Venerdì 3 luglio a Napoli in piazza per Ugo Russo

Da Mensa Occupata

VERITÀ PER UGO RUSSO!
Venerdì scenderemo accanto alla famiglia di Ugo Russo per chiedere verità sui fatti avvenuti la notte del 1 marzo. Da quel giorno abbiamo letto decine di articoli sull’accaduto, tutti con la stessa trama del carabiniere buono e il ragazzo cattivo dei quartieri popolari che piace tanto ai giornalisti, pur di guadagnare un po’ di visibilità.
Non conta la storia reale di Ugo e il contesto di provenienza, o meglio, conta solo dal momento in cui deve essere identificato come “il solito ragazzo dei quartieri spagnoli”, la riconferma dello stereotipo del napoletano delinquente, che nasce e cresce con la macchia di criminale, senza alcuna possibilità di riscatto.
La storia di Ugo per noi è invece uguale a quella di molti ragazzi che nascono nelle periferie e nei quartieri popolari e che si trovano a subire il peso della contraddizione del Capitalismo.
Qui lo scontro tra gli ultimi e la “Napoli bene” si è intensificato negli ultimi anni, abbiamo visto la turistificazione del centro e lo svuotarsi delle abitazioni vissute da generazioni. Chi vuole speculare sulla nostra città dimentica che Napoli non è una cartolina e difficilmente può diventarlo.
La storia di Ugo è stata strumentalizzata dai mass media e dalla politica locale, facendo dimenticare alle persone il nocciolo della questione. È inammissibile strappare la vita ad un ragazzo di quindici anni solo perché “ha sbagliato” . È inammissibile che una persona solo perché ha una divisa e riveste un ruolo di potere, si senta autorizzato a sparare a freddo su un’altra persona.
I proiettili che sono partiti quella notte sono cinque, tre mortali per Ugo. A più di cento giorni dalla morte di Ugo ancora dobbiamo avere notizie del referto ufficiale.
In America sono scoppiate le rivolte popolari contro gli operatori della repressione dopo l’episodio accaduto a George Floyd. La storia di Ugo Russo così come quella di Davide Bifolco e quella di George Floyd hanno molto in comune: da un lato il braccio armato dello stato che approfitta della propria impunità e del proprio potere di esercitare la violenza; dall’altro gli ultimi, quelli emarginati dalla società per il semplice fatto di non essere nati privilegiati.
Il ruolo che ci resta è quello di stravolgere l’attuale e cambiare il mondo che ci circonda per fare in modo che questi episodi non si ripetano mai più!
Ci vediamo
VENERDÌ 3 LUGLIO a LARGO BERLINGUER (metro Toledo) ore 17.00.

Videochiamate sospese in carcere: detenute e detenuti in rivolta a Santa Maria Capua Vetere

E il Sappe invoca il 41 bis per i rivoltosi e la libertà di tortura.

Un centinaio di detenute e detenuti dei reparti di alta sicurezza femminile e maschile, Senna e Tamigi, del carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, non hanno fatto ritorno in cella al termine dell’ora d’aria e si sono barricati nell’area riservata al passeggio per protestare contro la decisione del Dap di sospendere i colloqui online coi familiari e la sorveglianza dinamica. I detenuti sarebbero dovuti tornare in cella alle 15, ma si sono rifiutati e hanno cominciato a battere oggetti contro il muro; hanno poi incendiato con dei pezzi di carta dell’erba che si trova intorno alla chiesetta nell’area del passeggio.

Motivo della contestazione, soprattutto, la sospensione della sorveglianza dinamica, ovvero il regime che prevede che le celle siano tenute aperte la mattina: non è previsto per i detenuti di alta sicurezza, che però ne hanno beneficiato durante questi mesi di emergenza coronavirus e vorrebbero che restasse in vigore. Altro motivo, la sospensione dei colloqui online tramite videochiamate, che già ieri aveva portato alla protesta delle donne del reparto Senna.

«Ieri e oggi ancora disordini e violenza da parte delle detenute e detenuti – dice Emilio Fattorello, segretario nazionale per la Campania del SAPPE, Sindacato Autonomo Polizia PenitenziariaCominciano nella giornata di ieri tutte le detenute ad Alta Sicurezza del Reparto “Senna”, nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, circa 50.
Il motivo della protesta è stata la sospensione delle videochiamate in tutte le sezioni sottoposte ai circuiti ad Alta Sicurezza, negli istituti della nazione.
Oggi le donne del “Senna”, detenute per reati associativi, hanno continuato la protesta, in considerazione che non si è sviluppata la trattativa con i vertici dell’Istituto come erano state abituate in un recente passato. Oggi a dar manforte alle rivoltose, è stato il reparto “Tamigi” con circa 150 detenuti classificati Alta Sicurezza.
Il personale della polizia penitenziaria attende ordini e regole di ingaggio chiare da parte delle Autorità preposte alla gestione di tale evento critico, con liberatoria di eventuali responsabilità sull’applicazione dell’articolo 41 Op come invece verificatosi per i noti fatti che qui non siamo a ripetere.
Il Sappe è stato, é e sarà al fianco dei colleghi in divisa e contro alle spettacolarizzazioni e comizi dei vari garanti che soffiano sul fuoco».

