Violenze nel carcere di Torino, il processo «non è urgente».

a violenza di stato borghese si aggiunge violenza protetta

Respinta la richiesta delle parti civili che volevano l’anticipazione: non è sufficiente il rischio prescrizione di alcuni reati. Polemica tra i legali

Non ci sono elementi di «eccezionale gravità» — nonostante esista il «rischio prescrizione per alcuni reati» — che giustifichino l’anticipazione del processo in cui sono imputati 19 agenti di polizia penitenziaria, accusati di aver commesso violenze (compresa la contestazione del reato di tortura) su alcuni detenuti del carcere «Lorusso e Cutugno». Per questo, il presidente della terza sezione penale, Marcello Pisanu, ha respinto l’istanza di anticipazione dell’udienza di fissazione del processo — attualmente in calendario il 4 luglio 2023 — avanzata da alcuni degli avvocati delle parti civili, tra cui ci sono gli stessi detenuti e i garanti territoriali e nazionali….E in questo caso, argomenta il giudice «l’istanza si fonda solo sugli effetti pregiudizievoli che la prevedibile durata del procedimento potrebbe avere sulla prescrizione di alcuni dei reati contestati». Altra considerazione: «I reati maggiormente prossimi alla prescrizione sono addebitati agli imputati prevalentemente in concorso con altre ipotesi delittuose più gravi (e con termine prescrizionale più lungo) in danno delle medesime parti offese».

 

L’aquila – contro la repressione e in solidarietà con i prigionieri politici rivoluzionari

Di fronte a un tribunale blindato da carabinieri, digos e polizia, con 2 blindati della celere venuti da Roma, si è tenuta ieri a L’Aquila una conferenza stampa per rilanciare  la solidarietà alle prigioniere e prigionieri politici, contro il 41 bis e più in generale la lotta contro la repressione di tutto il movimento di classe.

L’occasione è stata data dall’inizio dell’udienza per 27 dei 31 compagni/e imputati/e per aver manifestato, il 24 novembre 2017, contro la tortura del 41 bis e l’accanimento vessatorio dell’amministrazione penitenziaria nei confronti della prigioniera politica Nadia Lioce.

Presenti compagni/e di L’Aquila, Taranto, Torino, Napoli, Roma, singolarmente, come imputati e solidali, e come rappresentanti del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, Soccorso rosso proletario, Soccorso Rosso Internazionale, Rete dei Comunisti.

Si è denunciato innanzitutto il clima intimidatorio in cui si è svolta la conferenza, che avrebbe dovuto tenersi al chiuso di un locale di fronte al Tribunale, mentre all’ultimo minuto il titolare ha ritirato la sua disponibilità ad ospitarla, “consigliato” da alte autorità. Nonostante si tenesse in contemporanea un processo per omicidio, l’imponente spiegamento delle forze dell’ordine “era lì per noi”, come ha sottolineato un giornalista.

Sono stati ricordati i motivi pretestuosi con cui i presidi di solidarietà del 24 novembre 2017 furono criminalizzati mentre allo stesso tempo si consegnava la piazza a 2000 fascisti di casa pound, e come lo Stato borghese si accanisca con la repressione, il carcere e i regimi speciali sui proletari e i rivoluzionari prigionieri, mentre gli omicidi fascisti, padronali e le stragi di stato restino sempre impunite.

“In una situazione in cui la repressione dello Stato agisce a più livelli, in ambito carcerario vengono colpiti i rivoluzionari prigionieri che resistono e continuano a difendere i propri percorsi rivoluzionari – ha ricordato il compagno del Soccorso Rosso Internazionale – In tal senso, il 5/5/2022 è stato imposto il regime di 41bis al compagno anarchico Alfredo Cospito, in carcere da circa dieci anni. E sappiamo bene che cosa significa 41bis: un isolamento completo, ovvero una forma di tortura finalizzata, nel caso dei rivoluzionari prigionieri, ad ottenere l’abiura e l’accettazione delle compatibilità borghesi. Ma il 41 bis non è una novità per i rivoluzionari prigionieri. Infatti 3 compagni, militanti delle BR-PCC, dal 2005 ininterrottamente sono sottoposti al 41bis. Questi compagni/e nonostante queste durissime condizioni detentive continuano a resistere e a mantenere la propria identità politica.”

