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Appello in italiano – disponibile in spagnolo e inglese – del Comitato di sostegno internazionale alla guerra popolare in India
Si espande in India la pandemia. E’ il terzo paese al mondo dopo Usa e Brasile. Nelle ultime ore i contagi sono stati 30mila e crescono quotidianamente, i casi complessivi sono oltre 1milione e i morti sono oltre 24mila. Gli Stati più colpiti sono il Maharashtra e il Tamil Nadu, segue il Karnataka. Il nuovo lockdown deciso dal regime fascista tocca 12 Stati, tra cui il Bihar. Si tratta degli Stati più poveri. Nello stesso tempo viene colpta anche Bangalore che è il centro tecnologico più sviluppato dell’India dove si trovano le sedi di Microsoft, Apple e Amazon. Oltre 3 milioni di lavoratori hanno perso il lavoro e stanno raggiungendo i loro villaggi.
Il sistema sanitario in India mostra tutta la sua arretratezza per tanta massa di popolazione e assenza di ogni assistenza sanitaria reale.
Il Partito Comunista dell’India (Maoista) sin da aprile si sta battendo per difendere le condizioni delle masse. Il portavoce del Comitato Centrale ha definito il coronavirus un’”arma biologica” che trova le sue radici nelle politiche imperialiste. Ha richiesto che almeno il 10”% del prodotto interno lordo venga destinato all’alimentazione e alla salute delle masse; ha denunciato come il governo Modfi non ha esitato a proseguire nell’esportazione pro imperialista anche di farmaci chimici verso gli Usa, nonostante i bisogni drammatici delle masse indiane.
E’ in questo quadro che un dramma nel dramma è costituito dai prigionieri politici che oltre ad essere vittime della repressione fascista del governo, rischiano la loro vita e la loro salute nelle prigioni del regime.
Il PCIM ha chiesto la liberazione immediata di Varavara Rao, artista intellettuale rivoluzionario, conosciuto e apprezzato dalle masse indiane, che risulta positivo al virus, del Prof. Saibaba, figura preminente dell’opposizione democratico rivoluzionaria al regime Modi e al sistema indiano asservito all’imperialismo.
La lotta contro la repressione e la liberazione di questi prigionieri politici è parte della resistenza delle grandi masse popolari in lotta, e nello stesso tempo è parte della denuncia del governo che usa la forza poliziesca, utilizzando il lockdown, verso le masse e che nulla fa per la sicurezza dei medici, dei lavoratori della sanità, dei lavoratori e lavoratrici della salute.
Per questo è necessario oggi più che mai sviluppare la denuncia del governo Modi, intensificare la solidarietà con le masse indiane in lotta e in armi, allargare in tutti i paesi la rivendicazione della liberazione immediata di Varavara Rao e di Saibaba.
Il Comitato di sostegno internazionale alla guerra popolare in India è da sempre impegnato in questa battaglia e oggi chiama urgentemente ad una nuova fase della mobilitazione. Attraverso la repressione di questi due intellettuali si colpisce un numero impressionante di militanti, professori, studenti e artisti, membri di organizzazioni democratiche; si pratica il terrorismo di Stato contro la libertà di stampa, di opinione in un paese in cui il regime approva leggi razziste e discriminatorie, come le ultime sulla cittadinanza che colpiscono milioni di musulmani.
Lo sviluppo della pandemia trasforma, inoltre, le carceri in trappole mortali.
Il Comitato chiama quindi ad una nuova giornata internazionale di informazione, azione e solidarietà per il 28 luglio, giornata in cui si sviluppa la vasta azione dei maoisti e dei combattenti della guerra popolare nella settimana dei martiri della rivoluzione.
Il Comitato fa proprio per questa giornata i numerosi documenti che circolano in India e nel mondo a sostegno di questa battaglia.
Oltre 130 rinomati intellettuali hanno firmato un appello sostenendo che il deterioramento delle condizioni di salute del Prof. Saibaba e di Varavara Rao e lo scoppio del Covid nelle carceri mette in pericolo la loro vita e ne chiede il rilascio immediato su cauzione. Documenti della stessa natura sono firmati nel Bangladesh e da gruppi di deputati nello stesso parlamento indiano e altri
Il Comitato alla luce di questo invita ad alcuni obiettivi immediati:
diffondere questi documenti con tutti i mezzi in internet;
organizzare per la giornata del 28 un mail-bombing inviato alla stampa internazionale, alle ambasciate indiane, ai ministri degli Esteri e della Giustizia del maggior numero di governi, al parlamento europeo, alla Corte di Giustizia internazionale ecc;
organizzare il 28 e nei giorni successivi, assemblee, presidi e ogni tipo di azione, approvare messaggi di solidarietà, e ogni altra iniziativa che permetta di allargare il fronte della mobilitazione;
In particolare per quest’ultimo compito facciamo un appello a tutte le organizzazioni politico-sociali che si occupano di carcere, repressione, solidarietà internazionale e internazionalista.
SI TRATTA DI INIZIATIVE GIÀ IN CORSO IN ALCUNI PAESI IN QUESTI MESI. QUELLO CHE SI CHIEDE A PARTIRE DALLA GIORNATA INTERNAZIONALE È UNA LORO CONCENTRAZIONE, SOCIALIZZAZIONE CHE POSSA SERVIRE A SVILUPPARE UNA CAMPAGNA PROLUNGATA CON L’OBBIETTIVO DI OTTENERE RISULTATI CONCRETI NELL’ARCO DI QUESTI MESI CARATTERIZZATI DALLA PANDEMIA.
