Sui presidi sotto il carcere di Reggio Emilia e Piacenza del 7 febbraio, una corrispondenza

Dopo i presidi sotto le carceri di Parma, Ferrara e Ancona, nella tarda mattinata di domenica 7 febbraio un’ottantina di persone si sono date appuntamento sul retro del carcere di Reggio Emilia, sistemando l’impianto di amplificazione di fronte alle celle che si affacciano sul prato. Fin da subito i detenuti si sono sbracciati tra le grate sventolando bandiere e magliette, hanno gridato saluti e urlato. Il primo intervento ha comunicato loro solidarietà con chi si è rivoltato di fronte al contagio Covid-19 nel marzo scorso e contro la decisione del governo di sospendere i colloqui. Si è parlato delle verità che stanno emergendo rispetto alle rivolte scoppiate nel marzo scorso in decine di carceri italiane e della responsabilità della polizia penitenziaria e delle forze dell’ordine armate che hanno aperto il fuoco e violentemente picchiato i detenuti, fino a farne morire 14. Si è ricordato che a Reggio Emilia è stato trasferito Ferruccio, uno dei 5 detenuti che con un esposto alla Procura di Ancona hanno raccontato cosa è realmente accaduto l’8 marzo scorso nel carcere di Modena e la verità su Salvatore Piscitelli, brutalmente picchiato e poi lasciato morire dopo il trasferimento nel carcere di Ascoli Piceno. Parte dei partecipanti al presidio si è spostata verso un altro blocco per raggiungere altri detenuti con urla e saluti, e anche qui la risposta da “dentro” è stata immediata e particolarmente rumorosa. Si sono susseguiti interventi e canzoni, dediche e racconti delle proteste che tutt’ora ci sono in diverse carceri. Dopo circa 2 ore in compagnia dei detenuti, sempre affacciati alle finestre e che intonavano cori di libertà e urla di ringraziamento per questa iniziativa, un ultimo intervento ha ricordato come chi resiste e lotta non è mai solo, anche se i muri delle prigioni sono alti e l’isolamento un forte ostacolo. Lo scoppio di prolungati fuochi d’artificio ha accompagnato i saluti finali.
Ci si è quindi spostati sotto il carcere di Piacenza, dove nel primo pomeriggio era in programma un altro presidio. Ad attendere i solidali c’erano già una quindicina di sbirri in antisommossa schierati lungo l’unica stradina per avvicinarsi al carcere. Anche qui i presenti si sono divisi per raggiungere più lati della struttura penitenziaria e gli sbirri sono retrocessi nel tentativo tanto goffo quanto inutile di fermarli. Si è quindi montato l’impianto di amplificazione davanti le celle della sezione maschile e della sezione AS femminile che però è piano terra e rimane quindi invisibile da fuori, coperta alla vista da un alto muro.
Durante il presidio arriva la notizia di una macchina, con dentro 2 compagne e 2 compagni, fermata mentre tentava di raggiungere il presidio.
Un intervento iniziale ha raccontato l’appuntamento della mattina e i presidi del fine settimana precedente e ha salutato Cavazza e tutti i detenuti e le detenute. Si sono susseguiti interventi e musica, si è raccontato quello che sta accadendo nelle altre carceri e si è ribadito l’appoggio e la solidarietà verso i detenuti che non abbassano la testa. Dopo poco si sono iniziate a sentire urla e saluti di risposta da dentro e si è provato a comunicare anche con Natascia, compagna detenuta in Alta Sicurezza, sperando che il caloroso saluto riuscisse a raggiungere lei e le sue compagne di detenzione. Dopo un paio d’ore, ricompattatisi i gruppetti che avevano fatto il giro del perimetro penitenziario e fatti i saluti finali, accompagnati anche qui da rumorosi fuochi d’artificio, ci si è mossi tutti insieme alla volta della caserma dei carabinieri dove, da ormai più di due ore, si trovavano i compagni fermati nel pomeriggio, ufficialmente in attesa di notifiche. Un nuovo presidio, questa volta fuori programma, si è svolto quindi in città, sotto le finestre della caserma in questione. E sono bastati una ventina di minuti di urla e battiture per richiedere il pronto rilascio dei compagni, a convincere i carabinieri a muovere il culo e accelerare le procedure di notifiche. Usciti i fermati, con una multa per essersi spostati al di fuori della propria regione, anche l’ultimo presidio si è sciolto concludendo così questa giornata di mobilitazione.

Al fianco di Mattia, Claudio, Cavazza, Ferruccio e Francesco, al fianco di chi è detenuto.

