Ivrea – “Gli agenti mi picchiavano in infermeria e intanto il medico sorseggiava il suo caffè”

 

Dagli atti dell’indagine sul carcere di Ivrea i primi dettagli sui pestaggi. Avvisi di garanzia a 24 uomini della polizia penitenziaria e un sanitario

Due agenti picchiavano Alì, calci e pugni, e “il medico di turno della casa circondariale, anziché impedire l’evento come sarebbe stato suo obbligo, continuava a sorseggiare il caffè al distributore automatico”. Ivrea, 7 novembre 2015. Questo episodio è il primo di una serie di contestazioni che la procura generale di Torino ha fatto a 25 indagati, 24 agenti di polizia penitenziaria e un medico, coinvolti a vario titolo in pestaggi e punizioni che avvenivano principalmente nell'”acquario”, come era soprannominata l’infermeria che dava sul corridoio.

È arrivata a una svolta l’inchiesta sui pestaggi al carcere di Ivrea, dove i muri dell’infermeria almeno per due anni hanno coperto percosse e umiliazioni compiuti dagli agenti nei confronti di diversi detenuti. Finora erano stati solo loro, con le testimonianze, a far uscire allo scoperto il trattamento che ricevevano, mentre i verbali falsificati provavano a sviare le indagini sostenendo che i detenuti fossero caduti “accidentalmente sul pavimento reso scivoloso dall’acqua degli idranti usati per spegnere i focolai appiccati in sezione”.

Ora la magistratura ha riconosciuto la fondatezza delle accuse individuando i possibili responsabili, che nei giorni scorsi hanno ricevuto l’avviso a comparire per essere interrogati, difesi dagli avvocati Celere Spaziante ed Enrico Calabrese. Alcuni agenti sono ancora in servizio nel carcere eporediese, altri nel frattempo sono stati trasferiti in altri penitenziari.Le carte dell’inchiesta dipingono un quadro inquietante di quello che accadeva dietro le sbarre. Detenuti malmenati anche con manganelli, umiliazioni come quelle di tenere i carcerati nudi, tutto con l’omertà di altri detenuti e di un sistema che fingeva di non vedere.Sono sette anni che si cerca di far luce su quello che accadeva nel carcere di Ivrea. Gli episodi contestati risalgono al 2015 e 2016. Da allora l’inchiesta aperta dalla procura di Ivrea ha subito parecchie traversie, tra richieste di archiviazioni e opposizioni fatte dall’associazione Antigone, fino a quando la procura generale non l’ha avocata.Sono stati i sostituti pg di Torino Giancarlo Avenati Bassi e Carlo Maria Pellicano, partendo dalle denunce, ad allargare le indagini ad altri episodi e a individuare i reati ipotizzati: lesioni e falsi aggravati. “Le contestazioni mosse dalla magistratura a 25 indagati sono la dimostrazione che il sistema giudiziario funziona e che quest’avocazione che aveva fatto tanto rumore è stata la strada giusta per fare giustizia – commenta Antigone – I fatti sono precedenti all’introduzione del reato di tortura, tuttavia dall’inchiesta emerge come quello di Ivrea fosse un carcere punitivo, come ce ne sono in Italia, e lontano dallo scopo rieducativo che gli istituti penitenziari dovrebbero perseguire”

 

LA STAMPA (TORINO)

 

Stanze per le punizioni e isolamenti: “Nel carcere di Ivrea condizioni disumane”

La relazione del Garante nazionale dei detenuti all’indomani della rivolta nel penitenziario avvenuta nel 2016

IVREA. «Condizioni strutturali e igieniche al di sotto dei limiti di accettabilità nel rispetto della dignità dell’essere umano». Ecco il carcere di Ivrea nel 2016, visto con gli occhi dell’allora Garante nazionale dei detenuti. Una visita d’emergenza la sua, a novembre, dopo una rivolta repressa con violenza. Tanta. Botte, manganellate, sevizie che travalicano i limiti dell’ordine pubblico. E di quanto accettabile in uno stato democratico.

Alcuni reclusi denunciano violenze, ritorsioni. Sono perlopiù stranieri, con storie di povertà e di espedienti e raccontano di una stanza, «l’acquario», riservata alle punizioni più severe. E di un’altra ancora, la «stanza liscia», quella dell’isolamento. Le loro denunce vengono raccolte dall’ex garante di Ivrea e dall’associazione Antigone. Cadono nel vuoto, archiviate, sino a che la procura generale di Torino non decide di avocare il fascicolo. E ora gli agenti di custodia e i medici indagati sono venticinque.

Il carcere è cambiato nel frattempo. «Situazioni di violenza non ne vedo», assicura l’attuale garante Raffaele Orso Giacone. Parole ben diverse da quelle presenti nella relazione del 2016. Undici pagine che descrivono come fallisce un sistema penitenziario.

 

La sconfitta incomincia al piano terra, nella sezione isolamento. «Cinque stanze ordinarie più la numero 6, priva di arredo, chiamata “stanza liscia” dallo stesso personale della polizia penitenziaria», annotava il garante nazionale. Un solo letto, al centro, ancorato al pavimento, con un materasso «peraltro strappato e fuori termine di scadenza». Una finestra sigillata con una copertura di metallo, il termosifone spento. Il garante nazionale sintetizza: «Uno spazio indecoroso e degradante». Sempre al piano terra, c’è la sala d’attesa dell’infermeria. La definivano così, anche se «non ha alcun requisito strutturale e materiale» per una qualifica del genere. Larga tre metri per quattro «è completamente vuota»: non ci sono né sedie, né panche, né sgabelli. Non ci sono passaggi di circolazione d’aria. Toglie il respiro. «Lungo tutta la parete di destra c’è un vetro completamente oscurato con la vernice, tranne che per una striscia di 15 centimetri circa»: dall’esterno si può guardare dentro. I detenuti l’hanno soprannominata “acquario”. «In questa sala le persone vengono chiuse anche per ore e ne viene fatto uso come di una cella di contenimento», testimoniava l’allora referente sanitario.

Il garante nazionale ha appuntato anche questo. Come il racconto di un recluso che contro quel vetro, così gli avevano detto, ha sbattuto la testa più volte, sino a svenire e attendere diverse ore per essere soccorso. La relazione parla anche delle celle del quarto piano, quelle per chi è ammesso al regime di semilibertà o di lavoro esterno, da dove, la notte tra il 25 e il 26 ottobre 2016, era partita la rivolta. «Danni all’arredo, un tavolo divelto. Sulla parete della stanza, a fianco alla finestra, evidenti strisce di sangue, impronte di dita e mani».

CORRIERE DELLA SERA (TORINO)