Coronavirus, è allarme nelle carceri: positivi 145 detenuti e 199 tra poliziotti e funzionari. Amnistia/indulto subito!

Netto aumento di casi di Coronavirus nelle carceri italiane. Gli ultimi dati forniti dall’Amministrazione Penitenziaria parlano di 145 detenuti/e e 173 tra poliziotti penitenziari, funzionari e operatori.

Particolarmente allarmante la situazione al carcere di Terni, dove, secondo il Sarap, il Sindacato autonomo ruolo agenti penitenziaria, i contagiati sarebbero 22 e  dove, dal 19 ottobre, è stato annunciato lo “sciopero del carrello” da parte dei compagni anarchici prigionieri.

Da ternitoday

Covid in carcere, “Sabbione è una bomba a orologeria”: decine di contagiati, c’è anche un agente della penitenziaria”

Il Sarap, Sindacato autonomo ruolo agenti penitenziaria, parla di “lazzaretto”. Claudio Cipollini Macrì, garante autonomo dei detenuti, invoca l’articolo 32 della Costituzione, quello che ribadisce come “fondamentale” il “diritto alla salute” dei cittadini.

Sullo sfondo ci sono le sbarre del carcere di vocabolo Sabbione di Terni, contaminate dal Covid19. Secondo il Sarap i contagiati nella casa circondariale sarebbero 22. “Radio carcere” rilancia stime ancora più alte: 40 positivi, piegati sotto la spada di Damocle che attende l’esito di circa duecento tamponi che potrebbero portare la situazione sull’orlo del baratro. “Una bomba ad orologeria”, dice il segretario nazionale del Sarap, Roberto Esposito.

“Il Sarap – aggiunge Esposito – ritiene che quella di Terni è una realtà che andrebbe gestita in maniera totalmente differente da come invece avviene oggi. Riteniamo necessario che le ubicazioni dei detenuti per motivi sanitari vanno ponderate ulteriormente dal responsabile della sicurezza dell’istituto di Sabbione, considerando che oggi all’interno il virus stia circolando pesantemente. Questo riverbera il discusso Modus operandi della dirigenza del carcere di Terni, compromettendo anche la salute del personale di polizia penitenziaria, costretto a lavorare all’interno di sezioni detentive dove sono assegnati solo detenuti affetti da Covid19”. E infatti, tra gli agenti si registra un caso di contagio. Che potrebbe non essere né l’ulimo né – tantomeno – l’unico.

Le voci che rimbalzano invece tra i famigliari dei detenuti – sottoposti ad un “isolamento” forzato dallo scorso mese di marzo, per cui non possono incontrare né parenti né legali – sono ancora più fosche. “È una situazione surreale – dice la moglie di un detenuto – per cui le persone non sono state neanche visitate e vengono tenute in isolamento in celle piene di umidità”.

Il Sarap chiede “agli organi competenti” di “prendere in gestione l’istituto ternano visto il numero elevato di infetti rilevati e di disporre tamponi a tutto il personale che quotidianamente entra in contatto con soggetti già risultati positivi, cercando di riportare il giusto equilibrio tra gestione dell’istituto e gestione del personale, cosa che oggi è compromessa. “In tali circostanze di emergenza non si deve dimostrare a tutti i costi, anche con la mancanza di giuste regole, di poter gestire una situazione così delicata senza chiedere l’aiuto di alcuna istituzione a discapito e negando la dovuta sicurezza al lavoratore, e mostrando l’assoluta assenza di attenzione nei confronti di chi ogni giorno è in prima linea”.

Cipollini Macrì pone invece l’accento sulla condizione dei detenuti, rilevando che non si tratta soltanto di un problema legato alla salute fisica di chi si trova dietro le sbarre. Un periodo così lungo di isolamento, dettato dalle norme anti COvid19, rischia infatti di innescare reazioni pericolose anche sulla “tenuta psicologica” dei detenuti. Tanto più che il focolaio Covid19 sta interessando la sezione ad alta sorveglianza di Sabbione, la stessa dove dal 19 ottobre è stato annunciato lo “sciopero del carrello” da parte di quei detenuti più vicini al movimento anarchico. Una dose doppia di benzina su una fiaccola che rischia di diventare un grosso incendio.  “

Roma, detenuta trascinata nuda e nell’acqua fredda: due agenti sospesi dal servizio a Rebibbia

Sono accusati di falso e abuso di autorità due agenti della polizia penitenziaria ai quali ieri è stata notificata un’ordinanza che li sospende per un anno dal servizio.

