Riceviamo e volentieri pubblichiamo dalla Banda Popolare dell’Emilia Rossa:
Ciao a tutte e tutti
Riceviamo e volentieri pubblichiamo dalla Banda Popolare dell’Emilia Rossa:
Ciao a tutte e tutti
Giovedì 21 gennaio, dalle ore 9, saremo in presidio sotto il Tribunale di Torino, per la sentenza di chiusura del Maxi Processo No Tav.
Dopo anni di udienze, si arriva dunque alla conclusione di questo lungo procedimento giudiziario che ha visto imputati diversi no tav.
Saremo insieme per portare agli imputati tutto il nostro sostegno!
Forza No Tav!
(Ricordiamo a tutte e tutti che nei giorni scorsi è stata fatta comunicazione dell’iniziativa, pertanto sarà possibile raggiungere il presidio da tutto il territorio piemontese. Non dimenticate di portare con voi il modulo di autocertificazione correttamente compilato!)
Da notav.info
Ma come sono state rese note queste informazioni dà ancora più luce sul carcere italiano: cioè a partire dalla denuncia per aggressione e resistenza effettuata proprio nei confronti di uno dei detenuti pestati.
Come succede fin troppo spesso (sia dentro che fuori dalle galere) chi subisce soprusi da parte dello stato e dei suoi scagnozzi si ritrova poi a dovere anche pagare conseguenze legali, una procedura che descrive bene uno stato arrogante ed omicida sempre disposto ad autoassolversi.
Ci richiama alle recenti torture avvenute nel carcere di San Gimignano dove media e politici si sono lanciati a difendere i 15 secondini che hanno prestato brutalmente un detenuto.
Ci richiama a Paska, compagno denunciato in seguito a un pestaggio avvenuto durante un trasferimento.
Ci lascia capire di quanta impunità le forze della repressione ritengano di dover godere in questo sistema, impunità che fa sì che si possa entrare sulle nostre gambe all’interno di una questura o di una galera per uscirne dentro una bara.
Vogliamo rimarcare che i pestaggi, a S. Gimignano come a Sollicciano, rappresentano la ordinaria sanzione, da parte delle guardie, di una insubordinazione rispetto all’ordine costituito.
Che il carcere sia un mezzo utilizzato dallo stato per spaventare chi è fuori e annientare chi è dentro è una verità concreta.
Che sopraffazione e costrizione siano la struttura portante della galera e della società contro chiunque provi a ribellarsi e rifiuti di collaborare rimane una verità contro la quale è necessario lottare.
Lo faremo in solidarietà con tutt@ i compagn@ che si ritrovano prigionieri o sotto processo per le lotte contro questo stato che violenta, tortura e uccide ogni giorno attraverso i suoi servi.
Lo faremo perché riteniamo che la lotta contro le carceri, dentro e fuori le mura, sia un tassello fondamentale della rivolta contro l’esistente, contro questo stato che ci vuole collaboratori e servi.
Che la solidarietà resti sempre la nostra migliore arma.
Perché saremo tutt* meno liber* finché resterà in piedi una prigione!
Presidio sabato 23 gennaio ore 15 al carcere di Sollicciano
Cpa fi-sud
Cantiere Sociale Camilo Cienfuegos
Collettivo Politico Scienze Politiche
Collettivo Krisis
Rete dei Collettivi Fiorentini
ACAD onlus
PerUnAltraCittà
Rete Antirazzista Fiorentina
Collettivo di Unità Anticapitalista di Firenze
Rifondazione Comunista Firenze
Movimento di lotta per la casa di Firenze
Rete Antisfratto Fiorentina
La puntata di Report:
L’inchiesta di Iovene trasmessa su Report di lunedì scorso merita di esser vista perché ha mostrato, con testimonianze vive e concrete di detenuti e familiari, uno spaccato reale della situazione nelle carceri italiane per troppo tempo censurato o giustificato dai media, per non parlare della raiTV.
