Soccorso Rosso Proletario

Soccorso Rosso Proletario

protesta al carcere di Asti per il focolaio Covid – ma polizia e stato pensano solo alla repressione

I detenuti non sono rientrati in cella per paura dei contagi e hanno dormito nei corridoi e nei box delle guardie di turno
Sono giorni molto difficili alla Casa di reclusione di Asti.
In un comunicato congiunto firmato da tutti i sindacati di polizia penitenziaria viene chiesto l’ intervento straordinario del Gruppo Operativo Mobile, una specialità di agenti abituati ad agire in situazioni di emergenza di ordine pubblico.
<Se ne rimarca l’urgenza – si legge nel comunicato dei sindacati – in considerazione del fatto che alcuni detenuti nei giorni scorsi dopo la notizia di soggetti positivi al Covid, si sono categoricamente rifiutati di entrare in cella e hanno dormito con i materassi in mezzo ai corridoi e si sono insediati nel box riservato all’agente di guardia di turno. Se La situazione di Asti sta ancora reggendo è solo grazie al poco personale della Polizia Penitenziaria presente ben oltre gli orari dei turni>.
Proprio per lo stato di forte tensione, i sindacati chiedono l’intervento immediato del GOM per scongiurare ogni situazione che mini la sicurezza dell’istituto.
Fra i destinatari di questo appello anche il sindaco di Asti, Maurizio Rasero che ha confermato di aver chiesto un incontro urgente al Prefetto, alla presenza dei sindacati di polizia penitenziaria e di tutte le altre istituzioni interessate per fare il punto della situazione.
Ieri sono stati vaccinati 150 detenuti
Sul fronte più strettamente sanitario, la Garante per i detenuti informa che i detenuti positivi sono stati isolati in quarantena e stanno tutti bene. Sono sotto stretto controllo da parte del personale sanitario del carcere, guidato dal dottor Ruta e dalla dottoressa Illo.
Nella giornata di ieri, sabato, sono stati vaccinati 150 detenuti, con AstraZeneca mentre altri 48 lo hanno rifiutato.
Rimane ancora una piccola quota di detenuti da vaccinare, 13, perché dovranno riceverlo in ambiente protetto, come l’’ospedalizzazione a causa di patologie importanti di cui soffrono. Saranno vaccinati nei prossimi giorni o appena sarà possibile organizzare le adeguate scorte per il trasferimento dalla struttura.

il ‘carcere assassino’ fa un’altra vittima a Cuneo

Un suicidio in carcere a Cuneo: la vittima è uomo di 41 anni originario del Torinese

Un suicidio in carcere a Cuneo. Un uomo di 41 anni, originario del Torinese, si è tolto la vita mentre era solo in cella, in un reparto ordinario. La scoperta è avvenuta questa mattina da parte degli agenti della polizia penitenziaria.
Il quarantenne era stato trasferito dal carcere di Biella al Cerialdo da pochi giorni.

Vergognose condanne inflitte al movimento No Tap, per difendere il profitto di pochi contro la tutela dell’ambiente e della salute dei più. Massima solidarietà del SRP

Il soccorso rosso proletario esprime la massima solidarietà agli attivisti e alle attiviste colpiti dalla repressione. Lavoratrici, lavoratori, mamme e padri di famiglia, studenti, artisti, che hanno cercato di esercitare un diritto costituzionalmente garantito, quello di lavorare e vivere in un ambiente sano, nel posto in cui sono nati, sulla terra che è loro.

Dalla stampa: Sessantasette condanne (a pene comprese tra i 6 mesi e i 3 anni 2 mesi e 15 giorni di reclusione) e 25 assoluzioni: si è concluso così il processo davanti al giudice monocratico di Lecce Pietro Baffa a 92 persone, molte delle quali aderenti al Movimento No Tap imputate in tre procedimenti per i disordini avvenuti tra il 2017 e il 2019 in occasione dell’avvio dei lavori per la realizzazione del gasdotto Tap a Melendugno, in Salento. Tra gli imputati anche gli attivisti che arrivarono in Salento da ogni parte d’Italia per appoggiare la protesta del Movimento.

Di seguito il comunicato No Tap sulle condanne:

ADELANTE

20 Marzo 2021

Adelante: si va avanti NONOSTANTE TUTTO

Si va avanti NONOSTANTE TUTTO

Avremmo tanto da dire su quanto accaduto ieri nell’aula bunker del carcere di Lecce, cercheremo di farlo, rimanendo lucidi davanti ad un giudizio che, a nostro avviso, ha avuto un evidente indirizzo politico.