Pablo Hasél esclude l’esilio e attende il carcere. Previste manifestazioni il 4 luglio in tutta la Spagna

Il rapper catalano di Lleida, Pablo Hasél, ha denunciato le ritorsioni giudiziarie dello stato spagolo che ha affrontato nelle ultime settimane – lasciandolo de facto con nuove pesanti accuse – e ha detto che le sentenze che sta accumulando dimostrano che lo stato vuole “punirlo” in modo esemplare per i tanti anni di lotta dalla musica e dalle strade “. L’avvocato di Hasél ha chiesto la sospensione della sua prigionia, che potrebbe essere ordinata da un giudice a causa del rigetto della Corte suprema spagnola di un appello contro una seconda condanna per testi di canzoni e dichiarazioni sui social media che “glorificano il terrorismo”.Se il pubblico ministero spagnolo gli ordina di andare in prigione, Hasél ha spiegato che non si presenterà volontariamente. Ma nemmeno andrà in esilio, ha detto, né chiederà scusa, poiché non si rammarica dei tweet per i quali è stato condannato che, dice, “hanno denunciato e combattuto contro le ingiustizie”. Una piattaforma che chiede il suo rilascio, Llibertat Pablo Hasél, sta organizzando raduni di supporto per il musicista in tutto lo stato spagnolo il 4 luglio.

L’8 giugno, la Corte Suprema ha respinto gli appelli del rapper contro una sentenza di 9 mesi e un giorno di prigione per glorificazione del terrorismo “con la circostanza aggravante della recidiva” e per insulti e calunnie alla corona spagnola, nonché alla polizia e alle forze di sicurezza spagnole . Hasél è stato condannato per aver incluso nei suoi commenti sui social media, sotto forma di tweet,  video che la corte afferma incitavano alla violenza, con commenti che “glorificavano” e “molestavano” la monarchia e altre istituzioni spagnole.

Questa è stata la sua seconda sentenza per aver glorificato il terrorismo, poiché nel 2014 era stato condannato a due anni di prigione per alcuni dei suoi testi delle canzoni. Secondo la sentenza, i testi di Hasel “lodano le azioni e i membri di  gruppi terroristici come GRAPO, ETA e Terra Lliure, oltre a “giustificare la loro esistenza”. Inoltre, ha affermato che Hasel chiedeva il ritorno di questi gruppi e presentava i loro membri come vittime della democrazia. Questa prima sentenza è stata ratificata dalla Corte Suprema nel 2015, ma il tribunale ha quindi deciso di sospendere l’entrata in prigione nel 2019, a condizione di non recidiva per tre anni di Pablo.

Ora, l’avvocato di Hasél ha chiesto lo stesso approccio da adottare per la seconda condanna di glorificazione del terrorismo. Come ha spiegato venerdì il rapper di Lleida, il giudice non ha ancora deciso. Se gli viene infine ordinato di entrare in carcere per un secondo reato, Hasél dice che non proverà a lasciare la Spagna, ma sarà lui a presentarsi” – sottintendendo che aspetterà le forze di sicurezza per venire a prenderlo. Non andrà in esilio, ha detto, perché crede che la prigione “sia un altro fronte per la lotta, da cui la mia lotta potrebbe finire per essere più costosa per lo stato che se fossi in esilio. L’ho fatto, lo sto facendo ora e lo farò di nuovo”, ha concluso.

Hasél ha fatto queste dichiarazioni durante una conferenza stampa nel fine settimana a Lleida, accompagnato da una quindicina di attivisti. A questo evento è stato annunciato che sono state indette manifestazioni per il 4 luglio in tutto il territorio spagnolo.