Per chi non riuscisse a vederla sul sito di raiplay, qui una trascrizione della trasmissione
Rispetto a quanto emerso sinora dalle denunce e dalle indagini in corso ha aggiunto poco, ma quel poco che ha aggiunto è da vedere e da sentire: il sangue dei detenuti di Modena schizzato sulla polizia penitenziaria, l’attesa delle familiari dei detenuti fuori dal carcere nella vana speranza che venissero soccorsi, 6 ore di urla, di agenti imbrattati di sangue che affermavano, davanti alle parenti, che non si erano mai divertiti tanto nel picchiare i ragazzi. E poi i carri funebri che uscivano dal carcere e poi niente. Per mesi più niente. Detenuti che non avevano partecipato alla rivolta ugualmente pestati a sangue e trasferiti, picchiati anche durante e dopo il trasferimento, ogni giorno per 3 mesi. Per mesi non hanno potuto neanche telefonare a un avvocato, per mesi tenuti senza potersi lavare, senza coperte e senza potersi cambiare i vestiti, picchiati ogni giorno, 3 volte al giorno, le guardie carcerarie entravano nelle celle con secchiate di acqua fredda e giù botte ecc.
Di nuovo ha aggiunto la risposta imbarazzata del magistrato di sorveglianza di S.M.Capua Vetere, che di fronte alla domanda di Iovene sulla violenza delle guardie nel carcere di S.M.C.V. ha detto: “è inquietante, così come è inquietante il fatto che rischierei un provvedimento disciplinare se rispondessi alle vostre domande”
Purtroppo le conclusioni del servizio e le pessime chiose di Ranucci hanno sporcato un’inchiesta onesta e ben fatta.
Si dice che c’è il sovraffollamento e si propone di ridurlo costruendo altre carceri, magari più umane, con maggiori sostegni alla polizia penitenziaria; rispetto all’indulto o all’amnistia, richiesti a gran voce da detenuti, parenti e garanti, vengono considerati alla stregua del fallimento dello Stato che non ha saputo adeguare negli anni le carceri a una crescente popolazione detenuta; rispetto a quest’ultima si mette poi in un indistinto calderone criminali, immigrati, uomini maltrattanti, tossicodipendenti e poveri, senza dire che in Italia, dagli anni ’70 ad oggi, i reati sono diminuiti a dismisura, e a dismisura sono cresciute le occasioni per delinquere, ossia la povertà e la mancanza di opportunità lavorative.
Ma in queste pessime conclusioni Ranucci offre anche lo spunto per un ulteriore inchiesta, quando parla dei 700 milioni di euro stanziati con il piano Alfano per costruire nuove carceri, sui cui appalti avevano già messo gli occhi addosso certi costruttori (Ligresti e Caltagirone): a chi giova costruire altre carceri?
Soccorso rosso proletario
Domani su Rai3 alle 21.20: il servizio di Report sulle carceri. Cosa è successo a marzo? Tante le testimonianze raccolte da Bernardo Iovene a Modena, Opera, Rebibbia, San Gimignano, Napoli dai familiari che nell’ ultimo anno hanno dato vita ad una mobilitazione incessante per denunciare le condizioni estreme di disagio e paura dei detenuti.
Contagi nelle carceri fuori controllo, ma per il governo è sufficiente chiudere detenuti e detenute, positivi e negativi insieme, 24h al giorno, senza ora d’aria, senza colloqui, senza attività, senza vaccinazione. La vaccinazione, in carcere, è ritenuta prioritaria solo per le forze dell’ordine, tanto che è in corso una petizione on line, lanciata dalla onlus “La società della ragione”, per chiedere al Ministro della Salute e al Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 che anche le persone detenute e gli altri operatori penitenziari siano inseriti tra le categorie prioritarie nella vaccinazione contro il Covid 19.
Una petizione che ancora adesso stenta a crescere e che comunque non risolve il problema del sovraffollamento.