Ci troviamo qui a dover commentare ancora una volta la criminalizzazione messa in atto da un apparato repressivo che coinvolge lo Stato a diversi livelli, con la complicità di una certa stampa che, senza essere presente a nessuna delle udienze, è stata pronta a giudicare, arrivando a definire “esito finale” quello che è solo il primo grado di giudizio.

Tutto questo sembra un accanimento contro il diritto al legittimo dissenso nei confronti di un’opera inutile, dannosa e imposta, presentata come strategica, che invece di strategico ha solo il raschiare il barile dei fondi europei. È un’opera climalterante che va contro ogni sana logica di cambiamento, lontana anni luce da quella transizione energetica di cui in nostri politici si vantano tanto. Pare sempre più evidente che questo accanimento è rivolto a chi protesta contro quel sistema in cui il Tap è inserito, un sistema di sviluppo che strizza l’occhio al potere economico, abbandonando intere popolazioni alla propria sorte. Un sistema che alletta con le sue sirene ma che lascia intorno a sè distruzione, povertà e un sempre maggiore divario tra classi sociali.

Non sarà questa sentenza a farci indietreggiare, non sarà questo chiaro messaggio intimidatorio a farci desistere dal continuare a credere che siamo la parte migliore di questa brutta storia, che siamo dalla parte giusta.

Ci eravamo meravigliati quando il giudice, Presidente di una sezione penale, aveva avocato i tre processi a sé, decidendo di celebrare tutte le udienze in tempo così rapidi (3 procedimenti penali, di cui uno con 78 capi di imputazione, in appena 7 mesi – udienze pressoché settimanali-, con una mole di materiale videoregistrato immenso da consultare per la difesa). Ci era sembrata del tutto fuori luogo l’esternazione del Giudice quando, nelle prime fasi dell’istruttoria, dichiarò che la testimonianza del pubblico ufficiale doveva considerarsi già di per sé veritiera. Siamo rimasti attoniti, nonostante fossimo preparati all’esito, quando il giudice leggendo i dispositivi delle sentenze ha emesso condanne che, nella maggior parte dei casi raddoppiavano, e talvolta triplicavano, le richieste del PM.

Si tratta di condanne che variano da un minimo di un mese a un massimo di 3 anni e che vedono coinvolti 86 attivisti. Pene severissime, se si pensa che molte delle imputazioni riguardano reati che vanno da oltraggio a p.u., a lancio di ciclamini o uova, a resistenza a p.u..

Ma ciò che fa più pensare, e lo hanno ribadito anche i nostri legali, sono i soli 15 giorni valutati da Giudice come sufficienti per depositare le motivazioni delle sentenze. Il numero elevatissimo di attivisti imputati e la complessità dei contesti e dei fatti, ci aprono ad un interrogativo: ci chiediamo se il Giudice dovrà spendere giorni e nottate per fornire motivazioni soddisfacenti o se, in realtà, il tutto non lo abbia già elaborato. Ai 15 giorni ne seguiranno 30 affinché i nostri legali possano elaborare e depositare gli appelli. Tempi strettissimi che non solo limitano la possibilità di imbastire una difesa serena e priva di pressioni, ma che impongono ancora una volta un tour de force ai nostri legali.

La regia che si cela dietro all’imposizione di questo sistema ha da sempre avuto bisogno di criminalizzare chi lotta per le giustizie sociali ed ambientali, così come ha la necessità di incutere timore nelle popolazioni istituendo zone rosse e limitazioni, mostrando i muscoli e schiacciando la ragione ma, malgrado tutto questo, ci sentiamo di ribadirlo ancora più forte:

Nonostante tutto ci troverete ancora qui:
noi l’effetto
voi la causa del nostro malcontento

storie di ordinaria violenza poliziesca .. perfino dentro il Tribunale!