Comitato di sostegno internazionale alla guerra popolare in India
csgpindia@gmail.com
luglio 2020
***
Un gruppo di intellettuali di diversi paesi ha presentato una petizione al governo dell’India per rilasciare il Dr. G N Saibaba e Varavara Rao
Oltre 130 noti intellettuali di tutto il mondo hanno fatto appello al Presidente dell’India e al Presidente della Giustizia dell’India per la liberazione del professor G.N. Saibaba e l’attivista Varavara Rao che si trovano nelle carceri del Maharashtra in mezzo all’esplosione del COVID-19.
Tra i firmatari vi sono alcuni intellettuali famosi come Noam Chomsky, Judith Butler, Partha Chatterjee, Homi K. Bhabha, Bruno Latour, Gerald Horne e Ngũgĩ wa Thiong’o. In una dichiarazione, hanno detto, “Il professor Saibaba dell’Università di Delhi è disabile al 90% con la sindrome post-polio. Nonostante la sua disabilità, rimane instancabile attivista per la giustizia sociale e un impegnato difensore dei diritti umani. È stato implicato in un processo costruito ad arte in cui si sosteneva che stava ‘facendo la guerra contro lo stato’. È in prigione da tre anni”.
La dichiarazione afferma inoltre che il poeta Varavara Rao, ottantenne, è un noto intellettuale e fervido attivista per i diritti civili. “Negli ultimi 60 anni ha dimostrato un fermo impegno nel lavorare per gli oppressi. Negli ultimi 18 mesi è stato in prigione, in attesa di processo. Molti studiosi internazionali e acclamate organizzazioni come PEN International hanno chiesto il suo rilascio”, si legge nella nota.
Nel marzo 2017, un tribunale di Gadchiroli ha condannato Saibaba e altre quattro persone, tra cui un giornalista e uno studente della JNU, per legami con i maoisti e per attività che consistono nello scatenare una guerra contro il paese ai sensi del rigoroso Unlawful Activities Prevention Act (Legge contro le attività illecite – UAPA). A seguito della condanna, Saibaba è stato portato nella prigione di Nagpur.
Nel frattempo, Varavara Rao è stato arrestato per il collegamento Elgar Parishad-Maoisti che è stato trasferito al National Investigation Agency dal Centro. Il caso si riferisce a presunti discorsi incendiari fatti alla riunione di Elgar Parishad tenutosi a Pune il 31 dicembre 2017, che, secondo la polizia, ha scatenato la violenza il giorno successivo vicino al memoriale di guerra di Koregaon-Bhima. La polizia di Pune ha anche affermato che la riunione era sostenuta dai maoisti.
Ecco la dichiarazione completa:
Noi sottoscritti, facciamo appello per la liberazione di noti intellettuali e attivisti per la giustizia sociale, Prof. G.N. Saibaba e Varavara Rao, che sono imprigionati per processi costruiti ad arte e vulnerabili all’infezione da COVID-19 nelle prigioni sovraffollate del Maharashtra.
Il professore indiano G.N. Saibaba sta attualmente languendo in prigione in India senza accesso a cure mediche adeguate o alla sua sedia a rotelle. Il professor Saibaba è disabile al 90% con la sindrome post-polio e tuttavia le autorità della prigione si sono sempre rifiutate di fornirgli assistenza durante gli spostamenti, anche per le funzioni corporee fondamentali come andare in bagno. Soffre di una serie di disturbi potenzialmente letali (tra cui pancreatite acuta, complicanze cardiache, ipertensione, calcoli alla cistifellea, svenimenti e altro) e ha perso gran parte del funzionamento di entrambe le mani da quando è stato imprigionato. La continua negligenza delle autorità della prigione è in realtà una condanna a morte durante la pandemia di COVID-19. Chiediamo al governo indiano di rilasciare immediatamente il professor G.N. Saibaba dalla prigione su cauzione per motivi sanitari in modo che possa ricevere cure mediche adeguate ed essere protetto dall’epidemia di Coronavirus.
Il professor Saibaba è stato sequestrato e arrestato il 9 maggio 2014 mentre lasciava il campus dell’Università di Delhi. La polizia ha affermato di aver trovato documenti e corrispondenza che presumibilmente dimostrano i suoi legami con il PCI (maoista), un partito politico vietato in India. Tuttavia, nei procedimenti giudiziari contro Saibaba, gli accusatori non sono stati in grado di produrre prove chiare di questa accusa o dell’accusa di “condurre una guerra contro lo stato”. Commentando la condanna, Amnesty International ha dichiarato che “ritiene che le accuse contro G. N. Saibaba siano fabbricate ad arte e che il suo processo non abbia soddisfatto gli standard internazionali di equo processo”. Indipendentemente dalla credibilità o meno del processo e della condanna, il professor Saibaba ha diritto a cure mediche adeguate e cauzione per motivi sanitari. Ora che il Coronavirus si sta diffondendo come un incendio nel sistema carcerario indiano, questa condanna a vita potrebbe benissimo diventare una condanna a morte.
Il professor Saibaba è confinato su una sedia a rotelle poiché soffre di sindrome post-polio, che inibisce l’uso delle gambe. Nonostante la sua disabilità, rimane un instancabile attivista per la giustizia sociale e un impegnato difensore dei diritti umani. Un recente rapporto di Scholars at Risk ha osservato che Saibaba ‘ha collaborato con attivisti e movimenti per indagare e lottare contro le multinazionali e aziende nazionali, che estraggono risorse dalla regione a spese dell’ambiente e dello sfollamento delle comunità indigene”. Molti, incluso la scrittrice di fama internazionale Arundhati Roy, hanno ipotizzato che il professor Saibaba sia stato arrestato a causa del suo attivismo e della sua coraggiosa difesa dei diritti umani degli oppressi.
Inoltre, le autorità della prigione non gli hanno permesso di inviare o ricevere lettere nella sua lingua madre, il Telugu. Anche quando sua madre si è recata a trovarlo, insistettero che lui le parlasse solo in inglese, nonostante il fatto che lei non parlasse inglese. Ora la madre è sul letto di morte, in lotta contro il cancro terminale, mentre suo figlio languisce in prigione, un prigioniero politico cui viene negata l’assistenza medica e la possibilità di comunicare con molti dei suoi cari.
