A quasi un anno dalle rivolte nelle carceri si intensificano le iniziative di solidarietà. Invitiamo tutte le associazioni e organizzazioni di base e di classe a parteciparvi

Da Rete evasioni:

IL CARCERE È UN PROBLEMA DI TUTTE:
AFFRONTIAMOLO INSIEME!
Riceviamo e pubblichiamo da “Parenti Amiche e Solidali delle persone detenute” i prossimi appuntamenti previsti a #Roma:
Sabato 13 febbraio / ore 11.00 / via Elena Brandizzi Gianni,
saluto solidale ai e alle detenute nel #carcere di #Rebibbia
Giovedì 18 febbraio / ore 10.30 / Largo Luigi Daga 2
#presidio con battiture davanti al #DAP
Sabato 27 febbraio / ore 15.00 / faro del Gianicolo
saluto solidale ai e alle detenute nel #carcere di #ReginaCoeli
Lunedì 8 marzo/ #ministero della Giustizia, #presidio a un anno dalle #stragi nelle carceri

Overdose di carcere. L’altra verità sulle rivolte di marzo

Da Il Dubbio

«Lasciatelo morire». Un esposto arrivato a dicembre sul tavolo della procura di Ascoli Piceno solleva altri dubbi sulla gestione delle rivolte nelle carceri dello scorso marzo. La frase sarebbe stata pronunciata da una guardia carceraria del carcere di Ascoli Piceno, in risposta alle richieste di aiuto dei compagni di cella di Salvatore Piscitelli, appena trasferito dal carcere di Modena, e morto poco dopo. Come lui, altri 3 detenuti sono deceduti durante o poco dopo il trasferimento. Tutti, stando alle autopsie, “per overdose di metadone o altre sostanze”. La legge però, impone una visita medica prima di dare l’ok a ogni trasferimento. Se questi 4 detenuti stavano per andare in overdose, come è possibile che il medico di guardia li abbia fatti partire? Il podcast prova a rispondere a questa e a tante altre domande, con l’aiuto di Elia Del Borrello (tossicologo), Michelina Capato (regista teatrale e amica di una delle vittime), Luca Sebastiani (avvocato di una delle vittime), Donata Malmusi e Domenico Pennacchio (legali di due degli autori dell’esposto) e Gennarino De Fazio (segretario di UILPA polizia penitenziaria). Di Gabriele D’Angelo

Altre testimonianze di parenti dei 5 detenuti di Modena:

Si è svolto oggi a Roma, davanti l’ambasciata greca, un presidio in solidarietà con Dimitris Koufondinas e gli altri prigionieri in sciopero della fame

Di seguito il volantino diffuso:
NON C’È PIÙ TEMPO
Lo stato greco sta giocando col fuoco senza considerare quanto si scotterà nel caso in cui tutta questa storia dovesse avere uno spiacevole epilogo.
Dimitris Koufondinas, detenuto nelle carceri greche dal 2002, membro dell’organizzazione rivoluzionaria “17 Novembre”, è oggi al 28° giorno di sciopero della fame per pretendere almeno la regolarità nell’applicazione delle nuove misure del governo greco in materia di detenzione. Chiede che il trattamento – progettato scientificamente – e a lui destinato per legge, venga quantomeno rispettato.
Oggi, 3 febbraio, si trova in ospedale piantonato in condizioni di salute molto gravi. È di fatto in reale pericolo di vita.
Dimitris è un compagno che non si è mai tirato indietro.
Ha condotto nel corso della sua vita una incessante lotta contro la barbarie capitalista.
Il suo gesto, questo sciopero della fame, è un esplicito NO di fronte ai soprusi di oggi, e quelli di domani. Nei confronti di se stesso, come di tutto il corpo detenuto.
Ecco che l’atteggiamento inamovibile dello stato greco di fronte a questa legittima richiesta ha il sapore della vendetta. E la caratteristica dell’arroganza, del pensare di poter agire la ferocia in maniera indisturbata. Non è così. E non lo sarà in futuro.
Tutto torna.
In quanto a noi, non possiamo rimanere a guardare silenti mentre questa tragedia si consuma.
SOLIDARIETÀ CON DIMITRIS KOUFONDINAS e con gli altri prigionieri in sciopero della fame al suo fianco.

Coronavirus, sempre più grave la situazione nelle carceri

“Spero tutto bene, qui in carcere è un gran casino, è scoppiato un focolaio e non si ferma, la sezione dove sono io è decimata, da cinquanta detenuti siamo rimasti in venti, e speriamo bene, i contagiati non sanno più dove metterli, in tutto il reparto per ora i casi accertati sono più di 40, se sei positivo ti mettono in un reparto in stanza con altri contagiati, che possono essere fino a cinque persone in una stanza, e ti lasciano in balia di te stesso o di chi sta meno male di te, il reparto è completamente isolato, nessuno entra e nessuno esce, la tensione di noi detenuti e assistenti è molto alta, siamo tutti nervosi, preoccupati”.
Antigone: questa è una delle tante lettere che ci capita di ricevere.Testimonia di come la situazione nelle carceri sia preoccupante e come sia fondamentale da una parte proseguire con le misure deflattive e dall’altra dà il senso dell’urgenza di vaccinare detenuti e operatori.