SI accende una sigaretta prima del processo, detenuto malmenato da un agente

Torino:la procura apre un’inchiesta, l’episodio nella camera di sicurezza del palagiustizia

La procura di Torino ha aperto un fascicolo d’inchiesta su quanto accaduto nelle scorse settimane in una camera di sicurezza del tribunale di Torino, dove un giovane detenuto in attesa dell’udienza ha raccontato di essere stato malmenato da un agente della polizia penitenziaria dopo aver acceso una sigaretta.
L’udienza era alle 11. Il trentenne, che è in carcere al Lorusso e Cutugno per altre vicende da ottobre 2019 e nel processo che doveva affrontare era accusato di truffa, era assieme ad altri detenuti nella cella di sicurezza. “Qui non si fuma”, gli avrebbe detto l’agente togliendogli la sigaretta dalle labbra e di fronte al rifiuto del detenuto di consegnare l’accendino lo avrebbe colpito violentemente al volto, facendogli sbattere la testa contro il muro e facendogli cadere gli occhiali a terra. E sarebbero stati gli altri agenti a intervenire separando i due. Una scena che aveva impressionato molto sia gli altri detenuti, che avevano iniziato a urlare e a inveire, sia un paio di operatori sanitari che accompagnavano la scorta del gruppo di detenuti.
Stordito dal colpo e dolorante, con un filo di sangue che usciva da una ferita al naso, sarebbe stato richiamato dall’agente, che ha una lunga esperienza alle spalle, che assieme alle scuse e all’offerta di ripagare gli occhiali rotti gli avrebbe chiesto, con velate minacce, di non riferire nulla dell’accaduto all’udienza. E in effetti l’imputato era riuscito a mascherare la ferita e il dolore sia davanti al pm Paolo Scafi che al giudice Giorgia De Palma e nulla aveva detto nemmeno al suo difensore, l’avvocato Andrea Stocco. Anche perché – ha raccontato in seguito il giovane – gli agenti erano in aula, a pochi passi da lui.
Solo nel pomeriggio, quando il detenuto ha avuto un malore e un fortissimo mal di testa, ha raccontato dell’aggressione subita. Inizialmente aveva detto di essere caduto dalle scale la mattina in tribunale, avendo perso l’equilibrio a causa delle manette. Poi però, portato in ospedale, ha cambiato versione. Del caso si è subito interessata la direttrice della casa circondariale, Rosalia Marino, che ha avviato un’indagine interna.
“Da quel momento ho paura di essere punito, vivo nel terrore”, ha detto al suo avvocato, che ha raccolto la sua testimonianza e ha presentato in procura una denuncia per lesioni. Il fascicolo è stato assegnato al pm Giovanni Caspani.

Torino – scarcerare subito i ragazzi imprigionati per i fatti del 26 ottobre!

ma di quale libertà parlano i giudici?

la pandemia viene scaricata sui giovani e chi semina vento raccoglie tempesta

SRP

TORINO. Rimangono detenuti dieci dei tredici minorenni raggiunti da provvedimento di custodia cautelare per i fatti dello scorso 26 ottobre in via Roma. Lo ha disposto il giudice del Tribunale dei Minori al termine degli interrogatori di garanzia. Per una ragazza è stata confermata la permanenza in comunità, mentre per due giovani la misura è stata attenuata e sono stati sottoposti agli arresti domiciliari. Il Tribunale ha accolto la tesi della Procura e tutti i minori rispondono delle accuse di devastazione e saccheggio. «È evidente che ciò che più ferisce – si legge nell’ordinanza – è il profondo disagio di minori completamente accecati dai propri bassi istinti. Incapaci di controllarsi. Anzi pronti a dimostrare di avere proprio bisogno di vivere, anche in pubblico, in assenza di ogni forma di controllo e limite. Liberi di delinquere e liberi di non riconoscere nessun confine, soprattutto quello rappresentato dalle libertà altrui».

I fatti come li presenta la Procura
Quella sera, approfittando di una manifestazione dei commercianti contro le disposizioni anti-contagio, gang di ragazzini assaltarono le vetrine dei negozi del lusso del centro portandosi via capi griffati. Borse, zaini, pantaloni, scarpe da centinaia di euro prese infrangendo le vetrine di Gucci, Luis Vuitton, Geox e tanti altri. Una quarantina i negozi colpiti dai ragazzi delle periferie di Torino, arrivati da Barriera di Milano, Mirafiori e dalla provincia. Solo i video, acquisiti e analizzati dagli investigatori della Squadra Mobile, possono dare l’idea di come «la città fosse in balia di giovani incattiviti, feroci, capaci di tutto». L’ordinanza del giudice dei Minori descrive «grida in cui si registra una rabbia repressa». Le accuse di devastazione e saccheggio mosse dai pubblici ministeri Paolo Scafi e Giuseppe Drammis sono  state condivise anche dal gip di Ivrea Marianna Tiseo che nei giorni scorsi ha convalidato il fermo per Iurie Cornescu, moldavo ventitrenne. D’altro parere invece il Tribunale di Torino. Il gip Agostino Pasquariello, oltre a non convalidare i fermi degli altri 23 maggiorenni ritenendo «astratti» i pericoli di fuga, ha trasformato le accuse in furti aggravati. Pur adottando per tutti misure cautelari. Contro la decisione del giudice, la Procura di Torino potrebbe fare ricorso al tribunale del Riesame.