I tribunali hanno negato la recente domanda di libertà condizionale di Saibaba durante questa pandemia. Sostenevano che suo fratello (con il quale sarebbe rimasto se rilasciato) viveva in una zona di contenimento COVID-19; ma, questo non è vero. Inoltre, sembra probabile che sia maggiormente a rischio di contrarre il COVID-19 in prigione.
Ora il professor Saibaba si trova in prigione, perde frequentemente conoscenza ed è incapace persino di andare in bagno senza assistenza, cosa che gli viene regolarmente negata. Siamo profondamente turbati dalla crudeltà con cui il governo indiano e il sistema giudiziario stanno trattando Saibaba. Poiché i suoi carcerieri hanno ripetutamente dimostrato la loro incapacità o riluttanza a fornirgli adeguate cure mediche, e poiché il Coronavirus si sta diffondendo attraverso il sistema carcerario indiano, abbiamo sottoscritto la richiesta di rilascio immediato del Professor G.N. Saibaba dalla prigione.
Il poeta ottantenne Varavara Rao è un eminente intellettuale e fervido attivista per i diritti civili. Negli ultimi 60 anni ha dimostrato un fermo impegno nel lavorare per gli oppressi. Nel corso dei decenni, lo stato indiano ha cercato di mettere a tacere la sua voce coinvolgendolo in molti processi costruiti ad arte. Negli ultimi 45 anni, sono stati montati contro di lui 25 “casi”. Ha trascorso circa 8 anni in prigione in attesa del processo, ma è stato assolto in tutti i casi precedenti. Nel novembre 2018, Varavara Rao è stato nuovamente arrestato, questa volta come parte della repressione a livello nazionale degli intellettuali ben noti al pubblico da parte del governo Modi in relazione al famigerato caso Bhima Koregaon. Attualmente è imprigionato nel carcere di Taloja, Navi Mumbai nel Maharashtra, in attesa di processo. Molti studiosi internazionali e acclamate organizzazioni come PEN International hanno chiesto la sua liberazione.
Anche dopo 18 mesi di custodia giudiziaria, non sono state presentate accuse contro di lui. È importante notare che il Maharashtra è stato identificato come l’epicentro dell’epidemia di Coronavirus in India. Inoltre, il governo ha ammesso in un caso di “Contenzioso di interesse pubblico” (PIL) presso l’Alta corte di Mumbai che un detenuto è morto di recente per COVID-19 nella prigione di Taloja. Nel contesto della pandemia da COVID-19, Varavara Rao, che soffre di molteplici disturbi di salute, si trova in una condizione sanitaria molto vulnerabile.
Di recente, il 28 maggio 2020, Varavara Rao è svenuto in prigione ed è stato ricoverato all’ospedale JJ di Mumbai, quando le sue condizioni sono diventate critiche. Il governo ha risposto sconsideratamente ed è stato rimandato in prigione il 1° giugno 2020 dopo un trattamento preliminare per stabilizzare le sue condizioni. Il governo non ha nemmeno permesso ai membri della sua famiglia di fargli visita in ospedale o di parlargli al telefono. Data questa situazione inquietante, la moglie di Varavara Rao ha presentato una petizione presso il tribunale della National Investigation Agency (NIA) per rilasciarlo su cauzione. Ma il tribunale ha rifiutato di rilasciarlo. Tuttavia, l’articolo 21 della Costituzione indiana garantisce il diritto alla vita a tutti i cittadini, compresi i prigionieri.
Considerando il deterioramento delle condizioni di salute di G.N. Saibaba e Varavara Rao e lo scoppio del COVID-19 nelle carceri, crediamo fermamente che esista un potenziale pericolo per la loro vita. Facciamo appello affinché vengano rilasciati immediatamente su cauzione per ristabilire il loro diritto alla vita.
***
Appello di Arundhati Roy e altri intellettuali indiani
L’epidemia di Covid19 nel paese sta rapidamente diventando un pericolo per la salute pubblica, costringendo il governo a dichiarare il blocco a livello nazionale per 21 giorni. Questa emergenza per la salute pubblica è anche l’occasione per considerare la situazione delle sovraffollate prigioni del paese.
Secondo l’India Justice Report (2019), in media nazionale le carceri sono occupate al 114% della loro capacità. Ma questa media riferisce solo in parte la situazione, dato che lo stato delle cose varia parecchio da stato a stato. Anche in condizioni normali, lo scoppio di una pandemia come il Covid19 avrebbe un impatto disastroso in un ambiente chiuso come una prigione. Il sovraffollamento aggraverà la situazione fuori di qualsiasi controllo e ciò richiede l’immediata attenzione dei governi coinvolti. Lo stesso India Justice Report afferma anche che oltre il 67% dei prigionieri nel paese sono in attesa di giudizio, sono cioè in custodia mentre su di loro pendono “indagini, inchieste o processi”.
Rendendosi conto della gravità della situazione, la Corte Suprema ha dato direttiva ai governi degli stati di considerare la concessione di libertà su cauzione ai prigionieri in custodia accusati di reati punibili con un massimo di sette anni di reclusione. La suprema Corte ha anche ordinato ai governi di costituire comitati con l’autorità di gestire la questione. La Corte ha anche suggerito alle commissioni di vagliare la possibilità di rilasciare per motivi di salute prigionieri condannati e detenuti in custodia cautelare la cui vita sia a rischio.
Chiediamo all’Unione e ai governi degli stati di applicare nella lettera e nello spirito la direttiva della Corte Suprema e di avviare azioni che prevengano una crisi umanitaria nelle carceri. Vogliamo attirare l’attenzione di tutte le autorità interessate sui precedenti osservati in tutto il mondo di prigionieri, compresi prigionieri politici, rilasciati a causa dell’attuale pandemia.