 

la repressione in fabbrica – tutti alla tenda degli operai della Maschio Milano

pc 2 luglio – alla tenda del lavoro della Maschio grezzago Milano

dagli operai in lotta alla tenda per il lavoro, un appello invito,

assemblea solidale di lotta

venerdì 3 luglio 2020 ore 20.30
alla tenda per il lavoro, davanti alla fabbrica Maschio Ns, viale Umbria Grezzago, Mi,

vicina all’uscita A4 Trezzo sull’Adda.

per le prossime mobilitazioni, per il rientro in fabbrica di tutti i 16 operai, contro il nuovo caporalato degli appalti in fabbrica come nella logistica.
Slai Cobas per il sindacato di classevia Marconi 1 Dalmine

soccorso rosso proletario sostiene la campagna per il presidente Gonzalo – Peru’

estimados camaradas

Soccorso Rosso proletario – Socorro Rojo Proletario Italia  ha decidido — de subscrivir esta Declaracion porque comparte el valor y el significado historico  de ‘el dia de heroicidad’, como la analisis de la situacion del presidente Gonzalo in distincion con la LOD en Perù

Con esta firma en el mismo tiempo  SRP asume el suo compromiso por    ¡Elevar la campaña de defensa de la salud y la vida del Presidente Gonzalo a mayores alturas!

Soccorso rosso proletario – italia

23 junio 2020

il testo della dichiarazione in spagnolo si puo’ chiedere a srpitalia@gmail.com

 

l’antifascismo non si processa – solidarietà a Lorenzo e Dibi

Pubblichiamo le lettere di Brescia e Dibi in vista dell’udienza della Cassazione fissata per il 9 luglio rispetto ai fatti del 10 febbraio 2018, quando un grande corteo antifascista ha percorso le strade di Piacenza per impedire l’apertura di una nuova sede di Casapound. Il corteo avveniva nel pieno del clima generato dall’attentato suprematista di Luca Traini a Macerata e di una viva mobilitazione antifascista e antirazzista che aveva coinvolto tutto il paese.

Una celere ritirata seguita da un celere processoAlle porte dell’udienza fissata in Cassazione per il 9 luglio 2020 sento l’esigenza di ripercorrere e condividere quella che è stata la mia esperienza fino a qui,
Dopo il corteo antifascista del 10 febbraio 2018 a Piacenza ho subito un arresto quasi da film poliziesco di pessimo livello: mentre svolgevo il mio lavoro come pizzaiolo presso “La Credenza” di Bussoleno, hanno fatto irruzione nel ristorante 3 uomini col passamontagna e numerosi altri senza che mi hanno tratto in arresto nello sconcerto collettivo senza che io facessi alcun tipo di resistenza. Stessa sorte in altre città per altri due ragazzi che avevano partecipato al corteo. Le immagini del mio arresto e del mio trasporto alla questura di Torino sono state prontamente messe sul web dai soliti giornalisti che danno spazio in modo acritico alle veline della Questura commettendo un’evidente violazione della mia privacy.

Da Torino vengo subito trasportato nel carcere delle Novate di Piacenza.
Da quel 15 febbraio dopo 3 mesi e 3 giorni sono riuscito a ad ottenere la detenzione domiciliare : nonostante avessi un contratto di affitto intestato a me oltre che un contratto di lavoro mi è stata negata la possibilità di tornare a casa mia e sono stato ospite presso un’altra abitazione per qualche mese. Finalmente dopo molta fatica e frustrazione mi hanno concesso di tornare a casa: ad oggi dopo più di 2 anni lo stato non mi ha ancora rilasciato…. al contrario si sono dati molto da fare per velocizzare il processo e mi hanno condannato in primo grado e anche in appello, con una lieve riduzione della pena, quasi ridicola.
Con la cassazione passerò da cautelare a definitivo: esito rapido ed estremamente esagerato rispetto ai reati contestati  (parliamo di resistenza e aggressione…)che Istituzioni e questura sono riusciti ad ottenere in tempi molto rapidi  per l’elefantiaca legge italiana. Non posso non pensare che l’ingerenza politica e la manipolazioni delle immagini estrapolate dal corteo e non contestualizzate ad opera dei giornalisti hanno fatto giocato come sempre un ruolo primario nella definizione dell’iter processuale.

Ad oggi sono profondamente consapevole che non sono riusciti a spezzarmi, so che avrò ancora molto davanti prima di poter riabbracciare compagni e compagne in strada, da uomo “libero” ma questo non mi abbatte, anzi, tutte queste loro ingiustizie nei nostri confronti fanno sì che la mia voglia di lottare e di mettermi in gioco per un futuro migliore, di cambiamento e di lotta al fascismo siano sempre più vivi in me.
Se mettono recinzioni noi le taglieremo, se alzeranno muri li abbatteremo e quando proveranno ad aggredirci ci difenderemo, la giustizia di questo stato ingiusto non mi spaventa, sono disposto ad affrontare ogni difficoltà pur di ritornare nelle piazze e di gridare a gran voce che i fascisti li rispediremo nelle fogne da dove ogni giorno provano ad uscire, perché uno stato che si definisce antifascista non può permettere l’apertura delle sedi di un partito politico che si definisce Fascista, e peggio ancora non può mandare polizia e carabinieri a protezione di questi luoghi.
Tornerò comunque, presto o tardi nelle strade a ribadire la poca fiducia nello stato verso la lotta al fascismo e che l’antifascismo non si delega ma si pratica, nelle strade, nelle scuole e sui posti di lavoro.
Un grosso abbraccio e un saluto a testa alta