Dalla stampa (il messaggero) del 1° febbraio:

Carceri, numeri che fanno riflettere: sono 576 i detenuti positivi al Covid, quasi un centinaio in meno in dieci giorni. Ma cresce il focolaio nel carcere romano di Rebibbia: sono 104 i detenuti positivi, di cui cinque ricoverati in ospedale e gli altri tutti asintomatici. Sostanzialmente stabili i contagi tra i poliziotti penitenziari: sono 600, a cui vanno aggiunti altri 60 dipendenti tra il personale dell’amministrazione penitenziaria, per un totale di 660. È il quadro che emerge dagli ultimi dati comunicati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ai sindacati del comparto e aggiornati alle 20 del 28 gennaio.

I detenuti contagiati sono in gran parte asintomatici (532). I ricoverati in ospedale, sono 22 e altrettanti i sintomatici curati in carcere. Significativo l’aumento di contagi a Rebibbia, che al 18 gennaio registrava 54 casi. Resta invece stabile il focolaio nel carcere Lorusso di Palermo, con 55 positivi, di cui solo 4 con sintomi. Per quanto riguarda Milano,sono in netta diminuzione i casi a Bollate e c’è un lieve calo a San Vittore. Nel primo penitenziario i positivi sono 44 (40 asintomatici e uno ricoverato in ospedale) ed erano 115 il 18 gennaio. Nel secondo, i positivi sono 52 (3 in ospedale) ed erano 59 dieci giorni fa. Dopo Roma e Milano, il maggior contagio si registra nel carcere di Vicenza, con 21 detenuti, tutti asintomatici. Anche per quanto riguarda i poliziotti penitenziari il principale focolaio è a Rebibbia, con 23 agenti contagiati, di cui 21 asintomatici. Gli altri sono a Torino(19), al Lorusso di Palermo (16 tutti asintomatici) e a Lecce (16).

[Strage nelle carceri marzo 2020] Una lettera dal carcere di Rieti

Da oltreilponte

Con il passare del tempo stanno emergendo testimonianze sempre più agghiaccianti relative a ciò che è successo nelle carceri italiane nel marzo 2020. Sebbene la gravità rappresentata dalla morte di 13 persone (il ministro Bonafede affermò come fossero morti tutti di overdose) sarebbe stata di per sé sufficiente per suscitare un moto di rabbia e indignazione nel Paese, lo Stato d’eccezione conseguente alla pandemia ha messo in secondo piano la morte di 13 uomini, evidentemente considerati poco importanti e per cui non valeva la pena di fare nemmeno una distratta interrogazione parlamentare. Anzi, la solidarietà verso i prigionieri è stata criminalizzata al punto che ad esempio un PM di Bologna ha messo in piedi per l’occasione un’assurda, ma altresì preoccupante inchiesta “antiterrorismo” contro gli anarchici bolognesi mettendo sotto accusa la loro mobilitazione solidale con i prigionieri in lotta. L’ennesima operazione di criminalizzazione del dissenso che lo stesso Pm D’Ambruoso insieme ai Carabinieri, aveva definito di carattere preventivo. Un’operazione di psicopolizia insomma.

La protesta dei detenuti al carcere di San Vittore a Milano

A 20 dai fatti del G8 di Genova e dalle torture praticate dalla polizia nella caserma di Bolzaneto ed alla scuola Diaz si conferma come all’interno dello Stato italiano esistano sempre più spazi in cui le istituzioni agiscono al di fuori ogni vincolo legale. In particolare ciò avviene nelle carceri, luogo per eccellenza in cui vige l’arbitrarietà più totale, ma anche nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE). In ogni caso militanti antagonisti, sindacalisti di base, carcerati e immigrati costituiscono gli obiettivi principali della violenza di Stato: essi rappresentano un “nemico interno” contro cui, all’interno di una cornice che garantisce impunità e protezione ai responsabili di violenze e repressione, tutto è permesso.

Dopo le rivolte del marzo 2020, nei primi mesi, il timore di subire rappresaglie da parte dell’amministrazione penitenziaria o degli stessi secondini, aveva impedito che gran parte delle testimonianze uscisse ma il passare del tempo, unito alla solidarietà dall’esterno ed al coraggio di alcuni detenuti che hanno avuto la forza di rompere il muro del silenzio e della paura, sta facendo scricchiolare il muro dell’indifferenza, e particolari sempre più agghiaccianti stanno emergendo.

