Come in India anche nelle Filippine la polizia ammazza contadini e quadri maoisti inscenando falsi scontri: massacrate nell’ultima settimana almeno 7 persone dal regime fascista Duterte

La mattina del 24 ottobre almeno 5 contadini sono stati uccisi a sangue freddo dalla Polizia nazionale filippina (PNP) a Masbate, una delle province che ha visto il maggior numero di esecuzioni extragiudiziali attribuite a militari e polizia. Per il Partito Comunista delle Filippine (CPP) sono più di 74 ora gli omicidi nella provincia sotto il regime terrorista di Duterte.

Sempre a sangue freddo, il 29 ottobre alle 8 di sera a Bukidnon, le Forze Armate delle Filippine (AFP) hanno assassinato i compagni Jorge Madlos, alias “Ka Oris”, portavoce del New People’s Army (NPA), e il suo assistente medico Eighfel Dela Peña, alias “Ka Pika”, mentre stavano andando in motocicletta per cercare cure mediche. I rivoluzionari erano disarmati e sono stati uccisi in un’imboscata, ma per creare una falsa immagine di scontro armato, le AFP hanno organizzato attacchi aerei quattro ore dopo nelle vicinanze di Barangay Dumalaguing, Impasug-ong, provincia di Bukidnon. Per circa due ore, dalle 00:40 alle 2:00 passate, l’AFP ha sganciato almeno sei grosse bombe, ha sparato dozzine di razzi e mitragliato il fianco della montagna, sconvolgendo la pace e provocando paura e panico tra la gente. Hanno poi sostenuto un’enorme menzogna parlando di uno scontro armato alle 11 del mattino (10 ore dopo) in cui Ka Oris e Ka Pica sarebbero stati uccisi.

Sia gli omicidi dei contadini che quelli dei quadri maoisti sono stati commessi  dalla Polizia nazionale filippina (PNP) e dalle Forze Armate delle Filippine (AFP) su persone disarmate e propagandati come operazioni militari antiguerriglia nel corso di combattimenti.

Repressione pura, vere e proprie esecuzioni sommarie ed extragiudiziali, come le definisce in un articolo, che riportiamo in calce, Gianni Sartori.

Questi massacri fanno parte dell’aggravarsi degli atti di terrorismo di stato perpetrati dalle Forze Armate Filippine e dalla Polizia Nazionale contro le masse contadine e la popolazione ribelle nel tentativo di porre fine alla resistenza armata del popolo contro il regime dell'”Hitler” filippino (come ama definirsi Duterte).

Finti scontri con attacchi aerei e bombardamenti si sono intensificati nel 2021, nel tentativo di “sconfiggere l’insurrezione entro la fine dell’anno”. Nel febbraio di quest’anno, le truppe dell’AFP hanno ucciso sommariamente un agricoltore locale e due membri dello staff di una fattoria dimostrativa per l’agricoltura sostenibile a Pres. Un totale di 277 agricoltori sono stati uccisi a livello nazionale dalle forze armate fasciste di Duterte dalla metà del 2016, per non parlare delle migliaia di casi di molestie e intimidazioni, resa forzata, insediamento e altri abusi a seguito delle operazioni militari mirate nelle campagne.

Di seguito riportiamo 2 comunicati del Partito Comunista delle Filippine (CPP) sul massacro di contadini a Masbate e sull’omicidio dei compagni a Bukidnon:

October 25, 2021

The Communist Party of the Philippines (CPP) condemns in the strongest terms the Philippine National Police (PNP) for the massacre of at least five peasants early yesterday morning in Barangay Bugtong, Mandaon town in Masbate province.

Contrary to the PNP’s claims in their press releases, the victims were not members of the New People’s Army (NPA). The PNP identified one of the victims as Eddie/Arnold Rosero, a local resident.

According to the NPA’s Regional Operational Command in Bicol, there was no armed encounter yesterday nor was there an NPA unit in the area.

We hold the PNP accountable for this heinous crime. This was committed by the police following direct orders of the police chief to “put an end” to the NPA in Masbate and the Bicol region.

The local unit of the NPA must seek to immediately identify and arrest those directly responsible for the massacre. We urge local police officers, whether involved or not in the crime, to cooperate with the NPA and reveal the whole truth about the massacre. The NPA must do everything in its power to give justice to the victims and their families.