Contro questo regime di isolamento, negli anni passati si è sviluppata una grande mobilitazione nazionale, con manifestazioni, presidi, assemblee e altre iniziative. Il 24 novembre 2017, in particolare, si è tenuto un presidio presso il tribunale e il carcere di l’Aquila, in occasione del processo a Nadia Lioce, per la lotta che stava conducendo contro il regime di 41bis, a cui è sottoposta.

Questo trattamento disumano, in teoria provvisorio e giuridicamente motivato con l’esigenza di “recidere i legami con l’organizzazione di appartenenza all’esterno”, è reso permanente nonostante lo Stato stesso abbia dichiarato sconfitte le Brigate Rosse e prendendo a pretesto la solidarietà proletaria che in questi anni si è espressa e si esprime.

A seguito del presidio dell’Aquila, 27 compagni/e sono oggi a processo, a dimostrazione di come lo Stato proceda eccome contro chi si mobilita contro la tortura del 41 bis e in sostegno dei rivoluzionari prigionieri.

L’oscena rappresentazione mediatica di quest’anno, di Biagi come il paladino dei lavoratori e del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario come una “sedicente” organizzazione da criminalizzare, per il suo nome o per il saluto pubblico di fine anno a Nadia Lioce, la dice lunga su cosa intenda lo stato come “organizzazione di appartenenza all’esterno”: l’unità della classe sfruttata, delle donne oppresse che si organizzano per rovesciare questo sistema di guerra, miseria e sfruttamento è quella da colpire!

Rispetto a questo processo, che è stato rinviato al 14 luglio, così come rispetto alla repressione più in generale, bisogna fare fronte comune per sviluppare una mobilitazione, come parte integrante della lotta più generale contro il capitalismo e l’imperialismo.

Di seguito il servizio di LAQTV:

Qui invece il servizio di Marianna Gianforte su laquilablog

Qui un report pubblicato su Rafforzare ed estendere resistenza

Il 25 MAGGIO va in scena l’attacco giudiziario alla lotta di classe. Contro la repressione delle lotte dei lavoratori, solidarietà di classe e massimo sostegno!

Il 25 maggio si tiene a Milano il processo di appello per la lotta alla DHL nel quale sono già stati condannati in primo grado 7 compagni del CSA Vittoria e del SI Cobas.

Insieme a questo processo sta andando avanti una pesante repressione, che ha alzato il tiro anche in legame con la guerra che per Stato borghese, governo, richiede l’imposizione della massima “pace/ordine sociale” per andare avanti nella loro guerra di predoni imperialisti – arresti di studenti e giovani compagni a Torino, persecuzione dei disoccupati e compagni del Si.cobas a Napoli, provocazioni verso l’USB, processo a decine e decine di lavoratrici Slai cobas sc in lotta a Palermo, criminalizzazione a Taranto delle proteste contro l’invio di navi da guerra, ecc.

Mai come ora dobbiamo dire: Toccano uno toccano tutti! Perché mai come ora questa repressione è legata da un pesante filo nero comune e richiede una risposta comune verso ogni repressione! 

Da Si Cobas Lavoratori Autorganizzati

Il 25 MAGGIO va in scena l’attacco giudiziario alla lotta di classe!!! 

Nel marzo 2015 dopo un lungo ciclo di scioperi davanti ai cancelli della DHL – colosso della logistica nazionale e internazionale – di Settala e Liscate, in concomitanza dello sciopero generale della logistica indetto dal SiCobas, venne organizzata una presenza di massa alla DHL di Settala. Una giornata di lotta importante che coniugava una piattaforma nazionale di rivendicazioni per tutti i lavoratori della logistica ad una dura vertenza interna per migliori condizioni di lavoro e di agibilità sindacale.

Quel ciclo di lotte portò alla firma di un accordo sindacale che ha migliorato le condizioni di vita e per centinaia di lavoratori e lavoratrici ottenendo il risultato non secondario di far emergere il modus operandi di questa (come di tutte) multinazionale della logistica che sarà in seguito indagata per una frode milionaria ai danni dei lavoratori.

Eravamo in tantissimi davanti davanti a quei cancelli, sbarrati durante la notte per una serrata dei padroni; lavoratori, studenti, compagni e compagne accorsi in solidarietà alla lotta degli operai e delleoperaie della DHL per un’assemblea operaia di massa sulle motivazioni dello sciopero, inquadrando la giornata in una prospettiva di classe e per il ribaltamento dei rapporti di forza all’interno dei luoghi di lavoro e della società nel suo insieme.