Come riporta un articolo su “Domani”, che riprendiamo sotto, La settimana tra l’11 e il 16 gennaio ha visto un’impennata di casi da Covid-19 nelle carceri italiane in particolare nei penitenziari milanesi dove i detenuti positivi sono cresciuti di oltre il triplo, mentre in tutta l’Italia sono aumentati del 25 per cento.
La settimana tra l’11 e il 16 gennaio ha visto un’impennata di casi da Covid-19 nelle carceri italiane in particolare nei penitenziari milanesi dove i detenuti positivi sono cresciuti di oltre il triplo, mentre in tutta l’Italia sono aumentati del 25 per cento.
A comunicare la notizia è il Dipartimento amministrazione penitenziaria nell’ultimo bollettino con i dati riservati ai sindacati della polizia penitenziaria e aggiornati al 14 gennaio. Per quanto riguarda i casi nelle carceri milanesi i dati sono allarmanti: i casi a Bollate erano 36 il 7 gennaio e ora sono saliti a 109, a cui va aggiunto un altro detenuto ricoverato in ospedale. A San Vittore invece i casi sono passati da 17 a 59. In tutte le carceri della Lombardia i casi di Covid 19 sono 228, quasi un terzo di quelli nazionali.
L’impennata delle carceri milanesi ha una chiara causa, secondo Francesco Maisto, garante delle persone private della libertà personale del comune di Milano. «I dati a cui assistiamo oggi sono dovuti a un sovraffollamento che è diffuso in tutta Italia, ma soprattutto in Lombardia e che rende di fatto praticamente impossibile il distanziamento sociale» :spiega il garante secondo cui per porre fine alla catena dei contagi nei penitenziari milanesi bisognerebbe «fare una scrematura dei detenuti da destinare a soluzioni alternative al carcere». Quella del carcere «isolato dal mondo» è una leggenda metropolitana secondo Maisto che nota come il Covid-19 sia arrivato fino ai detenuti posti al 41 bis nel carcere di Opera. L’aumento dei positivi non è un problema solo per i detenuti visto che che come racconta Maisto: «Anche due agenti penitenziari sono morti dopo avere contratto il virus. Si tratta di un dato molto alto se confrontato con le altre regioni».
In tutto il paese, i detenuti positivi sono 718 di cui 681 sono asintomatici, 11 presentano sintomi e 26 sono stati ricoverati. Il 7 gennaio erano 556. Il Lazio è la seconda regione per numero di contagi, quasi tutti concentrati nei penitenziari romani. A Rebibbia sono 54 i positivi (altri quattro detenuti sono ricoverati in ospedale) e 35 i contagiati a Regina Coeli. Sessanta i casi in Veneto di cui 37 a Vicenza e 23 a Venezia. Gli altri focolai di maggiore entità sono a Sulmona che conta 53 detenuti positivo mentre a Napoli sono quaranta i detenuti contagiati nel carcere di Secondigliano. Lo stesso numero è registrato a Palermo nel penitenziario di Lorusso. In tutta Italia i poliziotti penitenziari contagiati sono 640 che sommati ai positivi tra il personale portano a 701 il totale dei positivi nell’amministrazione penitenziaria.
I dati sugli ultimi contagi in carcere solo solo uno dei problemi legati all’emergenza Covid-19. Domani ha raccontato come il Natale dei detenuti sia stato particolarmente duro a causa delle restrizioni imposte per evitare la crescita di contagi e dell’impossibilità di svolgere le normali attività. Una situazione che, come raccontato da una psicologa di San Vittore, «nei casi più gravi ha portato le persone in cella a tagliarsi o commettere atti di autolesionismo».
Da il Riformista
Il primo dell’anno ci siamo svegliati con un focolaio da Covid 19 nel reparto G12 di alta sicurezza. Nel momento in cui scriviamo la situazione è di 36 persone contagiate su 117 presenti nel reparto che è suddiviso in tre sezioni. In una sola sezione, i contagiati sono 29 su 40, mentre altri 7 sono nelle altre due sezioni. Dei 36 contagiati, 31 sono stati isolati nel reparto G9 destinato al Covid, gli altri 5 sono stati ricoverati in ospedale e non sappiamo le loro effettive condizioni di salute.
