“Sono pronto a morire, il corpo è la mia arma”. Così Alfredo all’86° giorno di sciopero della fame

Le due (impervie) strade per salvare la vita di Alfredo Cospito

L’avvocato di Alfredo Cospito presenta una nuova istanza al ministro Nordio contro il 41 bis. Secondo il legale l’istanza è “fondata su fatti nuovi, non sottoposti alla cognizione del tribunale di sorveglianza di Roma”. L’anarchico è in sciopero della fame da oltre due mesi per protesta contro la misura del 41bis

Dal 20 ottobre 2022 è in  sciopero della fame  Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sassari. Nonostante la sua determinazione e tenuta, è chiaro che il suo fisico sta subendo delle ripercussioni da questa forma estrema di protesta contro un dispositivo che per la prima volta è stato applicato a una persona che non è detenuta per reati di tipo mafioso.

Nei giorni scorsi Cospito ha ricevuto la visita del Garante nazionale dei detenuti e il suo avvocato difensore, Flavio Rossi Albertini, riconosce all’assistito il merito di aver aperto il dibattito sul 41 bis.

Per salvare la vita ad Alfredo Cospito e revocare il 41 bis ci sono due possibilità

Attorno al sostegno ad Alfredo Cospito e alla sua battaglia, a Bologna si è scatenata la polemica politica per la firma della vicesindaca Emily Clancy all’appello sostenuto dall’ex senatore dem e presidente dell’associazione “A Buon Diritto” Luigi Manconi. La destra ha attaccato Clancy, chiedendo di revocare le sue deleghe. Un’ipotesi respinta fermamente dal sindaco Matteo Lepore, che ha difeso la sua vicesindaca, aggiungendo che la firma all’appello è stata un’iniziativa personale nell’alveo della libertà di espressione e che non è abituato a punire i propri assessori per “eccesso di umanità”.

Chi vede nella pena carceraria una funzione costituzionalmente sancita di rieducazione e non una vendetta, al contrario, reputa che vi sia un eccesso di crudeltà nell’aver comminato a Cospito il 41 bis per reati che non hanno provocato la morte di nessuno.
In ogni caso la sua situazione rimane grave e le vie d’uscita per salvare la vita dell’anarchico sono complicate, come osserva ai nostri microfoni lo stesso Manconi.
L’ex senatore ha inviato a Il Riformista una lettera in cui individua due possibili strade da intraprendere prima che la protesta estrema dello sciopero della fame porti il detenuto a soccombere.

«La prima strada – osserva Manconi – sarebbe l’accoglimento, seppur tardivo, da parte del ministro della Giustizia Carlo Nordio, dell’istanza di revoca, presentata dai legali dell’anarchico». Una strada complicata dal fatto che il comma che dava al ministro questa possibilità è stato abrogato. Alcune sentenze della Cassazione, però, ritengono ci sia per la pubblica amministrazione un principio di revoca in autotutela.
«Quindi il ministro dovrebbe revocare una misura che attualmente limita la sua possibilità di agire – sottolinea Manconi – Ma se ci fosse la volontà di andare incontro alla situazione davvero molto critica di Cospito, si potrebbe fare».

L’altra strada indicata dal presidente di “A Buon Diritto” chiama in causa la Corte di Cassazione che, «considerate le condizioni mediche di Cospito, potrebbe anticipare quanto più possibile l’esame del ricorso, inoltrato dalla difesa, contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma di rigetto del reclamo, volto a ottenere l’applicazione del regime di alta sorveglianza in luogo di quello del 41 bis», sottolinea Manconi.
Non c’è spazio, invece, per un intervento del presidente della Repubblica, sia perché la condanna di Cospito non è ancora definitiva, sia perché per la grazia è necessaria la richiesta del condannato stesso.

Ai microfoni di Radio Città Fujico, però, Manconi commenta anche il giustizialismo che sembra contraddistinguere il dibattito italiano, al punto che mettere in discussione il 41 bis, cioè il cosiddetto carcere duro, rappresenta ancora un tabù.
E c’è un rischio che preoccupa il promotore dell’appello per Cospito: che questo circoli e venga sostenuto solo in ambienti di sinistra, in particolare radicale, già persuasi dell’opposizione al 41 bis e non raggiunga, invece, altri segmenti della cittadinanza.

L’INTERVISTA A LUIGI MANCONI Ascolta o Scarica

L’avvocato Flavio Rossi Albertini  presenta una nuova istanza al ministro Nordio contro il 41 bis. Secondo il legale l’istanza è “fondata su fatti nuovi, non sottoposti alla cognizione del tribunale di sorveglianza di Roma”

Ho presentato questa mattina l’istanza di revoca del 41 bis al ministro della Giustizia, Carlo Nordio“, lo annuncia l‘avvocato Flavio Rossi Albertini, difensore di Alfredo Cospito, l’ anarchico in sciopero della fame da oltre due mesi per protesta contro la misura del carcere duro disposta nei suoi confronti per quattro anni.

In base a quanto riferisce il difensore, l’istanza è “fondata su fatti nuovi, non sottoposti alla cognizione del tribunale di sorveglianza di Roma” che nelle scorse settimane ha respinto un reclamo della difesa. Nell’istanza si fa riferimento a “motivazioni di una sentenza depositata dopo la decisione del tribunale capitolino“.

Le condizioni dell’anarchico sono quelle “di una persona che ha subito un forte deperimento ma ancora lucida, molto determinata ad andare avanti anche se con un rischio per la sua salute. Non c’è un pericolo imminente ma un rischio costante“. Così al Manifesto l’ex guardasigilli Andrea Orlando, che ha visitato il detenuto insieme a una delegazione del Pd. Come si esce da questa situazione? “In astratto, al momento, i percorsi sono due: o la pronuncia della Cassazione, o la decisione immediata del ministro di Giustizia”. Andrebbe rivisto il 41 bis? “È uno strumento che è stato pensato solo per le organizzazioni mafiose. La mafia però è tutt’ altro che sconfitta. Perciò è uno strumento del quale ancora non possiamo fare a meno. La questione è se sia applicabile anche a fattispecie che sono parzialmente diverse, o se non si possano trovare anche altri strumenti. Adesso il tema fondamentale è impedire che una persona muoia“.