Nelle prigioni di tutto il paese ci sono un gran numero di prigionieri politici, condannati o detenuti per molti anni in attesa di giudizio. Molti di loro hanno scontato anche più di cinque anni di carcere senza alcuna certezza dell’inizio del processo. Alcuni di loro soffrono già di gravi disturbi.
Per citare solo alcuni casi, nello stato del Maharashtra, sono in prigione l’ex professore GN Saibaba dell’Università di Delhi, il poeta Varavara Rao, il Prof. Shoma Sen, Sudha Bharadwaj e molti altri, vecchi e affetti da malattie; in Tamil Nadu, sono in prigione Padma e Veeramony, anch’essi vecchi e affetti da varie malattie. Un gran numero di prigionieri politici in custodia cautelare che hanno ottenuto la libertà su cauzione in molti casi sono stati ancora imprigionati e restano in attesa di giudizio per altre accuse. Ad esempio, in Kerala è in prigione da più di cinque anni Ibrahim, 65 anni, soffre di diabete e anche di patologie cardiache ed è in attesa di libertà su cauzione per una sola accusa. Danish, un altro prigioniero detenuto nella prigione di massima sicurezza di Viyyur, in Kerala, è affetto da infezioni urinarie acute ma è ancora in prigione nonostante abbia ottenuto la libertà su cauzione per tutte le imputazioni.
Molte carceri nel paese non hanno ospedali adeguati, medici adeguati o strutture terapeutiche. I detenuti non hanno altra opzione se non quella del sistema pubblico, già eccessivamente gravato all’esterno dall’emergenza. Molto spesso i detenuti non sono in grado di ricevere cure mediche adeguate in tempo per ritardi causati dalle tante formalità burocratiche. La situazione dei prigionieri sarà ancora peggiore quando la temuta esplosione del Covid19 devasterà il sistema sanitario pubblico nel paese. Ancora non si ha notizia di misure adottate nelle carceri per far fronte alla gravità della situazione.
Per la situazione sopra descritta, facciamo appello all’Unione e ai governi statali affinché varino provvedimenti immediati per concedere la libertà su cauzione o condizionata a tutti i prigionieri politici, in via prioritaria, e agli altri prigionieri.
Firmatari:
Arundhathi Roy: scrittice
Prof. Gilbert Achcar: SOAS , University of London
Prof. Jairus Banaji: SOAS, University of London
Prof. Shakuntala Banaji: London School of Economics
Sujato Bhadra: Vice Presidente, Comitato per la Liberazione dei Prigionieri Politici
Tarun Bharatiya: Documentarista
Prof. Kamal Mitra Chenoy: SSS, JNU
Bernard D’Mello: scrittore ed editore
S.K. Das: Architetto
Vidyadhar Date: giornalista
Rutuja Deshmukh: University of Pune
Xavier Dias: Attivista dei diritti civili
Prof. Hargopal: Hyderabad
Rohini Hensman: scrittore e attivista
Harsh Kapoor: attivista
Dr. Alessandra Mezzadri: SOAS, University of London
Prof. Dilip Menon: University of Witwatersrand
Sanchita Mukherjee: Comitato per la Liberazione dei Prigionieri Politici
Adv.V.Reghunath: Civil Liberties, Telangana
Prof: Pritam Singh: University of Oxford
Dr. Subir Sinha: SOAS, University of London
Sukla Sen: scrittore
Stan Swamy: attivista
Dr. Nalini Taneja: University of Delhi
Prof. Rashmi Varma: University of Warwick
Dr. Benjamin Zachariah: University of Heidelberg
Paranjoy Guha Thakurta (EPW Editor)
Meena Kandasamy: scrittore
K Sachidanandan, scrittore
BRP Bhaskar
K. Murali ( Ajith)
A. Vasu
Dr J Devika
Dr T T Sreekumar
MN Ravunni
Dr KT Ram Mohan
PA Pauran, avvocato
KP Sethunath
S Madhusoodanan, avvocato
Dr. Biju, regista
Mythri Prasad
Tushar Nirmal Sarathy, avvocato
Shyna, avvocato
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Lettera della famiglia di G.N. Saibaba:
Le condizioni di salute di G.N. Saibaba nella prigione centrale di Nagpur sono in condizioni abissalmente gravi. La sua richiesta di libertà condizionale è stata respinta dall’Alta Corte citando che la famiglia di suo fratello vive in una zona di contenimento COVID, ma questa informazione non è vera.
La casa di suo fratello non si trova in nessuna zona di allarme rosso. Il caldo estivo di Nagpur ha portato le sue condizioni immunitarie e di salute a un minimo da sempre e non c’è rimedio. Di recente, il carcere ha respinto la richiesta del Dr. Saibaba di persone che potessero aiutarlo, poiché non può fare nulla da solo a causa della sua disabilità al 90% e non funzionale di entrambe le mani. Non può nemmeno andare in bagno, prendersi cura delle sue necessità quotidiane, passare dal letto alla sedia a rotelle, ecc. senza aiuto.
Quando l’Alta Corte ha respinto le sue precedenti domande di cauzione, è stato affermato che gli erano stati assegnati due aiutanti dedicati a prendersi cura dei suoi bisogni in quanto portatore di handicap fisici, ma questi aiutanti erano solo altri condannati che aiutavano per la loro buona volontà. Le autorità della prigione non hanno assegnato altro personale per aiutarlo. Le due persone che lo stavano aiutando non vogliono continuare a farlo, a causa delle loro proprie condizioni. È stato lasciato solo, a marcire nel suo letto dove non può nemmeno muoversi, senza alcun aiuto. Il Dr. Saibaba ha fatto domanda alle autorità, richiedendo un nuovo aiutante, e la sua richiesta è stata apertamente respinta.