Per quella bella e combattiva assemblea di lotta, diversi compagni solidali e lavoratori sono stati condannati in primo grado a pesanti pene da 1 anno e 8 mesi fino a 2 anni 3 mesi e 2 anni 6 mesi evidenziando cosi un salto qualitativo e importante della repressione nei confronti del movimento di lotta sindacale politico dei lavoratori della logistica come elemento qualificante e avanzato della lotta di classe in Italia.

II prossimo 25 maggio si svolgerà il processo di secondo grado per 7 compagni del Csa Vittoria e del SiCobas incluso il coordinatore nazionale.

Crediamo importante sollecitare una presenza in tribunale per sostenere gli imputati e rivendicare il diritto di sciopero e che la repressione non fermerà, come non ha infatti fermato, le lotte dei lavoratori.

Dopo anni di attacco alle lotte operaie con cariche davanti ai cancelli e fogli di via e arresti e processi  contro i militanti dell’ opposizione di classe, i venti di guerra e l’escalation guerrafondaia del governo Draghi diventano il quadro di contesto che servono a motivare e a spingere per un irrigidimento repressivo nei confronti dell’espressione del dissenso e della resistenza di classe alla ristrutturazione in corso ma la repressione non ferma la lotta di classe.

MERCOLEDI 25 MAGGIO ORE 8,30 presenza davanti ai cancelli del Palazzo di Giustizia – ORE 9,00 presenza in aula in solidarietà agli imputati.

Csa Vittoria – SiCobas

Carcere di Salerno: altro che malore, Vittorio è stato ammazzato di botte!

Stroncato da un malore nel corso di un scontro con due agenti (ora indagati)

Detenuto morto in carcere, l’autopsia: sul corpo segni di percosse che andavano avanti da giorni. E’ caduto dalle scale?

Segni di violenza, riconducibili a percosse subite da giorni, sul corpo di Vittorio Fruttaldo, il detenuto di 35 anni stroncato da un malore dopo uno scontro fisico con gli agenti di polizia penitenziaria nel carcere di Fuorni a Salerno. E’ quanto emerge da un primo esame esterno sul cadaere dell’uomo deceduto lo scorso 10 maggio durante il trasporto in ambulanza all’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona. L’autopsia, iniziata ieri, verrà completata oggi e il quadro sarà più chiaro.

Nel frattempo emergono dettagli raccapriccianti che smentiscono la versione fornita dal sindacato di polizia penitenziaria secondo cui il detenuto, affetto da problemi di natura psichiatrica (circostanza smentita dai referti medici), avrebbe aggredito due agenti con un coltello rudimentale e, nel corso della colluttazione, sarebbe stato stroncato da un malore.

In realtà, stando a quanto appurato dal professore di medicina legale dell’Università di Salerno incaricato dell’autopsia, sul corpo di Vittorio sono presenti lividi e segni di violenza riconducibili a percosse che andavano avanti da giorni, da tempo, non relative alla sola giornata del 10 maggio. Vittorio, secondo quanto appreso dal Riformista, era un detenuto che aveva problemi di tossicodipendenza. Avrebbe finito di scontare la sua pena a ottobre 2022 e necessitava di una terapia per disintossicarsi.

Che ci faceva dunque in carcere? E perché gli agenti penitenziari lo ritengono un soggetto affetto da problemi di natura psichiatrica pure in assenza di un referto medico che cristallizzi il tutto? Il 35enne, originario di Aversa, sarebbe stato ‘rieducato‘ dai poliziotti dopo essersi reso protagonista di un’aggressione avvenuta a inizio maggio. Fruttaldo avrebbe rifilato uno schiaffo a un agente in seguito a un alterco e da quel giorno, sempre secondo quanto appreso dal Riformista, sarebbe stato sistematicamente picchiato.

Una circostanza che saranno le indagini della procura di Salerno a dover confermare. Tuttavia restano i segni di violenza risalenti anche ai giorni precedenti il decesso e la richiesta, nella prima perizia mandata ai pm (ieri però in scipero), di acquisire anche le telecamere di videosorveglianza relative ai giorni precedenti, in modo tale da far luce sui presunti pestaggi che il detenuto subiva.

Oggi nel frattempo verrà completata l’autopsia che fornirà ulteriori dettagli sul decesso del 35 anni. Al momento i due agenti “aggrediti” (secondo il sindacato) sono indagati per omicidio preterintenzionale (quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente). Accusa che potrebbe cambiare dopo l’esito dell’autopsia.