E’ una storia di omissioni, falsi e violenza quella che si è consumata a luglio dello scorso anno nella casa circondariale femminile di Rebibbia. Due agenti, una sovrintendente e un assistente capo coordinatore in servizio nell’istituto, sono accusati di falso ideologico e di abuso di autorità contro arrestati o detenuti. Secondo l’accusa i due, come documentato anche dal sistema delle telecamere per la sorveglianza interna, hanno fatto uso della forza nei confronti di una detenuta, E poi, per coprire l’accaduto hanno fatto una relazione di servizio in cui attestavano che la detenuta aveva aggredita la poliziotta, cosa che, però, non è mai avvenuta.

Non risulta che la detenuta stesse tenendo un comportamento aggressivo che abbia reso necessario l’intervento di un agente di sesso maschile, né dai filmati risultano situazioni che rendessero necessario l’uso della forza per lo spostamento della detenuta, come sostenuto dagli indagati nell’interrogatorio” si legge nell’ordinanza firmata dal gip Mara Mattioli.

La donna, con problemi psichici, è stata “trascinata di peso a terra con la forza in un’altra cella” dove tra l’altro non era in funzione la telecamera. “Il trascinamento di peso della detenuta, nuda e sull’acqua fredda, non è stato posto in essere per salvaguardare l’incolumità della stessa (avendo la detenuta già da un pò cessato le intemperanze) apparendo invece chiaramente motivato da stizza e rabbia per i danni causati dalla donna” si legge ancora.

La detenuta, secondo quanto ricostruito, aveva danneggiato un termosifone in seguito al diniego di una sigaretta. “Nella relazione di servizio risulta omesso quanto accaduto” sottolinea però il gip: l’agente di sesso maschile, alla presenza di altre 5 agenti donne, “entra nella stanza n.3 e ne esce tenendo ferma la nuca della detenuta che in quel momento appare collaborativa ed è completamente nuda, la accompagna all’interno della stanza n.1 resa nuovamente agibile.

Circostanza questa che doverosamente doveva essere riportata nell’atto trattandosi di un eccezionale intervento di personale di sesso maschile non autorizzato, peraltro su detenuta completamente nuda e che, come si vede dai filmati, mostra particolare soggezione e tenta di coprire le parti intime”.

“Inoltre la telecamera esterna alle ore 2.01 del 22/7/2020 riprende nuovamente l’agente entrare nella stanza n.1 ove è rimasta la detenuta ed uscirne circa 24 secondi dopo. Di questo accesso non vi è traccia nei verbali né – dai filmati – si capisce sulla base di quale necessità un agente di sesso maschile sia intervenuto da solo presso la cella della detenuta (peraltro ancora completamente nuda)”. Su questo, la vittima ha riferito che l’agente della penitenziaria le “avrebbe intimato il silenzio su quanto avvenuto, consegnandole una sigaretta e minacciandola che qualora avesse parlato le violenze si sarebbero ripetute”.

Tutti gli elementi in mano agli inquirenti, dichiarazioni degli indagati, della detenuta e i video di sorveglianza, per il gip “appaiono indicativi circa il fatto che gli indagati abbiano agito concordemente per il medesimo fine, ossia per coprire gli abusi compiuti quella notte attraverso l’intervento del tutto ingiustificato dell’agente sulla detenuta”.

Scritto di Natascia, dal carcere di Piacenza, in sciopero della fame dal 24 ottobre

Un anno, due mesi e 24 giorni.