This massacre forms part of the worsening acts of state terrorism perpetrated by the Armed Forces of the Philippines (AFP) and the PNP against the peasant masses and people of Masbate. The AFP and PNP seeks to terrorize the people through killings, abductions, unlawful arrests, beatings, armed intimidation, forced surrenders, hamletting of communities and other abuses in their futile drive to put an end to the people’s armed resistance.

Masbate is one of the provinces that has seen the biggest number of extrajudicial killings attributed to the military and police. Based on our information, there are now at least 74 killings in the province under the terrorist Duterte regime.

October 31, 2021

Comrade Ka Oris (Jorge Madlos), spokesperson of the New People’s Army (NPA), was not killed in an armed encounter. He was ambushed on the road between Impasug-ong town proper & the national highway at 8 pm on Oct 29. He and his medical aide were riding a motorcycle on their way to seek medical treatment. This is according to his wife Ka Maria Malaya.

Ka Oris and aide Eighfel Dela Peña (Ka Pika) were both unarmed when ambushed. Whether they were ambushed while moving or were accosted and thereafter executed is still unclear. Clearly, however, they were not in a position to give battle or fight back and were murdered in cold-blood.

To conceal their crime of murdering unarmed revolutionaries and create a false picture of an armed encounter, the 4th ID staged aerial strikes four hours later in the vicinity of Barangay Dumalaguing, Impasug-ong, Bukidnon province. For around two hours, from 12:40 a.m. to past 2 a.m. the AFP dropped at least six large bombs, fired dozens of rockets and strafed the mountainside shattering the peace and causing fear and panic among the people. They then issued a fat lie claiming of an armed encounter at 11 am (10 hours later) where Ka Oris and Ka Pica were supposedly killed.

Since last night, Gen. Brawner of the 4th ID and other AFP officers shamelessly faced the media. They brazenly wove one lie after another in an attempt to fool the people. They are utterly dishonorable officers for propagating false information. We hold Gen. Brawner and the men and officers of the 403 IBde responsible for the murder of Ka Oris and Ka Pica and its coverup.

Given the circumstances, the families of Ka Oris and Ka Pika are in a position to demand that independent pathologists perform an autopsy on the bodies of the victims to determine the actual circumstances of their killing.

We also support the wishes of the families to have the bodies of Ka Oris and Ka Pika be immediately released to them in order for them to conduct a proper wake and give all those who knew Ka Oris the opportunity to pay their last respects.

Ka Oris had long wished to return to Siargao Island where he grew up as a boy. Perhaps, his wish could be fulfilled.

***

Da Osservatorio repressione

Dall’India alle Filippine si ammazzano indigeni e contadini

Mascherare la repressione pura e semplice, in molti casi l’esecuzione extragiudiziale, come “operazione militare contro la guerriglia” rientra nei metodi, nello “stile”, delle guerre a bassa intensità (per quanto “bassa” risulti spesso un eufemismo).

Lo si è visto in America Latina, dalla Colombia al Guatemala, dove venivano venduti ai media come cadaveri di combattenti i poveri corpi massacrati di contadini e indigeni. Talvolta interi villaggi.

O addirittura esibirli come vittime della guerriglia.

Per esempio in Colombia era pratica consolidata quella di attribuire alle FARC o all’ELN la responsabilità dei massacri di civili operati dall’esercito, dalla polizia, dai paramilitari o da squadroni della morte (in genere legati al narcotraffico).

Del resto succedeva anche in India. Solo neldicembre 2019, dopo quasi otto anni, una commissione guidata dal giudice V.K. Agrawal aveva finalmente stabilito la verità in merito agli eventi di Sarkeguda dove, nel giugno 2012, vennero assassinati 17 adivasi (gli aborigeni dell’India), di cui sette bambini. Un massacro ufficialmente presentato come uno scontro con la guerriglia maoista, i naxaliti. Quel mattino i paramilitari (le CRPF) avevano circondato gli abitanti del villaggio riuniti per la festa tradizionale di Beej Pondum aprendo quindi il fuoco. Successivamente si erano scatenati infierendo ulteriormente sulle persone ferite rimaste a terra.

Due recenti episodi sembrerebbero riproporre lo schema. Il primo ancora in India, l’altro nelle Filippine.