Torino – Noi stiamo con Maya, questa violenza la ribaltiamo»

Presidio per Maya davanti al tribunale di Torino

TORINO. Presidio di solidarietà, questa mattina davanti a Palazzo di Giustizia, per Maya Bosser Peverelli, 24 anni, nota militante del centro sociale Askatasuna, finita davanti al giudice con l’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale. Nello stesso procedimento, Maya è anche parte lesa: durante un arresto, quattro anni fa, denunciò di essere stata picchiata da un poliziotto. Imputato anche l’agente che l’avrebbe colpita.
I fatti risalgono al giugno 2017, quando la ragazza era stata fermata dalla polizia ai Murazzi durante un controllo. Maya, con un video su YouTube, aveva denunciato di essere stata picchiata da alcuni agenti.
Una cinquantina di persone questa mattina si sono ritrovate davanti al Tribunale con uno striscione «Noi stiamo con Maya, questa violenza la ribaltiamo». E ancora: «Se toccano una, toccano tutte. Maya non è sola».

Libertà per Pablo Hasél, Dimitris Koufontinas, Georges Abdallah e tutti i prigionieri politici

Insieme alle forze politiche e sociali che partecipano attivamente alla Campagne Unitaire pour la Libération de Georges Abdallah, la Rete dei Comunisti organizza e fa appello alla mobilitazione in solidarietà con Pablo Hasél, Dimitris Koufontinas, Georges Abdallah e tutti i prigionieri politici e rivoluzionari.

Dopo numerosi presidi, azioni e manifestazioni in molte città italiane e il lancio da parte di Noi Restiamo della campagna di solidarietà per Pablo Hasél, rafforziamo la mobilitazione anche a livello internazionale con un presidio che si terrà domenica 14 marzo a Parigi.

Esiste un filo rosso che unisce la condizione reale di questi tre detenuti: la repressione politica di qualsiasi forma di dissenso e contestazione dell’Unione Europea, tanto al suo interno quanto alle porte del suo spazio di conquista e dominio imperialista. In questi anni, le mobilitazioni popolari in Grecia ed in Catalogna, come nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, hanno rappresentato momenti e punti di rottura del piano di affermazione e costruzione dell’Unione Europea come polo imperialista nella competizione internazionale tra macro-blocchi.

In Grecia, il commissariamento da parte della Troika dopo la capitolazione del governo di Alexis Tsipras, nel referendum sul memorandum nel 2015 e i vari governi assolutamente proni al volere di Bruxelles, hanno determinato un impoverimento drammatico delle classi popolari. Le politiche neoliberiste di massacro sociale sono state sistematicamente accompagnata da una stretta autoritaria e repressiva, contro quelle forze politiche, sindacali e sociali che hanno deciso di non arrendersi e continuare a lottare.

L’accanimento giudiziario nei confronti di Dimitris Koufontinas, in carcere dal 2002, si sta intensificando attraverso un trattamento disumano ai limiti della tortura, con alimentazione e cure forzate dopo quasi due mesi di sciopero della fame, mentre nelle piazze proseguono le manifestazioni contro il governo di Mitsotakis, con la polizia ormai fuori controllo.

Negli ultimi anni, le mobilitazioni delle masse popolari in Catalogna per l’indipendenza da Madrid, centro dello Stato spagnolo, hanno più volte mostrato la brutalità degli apparati repressivi della monarchia, ereditati dal Franchismo, con una transizione alla democrazia mai realmente compiuta. Inoltre, non possiamo dimenticare le violente azioni dei Mossos d’Esquadra che, in occasione del referendum autoconvocato del 1 ottobre 2017, caricano gli elettori in fila ai seggi elettorali.

Infine, nonostante le numerose mobilitazioni per l’amnistia, abbiamo assistito qualche giorno fa all’ennesima torsione autoritaria dell’Unione Europea con il voto al Parlamento europeo che ha revocato l’immunità parlamentare a tre euro-deputati catalani – Carles Puigdemont, Toni Comin e Clara Ponsatì.