Fondamentali saranno anche le testimonianze degli altri detenuti che dovrebbero essere ascoltati dagli investigatori per far luce su quanto accaduto nel carcere di Salerno ed evitare che si ripetano episodi analoghi alla mattanza di Santa Maria Capua Vetere quando, prima delle misure cautelari e delle devastanti immagini che sconvolsero l’opinione pubblica, i detenuti, impauriti di subire ulteriori ripercussioni, derubricavano le percosse subite con l’oramai celebre “sono caduto dalle scale“.

Carcere di Ascoli. “Svegliati a manganellate”

Da Osservatorio repressione

I fatti sarebbero accaduti nell’istituto della città marchigiana pochi giorni dopo la rivolta avvenuta nella casa circondariale di Modena. “Picchiati molti stranieri”. La Procura di Ascoli Piceno apre un’indagine

di Nello Trocchia

“Individuate gli eventuali responsabili delle violenze che sarebbe state commesse da alcuni agenti della polizia Penitenziaria a danno di alcuni detenuti”.

È la richiesta che arriva dall’associazione Antigone, in un esposto presentato in questi giorni alla procura marchigiana alla luce delle testimonianze rese dai detenuti reclusi nella casa circondariale, nel marzo 2020. Un fascicolo è già aperto contro ignoti e prende l’abbrivio proprio dal racconto degli ospiti del carcere nel periodo iniziale dell’emergenza pandemica, tutti detenuti che erano stati trasferiti ad Ascoli da Modena dove, nel carcere Sant’Anna, c’era stata una violenta rivolta.

“Individuate gli eventuali responsabili delle violenze che sarebbe state commesse da alcuni agenti della polizia Penitenziaria a danno di alcuni detenuti”. È la richiesta che arriva dall’associazione Antigone, in un esposto presentato in questi giorni alla procura di Ascoli Piceno alla luce delle testimonianze rese dai detenuti reclusi nella casa circondariale, nel marzo 2020. Un fascicolo è già aperto presso la procura marchigiana e si fonda sul racconto dei reclusi del carcere nel periodo iniziale dell’emergenza pandemica. Gli avvocati hanno scoperto l’esistenza di un fascicolo dalla consultazione degli atti, un fascicolo modello 44, iscritto contro ignoti. Le testimonianze dal quale si origina sono quelle dei detenuti trasferiti ad Ascoli da Modena dove, nel carcere Sant’Anna, c’era stata una violenta rivolta. All’inizio della pandemia le carceri italiane sono teatro di rivolte, a Modena viene devastata una parte del penitenziario, ma soprattutto muoiono 9 detenuti per assunzione di un mix letale di farmaci dopo l’assalto alla farmacia dell’istituto.

Le indagini di Modena – A Modena, nel carcere Sant’Anna, l’8 marzo 2020, i detenuti hanno inscenato una rivolta violenta che è stata arginata dagli agenti della polizia penitenziaria, intervenuti per “riprendere” il controllo del carcere. Per i fatti accaduti in quelle ore la procura ha aperto tre fascicoli. Uno per le devastazioni compiute dai detenuti, un altro per la morte di nove reclusi e, infine, uno per le violenze che i poliziotti penitenziari avrebbero compiuto durante e dopo la rivolta.

La prima indagine è ancora in corso. La seconda inchiesta è stata archiviata perché i detenuti sono morti, secondo i risultati delle indagini, per overdose di metadone e non sono emerse altre responsabilità. Contro l’archiviazione del fascicolo è stato presentato un ricorso, poi respinto. L’inchiesta relativa alle violenze sui detenuti è, invece, nella fase delle indagini preliminari, sul registro degli indagati ci sono 4 agenti della polizia penitenziari, coinvolti per i reati di lesioni e tortura. Un fascicolo che è stato aperto dopo la presentazione di diversi esposti da parte di Antigone e di alcuni detenuti. Le indagini di Modena si intrecciano con quelle della procura marchigiana. Le violenze denunciate dai detenuti nel carcere di Ascoli Piceno emergono dalla lettura di alcuni atti relativi alla morte di uno dei reclusi trasferiti da un carcere all’altro: Salvatore Piscitelli.

