Caso Cospito, l’accusa di strage come atto politico

Da Napoli Monitor

Alfredo Cospito non ha ucciso nessuno ma è in carcere, al 41-bis, con modalità afflittive che rasentano la tortura, condannato per “strage”.

Ora, se uno cerca “strage” sul dizionario Treccani, la prima definizione che trova è “uccisione violenta di parecchie persone insieme”. Invece se uno lo cerca sul codice penale trova all’art. 422 una definizione diversa: è colpevole di strage “chiunque […] al fine di uccidere compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità”. C’è un evidente scarto di senso fra il significato della parola nel senso comune e quello che assume nel codice penale, uno scarto che permette di applicare la norma alle fattispecie più disparate.

Nel 1998, un magistrato arrivò addirittura ad accusare strumentalmente di “strage” Rosario Bentivegna e gli altri partigiani che avevano agito a via Rasella – non per la legittima azione di guerra contro gli occupanti nazisti, ma per avere usato un “mezzo offensivo” atto a “porre in pericolo la vita e l’incolumità personale non soltanto di chi costituiva l’obiettivo dell’azione, ma anche di tutte le altre persone che per avventura fossero state presenti o si fossero trovate a transitare in via Rasella o nelle zone adiacenti”. La parola chiave è “per avventura”:  per la legge, perché si dia strage è indifferente che si sia verificata o meno una “uccisione violenta” di persone; basta immaginare che “per avventura qualcuno avrebbe potuto farsi male” (da notare come la clausola finale dell’articolo di legge, “pubblica incolumità” sia molto più ampia e generica di quella iniziale, “al fine di uccidere”. E comunque non è affatto provato che il gesto di Cospito avesse il fine di uccidere e non fosse solo un atto dimostrativo).

La peculiarità del reato di strage dunque sta in primo luogo in quel “per avventura”, “atto a”. Per capirsi:  affinché ci sia furto bisogna che qualcosa sia stato rubato, affinché ci sia omicidio bisogna che qualcuno sia stato intenzionalmente ucciso: se no, è tentato furto, tentato omicidio o omicidio preterintenzionale. Solo per il reato di strage un danno tentato o anche solo possibile (secondo l’inquirente) spedisce all’ergastolo al pari di un massacro con spargimento di sangue.

Tra via Rasella e la vicenda di  Cospito esistono differenze abissali; ma lo scivolamento semantico tra il senso comune e il senso giuridico della stessa parola aiuta a capire il parallelo tra l’uso che si è fatto di questo strano reato. Nel caso di via Rasella, facilita strumentalmente la confusione nell’opinione pubblica tra la ipotetica strage “per avventura” e l’azione contro i nazisti, facendo quindi passare per criminale l’intera Resistenza. Nel caso di Cospito, fatte salve tutte le proporzioni, alimenta lo stereotipo degli anarchici bombaroli sanguinari (rinforzato descrivendo la Federazione Anarchica  Informale come una struttura gerarchica simile alla mafia – che sarebbe poi l’obiettivo dichiarato del 41bis). In altre parole: il codice finge di definire la strage come reato comune ma lo trasforma in reato politico. Dopo tutto, l’art. 422 del codice penale vigente ricalca parola per parola quello analogo del codice fascista Rocco del 1930, salvo che allora la pena prevista era la morte, e se non facciamo qualcosa questa rischia di essere anche la pena finale di Alfredo Cospito. (alessandro portelli)

Milano, lacrimogeni per disperdere la folla di richiedenti asilo.

Dopo i manganelli i lacrimogeni, questo è quello che è successo davanti agli uffici della Questura di Milano.

Da Associazione Naga

Lacrimogeni per disperdere la folla di richiedenti asilo. Questo è quello che è successo davanti agli uffici della Questura.

“Il processo di criminalizzazione dell’immigrazione è in atto da decenni e si manifesta a volte subdolamente nel linguaggio, nella formulazione della norme, nella rappresentazione del fenomeno migratorio, altre volte in modo plastico, violento e spudorato, come è successo davanti agli uffici della Questura di via Cagni a Milano ” afferma Anna Radice presidente del Naga.“

Dopo anni di incapacità di rispondere tempestivamente alla manifestazione di volontà di richiedere protezione internazionale, la Questura di Milano non ritiene che ci sia di meglio da fare che disperdere con i lacrimogeni la folla che cerca di entrare negli uffici preposti e, con un acrobatico rimbalzo di responsabilità, la scarica sulle persone che, esasperate dall’inutile attesa durata anche mesi, cercano di entrare per prime.” Prosegue la Presidente.

“Ricordiamo che questa situazione si è creata fin da quando gli uffici sono stati trasferiti in via Cagni decentrandoli rispetto alla sede dell’Ufficio Immigrazione della Questura di via Montebello. La prima denuncia del Naga risale all’autunno del 2021 e già allora venivano segnalate sia la scarsità delle risorse messe a disposizione per gestire gli ingressi per richiedere asilo, sia l’inadeguatezza dei rimedi adottati. L’ultima procedura scelta, avviata con l’inizio del nuovo anno dopo un primo e disastroso esperimento effettuato il 22 dicembre 2022, prevede che vengano raccolte 120 domande alla settimana esclusivamente al lunedì mattina. Anche questo tentativo tardivo non ha risolto la questione perché il ritardo accumulato in un anno e mezzo ha creato una quantità di aspiranti richiedenti asilo molto maggiore di quello che questi numeri possono assorbire.” Conclude Radice.