Georges Abdallah, comunista libanese e combattente della resistenza per la Palestina libera e da sempre al fianco dei popoli oppressi, è da 37 anni detenuto in Francia e vittima di una persecuzione giudiziaria che dal 1999 gli nega costantemente la libertà condizionale alla quale avrebbe diritto. Come ricorda lo stesso Abdallah, “la giustizia è sempre giustizia di classe al servizio di una politica di classe inserita nella dinamica globale di una guerra di classe su scala nazionale e internazionale”.

Gli ideali di Georges Abdallah sono incarnati nelle lotte anticapitaliste e antimperialiste delle masse popolari, dal Maghreb al Medioriente, contro ogni forma di dominio politico, economico e sociale da parte dell’Unione Europea e contro ogni forma di regressione e di repressione da parte dei governi nazionali reazionari. Le ingerenze nella crisi politica in Libano e il sostegno economico-militare alla repressione in Tunisia e in Egitto rendono la Francia il pivot dell’aggressione imperialista dell’Unione Europea nella regione.

La liberazione immediata e incondizionata di Pablo Hasél, Dimitris Koufontinas, Georges Abdallah e di tutti i prigionieri politici e rivoluzionari è necessaria per rafforzare la solidarietà e la lotta internazionalista contro la violenta barbarie capitalista e il dominio imperialista che opprimono i popoli.

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Questo sabato, 6 marzo 2021, in occasione della giornata internazionale di solidarietà con il prigioniero politico Dimitris Koufontinas, in sciopero della fame da gennaio, e per denunciare la persecuzione criminale del potere greco contro gli attivisti incarcerati, Georges Abdallah ha fatto uno sciopero della fame in solidarietà durante tutta la giornata.

Dimitris Koufontinas è un membro dell’organizzazione rivoluzionaria greca del 17 novembre, che prende il nome dalla repressione assassina di un movimento studentesco contro la dittatura dei colonnelli.

Ricordiamo che il 13 novembre 1973, gli studenti del Politecnico di Atene avevano chiesto la caduta della dittatura dei colonnelli. Il movimento è cresciuto fino al 17 novembre, quando diverse altre università del paese sono insorte. Il regime decise allora di inviare i suoi carri armati per attaccare il movimento di protesta: la repressione lasciò circa 27 morti e diverse centinaia di feriti. Il regime cadde meno di un anno dopo.

Il movimento rivoluzionario antimperialista del 17 novembre nacque alla fine degli anni ’70 in riferimento a questi eventi e Dimitris Koufontinas fu una delle sue figure emblematiche.

Dal 2002, Dimitris Koufontinas sta scontando una condanna a vita. Dall’8 gennaio 2021, è in sciopero della fame e della sete dal 22 febbraio per chiedere il ricongiungimento familiare. Ora è in condizioni critiche.

Nel frattempo, in Spagna, un rapper comunista, antifascista e antirealista viene represso dalla monarchia e dagli eredi del franchismo per averli sfidati in alcune delle sue canzoni, per aver preso posizione contro la Costituzione del 1978 ereditata dal periodo franchista e per aver dato il suo appoggio ai prigionieri politici dello Stato spagnolo.

Pablo Hasél è stato condannato a nove mesi di prigione per tweet “insultanti” contro la monarchia e la polizia. E questo martedì, 16 febbraio 2021, il rapper catalano è stato arrestato dalla polizia catalana in una grande operazione per estrarlo dall’Università di Lleida in cui si era barricato dopo la sua condanna da parte della giustizia borghese dello stato spagnolo.

Da allora, la mobilitazione a sostegno del rapper è cresciuta in tutto lo Stato spagnolo e soprattutto in Catalogna, dove ogni notte si sono scatenate rivolte popolari per chiedere il rilascio di Pablo Hasél.

Esprimiamo la nostra piena solidarietà a Dimitris Koufontinas e Pablo Hasél e facciamo appello a manifestare pubblicamente il nostro sostegno a questi due prigionieri politici ma anche a tutti i prigionieri politici e rivoluzionari partecipando al presidio in programma per domenica 14 marzo 2021, alla stazione Menilmontant di Parigi.

Libertà per Dimitris Koufontinas!

Libertà per Pablo Hasél!

Libertà per Georges Abdallah!

Libertà per tutti i prigionieri politici e rivoluzionari!

Fanno parte delle nostre lotte! Noi siamo parte delle loro lotte!