Attualmente ha avuto diversi svenimenti e non è in grado di piegare le dita e mantenere una presa. Ha avuto dolori al petto tre volte, ma non lo portano in ospedale da marzo. Le autorità sembrano aver dichiarato che non tenteranno di salvarlo e lo lasciano morire. In questa condizione, noi, la famiglia di G.N. Saibaba chiede alle autorità giudiziarie di essere giuste e corrette e di proteggere la sua vita e i suoi diritti fondamentali concedendogli la cauzione così da potergli dare assistenza medica e ripristinare un po’ di dignità della vita.
Facciamo appello a tutti gli attivisti per i diritti umani, alle varie organizzazioni, a quelle per le persone con disabilità e alla società civile a far sentire alta sinceramente la propria voce per il rilascio del Dr. G N Saibaba.
25 maggio
***
Lettera della famiglia di Varavara Rao
Press Note – July 12, 2020
Donʹt Kill Varavara Rao in Jail!
We, the family members of Varavara Rao, world-renowned Telugu revolutionary poet and public intellectual, who is incarcerated in Navi Mumbaiʹs Taloja Jail, are very much worried about his deteriorating health. His health condition has been scary for over six weeks now, ever since he was shifted in an unconscious state to JJ Hospital from Taloja Jail on May 28, 2020. Even as he was discharged from the hospital and sent back to jail three days later, there has been no improvement in his health and he is still in need of emergency heathcare.
The immediate cause of concern now is that we are very much perturbed at the routine phone call we received from him on Saturday evening. Though the earlier two calls on June 24 and July 2 were also worrying with his weak and muffled voice, incoherent speech and abruptly jumping into Hindi. As an eloquent and articulate public speaker and writer in Telugu for over five decades, a Telugu teacher for four decades and known for his meticulous memory, this fumbling, incoherence and loss of memory were in themselves strange and frightening.
But the latest call, on July 11 is much more worrisome as he did not answer straight questions on his health and went into a kind of delirious and hallucinated talk about the funeral of his father and mother, the events that happened seven decades and four decades ago respectively. Then his co-accused companion took the phone from him and informed us that he is not able to walk, go to toilet and brush his teeth on his own. We were also told that he is always hallucinating that we, family members, were waiting at the jail gate to receive him as he was getting released. His co-prisoner also said he needs immediate medical care for not only physical but also neurological issues. The confusion, loss of memory and incoherence are the results of electrolyte imbalance and fall of Sodium and Potassium levels leading to brain damage. This electrolyte imbalance may be fatal also. Taloja Jail Hospital is not at all equipped to handle this kind of serious ailment either in medical expertise or equipment. Thus it is highly required that he be shifted to a fully equipped super specialty hospital to save his life and prevent possible brain damage and risk to life due to electrolyte imbalance.
At the present juncture we are leaving aside all the pertinent facts like, that the case against him is fabricated; he had to spend 22 months in jail as an undertrial with the process turned into punishment; his bail petitions got rejected at least five times now and even the bail petitions with his age, ill-health and Covid vulnerability as grounds were ignored. His life is the top most concern for us right now. Our present demand is to save his life. We demand the government to shift him to a better hospital or allow us to provide required medical care. We want to remind the government that it has no right to deny the right to life of any person, much less an undertrial prisoner.
P Hemalatha, wife
P Sahaja, P Anala, P Pavana, daughters
Si chiamavano Marco Boattini, Salvatore Cuono Piscitelli, Slim Agrebi, Artur Iuzu, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Ali Bakili, Erial Ahmadi, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez, Haitem Kedri, Ghazi Hadidi, Abdellah Rouan.
Non sono tutti, ma tutti sono morti in stato di detenzione a seguito delle rivolte nelle carceri del marzo 2020.
Non sono tutti, ma solo quelli dei quali si è riusciti a ricostruirne l’identità, nonostante il silenzio tombale e le menzogne sulla loro morte. Menzogne di stato su una strage di stato di cui ancora non si conoscono tutte le vittime ma si sa già che non c’è colpevole, anzi, “non c’è reato” e che rischia di essere archiviata come tante altre, come quella per la morte di Haitem Kedri al carcere della Dozza.
Iniziamo quindi a parlare del carcere di Bologna in attesa di “parlare” dei fatti di Modena e Rieti. Lo facciamo con un articolo di Vito Totire, psichiatra (rete nazionale per l’ecologia sociale)
Morte per overdose? Troppo semplice
La pm Manuela Cavallo ha chiesto l’archiviazione per la morte («overdose di farmaci») di Haitem Kedri, il detenuto tunisino 29enne, trovato cadavere l’11 marzo 2020 nella sua cella del carcere di Bologna, dove nei due giorni precedenti era scoppiata una rivolta.
Lascia contrariati la notizia della archiviazione della indagine relativa alla morte del detenuto Haitem Kedri; si parla di overdose, una “sintesi” semplicistica che rischia di confondere l’effetto con la causa.