 

A chi non si è girato e non si girerà dall’altra parteSono passati due anni e cinque mesi, da quel 10 febbraio 2018 di antifascismo militante che infiammò le strade di Piacenza e, nel periodo successivo, tutte le piazze di Italia che, davanti al tentativo della destra fascista di avanzare in tempo di elezioni, videro come unica affermazione possibile uno scontro, sociale e politico, determinato a ricacciare la feccia della storia nella fogna dalla quale stava fuoriuscendo. Dopo svariati mesi di misure cautelari, che allora consistettero prima nella carcerazione e poi nella detenzione domiciliare con una seguente mia liberazione dopo circa 10 mesi di detenzione, il processo volge ora al suo termine e si ripresenta quindi il dispositivo repressivo; con solerzia ed incredibile rapidità, da record potremmo dire rielaborando le tempistiche con le quali il processo si è concluso, ancora una volta viene attaccato il dissenso che permise a una mobilitazione, composta da persone marginalizzate e perennemente sfruttate, di alzare la testa e ad un grido di rabbia di levarsi, contro l’orrore degli attacchi terroristici fascisti di Macerata per mano di un ex-candidato leghista di cui non possiamo scordare il nome: Luca Traini, che sparò con il tricolore al collo, ferì gravemente 6 persone di origine sub-sahariana e poi fece il saluto romano in pieno centro città.

Ricordo bene che la comunicazione mediatica allora era molto polarizzata: da una parte, le immagini e i video delle mobilitazioni da Torino a Palermo e dei conseguenti arresti come fu per il mio caso; dall’altra, la campagna intimidatoria e xenofoba di Matteo Salvini e di tutta la coalizione di destra che comprende da sempre Fratelli d’Italia con Forza Nuova e Casapound al seguito. Il 9 luglio si terrà l’udienza della Corte di Cassazione e si deciderà se ed in quale modo finiremo di scontare la pena che ci è stata inflitta.

Dai fatti di Piacenza ad oggi sono cambiate tante cose, eppure lo stesso grido di dissenso degli sfruttati e delle sfruttate di tutto il mondo sembra continuare a riecheggiare nelle strade e nelle piazze di questo presente: quasi come se da Macerata a Minneapolis potesse essere ben visible un filo rosso delle lotte, della solidarietà di classe e di quel NO al razzismo e al suprematismo bianco di cui continuiamo ad avere bisogno in questo mondo terribilmente ingiusto; come se tra il febbraio antifascista italiano del 2018 e l’imponente ondata di proteste del Black Lives Matter di queste settimane sia estremamente semplice visualizzare un limpido interstizio di umanità e dignità che, ancora una volta, ci dimostra come fermare la distopia capitalista sia ancora possibile e lottare utilizzando i propri corpi sia ancora una necessità di cui farci protagonisti; dal basso, tutti e tutte, bianchi e nere, contro chi propaga odio razziale e prevaricazioni sociali. E se dall’altra parte del mondo, nel “cuore dell’impero”, i giovani e le giovani “black” iniziano finalmente a riprendersi in mano il loro futuro, le loro città e a ribellarsi al presidente fascista Trump che governa gli U.s.a., anche qui è inevitabilmente arrivata l’ora di pretendere un futuro degno di essere vissuto, di andare a prenderci la dignità che ci spetta e che da sempre ci viene tolta e raccontata come “utopica”. Dalle carceri in rivolta alle mobilitazioni dei/delle giovani precari/e che continuano a chiedere un reddito universale e incondizionato, in questi tempi così travagliati e difficili che mai avremmo pensato di attraversare, come nuove e nuovissime generazioni non possiamo esimerci dall’essere presenti nel momento in cui il mondo sta cambiando: dobbiamo continuare a lottare.

Per concludere questa lettera, oggi come allora continuo a sentirmi nient’altro che un ragazzo, un compagno, che assieme a chi era presente in quella piazza, ossia lavoratori e lavoratrici della logistica, giovanissimi e giovanissime delle periferie popolari e centinaia di studenti e studentesse provenienti da tutta Italia per impedire l’apertura di una sede di Casapound, ha avuto la possibilità di incidere un minuscolo solco nella storia dell’antagonismo di classe, che porta il nome di tutti e tutte coloro che continueranno a perpetuare i valori dell’antirazzismo, dell’antifascismo e dell’antisessismo, di tutti e tutte coloro che continueranno ad avanzare compatti per respingere il male dell’umanità, ancora disposti ad incontrarsi su una barricata.
A testa alta e a pugno chiuso

Lorenzo, “Dibi