Sul quotidiano la Repubblica, che dà conto della visita della delegazione Pd, sono riportate alcune frasi di Cospito: “Io so che se non risolvono questo problema morirò. Sarà la mia ultima battaglia – dice – ma andrò comunque fino in fondo. Ho solo questa arma, ho solo il mio corpo. Sono un anarchico, per definizione l’anarchia non ha una struttura formale, non ho reti cui impartire ordini. Noi combattiamo lo Stato ma non ci sono legami di questo tipo, per questo non merito il 41 bis” che “andrebbe tolto a tutti, anche ai mafiosi”. Poi avrebbe aggiunto: “Sono costretto a usare lo sciopero della fame per farmi sentire, perché è l’unico mezzo che mi è consentito. Io ancora reggo ma se continuo così so che tra poco non avrò più la forza per alzarmi da questo letto”

Riceviamo e pubblichiamo da  Assemblea di solidarietà con i prigionieri in lotta

NESSUNA RESA LA LORO LOTTA E’ LA NOSTRA LOTTA

In un mondo in cui il profitto è il motore universale che sposta e determina gli eventi del pianeta, non ci stupisce che la guerra sia ogni giorno più presente nelle nostre vite.

Guerra guerreggiata ai confini d’Europa, guerra contro-insurrezionale al nemico interno: la guerra moltiplica i profitti dei soliti noti e infierisce sugli strati più poveri della popolazione, sulla natura, sulla vita stessa.

I fini sono gli stessi a tutte le latitudini: dominare, sfruttare, saccheggiare. Le conseguenze anche: carovita, sofferenza e sfruttamento.

Chi a tutto ciò oppone resistenza, incappa negli ingranaggi repressivi, che siano movimenti di lotta popolari o le organizzazioni e gli individui rivoluzionari che osano coniugare idee e azione.

Gli stessi meccanismi di isolamento e alienazione che nella società civile dilagano rendendoci soli e deboli, vengono riprodotti e si fanno estremi all’interno del carcere, pilastro insostituibile del sistema capitalista, attraverso l’isolamento, la dispersione e l’applicazione di regimi differenziati. E se carceri e tribunali sono da sempre feroci strumenti della lotta di classe, dentro alle galere c’è chi a questa battaglia non si sottrae. Oggi lo stanno facendo tutte quelle compagne e compagni che hanno scelto di intraprendere lo sciopero della fame a oltranza, fino alla morte.

In Italia, Alfredo Cospito, in sciopero dal 20 ottobre per l’abolizione del regime d’isolamento 41 bis e dell’ergastolo ostativo e in solidarietà con tutti prigionieri rivoluzionari.

In Francia, Ivan Alocco, in sciopero oggi per la seconda volta per sostenere la lotta di Alfredo Cospito.

Nei territori occupati da Israele, Nidal Abou Aker, Ghassan Zawahreh, Salah Hamouri, Ziad Qaddoumi e decine di altri prigionieri, in sciopero contro la detenzione amministrativa, potenzialmente infinita.

In Turchia militanti, giornalisti e rappresentanti del partito filocurdo HDP incarcerati con pretestuose accuse di terrorismo e condannati a decine di anni di prigione. Da anni i prigionieri curdi conducono una battaglia con gli strumenti della resistenza e dello sciopero della fame contro il carcere speciale e per la liberazione di Abdullah Ocalan e di tutti i prigionieri politici dalla segregazione.

In Grecia, il combattente anarchico Thanos Hatziangelou, in sciopero contro il trasferimento punitivo nel carcere di Negrita in seguito alla sua partecipazione alle lotte dei detenuti.

Chi lotta con determinazione non ha mai perso: mettere in gioco la propria vita per l’affermazione dei propri valori rivoluzionari è di per sé una vittoria. Ma a volte la lotta paga nel senso più empirico del termine. È notizia di pochi giorni fa che dieci degli undici prigionieri e prigioniere rivoluzionari turchi, detenuti in Grecia, in sciopero della fame dal 7 ottobre scorso sono stati liberati su cauzione. Questi compagni chiedono la revisione del processo, rifiutano e rispediscono al mittente l’accusa di terrorismo, segnalando il collaborazionismo spietato tra gli Stati turco, greco e statunitense che ha portato al loro arresto.

Ciò che gli Stati pretendono attraverso la tortura e l’isolamento è il pentimento, la capitolazione, l’abiura. Questi compagni rifiutano l’ipotesi della resa e della collaborazione, rifiutano di essere sepolti vivi. Lo sciopero della fame è il loro strumento di lotta, il loro corpo l’ultima trincea. La resistenza di questi prigionieri è grande, generosa. Pagano un prezzo estremamente alto per sostenere la possibilità e la necessità della rivoluzione.

A qualsiasi tendenza politica appartengano sono una parte preziosa del movimento di liberazione. Come dicono le prigioniere ed i prigionieri turchi che hanno lottato con un lungo sciopero della fame, “La nostra resistenza ci unisce. La nostra resistenza è il fondamento dell’internazionalismo. La nostra resistenza rafforza l’unità dei nostri popoli.”

Giovedi 19 Gennaio 2023 chiamiamo una giornata di mobilitazione internazionale ed internazionalista, per l’abolizione del 41 bis e di tutte le forme di isolamento e tortura, perché da ogni luogo della terra si innalzino i bagliori delle prigioni in fiamme.

 Assemblea di solidarietà con i prigionieri in lotta

Proteste in Perù: oltre 200 arresti dopo l’irruzione della polizia nell’Università di San Marco a Lima

La Polizia nazionale del Perù (Pnp) ha pubblicato i nomi di 218 persone fermate dopo l’irruzione di ieri nell’Università Nazionale Maggiore di San Marco (Unmsm), a Lima.

Secondo fonti ufficiali gli studenti fermati sono stati trasferiti presso le sedi della Direzione Antiterrorismo e della Direzione Investigazioni Criminali, lo ha dichiarato il procuratore generale Alfonso Barrenechea.

La polizia, in assetto antisommossa, ha sparato lacrimogeni e proiettili di gomma e impedito agli avvocati di entrare.