Un approccio sistemico all’evento della cosiddetta “rivolta” del 9 marzo 2020 in carcere ci induce piuttosto ad alcune riflessioni:
1) Manca una ricostruzione obiettiva del clima interno al carcere precedente alla giornata del 9 marzo; è del tutto verosimile che la mancanza di informazioni corrette, la deprivazione socio-sensoriale più vari messaggi fuorvianti e negazionisti abbiano indotto un grave stato di ansia nella comunità delle persone detenute; che la situazione più “calda” si sia verificata nel settore giudiziario non è motivo di sorpresa trattandosi di un fenomeno costante; banali conoscenze di “psicologia carceraria” avrebbero indotto le riflessioni e deduzioni del caso che evidentemente non sono state fatte, visto l’epilogo;
2) In questo clima, fortemente ansiogeno e amplificato dalle condizioni di costrittività e di abuso di mezzi di correzione tipico e cronicizzato nel carcere di Bologna, si sono manifestati eventi che qualcuno ha definito rivolta;
3) In una situazione fortemente ansiogena ovviamente cresce la appetenza nei confronti di ansiolitici, essendo peraltro storicamente nota la appetenza per i paradisi artificiali (come si insegnava una volta agli studenti di psichiatria); fatto è che il sistema carcerario ha cronicizzato e reiterato il modello costrittività / disagio / mono-risposta psicofarmacologica (o tabagica); è necessaria una indagine generale sul’uso di sigarette e psicofarmaci nella comunità detenuta rispetto a un gruppo di confronto esterno per chiarire meglio (anche) la dinamica della supposta rivolta; lo faremo nel prossimo futuro;
4) Intanto una comunità reclusa portata alla esasperazione assalta – si dice – la infermeria del carcere! Solo una visione edulcorata della realtà carceraria potrebbe indurre un sentimento di sorpresa. Potremmo sorprenderci di un assalto ai forni da parte della plebe affamata o di un assalto al pozzo da parte di un gruppo di persone assetate e disidratate? Ci parrebbe accettabile che in una comunità con ospiti afflitti da pulsioni autolesioniste e suicidarie il gestore della comunità lasciasse in giro pistole cariche o altri mezzi atti a produrre lesioni?
5) Si narra o si insinua dunque circa un assalto agli armadietti della o delle infermerie. Ma le telecamere furono danneggiate (pare). Sono stati riscontrati segni di effrazione sugli armadietti? Non si sa nulla tranne l’epilogo finale asserito: overdose. A noi pare una ricostruzione superficiale e sbrigativamente assolutoria (a vantaggio della “organizzazione” cioè del carcere);
6) La procura della repubblica non ha intravisto nella dinamica dei fatti una responsabilità in termini di «omessa custodia» (dei farmaci)? E’ stata fatta la conta dei farmaci mancanti dopo la supposta “rivolta” ? E se la conta è stata fatta si è proceduto al recupero degli stessi?
7) Eppure nella cella della persona deceduta sono state trovate 103 pasticche, più 5 siringhe; se assalto c’è stato ha “saccheggiato” solo lui? A quanto ammonta dunque l’ammanco di farmaci – eufemisticamente – definiti dalla richiesta di archiviazione della pm Cavallo come «appartenenti alla tipologia di farmaci legittimamente presenti nella struttura , utilizzati per la cura delle patologie e il trattamento delle dipendenze». Si intravede una certa forma di pudore che porta a evitare i termini di “psicofarmaci” e “metadone”. Circa poi il «legittimamente»: non avevamo dubbi che, almeno nell’infermeria, non sarebbe stati reperibili sostanze stupefacenti illegali; ci troviamo di fronte a una excusatio non petita? Un articolo del quotidiano «Il resto del Carlino» usa nel titolo il termine «overdose di farmaci»: la rimozione dello “psico” è un lapsus o un caso? Certo è più difficile una overdose di farmaci che non siano psicofarmaci o analoghi;
8) Nulla si sa dell’altro evento a rischio di morte che ha riguardato un’altra persona detenuta. Se la persona deceduta aveva con sè 103 pasticche, considerato l’altro evento, l’ammanco deve essere stato ancora maggiore. Tutto questo – per tornare al recupero dei farmaci mancanti – in una istituzione carceraria (parliamo del carcere in generale non dello specifico di Bologna) che mai ha lesinato perquisizioni più o meno invasive e umilianti, comprese le ispezioni anali; molto impegno magari è stato dedicato alla ricerca di telefonini la cui nocività – sulle brevi latenze – è molto minore degli psicofarmaci… Il ben informato Resto del Carlino riferisce che la persona deceduta faceva già uso di farmaci «per il controllo dell’ansia e degli stati di agitazione»: allora la sua cella era tra le prime a cui lo psicologo doveva bussare per farsi riconsegnare qualcosa… Infatti non pensiamo che il modello “perquisizione” sia quello adeguato per salvare una persona dal rischio di overdose da psicofarmaci. Ma per affrontare tutto questo occorre cambiare registro e andare oltre la prassi del “sorvegliare e punire” a cui le istituzioni totali in Italia si uniformano salvo sbandare frequentemente volentieri verso il “punire” e basta.
CONCLUSIONI
La linea di condotta delle istituzioni rispetto alle condizioni di vita delle persone private della libertà lascia contrariati.
Abbiamo denunciato negli ultimi tempi:
un suicidio nei locali della questura di Bologna;
un suicidio nel carcere della Dozza;
due decessi di persone detenute covid-correlati;
la condizione di inagibilità igienicosanitaria e di abuso dei mezzi di correzione del carcere (denuncia reiterata ogni sei mesi a partire dal 2004) ;
Di tutte queste denunce non abbiamo avuto riscontri. Nulla da rilevare?
La Ausl: non ha neppur risposto alle reiterate richieste del report secondo semestre 2019 sulle carceri (vedremo se risponderà alla richiesta del report primo semestre 2020); non ha risposto alla richiesta di informazioni circa la situazione epidemiologica covi-correlata all’interno della Dozza.
Le istituzioni rispondono come se il carcere fosse “cosa loro” nella quale i comuni cittadini non possono in alcun modo interferire; ma da sole le istituzioni sono state capaci di gravi disastri.
Tuttavia noi interferiremo sempre memori della favola del lupo e dell’agnello…Per svelare finalmente chi ha davvero intorbidato le acque…
NON CONDIVIDIAMO LA ARCHIVIAZIONE DELLA MORTE DI HAITEM KEDRI E AUSPICHIAMO DI ENTRARE IN SINERGIA CON CHIUNQUE ABBIA TITOLO A FARE OPPOSIZIONE.