Le misure adottate nei confronti di chi non è stato contagiato sono stringenti. Tutte le attività sono state chiuse. Non entrano volontari, professori universitari o tutor, anche le funzioni religiose sono sospese. Praticamente siamo tutti in isolamento, chiusi in cella 24 ore su 24, usciamo solo per telefonare ai nostri cari e per la doccia.
La spazzatura prodotta nelle celle viene ritirata in appositi contenitori monouso per rifiuti sanitari speciali, mentre i cartoni e le plastiche di imballaggio della spesa acquistata e distribuita vengono prima sanificati sui carrelli e poi portati fuori dal reparto.
Siamo ansiosi, stressati, preoccupati e in apprensione non solo per le sorti dei nostri compagni contagiati. L’ansia aumenta a ogni tampone perché si teme che altri di noi possano risultare positivi.
In questa situazione di emergenza, la Direttrice Rosella Santoro ha subito attivato un dialogo con noi. Le abbiamo dato i nomi delle persone che a causa delle patologie conclamate, dell’età e, soprattutto, del focolaio in corso avrebbero bisogno di una sospensione della pena. Consapevole delle nostre preoccupazioni e di quelle delle nostre famiglie, la direzione ha aumentato le telefonate e le ha autorizzate anche nei giorni festivi, nei quali non venivano effettuate. Anche gli agenti di custodia hanno mostrato professionalità e attenzione alla situazione nella quale siamo tutti coinvolti. Un plauso va dato agli infermieri.
Abbiamo inviato una missiva al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiedendogli di intraprendere una politica che riconsideri le cose da fare, anche per il carcere. Lo abbiamo ringraziato per aver ricevuto Rita Bernardini, dal 7 gennaio di nuovo in sciopero della fame, e per la visita fatta a Regina Coeli. Tuttavia, la sua affermazione “per le carceri è tutto sotto controllo” per noi ha avuto il sapore dell’abbandono politico.
Prima del focolaio a Rebibbia, abbiamo inviato un reclamo – ai sensi dell’art. 35 dell’Ordinamento penitenziario – al Presidente della Repubblica, dal quale emerge chiaro un quadro delle preoccupazioni e degli interventi mancati nelle carceri della Repubblica da qualche decennio a questa parte. Avevamo fatto riferimento a un peggioramento della situazione che nella nostra struttura penitenziaria si è puntualmente verificato. All’evidente abbandono politico delle carceri dobbiamo registrare anche l’abbandono della Costituzione. Infatti, a oggi, nessun provvedimento serio di decongestionamento è stato preso da Governo e Parlamento.
Ancora ad oggi non si è capita l’importanza dei laboratori “Spes contra spem” nelle carceri. Finalizzati al dialogo, alla nonviolenza e quindi alla consapevolezza di dover la persona assumere un comportamento responsabile, hanno contribuito a stemperare le tensioni alimentate dalla pandemia.
Noi che abbiamo fatto l’esperienza dei Laboratori di Nessuno tocchi Caino e la formazione giuridica e umanistica alle spalle, abbiamo aiutato diverse persone a preparare e inviare istanze di differimento pena, arresti o detenzione domiciliari. Siamo rimasti sbigottiti leggendo le motivazioni di rigetto delle istanze della prima ondata da Covid 19 che riguardavano persone allora non contagiate ma che ora lo sono. Mancano i riferimenti medico-scientifici e si paragona il carcere a qualunque altro luogo della società. Di chi è adesso la responsabilità se una delle persone a cui era stata rigettata l’istanza dovesse morire?
Siamo resilienti in questa caverna di Rebibbia dove stiamo lottando contro questa pandemia e sperando che tutto presta finisca. Però, resta incomprensibile il silenzio del servizio pubblico sul focolaio scoppiato a Rebibbia. Evidentemente, la vita delle persone detenute in questa valle di lacrime vale meno di quelle libere.
* Detenuti nel carcere di Rebibbia