Dal 19 gennaio migliaia di persone in protesta contro il governo sono confluite da varie regioni del Paese nella capitale per la cosiddetta “Toma de Lima” (presa di Lima). Secondo il Coordinatore nazionale dei diritti umani (Cnddhh), che ha presentato un ricorso al ministero dell’Interno, ci sono anche quattro leader studenteschi “detenuti arbitrariamente”: Lucia Garay, Leani Vela, Diany Vivas e Marco Tello. Anche l’Associazione nazionale dei giornalisti (Anp) ha denunciato fermi arbitrari chiedendo la liberazione di Paty Condori Huanca (inviata di  “Fama Tv”), Percy Pampamallco Yancachajlla (reporter di “Radio Huancané” e “Lider Tv”) e Juliaca Cesar Huasaca Abarca (di “Radio Sudamericana”). Gli agenti hanno usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Cittadini si sono radunati davanti alla Centrale operativa di investigazione della Pnp (Dirincri) per chiedere il rilascio degli studenti. Sui “social” sono stati diffusi video per denunciare maltrattamenti degli agenti.

Altre zone calde per le proteste sono state ieri Puno e Arequipa. A Puno, secondo la stampa peruviana, un uomo identificato come Isidro Arcata Mamani, 62 anni, appartenente alla comunità aymara, è morto a causa di colpi sparati da agenti. Ad Arequipa sono state bloccate le strade nei pressi dell’aeroporto Alfredo Rodríguez Ballon e del ponte Anashuayco, che conduce all’autostrada Arequipa-Puno.

La mobilitazione anti governativa, cominciata il 7 dicembre dopo l’arresto dell’ex presidente Pedro Castillo, non si è placata, e il bilancio delle vittime negli scontri è di circa 60 morti e più di 1.200 feriti.

Focolai di protesta sono attivi in almeno 12 delle 24 regioni del Perù, con particolare intensità a Puno, Cusco, Arequipa e Lima.

La presidente illegittima Dina Boluarte, di cui i manifestanti chiedono le dimissioni, resta in silenzio, mentre il ministro dell’Interno ha respinto le richieste della piazza denunciando che con queste proteste “si pretende di ricattare il governo di turno attraverso la violenza”.

L’Aquila, presidio in solidarietà con alfredo Cospito, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, per la liberazione di tutti i prigionieri politici

Oggi al Tribunale dell’Aquila, si è tenuta l’udienza nei confronti di 31 attivisti raggiunti dal decreto penale di condanna, per aver manifestato, il 24 novembre 2017, contro la tortura del 41 bis e l’accanimento vessatorio dell’amministrazione penitenziaria nei confronti della prigioniera politica Nadia Lioce.
Quel giorno infatti si teneva la terza udienza di un processo alla detenuta, accusata di aver turbato la quiete di un carcere che l’ha sepolta viva, attraverso una serie di “battiture” delle sbarre con una bottiglietta di plastica.
Nadia fu assolta perché l’isolamento estremo in 41 bis non consentiva né a lei, né alle altre detenute sottoposte a questo regime di avere percezione di tale “disturbo”, cosicché lo stesso reato per cui veniva perseguita si configurava come un reato impossibile.
In occasione dell’udienza, rinviata al 1° marzo, soccorso rosso proletario ha promosso un presidio/conferenza stampa in solidarietà con Alfredo Cospito, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.
Alfredo Cospito è all’85° giorno di sciopero della fame contro il regime di 41 bis in cui lo hanno sepolto per criminalizzare le sue idee e annichilire la sua dignità. Con l’art. 285 c.p. gli è stato comminato l’ergastolo ostativo per un attentato dimostrativo che non ha, e non poteva causare, né morti né feriti, una strage senza strage attribuita senza prove.
L’ergastolo ostativo, oltre ad essere incostituzionale, non è stato applicato neanche nella strage di Capaci, e tanto meno nelle stragi fasciste/di Stato, che hanno provocato centinaia di morti e feriti.
Per non parlare delle stragi sul lavoro, sull’alternaza scuola-lavoro, le morti in mare, gli assassinii di donne, le violenze fascio-razziste, i massacri nelle carceri, i pestaggi nelle piazze, che rimangono sostanzialmente impuniti.
Anche l’articolo 41 bis non è una novità per i prigionieri rivoluzionari. Sono oltre 17 anni che i militanti delle BR-PCC Nadia Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma, sono sottoposti a questo trattamento perché difendono la propria identità politica e coscienza rivoluzionaria. Diana Blefari Melazzi è stata uccisa da questo regime, e Alfredo sta mettendo in gioco la sua vita per tutti i prigionieri politici, per la causa rivoluzionaria.
La condanna a morte di Alfredo da parte di questo stato borghese è quindi di chiaro stampo terroristico e rivolto a tutto il movimento di classe, a tutte le realtà che si ribellano e lottano contro questo sistema capitalista, patriarcalista e imperialista che produce guerra, sfruttamento, discriminazioni, repressione, devastazione umana ed ambientale.
Per tutto questo oggi abbiamo voluto riprendere la parola contro questo regime di tortura anche a L’Aquila, dove c’è un carcere di massima sicurezza con il più alto numero di detenuti in 41 bis, tra cui la prigioniera politica Nadia Lioce. Perché la lotta di Alfredo è una lotta fino all’ultimo respiro contro questi abomini repressivi, contro questa profonda e feroce ingiustizia di classe. Una lotta che riguarda tutti e tutte, rivoluzionari e sinceri democratici, perché questa barbarie repressiva può colpire ognuno di noi, perché di fronte ad essa il silenzio è complice.
LIBERTA’ PER ALFREDO E PER TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI
NO ALL’ERGASTOLO OSTATIVO – NO AL 41-BIS

Di seguito una prima rassegna stampa:

https://www.rainews.it/tgr/abruzzo/articoli/2023/01/contro-il-41-bis-solidali-con-cospito-0cec1614-1544-495c-bbd2-4b358f77b0cc.html

https://www.ansa.it/abruzzo/notizie/2023/01/12/protesta-a-laquila-contro-41-bis-tortura-e-accanimento_f6dbd03c-217b-4478-bc88-11996f78a871.html

https://news-town.it/cronaca/42173-a-l-aquila-oggi-un-presidio-durante-l-udienza-ai-31-attivisti-contro-il-41bis.html