Parliamo del carcere di Bologna in attesa di “parlare” dei fatti di Modena.
Vito Totire, psichiatra, è portavoce della rete nazionale per l’ecologia sociale
Venerdì 24, ma poi anche Sabato 25, reparti antiterrorismo della Polizia di Stato, la digos di Roma, Latina e Torino, si preparano all’azione alle prime luci del mattino. Per questa importante operazione sono pronti a tutto: passamontagna e pistole spianate, entrano nelle case di pericolosi sovversivi. Obiettivo? Trovare prove che facciano luce sugli autori di un gravissimo, terrorizzante reato: un lancio di vernice rossa all’ambasciata cilena, datato 30 ottobre 2019.
Ma cosa succedeva in Cile in quei giorni?
Il 7 ottobre 2019 era un lunedì: quel giorno alcune centinaia di studenti delle secondarie di Santiago del Chile, scavalcando al grido di ¡Evade! i tornelli delle stazioni della metropolitana contro il rincaro delle tariffe, diedero avvio a una delle più vaste e significative tra le rivolte sociali che in tutto il pianeta stanno segnando questo tempo. In un paese reso sotto la sanguinosa dittatura di Pinochet un laboratorio delle ricette liberiste, che attualmente vede l’1 per cento più ricco della popolazione concentrare oltre un quarto del reddito nazionale mentre ad oltre metà della popolazione resta il 2 per cento della ricchezza, con sanità e istruzione privatizzate, affitti e prezzi liberalizzati e metà dei salari appena sopra il reddito minimo, quella protesta divenne una ribellione. Il lunedì successivo, 14 ottobre 2019, le stazioni della metro di Santiago cominciarono a chiudere per l’intensità degli scontri, nei giorni successivi iniziarono a essere distrutte dai manifestanti e venerdì 18 ottobre l’intero centro di Santiago divenne teatro di barricate e battaglie di strada con la polizia militarizzata dei Carabineros. La sera del 18 il presidente fascioliberista Sebastián Piñera, dopo essere stato sorpreso sorridente e rilassato a una cena in un ristorante di lusso, proclamava lo stato di emergenza per 15 giorni e il dispiegamento dell’esercito nelle strade. Il 19 veniva imposto il coprifuoco nella capitale, esteso rapidamente a tutti maggiori centri urbani del Cile in misura della costante estensione delle proteste e degli scontri. Il 25 ottobre 2019, malgrado la chiusura delle scuole decretata dal 22 e una scia di morti sotto il fuoco dei militari a partire dal 20, oltre un milione di persone scendevano in piazza a Santiago. Il 26 ottobre il bilancio della repressione dall’inizio della rivolta contava 19 morti, circa 2500 feriti dei quali molti resi orbi dalle pallottole di gomma sparate dai reparti antisommossa e 2840 persone arrestate. Il 27 Piñera era costretto a richiedere le dimissioni del governo, cambiato il 28 con la rimozione di 8 ministri, in primo luogo quello dell’Interno, Chadwick. Il tentativo a novembre di sedare la ribellione sociale con l’indizione di un referendum costituzionale per aprile, poi con il COVID rinviato al prossimo autunno, è fallito: al 28 dicembre 2019 le vittime della repressione erano cresciute a 29 e a febbraio di quest’anno, dopo un picco delle proteste a gennaio, erano 36. Mentre le persone che hanno perso un occhio per i colpi sparati dalle forze repressive sono centinaia. Fin dall’ultima settimana di ottobre 2019 si è manifestata una forte solidarietà internazionale con la lotta della popolazione cilena e contro la sua feroce repressione, con cortei, presidi e azioni in tutto il mondo.
Si potrebbe ironizzare sul grottesco agire delle forze dell’ordine e della magistratura italiana che a fronte di quello che succedeva in Cile apre un inchiesta scomodando l’antiterrorismo per l imbrattamento della sede diplomatica del paese sud americano. Ma comprendiamo l’obiettivo di queste perquisizioni: intimidire e allo stesso tempo accumulare materiali per futuri castelli di carta. Come da sempre usano fare.
Non a caso il PM è lo stesso Dall’Olio che ha firmato l’arresto di 7 tra compagne e compagni nell’operazione Białystock, in cui le accuse di associazione con finalità di terrorismo ruotano con insistenza attorno ad iniziative comunicative, relazioni, scritte, pubblicazioni, giornali etc…Tutte cose la cui gravità è chiaramente quella di esprimere idee, considerate pericolose e perseguibili dalla magistratura.
In un paese sull’orlo di una crisi che potrebbe mettere seriamente in discussione l’egemonia capitalista sul vivente, non c’è da stupirsi che gli apparati dello stato tentino di emarginare e rimuovere preventivamente tutte quelle realtà che potrebbero essere un catalizzatore di rabbia e desiderio di trasformazione. Per questo motivo non riteniamo sia da sottovalutare o da ridicolizzare questo episodio, proprio perché si inserisce in un tempo in cui operai, braccianti, persone detenute in lotta e realtà militanti vengono attaccati sempre più ferocemente dai guardiani dell’ordine costituito. Chiunque abbia imbrattato quei muri ha la nostra solidarietà e complicità.
Come tutto il nostro amore va ai ribelli e alle ribelli cilene.
Martedì 14 luglio, sei donne sono state aggredite violentemente ed arrestate dalla polizia di Nantes, mentre affiggevano manifesti femministi.