E’ il tempo che è trascorso dal mio arrivo a Piacenza, tempo pieno di vuoto, tempo speso ad addomesticare tutti i propri sensi, nella sperimentazione di un’autodisciplina che permetta di trasformare alchemicamente lo spreco di una vita in esperienza formativa. Non ho mai cercato il conflitto, nonostante la quotidianità, qui, sia la riproposizione costante di occasioni di scontro; ove abbia opposto le mie ragioni a questo sistema di neutralizzazione dell’individuo, ho cercato di farlo con “educazione”, nel forzato rispetto dei ruoli, tentando di fare mie, o se non altro mie armi, quelle stesse illogiche dinamiche che i carcerieri issano a propria bandiera: regole, diritti, doveri, protocolli. E non lo dico certo per farmene un vanto, tutt’altro: ma l’esperienza umana, in galera, è talmente distante da un qualsivoglia buon senso, senso comune, o semplicemente senso qualsiasi, che bisogna giocare la partita anche sapendo bene che è truccata. E ciò nonostante è stato inevitabile, con il solo riaffermare e preservare la mia dignità, il crearsi di un rapporto di manifesta inimicizia con alcuni graduati e dirigenti di questa prigione, senza stupore e senza sforzo, per gli stessi ruoli assegnatici dalla natura e i posti a sedere assegnatici dalla vita e dalle scelte personali. E dunque la solerzia di alcune guardie particolarmente comprese nel proprio ruolo, calorosamente spalleggiate dalla comandante dell’istituto, ha fatto sì che i contenuti della mia corrispondenza privata, anche scaduto il primo provvedimento di censura nel dicembre 2019, privati non fossero mai, in barba a ciò che dice il codice penale. Particolare dispetto suscitavano immagini iconiche e A cerchiate, a riprova della profondità d’analisi che caratterizza il loro operato sempre, per non parlare delle esplicite manifestazioni di solidarietà. Ben fragili e miseri devono essere “l’ordine e la sicurezza dell’istituto” (questa la motivazione in calce ai trattenimenti) se una cartolina o la foto di una scritta su un muro li possono mettere in pericolo. E’ stato dunque su sollecito del carcere di Piacenza, se non dietro sua esplicita richiesta (questo non lo posso sapere) che il 16/09/2020 mi viene notificato un secondo provvedimento di censura della durata di sei mesi firmato dal GIP. Ho scelto di ricorrervi tramite avvocato, ed ancora una volta fare buon viso a cattivo gioco, e attendere pazientemente che fissino una data per il ricorso, e tutta la trafila. Nel frattempo però, ai miei carcerieri sembra passata la voglia di fare il loro lavoro, e così l’ufficio comando, che si occupa della mia posta, se si fa vedere lo fa una volta a settimana, o anche più raramente. La posta in uscita non esce, quella in entrata si accumula sulle loro scrivanie. Perfettamente in linea con lo spirito da statali pressapochisti con cui dirigono l’intero carcere, e ad ulteriore conferma (se mai ce ne fosse bisogno) del carattere punitivo e ritorsivo del provvedimento, visto che quello che scrivo/ricevo in fondo non interessa neanche. Ben altro ci vuole per fiaccare il mio morale, ma è particolarmente irritante il fatto che nel non-luogo teoricamente deputato ad insegnarci a viva forza il rispetto della legge, i loro codici valgano quanto la carta straccia, ed è a mio avviso sbagliato tacere l’arbitrarietà ignorante con cui fanno il loro brutto mestiere.

Per questo motivo, e visto che le circostanze non lasciano intravedere un cambiamento di rotta, ho deciso che inizierò uno sciopero della fame a partire da sabato 24 ottobre e per il tempo che mi sembrerà opportuno. E’ una battaglia personale, che forse lascerà il tempo che trova, che forse denoterà una mancanza di fantasia da parte mia, ma che mi sembra doverosa. Chi ha voglia, nel frattempo, di continuare a intasare l’ufficio comando di comunicazioni più o meno futili, basta che mi scriva, è il benvenuto, che non si dica che non si guadagnano il loro stipendio zuppo di sangue.

Mi mancate tutti.

Salud y anarquìa,

Nat

Per scriverle:

Natascia Savio
C.C. “Le Novate”
Strada delle Novate n. 65
29122 Piacenza

La polizia del fascio-imperialista Trump uccide ancora, scontri tra forze dell’ordine e manifestanti. Una breve cronaca della giornata e un’analisi, anche storica, di Silvia Baraldini, in collegamento sabato scorso con la Panetteria occupata

Nella città della Pennsylvania sono ripresi gli scontri tra i manifestanti di Black Lives Matter e le forze dell’ordine dopo che due agenti hanno sparato a Walter Wallace Jr., 27 anni, nel pomeriggio di lunedì 26 ottobre

Nel pomeriggio di lunedì 26 ottobre, la polizia di Philadelphia (in Pennsylvania) ha colpito a morte con delle armi da fuoco Walter Wallace Jr., un uomo afroamericano di 27 anni che secondo gli agenti stava avanzando verso di loro armato di coltello. La sparatoria è avvenuta intorno alle ore 16 locali, quando la polizia ha risposto a una segnalazione di un uomo in circolazione per strada con un’arma da taglio.