41 bis. Protesta davanti al tribuale: “Stop a tortura e accanimento”

Il servizio di l’aqtv, con la precisazione però che il soccorso rosso proletario non è un “collettivo anarchico”, ma uno strumento unitario per la lotta e la solidarietà prolungata contro repressione e Stato e in sostegno a tutti i prigionieri politici, anarchici, comunisti, rivoluzionari:

https://www.aqbox.tv/notizie.php?view=21391&fbclid=IwAR0fjhkantO3vOUbjwowaChXwN80LAXXyZvKQJILwUUXa-AMiGcOAdOxZlo

Il servizio del TG Regionale su Alfredo Cospito:

Il servizio del Giornale Radio Abruzzo:

PROTESTA DAVANTI TRIBUNALE L’AQUILA CONTRO IL 41 BIS: “È SOLO TORTURA E ACCANIMENTO”

Il volantino del soccorso rosso proletario

Torino, presidio per chiedere la liberazione di Alfredo Cospito

 

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Parlano di «tortura» gli attivisti di Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e Sinistra anticapitalista che si sono ritrovati per un presidio di protesta davanti all’ingresso del Palazzo di giustizia per solidarizzare con Alfredo Cospito, l’anarchico insurrezionalista che sta scontando 20 anni di carcere per una serie di attentati esplosivi contro magistrati, forze dell’ordine e giornalisti. Cospito è rinchiuso nel carcere di Sassari, in Sardegna, e da oltre 80 giorni sta portando avanti lo sciopero della fame, un atteggiamento di ribellione contro il regime di 41-bis al quale è sottoposto da circa un anno.

41-bis

Ed è proprio questo il tema al centro della manifestazione davanti al Tribunale. «Non c’è una funzione rieducativa. Il 41-bis pensato per i boss viene applicato a un militante politico. Questa è tortura», hanno spiegato gli attivisti. Tra i presenti c’era anche la pasionaria No Tav Nicoletta Dosio, che in passato è evasa più volte dai domiciliari come forma di resistenza ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Il presidio è uno dei tanti gesti di solidarietà nei confronti dell’anarchico, che nei giorni scorsi ha incassato anche l’appello di ex magistrati, giuristi e intellettuali che chiedono che gli venga revocato il carcere duro.

Cospito è ancora sotto processo a Torino, insieme alla compagna Anna Beniamino. Entrambi sono accusati di strage politica per l’attentato del giugno 2006 contro la caserma dei carabinieri di Fossano. Un episodio per il quale il procuratore generale Francesco Saluzzo ha chiesto l’ergastolo nei confronti di Cospito (la questione ora è al vaglio della Corte Costituzionale) e una condanna a 29 anni per Beniamino.

 

Giovedì 12 gennaio a L’Aquila, presidio/conferenza stampa davanti al tribunale in solidarietà con Alfredo Cospito

Giovedì 12 gennaio al Tribunale dell’Aquila si terrà l’udienza nei confronti di 31 attivisti raggiunti dal decreto penale di condanna, per aver manifestato, il 24 novembre 2017, contro la tortura del 41 bis e l’accanimento vessatorio dell’amministrazione penitenziaria nei confronti della prigioniera politica Nadia Lioce.

Quel giorno si teneva la terza udienza di un processo alla detenuta, accusata di aver turbato la quiete di un carcere che l’ha sepolta viva, attraverso una serie di “battiture” delle sbarre con una bottiglietta di plastica.

Nadia fu assolta perché l’isolamento estremo in 41 bis non consentiva né a lei, né alle altre detenute sottoposte a questo regime di avere percezione di tale “disturbo”, cosicché lo stesso reato per cui veniva perseguita si configurava come un reato impossibile.

L’isolamento carcerario previsto da tale regime é internazionalmente riconosciuto come una forma di tortura. Un regime che nega l’uso della parola, lo studio, la lettura, la scrittura, la socialità, l’affettività, non può che definirsi un regime di tortura, lenta, continua, sistematica, fino all’annientamento psico-fisico, alla morte o alla resa.

E’ quello che stanno facendo al compagno anarchico Alfredo Cospito, in carcere da circa dieci anni, è quello che hanno fatto a Diana Blefari Melazzi, suicidata dallo Stato, ed è quello che fanno da oltre 17 anni agli altri militanti delle BR-PCC Nadia Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma, che rivendicano la propria identità e difendono la causa rivoluzionaria per la quale sono detenuti.

Inizialmente “giustificato” come misura emergenziale e temporanea per contenere il fenomeno mafioso, il 41 bis è stato via via stabilizzato nel sistema penitenziario ed esteso ad una platea sempre più ampia di soggetti e categorie di reati, in una situazione in cui la repressione dello Stato agisce a più livelli. Giuridicamente motivato con l’esigenza di “recidere i legami con l’organizzazione di appartenenza all’esterno”, nel caso dei rivoluzionari prigionieri l’applicazione di tale regime è essenzialmente di natura politica, finalizzata ad ottenerne l’abiura, la rinuncia della propria identità politica, delle proprie idee. Ciò è ormai chiaro dal momento che l’organizzazione Brigate Rosse è stata completamente disarticolata, ed è ancora più evidente nel caso di Alfredo Cospito, in quanto il movimento anarchico storicamente rifugge qualsiasi struttura gerarchica o forma organizzata.

Alfredo Cospito è oggi all’85° giorno di sciopero della fame contro il regime di 41 bis in cui lo hanno sepolto per impedirgli di pensare e di comunicare il proprio pensiero, e contro l’ergastolo ostativo (art. 285 c.p.), che gli è stato comminato per una strage senza strage attribuita senza prove.

Un articolo del codice penale cui non si è fatto ricorso per le stragi mafiose né per quelle fasciste/di Stato, con centinaia di morti e feriti. Per non parlare delle stragi sul lavoro, le morti in mare, gli assassinii di donne, le violenze fascio-razziste, i massacri nelle carceri, i pestaggi nelle piazze, che rimangono sostanzialmente impuniti.

La condanna a morte di Alfredo da parte di questo stato borghese è quindi di chiaro stampo terroristico e rivolto a tutto il movimento di classe, a tutte le realtà sociali in sofferenza che si ribellano e lottano contro questo sistema capitalista, patriarcalista e imperialista che sta distruggendo questo pianeta.