Il 25 ottobre tre indigeni adivasi, esponenti del Partito Comunista dell’India (Maoista), sono stati uccisi dalle forze di sicurezza nei pressi della frontiera tra gli Stati del Telangana del Chhattisgarh.

Si trattava di quadri a livello regionale del partito, ma non di esponenti della guerriglia naxalita. Come invece ha cercato di dar a intendere un comunicato delle forze di sicurezza parlando di uno “scontro a fuoco” che in realtà non sarebbe mai avvenuto. Stando almeno a quanto dichiara il PCI (M) che definisce l’episodio “un’esecuzione mascherata da combattimento”. Va detto che i naxaliti rivendicano sempre le loro operazioni e i militanti caduti in combattimento. L’accusa alle forze di sicurezza di aver agito come una squadra della morte va quindi presa in seria considerazione. Di conseguenza il PCI(M) ha chiamato la popolazione della regione a sollevarsi con uno sciopero generale contro la triplice barbara esecuzione.

Quasi contemporaneamente nelle Filippine il capo della polizia nazionale – generale Guillermo Eleazar – si è complimentato con l’ufficio regionale della polizia 5 (PRO-5) per aver “neutralizzato” (ossia ucciso) cinque presunti appartenenti a NPA (Nuovo esercito popolare) a Barangay Bugtong (provincia di Masbate). Ma anche in questo caso, come ha immediatamente denunciato il Partito comunista delle Filippine (ramo politico di NPA), si trattava di semplici contadini, non di guerriglieri. Anche perché in questa zona notoriamente non è presente alcuna unità di NPA.

Gianni Sartori

Padova, cariche della polizia di stampo sudamericano per proteggere il fascista negazionista Bolsonaro

Idranti e cariche contro i manifestanti che hanno forzato il blocco della celere e si stavano dirigendo verso la Basilica del Santo. Un fermo, diversi feriti.

Pioggia battente e freddo: l’arrivo del presidente brasiliano Jair Bolsonaro coincide con una brusca virata metereologica verso l’autunno inoltrato. Nonostante questo tantissime persone hanno risposto all’appello lanciato dal Cso Pedro, Adl Cobas e altre realtà cittadine in Prato della Valle. Un appello che conteneva un messaggio chiaro: la presenza di Bolsonaro è un insulto alla città e le persone che scendono in piazza lo faranno per bloccarne l’arrivo. Anche il titolo della manifestazione, riportato nel grande striscione d’apertura, non lascia dubbi: “Fora Bolsonaro!”, che si rifà alle contestazioni che il presidente sta ricevendo in patria, ma anche a un’espressione dialettale veneta inequivocabile.

Scene di guerriglia nel centro cittadino: manganelli e idranti contro il corteo che era deciso a raggiungere la basilica di Sant’Antonio per dire a Bolsonaro che a Padova non c’è spazio per le sue posizioni omofobe, fasciste e razziste, e che è stato immediatamente bloccato da una carica e, subito dopo, dall’idrante. Di fronte alla presenza di un capo di stato come Bolsonaro, lo stato italiano si è schierato a difesa di posizioni fasciste reprimendo il dissenso della città. Nel corso delle cariche, una ragazza è stata fermata, per poi essere liberata in serata.

L’evento che ieri, 1 novembre, ha visto scendere in piazza tante realtà cittadine, ha avuto una portata tale da attirare nutrite delegazioni da tutto il Nord-Est e anche da altre parti d’Italia. Bolsonaro rappresenta così bene la sintesi del “male contemporaneo” che la sua presenza offre l’occasione per portare in piazza le tante tematiche su cui i movimenti sociali lavorano da anni. Nei suoi quasi tre anni di presidenza si è contraddistinto per aver demolito qualsiasi (timido) avanzamento nel campo dei diritti civili e sociali che c’era stato in Brasile; per aver bloccato la restituzione delle terre alle popolazioni indigene; per aver condotto una guerra di bassa intensità contro indigeni, femministe, attivisti sociali; per aver  favorito l’aumento della violenza estrattivista in tutto in Paese, in particolare in Amazzonia. E poi la gestione negazionista e criminale della pandemia, per la quale è stato accusato di crimini contro l’umanità da una commissione d’inchiesta parlamentare che si è appellata all’ONU: il Paese sudamericano è secondo al mondo per numero di morti da Covid (oltre 600 mila), che si sono concentrati nelle fasce più povere e razzializzate della popolazione.