SECONDA PROPOSTA DI BATTITURA DELLE DETENUTE DI TRIESTE LUNEDI’ 15 FEBBRAIO ORE 15.30

Lunedì 1 Febbraio, le detenute del Coroneo di Trieste, insieme ai solidali presenti sotto le mura del carcere, hanno portato avanti una battitura di poco più di un’ora. Da dentro il grido di indulto e libertà si sentiva chiaro anche nel mezzo del frastuono di pentole e arnesi. La presenza dei giornalisti era massiccia, così come richiesto dalle detenute al fine di far conoscere la loro lotta. Ma la stampa ufficiale, a quanto  pare, non può rinunciare a “formare le opinioni”, in modo funzionale al potere vigente, piuttosto che informare. Infatti il giorno dopo sul giornale locale Il Piccolo si leggevano frasi come questa: “La ventina abbondante di detenute oggi nelle celle del Coroneo, forse anche per un informazione sul tema non sufficiente all’interno dell’istituto, tenendo conto che molti dei reclusi sono anche stranieri, mostrano infatti diffidenza nei confronti del vaccini”.

Queste quattro righe riassumono bene i preconcetti che lo Stato vuole mantenere saldi attraverso la lettura della sua stampa.

Reclusi e anche stranieri ? Ben due colpe in una!! Non solo “criminali” anche stranieri!! In quanto stranieri non dovrebbero capire a cosa serve o cos’è un vaccino? Sta di fatto che, al di là delle ignoranti e razziste dichiarazioni della giornalista de Il Piccolo, le detenute che ci hanno manifestato la loro contrarietà al ricatto dei vaccini e la rivendicazione di maggior tutela sanitaria, sono chiaramente nostre compaesane o quanto meno dei dintorni. Qui non si pone un problema di nazionalità ma di autodeterminazione sul proprio corpo. I loro dubbi e la loro contrarietà al vaccino e all’essere di fatto obbligate ad assumerlo in quanto detenute, evidenziano due problematiche: la prima è l’efficacia reale e la possibile nocività del vaccino – aspetto questo che ci coinvolge tutti anche fuori – la seconda è l’obbligo per i detenuti di vaccinarsi. Basta guardare al curriculum criminale della multinazionale Pfizer e ai dubbi che un vaccino di tipo genico legittimamente pone, per capire che forse le detenute sono più informate di quanto lo Stato vorrebbe!

Il rumore e i disordini che da ormai quasi un anno prendono vita nelle carceri italiane trovano questa risposta da parte dello Stato: “Ora siete vaccinati, non potete più chiedere sanità, indulto o libertà, ora il carcere è sicuro”. Ma la questione della pandemia è solo la punta dell’iceberg di una condizione carceraria sempre più pesante.

Le detenute parlano di 150 detenuti su circa 187 risultati negli ultimi mesi positivi al covid, momento di massimo livello di contagi all’interno del carcere, tanto da  costringere la direzione a non far più entrare nuovi detenuti, trasferendoli in altre carceri della regione.

Le detenute della sezione femminile per  due settimane non potevano fare lavatrici, non ricevevano la posta, nessuna visita medica, e per curare il covid c’erano solo psicofarmaci e tachipirina. Sostanze usate solitamente per ogni male quando si è detenuti.

Dopo un mese la situazione non è cambiata di molto, i contagi sono diminuiti in maniera evidente, ma nonostante ciò nessun medico o psicologo si presenta nel carcere da 4 mesi. Le detenute lamentano l’impossibilità – a causa delle regole per evitare il contagio, in qualsiasi caso inattuabili all’interno della struttura – di fare socialità o poter intrattenere altri tipi di attività. Per questo motivo il consumo della cosiddetta “terapia psichiatrica’’ all’interno della sezione è aumentato.

Visto tutto questo, le detenute chiedono di avere esami del sangue sierologici e tamponi piuttosto che esser vaccinate, chiedono i domiciliari per chi ha il residuo di pena e l’indulto!

Le detenute del Coroneo vogliono continuare a ribellarsi ad un carcere che oggi più che mai non ti dà che la sicurezza di ammalarti o di morire. Un carcere in cui la sanità è cosa sconosciuta, e in cui sicuramente non si può affrontare una pandemia!

Per tutto ciò ripropongono una battitura lunedì 15 febbraio alle 15.30. Noi saremo di nuovo fuori dal carcere  di Trieste, in via Coroneo, a sostenerle.

Assemblea permanente contro il carcere e la repressione 

liberetutti@autistiche.org