Per tutto questo, per altro, per tutto, la lotta di Alfredo è una lotta che ci riguarda tutti e tutte, rivoluzionari e sinceri democratici, e invitiamo a partecipare al presidio/conferenza stampa che si terrà il 12 gennaio dalle ore 9 davanti al Tribunale dell’Aquila.

LIBERTA’ PER ALFREDO E PER TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI

NO ALL’ERGASTOLO OSTATIVO – NO AL 41-BIS

Salviamo la vita ad Alfredo Cospito! Stato assassino. NO al 41bis. Intervista all’Avv. Gianluca Vitale

Intervista all’avvocato Gianluca Vitale di Torino, di Anna Beniamino, sulla situazione di Alfredo Cospito, il 41 bis e l’ergastolo ostativo (questa intervista è stata fatta a meta’ dicembre dalla redazione del blog proletari comunisti).

Qual è la situazione processuale in questo momento? Quali sono gli ultimi avvenimenti e qual è la tua valutazione?

Intanto farei un racconto di come siamo arrivati a questo punto perché credo che sia significativo.

Sostanzialmente ormai i giochi nei termini di qualificazione giuridica, di condanna, di accertamento del fatto, sono ormai finiti; nel senso che l’ultima Cassazione del luglio scorso ha ribaltato, almeno in una parte, la decisione che riguarda questo famoso attentato di Fossano. Attentato che era stato contestato come cosiddetta “strage politica” fin dall’inizio dalla Procura di Torino.

La strage politica si diversifica dalla strage cosiddetta “comune” non per quello che succede o per come succede ma per quello che viene definito il “fine emotivo”, cioè con quale obiettivo tu commetti la strage.

Quindi si chiama strage indipendentemente dall’esito. Per semplificare, se tu hai l’obiettivo, il dolo, di poter uccidere più persone e in qualche modo l’azione che commetti ha questa concreta pericolosità, allora tu rispondi di strage. Se tu lo fai per mettere in pericolo, per attentare, alla sicurezza dello Stato allora diventa strage politica.

La differenza è ovviamente significativa come avrete visto, perché mentre per la strage comune senza

vittime la pena minima è 15 anni (quindi si va da 15 ai 24 anni), per la strage politica, con o senza vittime, la pena minima e massima è quella dell’ergastolo.

La procura aveva contestato fin dall’inizio la strage politica – noi sostenevamo che non fosse neanche reato di strage perché non c’era la volontà di uccidere – comunque, sia il primo grado che la Corte d’Assise d’appello l’avevano definita come strage comune: non raggiungeva quel grado di gravità per la sicurezza dello Stato da farla qualificare come strage politica.

“Strage politica” che è stata utilizzata pochissimo nella storia d’Italia e praticamente è rimasta totalmente identica – tranne la pena che era la pena di morte e poi diventata ergastolo – da quando è stata introdotta dal codice Rocco ad oggi. E’ uno dei pochi reati che non sono stati toccati in nessun modo, neanche per la strage di Bologna, l’Italicus, ecc, “Bologna”, “Italicus” ecc, non erano stragi politiche…

La Corte di Cassazione ha anche sostanzialmente cambiato giurisprudenza, perché anche la Corte di Cassazione aveva usato con molta attenzione il reato di strage politica. Però qua è strage politica, perché sostanzialmente attenta alla sicurezza dello Stato, ai beni fondamentali dello Stato, sotto un duplice profilo. Primo, si inserisce in una campagna della FAI che, in qualche modo, tenta di alterare la politica governativa, la politica statale sui CPR e sull’immigrazione. In secondo luogo, perché diretta contro la scuola allievi carabinieri di Fossano, quindi è nella rivendicazione “perché 10, 100, 1000, Nassiriya non sia solo uno slogan” ecc… E quindi intendeva colpire l’apparato di sicurezza dello Stato.

Questo lo dice la Corte di Cassazione, e avendolo fatto la Cassazione non avremo più modo di contestare questa affermazione. La Corte di Cassazione dice: “no, quella è strage politica, lo decido definitivamente io” e rimanda alla Corte d’Assise d’appello di Torino solo per quantificare la pena.

Arriva in Corte d’Assise d’appello e poniamo una serie di questioni di legittimità costituzionale.

La prima è relativa proprio alla possibilità che nel nostro sistema ci sia un reato con una pena unica: il principio di proporzionalità della pena. Un principio fondamentale che c’è anche nel diritto dell’Unione Europea oltre che nel nostro diritto interno, ed è un principio in base al quale il giudice valuta e deve poter valutare il fatto di reato non solo se rientra nella fattispecie astratta (insomma in quel tipo di reato che c’è scritto nel codice) ma anche valuta la sua gravità all’interno di una “forbice edittale”, cioè di una pena che deve essere compresa tra un minimo e un massimo.
Quasi tutti i reati, se non tutti i reati, tranne questo e pochissimi altri, prevedono una pena minima e una pena massima all’interno della quale è dato poi al giudice di decidere se la pena deve essere più vicina al massimo o più vicina al minimo.

In questo caso invece la pena è l’ergastolo. Punto. Non ci sono alternative.

Come reato, come fattispecie, l’articolo 285 del codice penale, secondo noi (e ci sono dei precedenti giurisprudenziali) prevedere una pena unica, non modulabile, è incostituzionale. È incostituzionale sia per contrarietà ai principi di personalità della pena, di responsabilità, di finalità rieducativa della pena; perché essendoci come unica pena l’ergastolo si perde completamente ogni possibilità di finalità rieducativa della pena; sia ai principi dell’Unione Europea che porterebbero a una dichiarazione di incostituzionalità mediata, violare un principio dell’Unione Europea significa anche violare la Costituzione italiana.

Questa questione evidentemente non è stata accolta perché poi è su altra che finora si è pronunciata la Corte d’Assise d’appello.

Un’altra questione che abbiamo sollevato riguarda il problema che dicevo prima, cioè questa affermazione di responsabilità per questo reato – non per il reato che era stato prima riconosciuto, cioè la strage comune (422) che consentiva di partire da 15 anni come pena – viene decisa per la prima volta in Cassazione.