Le attiviste erano vicine a un collage di “Liberté, égalité, impunité” quando due agenti della brigata canina sono intervenuti per aggredirle e arrestarle. Un ufficiale di polizia ha strappato il telefono di un’attivista prima di schiacciarle il collo ripetutamente e di serrarle le braccia ed i polsi. Quando sono arrivati i rinforzi le sono state messe le manette e nonostante le sue numerose richieste di rilascio, queste sono state strette a tal punto da provocarle lesioni ai polsi. Dopo l’arresto, la donna è stata anche minacciata direttamente all’interno della stazione di polizia, da un agente del BAC che ha detto: “Non voglio che la mia testa si trovi su Internet domani”. Una seconda attivista è stata aggredita, strangolata, e lanciata violentemente a terra. Porta ancora i segni di manette eccessivamente strette, oltre a una dozzina di lividi.
Tutte le attiviste sono state vittime di aggressioni e violenze verbali durante l’arresto e durante le 22 ore di custodia della polizia: commenti sessisti, misogini, degradanti, nonché varie umiliazioni e insulti. Inoltre la polizia ha anche rifiutato di fornire cure mediche alle donne che ne avevano bisogno.
A questo si aggiungono gravi carenze nel rispetto di alcune norme igieniche in tempo di epidemia da Covid-19 da parte di un servizio pubblico: niente maschere messe a disposizione, molti poliziotti senza maschera, celle con sputi sulla porta e sui muri, ma anche tracce di sangue sulle pareti e sulla sedia, nonché un bagno pieno di escrementi.
Gli oggetti personali sono stati perquisiti e, durante la loro restituzione alla fine della custodia, uno dei telefoni non era più in funzione e gli occhiali da vista erano stati rotti.
Delle sei persone arrestate, quattro sono state convocate in tribunale e il processo è fissato al 19 aprile 2021 a Nantes.
Quattro femministe sono incriminate per ′′ avere, senza armi e in riunione, opposto resistenza violenta ′′ e sono punibili con due anni di carcere e 30 euro di multa
A un’attivista è stato contestato anche il reato di ′′ violenza contro persone depositarie dell’autorità pubblica senza ITT “, e rischia fino a 3 anni di carcere e 45 000 euro di multa.
Questo caso è indicativo di un’enorme intensificazione della repressione della polizia nell’ultimo mese, segnalata da numerosi gruppi femministi in tutta la Francia. Una raccolta fondi è stata messa online per supportarne le spese legali. Maggiori informazioni qui.
Abusi in divisa . Un riferimento ironico ai fatti di Piacenza è bastato a scatenare la reazione di due Carabinieri che hanno inseguito e manganellato un ragazzo. Lanciato per martedì un presidio per denunciare i fatti
“Prossima fermata Piacenza!” E’ bastata questa battuta per scatenare la reazione violenta e la manganellate di due carabinieri. E’ accaduto a Venezia, nella notte tra il 24 e il 25 luglio.
Il giovane che ha denunciato il fatto è Jacopo Povelato, 27enne attivista del Laboratorio Morion, che rincasava dopo aver trascorso la serata al centro sociale di Venezia. Il fatto è accaduto all’imbarcadero della Palanca, all’isola della Giudecca. Il canale noto al mondo perché porta le contestatissime Grandi Navi a fare l’inchino a piazza San Marco.
Il giovane, accompagnato da due amiche, e due militari dell’arma, uno dei quali è il maresciallo Buttà di stanza all’isola di Sacca Fisola (che si trova una fermata dopo), erano a bordo del vaporetto della Linea Notturna che collega la Giudecca a Venezia. I cinque si conoscono e si salutano. Alla Palanca, i tra ragazzi scendono. Jacopo si gira e sorridendo dall’imbarcadero si rivolge ai carabinieri rimasti a bordo. “Prossima fermata Piacenza!” gli dice sorridendo, alludendo ovviamente ai noti fatti di cronaca della caserma emiliana che ha portato all’arresto di quelle che sono state chiamate le “mele marce dell’Arma”.
Una battuta magari discutibile ma che ha causato una reazione spropositata da parte dei militari che sono saltati giù dal battello prima che il marinaio chiudesse il barcarizzo e hanno rincorso il ragazzo, placcando letteralmente il sorpreso Povelato che ha provato a divincolarsi. Un militare gli ha chiesto i documenti, l’altro, il maresciallo Buttà, più sbrigativo, ha estratto il manganello e gli ha rifilato una violenta manganellata alla schiena.
Libertà per tutti i prigionieri politici nel mondo. SRP
Da il Manifesto
Cile. La protesta in corso da maggio, i prigionieri politici chiedono di scontare la pena nelle loro comunità, come 13mila detenuti mandati ai domiciliari a causa dell’epidemia di Covid. Gravi le condizioni del leader spirituale Celestino Cordova
Le vite dei mapuche contano, ma non per lo Stato cileno. Nulla lo dimostra meglio dello sciopero della fame di 27 prigionieri politici mapuche, tra cui l’autorità spirituale (machi) Celestino Cordova, iniziato più di 80 giorni fa per protestare contro l’assenza di risposte da parte dal governo di Sebastián Piñera.
La richiesta dei detenuti, alcuni ancora in attesa di giudizio, è semplice: la possibilità di scontare le pene detentive nelle loro comunità, come previsto dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, ratificata dal Cile nel 2008, e come sollecitato dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani, che, nel contesto della pandemia da Covid-19, ha invitato gli Stati ad adottare misure urgenti a favore della sicurezza della popolazione carceraria.
UNA RICHIESTA tanto più legittima in quanto il sistema giudiziario cileno, a causa dell’emergenza sanitaria, ha già concesso gli arresti domiciliari a oltre 13mila detenuti – compreso il poliziotto responsabile della morte nel 2018 del giovane weichafe Camilo Catrillanca, un “guerriero” della causa mapuche – negandoli però ai giovani arrestati nel quadro delle proteste contro Piñera e ai prigionieri indigeni, vittime della legge antiterrorismo varata da Pinochet e usata ancora oggi per colpire dirigenti e autorità ancestrali in lotta per la restituzione delle terre usurpate. Continua a leggere