La morte di Piscitelli – Un procedimento penale è stato aperto dalla procura di Ascoli per ricostruire le ore precedenti la morte del detenuto. Piscitelli era stato pestato, emerge dall’autopsia e dalle testimonianze, ma muore per aver assunto un mix letale di sostanze e, secondo i pubblici ministeri, anche nel ritardo nei soccorsi non è configurabile alcun reato. Contro questa archiviazione ha presentato ricorso proprio Antigone, tramite l’avvocata Simona Filippi. Nel fascicolo dell’inchiesta, nata per ricostruire eventuali responsabilità nella morte di Piscitelli, vengono allegati gli interrogatori di diversi detenuti. I reclusi, ascoltati come persone informate sui fatti, dopo la presentazione di un esposto, hanno denunciato sia violenze e pestaggi che avrebbero subito sia di cui sono stati testimoni.

Così si arriva all’indagine della procura di Ascoli e al nuovo esposto di Antigone che prende spunto proprio dalla lettura delle testimonianze depositate nel fascicolo Piscitelli. L’associazione chiede alla procura marchigiana di individuare i responsabili della mattanza tra il personale della polizia penitenziaria. Ora c’è un fascicolo contro ignoti dei magistrati di Ascoli, che dovranno riscontrare le dichiarazioni prima di decidere se proseguire nell’inchiesta. Ma cosa raccontano i detenuti? Torniamo a quelle ore quando i reclusi vengono trasferiti da Modena ad Ascoli. È la notte dell’8 marzo.

Il racconto dei detenuti – Claudio C. racconta, il 18 dicembre 2020, la prima mattina nell’istituto di pena, un risveglio a colpi di manganello. “Prima della conta che si fa verso le otto, otto e qualcosa (…) è arrivata su la squadretta, otto-nove appuntati, casco, scudo e manganello. Sono partiti dal lato destro (…) cella per cella, ‘Collega, apri qua’, entravano si sentivano solo le urla dei detenuti (…) Certo il personale di Ascoli Piceno. Cella per cella. Non ne hanno saltata una, cioè tranne qualcuna di noi italiani, agli stranieri non hanno saltato una cella”, spiega ai pubblici ministeri di Modena che lo ascoltano, prima che gli atti prendano per competenza la strada della procura ascolana.

Gli stranieri venivano massacrati, ma non tutti gli italiani si salvano dalle botte. “La mattina sono venuti e ci hanno picchiati (…) il giorno invece sentivo urlare altri, altri ragazzi delle altre stanze (…) Poi dopo sono ancora tornati, ma senza più i manganelli, solo con gli schiaffi. Per ricordarci che noi eravamo pezzi di merda, figli di puttana”, dice Bianco F.

Le testimonianze sono convergenti, i detenuti presentano l’esposto solo a dicembre per paura di ritorsioni. “Invece nei giorni successivi, non ricordo se il 10,11,12 o 13 marzo, siamo stati picchiati tutti, me compreso, dagli agenti della polizia Penitenziaria del carcere di Ascoli Piceno. Ricordo che gli agenti, in quei giorni, passavano, non ricordo se di mattino o di pomeriggio, ma passavano e aprivano le celle, tutti muniti di sfollagente, casco protettivo e scudo, e ci picchiavano col manganello, colpendoci ripetutamente su tutto il corpo, per più minuti (…) A me personalmente è accaduto almeno due volte e sono entrambe avvenute nei primi giorni di detenzione”, dice Belmonte C, ascoltato il 24 giugno 2021.

“La maggior parte delle persone che venivano picchiate erano stranieri (…) a un detenuto albanese, che noi chiamavamo Gas, ma non so dire quale fosse il suo vero nome, una mattina hanno rotto la mano, tra il mignolo e l’anulare”, dice Nicola T. ai magistrati, il 19 dicembre 2020. L’accoglienza, a colpi di manganello, raccontata dai detenuti ospiti del carcere di Ascoli Piceno è il seguito di quanto accaduto a Modena dove i reclusi raccontano di aver subito altre botte: il pestaggio nello stanzone.

da Il Domani

La solidarietà è un’arma! Iniziativa benefit per compagn inquisit per la manifestazione a L’Aquila

Evento di LOSKA
Pubblico Chiunque su Facebook o fuori Facebook
Un’iniziativa tenutasi all’Aquila nel 2017, in solidarietà alla prigioniera Nadia Lioce, sottoposta da oltre 19 anni all’isolamento e quindi al 41bis, si è trasformata in un processo a carico di 31 compagnu che presero parte al presidio. Le accuse sono di manifestazione non autorizzata e la data dell’inizio del processo è fissata per il 18 maggio 2022. In relazione a questa premessa, abbiamo pensato di organizzare, il giorno 19 maggio, un evento solidale che comprenderà aperitivi, cucina tunisina e dj set, per poter finanziare le spese legali d compagnu coinvoltu nel processo.