Uno dei principi fondamentali che c’è nel nostro sistema giuridico e nel sistema giuridico internazionale, perché questo ha origine anche nel patto internazionale sui diritti civili e politici, prevede la possibilità quantomeno di un doppio grado di giudizio; quindi il condannato deve sempre poter ricorrere contro la pronuncia che lo condanna.

Secondo noi questo significa che non si può avere un aggravamento, un peggioramento della modificazione del fatto, quindi un peggioramento della condanna in Cassazione, ma la Cassazione dovrebbe sempre in casi di questo genere rimandare al grado precedente; rinviare cioè – non solo per la modificazione della pena, ma anche per affermare dei principi – e poi rimandare al giudice che ha in mano i fatti, perché la ricostruzione del fatto è del primo e del secondo grado, non della Cassazione che decide solo sul diritto. Quindi rimandare al giudice se effettivamente quel fatto, obbedendo ai principi della Corte di Cassazione, deve essere ricompreso in un reato oppure nell’altro. Dando così la possibilità all’imputato, al condannato, di fare un ricorso. Che non è solo un ricorso che dice “tu c’eri o tu non c’eri” ma anche un ricorso che possa entrare nel merito: “tu c’eri e quello che hai fatto è il reato X” oppure “tu c’eri e quello che hai fatto è il reato Y”. Altrimenti viene violato sostanzialmente il diritto di difesa, quindi difendersi non solamente dell’accusa del pubblico ministero in modo dialettico col pubblico ministero), ma anche difendersi dialetticamente rispetto alla sentenza del giudice che ha deciso la tua condanna. Anche questo evidentemente non è stato accolto.

Si apre allora un problema. È strage politica, e non possiamo discutere del fatto che sia strage politica, la strage politica prevede l’ergastolo. C’è però un articolo nel codice penale ed è l’articolo 311 che prevede che in tutti i reati contro le personalità dello Stato la pena sia diminuita nel caso in cui il fatto debba essere ritenuto tenue. Tenue per la modalità, le circostanze complessive, il pericolo per il bene protetto e il danno che è stato cagionato.

Noi abbiamo sempre sostenuto che non fosse strage politica ma che – se fosse mai stata definita strage politica – questa attenuante vada riconosciuta, proprio perché – di fronte a un reato che non distingue per gli effetti dell’azione, per la gravità dell’azione, per le modalità dell’azione, non consente di individuare una forbice tra un minimo e un massimo. Quantomeno questa distinzione deve arrivare dall’utilizzo di questa attenuante.

Non possiamo pensare minimamente di accettare che “Bologna” (che non era neanche strage politica secondo quella che è stata allora la sentenza) sia di fatto meno grave o parimenti grave rispetto alle due bombe di Fossano fatte con la polvere pirica che non solo non hanno causato feriti, né tanto meno morti, ma che hanno fatto danni materiali molto lievi; cioè sono esplosi due cassonetti, una gabbia di recinzione che si è introflessa e qualche buco nel muro della caserma per le schegge che sono partite (noi abbiamo dei dubbi, ma la sentenza dice che ci sono questi buchi, quindi ormai giudizialmente questo è accertato).
Non ci sono danni strutturali, non ci sono danni materiali estremamente rilevanti come purtroppo in tantissimi altri casi. La procura in primo grado aveva detto “per noi è strage politica ma si può applicare questa attenuante”; adesso la procura generale, ha chiesto invece di non concedere questa attenuante, il che porterebbe all’ergastolo per Alfredo Cospito e a una pena (secondo i calcoli che avevano fatto in aula) di 27 anni e un mese per Anna Beniamino, perché Anna Beniamino non ha una recidiva cosiddetta qualificata, reiterata specifica che invece ha Alfredo Cospito.

Quale è il problema della recidiva, di questo tipo di recidiva? Che per principio generale questa recidiva non consente, impedisce, che eventuali circostanze attenuanti (che siano attenuanti generiche che sia questa attenuante specifica per tutti questi tipi di reati) siano considerate prevalenti rispetto all’aggravante.

Per Alfredo cosa significava? Evitare l’ergastolo. Mentre si applica l’aggravante della recidiva: resta l’ergastolo.
Anche su questo abbiamo proposto una questione di legittimità costituzionale che a questo punto non tocca più il procedimento che ha portato all’affermazione che quello era un reato di strage politica, ma tocca proprio il divieto di legge di fare un bilanciamento, quindi di considerare che l’attenuante possa essere prevalente, e possa consentire di abbassare la pena rispetto alla pena unica dell’ergastolo.
Su questo la Corte di Assise d’appello per il momento ci ha dato ragione nel senso che ha detto “effettivamente ci può essere un dubbio di incostituzionalità, la questione è non manifestamente infondata ed è rilevante, perché riteniamo che possa esserci il riconoscimento di questa attenuante ai fatti di Fossano”, e quindi ha sospeso il procedimento e manderà gli altri atti alla Corte Costituzione che dovrà decidere proprio su quel punto, cioè se effettivamente, per questo reato, il divieto di bilanciamento sia incostituzionale. Questo consentirebbe, in caso di risposta positiva, di potere superare la “pena unica ergastolo”.

Qualcuno potrebbe dire “e vabbè allora perdoniamo quelli che…”. Non si tratta di questa roba qua, stiamo comunque parlando di pene che partono dai 21 anni, non stiamo parlando di caramelle. Sia Alfredo che Anna comunque avranno delle pene elevatissime e – continuo a sostenere – totalmente sproporzionate rispetto alla gravita dei fatti. Su questo però la sentenza è definitiva, quindi su questo non abbiamo molto da discutere, anche in assenza di prove reali sulla loro responsabilità per quei fatti.

In effetti la cosa che veramente sembra assurda, ma purtroppo è molto molto grave anche come precedente, è questo fatto di considerare strage politica per cui viene messo sullo stesso piano una azione (se e vero o meno che l’abbia fatto) che però non ha assolutamente provocato nessun morto, nessun ferito, e le stragi come quella di Bologna, il fatto che fin ora questa tipologia di reato non era stata utilizzata e ora invece viene utilizzata.