Un video successivamente messo in circolazione sui social network, mostra l’uomo in questione – poi identificato come Wallace Jr. – mentre cerca di avvicinarsi alle forze dell’ordine e viene colpito da circa una dozzina di spari. “Fratello, l’hanno appena ucciso davanti a me”, si sente esclamare un uomo nella registrazione fatta col cellulare. Non dovete usare così tanti colpi. Il padre dell’uomo ucciso Walter Wallace Sr. ha riferito al quotidiano Philadelphia Inquirer che suo figlio stava lottando con problemi di salute mentale ed era in cura. “Perché non hanno usato un taser?” si è chiesto Wallace Sr. “Sua madre stava cercando di disinnescare la situazione”, dicendo alla polizia che Wallace Jr. era suo figlio. La sparatoria, infatti, è avvenuta nei pressi dell’abitazione della famiglia Wallace.

Nel giro di poche ore dalla sparatoria, centinaia di persone si sono radunate al Malcolm X Park inneggiando al movimento Black Lives Matter e hanno marciato verso la stazione di polizia, fra la 55° Strada e Pine Street, scandendo lo slogan: “Dite il suo nome: Walter Wallace”. Quindi, i manifestanti si sono scontrati violentemente con gli agenti in scudi antisommossa schierati davanti alla centrale di polizia. Gli agenti hanno fatto un ampio uso di manganelli: una giovane testimone ha raccontato all’Inquirer che le forze dell’ordine “hanno iniziato a respingere con forza la folla e picchiare chiunque non volesse indietreggiare“.

Brescia – Provocazioni della polizia locale al presidio in solidarietà con Younes e contro gli abusi di potere.

Dopo il fermo, ingiustificato e violento della polizia locale nei confronti di Younes, si è tenuto sabato scorso a Brescia un partecipato presidio di solidarietà, nel corso del quale non sono mancate altre provocazioni poliziesche nei confronti dei manifestanti.

Esprimiamo solidarietà rossa e proletaria a Younes, alla sua famiglia e a tutti i solidali che non si sono fatti intimidire dalle provocazioni e continuano denunciare e a lottare contro gli abusi di potere.

Soccorso rosso proletario

Di seguito il video dell’aggressione poliziesca nei confronti dell’operaio 37enne e le testimonianze di alcuni partecipanti al presidio, da infoaut

Almeno 150 persone hanno partecipato sabato 24 ottobre, al presidio  in via Carolina Bevilacqua nel quartiere di Fiumicello di , in solidarietà con Younes, l’operaio 37enne che la settimana scorsa è stato vittima di un fermo ingiustificato e violento da parte di una pattuglia della .

Dopo il presidio, verso le 17.15, i solidali si sono recati al Comando di Polizia Locale di via Donegani, affiggendo all’esterno lo striscione “Basta abusi di potere e violenze della Polizia. Solidarietà a Younes” e accendendo un paio di fumogeni.

Mentre i solidali stavano già lasciando la sede dei vigili urbani, alcuni agenti della Polizia Locale hanno provocato i manifestanti. Il racconto di Francesco, presidente del Consiglio di quartiere Brescia centro storico nord. Ascolta o scarica

IL PRESIDIO – Al presidio, durato dalle ore 15 alle ore 17, Younes – operaio 37enne – ha ricostruito i momenti del controllo avvenuto davanti ai suoi bambini, mentre stava facendo merenda al bar del quartiere e ha descritto il comportamento arrogante e violento dell’agente Andrea Pasini che ben si vede anche nel video ripreso dalla moglie del fermato; immagini diventate virali sui social con centinaia di migliaia di visualizzazioni.

La protesta è stata promossa dall’Associazione Diritti per tutti e dal Centro sociale Magazzino 47, a cui hanno aderito diverse altre realtà e associazioni come Kollettivo Studenti in Lotta, Kaos Valtrompia, Movimento Nonviolento, Associazione Via Milano 59, Non Una di Meno, Rete Antifascista.

Alcuni degli interventi al microfono aperto che si sono susseguiti durante il presidio di sabato 24 ottobre a Fiumicello, quartiere popolare alle porte occidentali della città di Brescia:

Umberto, dell’Associazione diritti per tutti, è intervenuto in apertura, che a denunciato le complicità di altri agenti con Pasini. Ascolta o scarica

L’intervento di Paola del Kollettivo Studenti in Lotta. Ascolta o scarica