Appare sempre più chiaro come i giorni dopo la rivolta la polizia penitenziaria abbia messo in atto una vera e propria rappresaglia su scala nazionale contro rivoltosi ed in generali i carcerati. Anche la puntata della trasmissione Report trasmessa il 18 gennaio 2021 su Rai3 dimostra come i familiari dei detenuti -non necessariamente coinvolti nelle rivolte- fossero al corrente fin da subito della mattanza in atto nelle carceri.

Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere così come in quello di Foggia le squadrette di secondini hanno massacrato i detenuti praticando di fatto estese forme di tortura attraverso una sistematica violenza fisica e psicologica. Ricordiamo come Matteo Salvini della Lega e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia diedero subito la propria solidarietà ai secondini indagati per i pestaggi e le torture inflitte ai detenuti; infatti furono proprio loro fra i più strenui avversari dell’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano che a loro dire “avrebbe impedito alle forze dell’ordine di lavorare”.

Un ulteriore tassello che va ad aggiungere conferme alle drammatiche vicende nelle carceri post-rivolta è costituito da una lettera anonima scritta dal carcere di Rieti nel giugno 2020 che racconta la rivolta avvenuta anche lì e la successiva vendetta dei secondini.

(La lettera è stata ripresa da Repubblica e l’articolo, di Lorenza Pleuteri, è stato pubblicato integralmente anche qui)

Ma ciò che più vi voglio raccontare sono i giorni della rivolta, il perché e i soprusi subiti. Gli amici lasciati morire e i morti, e i feriti, e di come hanno provato a piegarci anche nell’animo. Abbiamo iniziato la rivolta per la solidarietà verso gli altri detenuti e per i nostri diritti negati senza motivo o almeno senza rassicurazioni ma per una semplice imposizione di ignoranza da parte delle istituzioni e della direzione carceraria. Era il 9 marzo. Prima della chiusura abbiamo sfondato telecamere e cancelli del carcere senza toccare uno solo degli assistenti, anzi dando loro la possibilità di scappare. Abbiamo preso il controllo del carcere arrivando fino sopra l’edificio, abbiamo contrattato con le istituzioni a lungo perché ci garantissero risposte, rassicurazioni, diritti, infine abbiamo deciso, dopo diverse ore, di restituire il carcere e il controllo alle istituzioni col patto di raggiungere un intesa e che non ci fosse fatto nulla, come noi non avevamo fatto a loro fisicamente. Siamo rientrati nelle celle di nostra volontà restituendo il carcere. Alcuni di noi si sono feriti durante la rivolta, altri hanno avuto accesso a farmaci pericolosi come il metadone che era in una cassaforte nell’infermeria con le chiavi attaccate, chiavi che se fossero state tolte avrebbero salvato vite. Ma non è bastato tutto questo, nel giorno a seguire e nei mesi fino a oggi abbiamo passato e ho visto ogni genere di sopruso, abuso di potere. Per cominciare la sera stessa chi è stato male per le medicine non è stato subito portato all’ospedale e infatti i 4 morti lo sono perché dopo che noi li abbiamo consegnati ai dottori e istituzioni finché ricevessero assistenza. Hanno subito un primo soccorso e sono stati riportati a morire in una cella soli e in preda ai dolori, abbandonati come la spazzatura. Che solo il giorno successivo chi era sopravvissuto ha ricevuto assistenza ed è stato portato in ospedale, chi non ce l’ha fatta, non ce l’ha fatta perché è stato lasciato morire senza un motivo o perché forse ancora non se ne aveva uno per farlo vivere. Con la speranza di cancellare tutto, di nascondere ciò che era successo……..Comunque per noi che invece eravamo lì nei giorni a seguire non è stato facile dopo aver portato via i cadaveri il giorno successivo, trascinati come immondizia in un sacco, e ciò lo dico perché l’ho visto con i miei occhi dalla cella,sono saliti i celerini, le squadrette carcerarie. Sono entrati cella per cella, ci hanno spogliato chi più chi meno e ci hanno fatto uscire con la forza, messi divisi in delle stanze e uno alla volta passavamo per un corridoio di sbirri che ci prendevano a calci,schiaffi e manganellate; per i più sfortunati tutto ciò è durato quasi una settimana tra perquisizioni, botte, parolacce, ci dicevano “merde, testa bassa!” “vermi” e quando l’alzavi per dispetto venivi colpito ancora più forte. Ricordo che per due giorni non passò neanche da mangiare e prima di cinque non avevamo potuto contattare neanche i nostri familiari. Io stesso sono stato in una cella allagata, bagno rotto dalle perquisizioni, nella merda più totale che c’era nella cella ho dormito in una palude senza coperte o zozze e bagnate; per tutti quei giorni ho provato a gridare, lamentarmi ma o mi veniva detto: “è quello che meriti merda” o venivo picchiato dalle squadre di celerini. Sono stato fortunato perché ho visto gente trascinata fuori senza denti o svenuta per le percosse, ho urlato a chi lo faceva per prendere anche la mia parte ma fortuna e caso sono ancora qua, altri, invece, non ci sono o sono stati trasferiti lontano e i più sfortunati hanno preso altre botte all’arrivo di un altro istituto. Abbiamo subito tutti in quei giorni, alcuni meno, altri più. Ci hanno tolto o volevano toglierci la dignità, ma voglio dirvi una cosa, non ce l’hanno fatta perché anche in quei giorni ci davamo manforte, c’erano risate, c’era la voglia di alzare la testa anche se ci veniva spinta giù con la forza, di guardare anche se ci veniva detto di non farlo, non ci siamo arresi mai e siamo ancora qua con la voglia di vivere e di ridere ma con la consapevolezza e il ricordo di ciò che è stato e degli amici persi e dei torti subiti in nome della loro giustizia che giustizia non è, ad oggi ci troviamo chiusi 20 ore su 24, 2 ore alla mattina 2 dopo pranzo, non ci sono attività ricreative così biblioteca, palestra, niente. Beh ci sarebbe tanto da dire ma ho cercato di esprimere il più come potevo. Ora vi saluto e vi ringrazio…..”.

