, sicuramente non mammolette o personcine a modo vittime del sistema.

Eppure, nonostante le rivolte di marzo, nonostante l’arroganza che travalica anche il buon senso, c’è in Italia questa tendenza a compatire, a perdonare, a difendere gli oppressi anche se questi hanno messo a ferro e fuoco gli Istituti di pena, non si riesce a trasferirli in modo automatico lontano da casa, non si riesca ad applicare loro il 14 bis, non si riesce a farsi risarcire i danni (moltissimi di questi non hanno né avranno mai un centesimo nella “libretta”), non si riesce a far comprendere ad una certa magistratura che  in certe situazioni quando c’è da ristabilire la sicurezza, l’uso del manganello è legittimo (art.41 O.P.) […] E se la Polizia Penitenziaria nega qualcosa pretesa come un “diritto” … allora ti devi aspettare sommosse, rifiuti di entrare in cella, aggressioni. Insomma una vera e propria guerra dichiarata da lestofanti e delinquenti della peggiore specie cui lo Stato non riesce a rispondere adeguatamente, ovvero con la giusta severità o con provvedimenti di legge eccezionali che vengono presi quando c’è una guerra in atto e bisogna che lo Stato si riappropri del territorio (in questo caso delle sue carceri).”