Per tutte queste ragioni sono tante le voci che si sono alzate dalla piazza padovana. A partire da Lisa del Cso Pedro che aprendo la giornata di mobilitazione di oggi ha ribadito come «l’odio, l’omofobia e il negazionismo non debbano avere spazio».

Mattias di Rise Up 4 Climate Justice, neonato movimento climatico che venerdì scorso è stata protagonista di un’iniziativa proprio ad Anguillara, ha sottolineato come «i territori sono devastati a causa di persone come Bolsonaro. In Amazzania si sta deforestando l’ultimo polmone verde del mondo per dare terreni alle multinazionali, cacciando le popolazioni indigene».

Melania di Non Una di Meno Treviso ha voluto ricordare Marielle Franco, attivista nera indigena, ammazzata da Bolsonaro, primo mandante politico, e continua «questa città si opporrà all’arrivo di un fascista, omofobo machista e la marea transfemminista si opporrà.  Sono i nostri corpi in lotta che rendono le città sicure».

Interviene anche un professore italiano che lavora in Brasile, proprio ai piedi dell’Amazzonia e dice «come italiano mi vergogno perché io l’Amazzonia l’ho vista bruciare, ho visto l’oppressione in Brasile, la pandemia, l’omicidio di Marielle Franco che oggi è con noi in questa piazza. Vi ringrazio per essere qui».

Ilaria del Cso Pedro, a proposito di intersezionalità delle lotte, rilancia il world vegan day, «le specie amazzoniche sono state decimate negli ultimi anni anche per colpa del consumo dei corpi degli animali da macello. Dalla pandemia di Covid-19 l’Amazzonia brasiliana continua a bruciare e la deforestazione batte nuovi record. Nel primo semestre del 2020 sono stati occupati 3.000 ettari di foresta, un aumento del 25% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso».

Francesco di Open Your Borders, ribadisce «siamo qui oggi per un motivo molto semplice, impedire a Bolsonaro di entrare a Padova. Siamo qui oggi perché Padova è sempre stata una città accogliente ma con anticorpi al razzismo ben allenati. Per questo motivo siamo qui oggi a mettere in gioco i nostri corpi. Bolsonaro rappresenta quindi la visione del mondo elitaria, classista, razzista a cui noi ci opponiamo fermamente, come ha anche dimostrato con i suoi ripetuti attacchi ai popoli indigeni».

Dopo le cariche, la manifestazione si mossa nelle vie del centro per chiedere la liberazione della manifestante fermata: «Padova ha dimostrato in maniera inequivocabile di saper tener testa a chi fa del razzismo, del sessismo e del negazionismo climatico il proprio manifesto politico. “Fora Bolsonaro!” non è stato solo uno slogan, ma il grido di una città degna che ha voluto dimostrare tutto il suo sdegno contro uno dei peggiori criminali del nostro tempo».

da GlobalProject

30 ottobre a Roma contro i padroni del mondo, contro i regimi fascio-populisti reazionari e le loro politiche genocide

Dall’India, al Brasile, alla Turchia, i governi dittatoriali, fascio-populisti e reazionari hanno trasformato ancor più la pandemia in strage di masse proletarie e povere. Le loro politiche portano alla fame, al dilagare della povertà, alla guerra contro i loro stessi popoli.

Accade in India con Modi, dove il campione di quella che viene chiamata “la più grande democrazia del mondo” incarcera, deporta, tortura i lavoratori, i contadini, gli intellettuali, le masse popolari che si ribellano in armi guidate dal PCI(maoista)

Accade nel Brasile con Bolsonaro, un fascio populista negazionista oggi incriminato per la gestione criminale della pandemia, legato organicamente ai militari, ai grandi latifondisti e che per loro fa terra bruciata in Amazzonia, deporta i popoli indigeni, conduce una guerra contro le masse contadine povere…

Accade in Turchia col regime Erdogan che porta il terrore in Siria, nel Rojava, nel Kurdistan, che occupa militarmente la Libia, aiuta l’UE nei respingimenti antiimmigrati, espande l’influenza turca in Africa e reprime l’opposizione nel suo paese…