La questione secondo me è fondamentale e la Cassazione la risolve in un modo che è giuridicamente assurdo in realtà, perché dice “vabbè la discussione è solamente accademica perché il reato di strage comune avviene; se ci sono vittime la pena sì è quella dell’ergastolo; a Bologna c’erano le vittime e quindi comunque si sono beccati l’ergastolo”.
Questo dal punto di vista giuridico è un ragionamento che tiene molto poco, perché è importante la qualificazione giuridica di un fatto. La funzione della cassazione sarebbe proprio quella di delineare i principi del diritto, non di andare a fare un discorso da bar.
Il principio fondamentale dovrebbe essere quello dell’offensività, cioè: ma i fatti di Fossano hanno realmente avuto la capacità di mettere in pericolo la sicurezza dello Stato intesa come tenuta democratica dello Stato? No, assolutamente no! Avrebbe avuto quella capacità la strage di via d’Amelio, avrebbe avuto quella capacità la strage di Bologna o l’Italicus o piazza Fontana, che non sono state invece qualificate come stragi politiche. Sicuramente non ce l’ha questa, lo stato, non può essere qualificato come strage politica.

Tu vedi una relazione tra questa linea assunta e il clima generale, non credo legato al nuovo governo perché troppo recente, però legato a una volontà di repressione politica che poi si è vista anche rispetto alla repressione delle lotte, delle avanguardie? C’è se non un salto, un rincrudimento di questo? Questa vicenda come la dobbiamo leggere?

Concordo assolutamente con te che non può essere e non è un effetto del cambio di maggioranza. È troppo giovane questa maggioranza. E per altro in realtà questo processo affonda le sue radici in diversi anni fa, quindi evidentemente non è un problema di quel genere.

Credo che si inserisca in un rincrudimento repressivo anche della giurisprudenza, della magistratura inquirente, dei pubblici ministeri, ma anche in parte della magistratura giudicante che ha trovato e trova probabilmente in alcuni casi in Torino delle punte più avanzate dal punto di vista repressivo, ma non è assolutamente peculiare di Torino.

Io ho sempre personalmente non condiviso la personalizzazione del discorso repressivo. Io ho sempre pensato che non sia un problema di questo o di quel magistrato (per carità, poi c’è il magistrato che è più democratico, quello meno democratico, il magistrato che più si accanisce nei confronti dei movimenti, il magistrato che meno è portato ad accanirsi nei confronti del movimento) ma è un discorso di magistratura, se vogliamo anche di classe. Semplifico il ragionamento che ho sempre fatto: la magistratura è chiamata per legge, per Costituzione, ad essere soggetta solamente alla legge, quindi ad eseguire quello che decide la legge; la legge è una espressione dei rapporti di classe, quindi è frutto dei rapporti di classe e quindi la magistratura è in qualche modo al servizio di una classe.

Anche per noi il livello di repressione politica e non solo è frutto dei rapporti di classe che purtroppo non sono ancora tali che possano incidere anche nel fronte della repressione statale per contrastare efficacemente ed effettivamente questa repressione.

Si, assolutamente. Da una parte credo che ci sia questa esigenza di aumentare la repressione nei confronti di quello che viene considerato radicalmente antagonista alla forma di Stato, alla classe dominante e quant’altro. Ed è questo il motivo per cui alcuni settori, che siano di movimento che siano politici, vengono maggiormente colpiti dalla repressione. Da altra parte, purtroppo, il fatto che non ci sia in questo momento una forte presenza politica e una radicalizzazione (ma nel senso di capacità di analisi e di rivendicazione da parte delle classi subalterne piuttosto che dei movimenti), questo in qualche modo indebolisce anche in questo settore la capacità di risposta. Credo che questo in qualche modo anche nei tribunali ci troviamo a scontarlo.

In termini legali, chiaramente dopo la corte di cassazione non c’è un altro livello di giudizio, ma ci sarebbero altre possibilità, per esempio la Corte europea dei diritti dell’uomo?

In realtà stiamo ragionando anche sul piano extra-nazionale, sulle corti sovranazionali. Sia la corte europea dei diritti dell’uomo, sia – questo da valutare – il comitato relativo al patto sui diritti civili e politici sul problema che dicevo sul diritto al secondo grado di giudizio.
Sono possibilità che in qualche modo stiamo tentando di approfondire e di valutare. Ovviamente sono tutte strade molto molto difficili da percorrere. Non sappiamo ancora se sarà possibile percorrerle perché è inutile fare un buco nell’acqua in casi di questo genere.
Le stiamo cercando proprio perché convince molto poco tutto quello che è successo. E tutte le affermazioni che sono state fatte in questo processo.

Purtroppo la parte che fino all’altro ieri convinceva meno era proprio la parte dell’accertamento della ricostruzione dei fatti; perché di fronte a un processo assolutamente indiziario, siamo di fronte ad un processo in cui le cosiddette prove scientifiche (c’è una perizia grafologica e una perizia del DNA) fanno – consentitemi il termine – acqua da tutte le parti, ma sono state considerate decisive per l’accertamento del fatto. Basta dire che il fatto più grave – che è Fossano, queste due bombe di Fossano – è forse il fatto che ha meno elementi, anzi che non ha nessun elemento come fatto che lo riporti alla responsabilità di Alfredo e Anna.

Non c’è nessun elemento che dalle bombe di Fossano porti direttamente ad Alfredo e Anna. Sostanzialmente Alfredo e Anna sono stati ritenuti responsabili anche di Fossano perché loro sarebbero in qualche modo responsabili anche di altre azioni che fanno parte dello stesso periodo, della stessa campagna della Federazione Anarchica Informale e – ragionando in termini di “se tu hai fatto uno hai fatto l’altro perché fai parte di quel gruppo lì” – a quel punto viene attribuita loro anche Fossano.

Questa secondo me è una gravissima carenza dal punto di vista della ricostruzione storico-giudiziaria delle responsabilità; questa però è quella su cui abbiamo meno possibilità di impugnare delle armi anche nelle Corti sovranazionali perché, anche lì, non puoi ridiscutere la ricostruzione storica del fatto, ma andare a parare su altri obiettivi e su altri elementi per impugnare la sentenza. Purtroppo quella è la parte più debole di queste decisioni – oltre a quella che dicevo prima della qualificazione giuridica di Fossano come strage politica – ma è forse la meno attaccabile.