Teniamo alta l’attenzione sull’evolversi della situazione per i detenuti, costruiamo la solidarietà per Mattia Palloni, Claudio Cipriani, Ferruccio Bianco, Francesco D’Angelo e Cavazza Belmonte che hanno avuto il coraggio e la forza di denunciare i drammatici fatti accaduti nel carcere di Modena.

India: la polizia di Delhi arresta e violenta l’operaia Nodeep Kaur per aver partecipato alla lotta dei contadini

Condannare l’arresto e la violenza sessuale in detenzione di Nodeep Kaur, una attivista sindacale nella zona industriale di Kundli (Campagna contro la repressione di Stato CASR)

L’attacco a una giovane donna dalit che ha osato alzare la voce per le legittime richieste dei lavoratori è stato accolto con la barbarie più crudele e misogina degli uomini in uniforme che hanno fatto ricorso alla violenza sessuale.

Il 12 gennaio la Polizia dello Stato di Haryana ha fatto irruzione nella tendopoli del Majdoor Adhikar Sanghatan (MAS-Unione per i diritti del lavoro) eretta in solidarietà con gli agricoltori e i contadini in protesta al confine di Singhu e ha arrestato una donna dalit di 24 anni, una operaia e attivista sindacale Nodeep Kaur.

È stata quindi portata alla stazione di polizia di Kundli dove sono stati presentati contro di lei due diverse accuse ABE, FIR 25/2021 e 26/2021. Uno sotto le sezioni 148, 149, 186, 332, 352, 384, 379B e 307 del codice penale indiano e l’altro sotto le sezioni 148, 149, 323, 452, 384 e 506; una vasta gamma di accuse tra cui partecipazione a scontri brandendo arma mortale, assemblea illegale, ferite a pubblico ufficiale, aggressione e uso criminale della forza, violazione, estorsione, furto, intimidazione criminale e tentativo di omicidio. Questi FIR (formule di accuse) si basano su dichiarazioni di un ispettore di polizia e del commercialista della società che non aveva pagato lo stipendio dei lavoratori, M/S Elecmech Pvt. Ltd.

Mentre era sotto custodia della polizia, è stata brutalmente picchiata da agenti di polizia maschi, anche sui genitali che equivalevano a violenza sessuale.

Nel bel mezzo di una delle più grandi agitazioni contadine degli ultimi tempi in cui i lavoratori della zona industriale di Kundli hanno dimostrato solidarietà all’agitazione, la polizia di Haryana, dopo ripetuti sforzi per rompere questa unità, ha dimostrato la sua brutalità attraverso un’atroce violenza sessuale perpetuata contro una giovane donna dalit proveniente da una famiglia contadina senza terra nel Punjab. Nodeep Kaur è stata mandata nella prigione di Karnal dove rimane in custodia giudiziaria per due settimane. Nel frattempo, la minaccia di arresto di un maggior numero di lavoratori incombe sulla zona industriale di Kundli.

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OPERAI CONTADINI UNITI NELLA LOTTA E’ LO SLOGAN E L’ATTIVITA’ CONCRETA CHE HA PORTATO LA POLIZIA E GLI SCAGNOZZI DEI PADRONI INDUSTRIALI E LATIFONDISTI A SCATENARSI CONTRO QUESTA UNIONE.