Sull’inchiesta di Report sulle carceri e il massacro dei detenuti dopo la rivolta – Una nota di srp

La puntata di Report:

L’inchiesta di Iovene trasmessa su Report di lunedì scorso merita di esser vista perché ha mostrato, con testimonianze vive e concrete di detenuti e familiari, uno spaccato reale della situazione nelle carceri italiane per troppo tempo censurato o giustificato dai media, per non parlare della raiTV.

Per chi non riuscisse a vederla sul sito di raiplay, qui una trascrizione della trasmissione

Rispetto a quanto emerso sinora dalle denunce e dalle indagini in corso ha aggiunto poco, ma quel poco che ha aggiunto è da vedere e da sentire: il sangue dei detenuti di Modena schizzato sulla polizia penitenziaria, l’attesa delle familiari dei detenuti fuori dal carcere nella vana speranza che venissero soccorsi, 6 ore di urla, di agenti imbrattati di sangue che affermavano, davanti alle parenti, che non si erano mai divertiti tanto nel picchiare i ragazzi. E poi i carri funebri che uscivano dal carcere e poi niente. Per mesi più niente. Detenuti che non avevano partecipato alla rivolta ugualmente pestati a sangue e trasferiti, picchiati anche durante e dopo il trasferimento, ogni giorno per 3 mesi. Per mesi non hanno potuto neanche telefonare a un avvocato, per mesi tenuti senza potersi lavare, senza coperte e senza potersi cambiare i vestiti, picchiati ogni giorno, 3 volte al giorno, le guardie carcerarie entravano nelle celle con secchiate di acqua fredda e giù botte ecc.

Di nuovo ha aggiunto la risposta imbarazzata del magistrato di sorveglianza di S.M.Capua Vetere, che di fronte alla domanda di Iovene sulla violenza delle guardie nel carcere di S.M.C.V. ha detto: “è inquietante, così come è inquietante il fatto che rischierei un provvedimento disciplinare se rispondessi alle vostre domande”

Purtroppo le conclusioni del servizio e le pessime chiose di Ranucci hanno sporcato un’inchiesta onesta e ben fatta.

Si dice che c’è il sovraffollamento e si propone di ridurlo costruendo altre carceri, magari più umane, con maggiori sostegni alla polizia penitenziaria; rispetto all’indulto o all’amnistia, richiesti a gran voce da detenuti, parenti e garanti, vengono considerati alla stregua del fallimento dello Stato che non ha saputo adeguare negli anni le carceri a una crescente popolazione detenuta; rispetto a quest’ultima si mette poi in un indistinto calderone criminali, immigrati, uomini maltrattanti, tossicodipendenti e poveri, senza dire che in Italia, dagli anni ’70 ad oggi, i reati sono diminuiti a dismisura, e a dismisura sono cresciute le occasioni per delinquere, ossia la povertà e la mancanza di opportunità lavorative.

Ma in queste pessime conclusioni Ranucci offre anche lo spunto per un ulteriore inchiesta, quando parla dei 700 milioni di euro stanziati con il piano Alfano per costruire nuove carceri, sui cui appalti avevano già messo gli occhi addosso certi costruttori (Ligresti e Caltagirone): a chi giova costruire altre carceri?

Soccorso rosso proletario