Per quanto riguarda il 41bis dato ad Alfredo. Per Nadia Lioce era motivato perché poteva ancora influenzare “l’esterno”, e quindi in questa maniera il 41bis secondo loro doveva impedire questo contatto, questo legame con l’esterno. Per Alfredo Cospito, la motivazione è questa o altra per il 41bis?

Per Alfredo Cospito l’applicazione del 41bis deriva sostanzialmente dal fatto che lui ha continuato a partecipare al dibattito politico. Attenzione, dibattito del tutto pubblico ovviamente. Non sono i “pizzini” del boss mafioso. Ma quando si parla di dibattito politico è un po’ quello che dicevi tu. Nadia Lioce, partecipando al dibattito politico, continuerebbe ad avere rapporti con l’area, con il contesto esterno.

In questo, devo dire, l’interpretazione in qualche modo si adegua alle recenti modifiche che sono assolutamente trasversali. Trasversali perché non vedo tutte queste differenze tra il progetto di legge che era in discussione nella precedente legislatura sull’ergastolo ostativo e sul 41bis e quello che è stato poi approvato dal governo Meloni. E sostanzialmente ci dicono che “devi dimostrarmi di aver rescisso ogni legame, che non ci sia il pericolo che si riprendano i legami, con l’organizzazione di appartenenza” e questa è la ratio, il significato, per cui era stato inventato il 41bis. Si dice “devi dimostrarmi di non aver rapporti e che non ci sia pericolo che tu riprenda rapporti con l’organizzazione, con l’associazione…. e con il contesto!”
Il concetto di “contesto” è, credo, un concetto assolutamente pericolosissimo perché significa un po’ quello che sta succedendo anche ad Alfredo, cioè “tu mi devi dimostrare, per non meritare questa forma di estremo isolamento, di estrema punizione, mi dovresti dimostrare che non hai più rapporti con il contesto di cui facevi parte”; contesto che è politico, relazionale, di area. Contesto che significa sostanzialmente libertà di pensiero, e quindi “tu mi devi dimostrare che non la pensi come la pensavi prima”. Credo che questo sia assolutamente oltre.

Il 41 bis non dovrebbe essere uno strumento di afflizione, lo è ormai da anni e lo sappiamo tutti, facciamo finta che non sia così ma lo sappiamo tutti; anche chi continua a sbandierarlo come indispensabile per la lotta contro la mafia sa benissimo che ormai il 41bis è uno strumento di afflizione, uno strumento solamente punitivo, squisitamente punitivo. A volte ci sono delle finalità di contrasto ma ormai è diventato uno strumento punitivo. Ti devo terrorizzare, ti devo dire “guarda che se tu commetti determinati reati ti muro vivo dentro una cella e tu lì ci muori senza più vedere neanche il cielo stellato”, questo è sostanzialmente quello che è diventato il 41bis.

Un’ultima cosa per quanto riguarda la solidarietà. Chiaramente anche noi ci siamo, a partire dall’informazione; chiaramente c’è l’area anarchica; c’è anche tutta un’area che già da tempo è impegnata sul fronte della lotta contro la repressione di Stato. Su questo anche noi, per quello che possiamo, in particolare a Roma abbiamo contribuito e partecipato alle ultime iniziative e manifestazioni.
Per quanto riguarda invece il fronte democratico coerente, ma anche nell’area dei giuristi si sta facendo qualcosa? Lo dico anche perché molti anni fa ci fu una campagna per la liberazione di un detenuto politico, lo dicevano vicino alle BR, che aveva avuto una condanna altissima perché dicevano avesse buttato una bombetta verso una base militare che non aveva portato a nessun effetto, non solo alle persone ma neanche alla struttura, solo annerito un muro. Ecco, quella campagna, fatta da noi verso i vari settori, sia compagni rivoluzionari, sia democratici, in effetti poi riusci’ a conseguire un risultato e dopo quel compagno fu addirittura liberato. Anche se è un caso diverso da quello di Alfredo, ma non tanto diverso dal caso di Fossano in cui nessuno si è ferito e neanche le strutture sono state messe in pericolo, sul fronte democratico, di giuristi ecc, si sta prendendo posizione, si sta muovendo qualcosa?

Io devo dire intanto che ci ha stupito che la vicenda di Alfredo abbia in qualche modo raggiunto le prime pagine dei giornali e i media mainstream. Se ne è parlato parecchio e se ne è conosciuto parecchio. Devo dire che ci sono state prese di posizione contro quella forma estrema di punizione che si chiede per Alfredo da ambienti diciamo pure insospettabili, anche da ambienti lontanissimi da qualunque idea anarchica, ambienti assolutamente non di sinistra, anzi, totalmente schierati da un’altra parte. Prese di posizione anche apprezzabili da un punto di vista logico-giuridico.

Nel mondo del diritto ci sono state prese di posizione anche abbastanza significative e anche in questo caso sufficientemente trasversali. Anche queste forse non ce le aspettavamo.
Ci sono state anche delle frenate in questa direzione; però devo dire che la risposta è stata abbastanza positiva nel mondo dei giuristi democratici, giuristi di sinistra e forse anche liberali.

Purtroppo ci troviamo poi sempre con dei ragionamenti avanzati che vengono frenati se vuoi nello stesso campo, o in campi che dovrebbero essere vicini, dalla vulgata della antimafia radicale, fondamentalista. Nel senso che, purtroppo, quando poi vai a discutere di legittimità del 41bis, quando vai a cercare di spiegare che il 41 bis è una tortura o quando vai anche a mettere in discussione la legittimità dell’ergastolo (perché io mi auguro anche che la battaglia di Alfredo possa portare a un confronto culturale, giuridico, democratico, sulla legittimità di questi istituti), ti vai a scontrare con quelli che dicono “eh, ma allora tu dai una mano alla mafia, la mafia va combattuta anche con questi strumenti”. Questo devo dire che è un grosso problema, io non sono convinto peraltro che la stessa mafia vada combattuta con la tortura in un paese che dice di essere “democratico”. Io non credo che possa esser utilizzata una forma come quella del 41bis né che sia legittimo l’ergastolo, quindi bisognerebbe ragionare in quei termini.