Morire di pena, piattaforma per l’abolizione di ergastolo e 41bis

Da Osservatorio repressione

E’ attiva la piattaforma “Morire di pena. Per l’abolizione di ergastolo e 41bis”. Una piattaforma per una sensibilizzazione della società civile e per l’eliminazione dei due istituti più inumani dell’ordinamento penitenziario italiano. Il documento vede la sottoscrizione come primi firmatari di oltre sessanta gruppi e associazioni, e quasi centocinquanta tra artisti, intellettuali, docenti universitari, ricercatori, avvocati, attivisti. L’Osservatorio Repressione ha sottoscritto l’appello e vi chiediamo di diffondere, se potete, il blog e il canale telegram 

per qualsiasi richiesta o informazione potete scrivere a: info@abolizioneergastoloe41bis.it
per far sottoscrivere ad altri l’appello: sottoscrizione@abolizioneergastoloe41bis.it

Morire di pena, piattaforma per l’abolizione di ergastolo e 41bis.

Dal 20 ottobre l’anarchico Alfredo Cospito, detenuto in 41bis, ha rinunciato ad alimentarsi, utilizzando il suo corpo come unica arma possibile per protestare contro il regime di detenzione speciale a cui è sottoposto nel carcere di Sassari e contro l’istituto dell’ergastolo ostativo. Il 6 luglio scorso il reato di “strage contro la pubblica incolumità” per cui era stato condannato è stato riqualificato dalla Cassazione in “strage contro la sicurezza dello Stato”, nonostante le azioni di cui è accusato avessero uno scopo prettamente dimostrativo, e non abbiano causato feriti né morti.

Lo sciopero della fame di Cospito ha avviato una discussione su questi temi anche tra settori della società solitamente prudenti su questi temi, denunciando l’accanimento dello Stato nei suoi confronti persino sui media mainstream, puntando però, per lo più, sull’ambiguo tema della “non proporzionalità” della pena applicata nel singolo caso.

La battaglia che Cospito sta portando avanti ha tuttavia la forza per aprire faglie più ampie nel sistema e un dibattito reale sulla necessità di superamento di due istituti inumani come l’ergastolo e il 41bis, oltre che dell’intero sistema dei circuiti speciali di detenzione. Altre letture rischiano di diventare strumentali al mantenimento dello status quo, e incapaci di rendere giustizia alla lotta che il detenuto anarchico sta portando avanti, mettendo a rischio la propria vita.

Fin dalla sua nascita, che trova radice nelle legislazioni speciali degli anni Ottanta e Novanta, il 41bis si è mostrato come uno strumento di ricatto per spingere i detenuti alla collaborazione con la magistratura, fondato su pratiche di vera e propria tortura. Le condizioni inumane e prive di ogni logica previste da questo istituto si concretizzano in isolamento in celle di pochi metri quadri, limitazioni all’ora d’aria, sorveglianza continua, limitazione o eliminazione dei colloqui con i familiari, controllo della posta, limitazione di oggetti in cella persino come penne, quaderni e libri. Un progressivo annientamento che provoca danni incalcolabili nel corpo e nella psiche dei detenuti.

L’ergastolo, assimilabile in tutto e per tutto alla pena di morte, è invece l’istituto con il quale lo Stato prende possesso del corpo di un individuo, arrogandosi la prerogativa di decidere discrezionalmente se, come e quando restituirgliela attraverso la “libertà condizionale” per “buona condotta”, senza che questi possa venire a conoscenza dei tempi e dei modi del suo eventuale rientro nel consesso sociale. Al netto della inumanità di una punizione a vita, che cancella nell’individuo le idee stesse di “speranza” e di possibile reinserimento nella comunità, l’ergastolo è incompatibile con la Costituzione e con l’idea di “rieducazione” del condannato.

Un dibattito limitativo rischia di essere in questo senso quello sulla possibile abolizione del solo istituto dell’ergastolo ostativo, ovvero quello che – nel caso di alcuni specifici reati – non prevede la possibilità di liberazione condizionale e di altri benefici, a meno che la persona condannata non collabori con gli organi inquirenti. Con la recente legge approvata dal parlamento, inoltre, la possibilità di liberazione condizionale viene spostata a trent’anni di pena scontata invece di ventisei, senza contare che altre misure rendono altamente improbabile la possibilità di affrancamento dalla pena fino alla morte. Il vero tema è quindi quello dell’abolizione dell’ergastolo in toto, nell’ottica di un futuro superamento dell’intera istituzione carceraria, mero strumento di confinamento della marginalità e della povertà (basta vedere da chi è oggi costituita la grande maggioranza della popolazione carceraria, e quali sono i reati di cui questi detenuti sono accusati) nonché di controllo e punizione rispetto a tutte le potenziali conflittualità sociali.

MORIRE DI PENA. PER L’ABOLIZIONE DI ERGASTOLO E 41BIS è una piattaforma di sensibilizzazione e rivendicazione che punta all’abolizione di questi due istituti e dei circuiti speciali di detenzione. La piattaforma nasce a seguito di un’assemblea svoltasi a Napoli che ha visto protagoniste tutte le realtà militanti e sociali in lotta contro il carcere o per la tutela dei diritti dei detenuti, coinvolgendone poi altre sul territorio nazionale. L’obiettivo è quello di allargare la consapevolezza – attraverso iniziative di analisi e discussione, e azioni mediatiche e politiche – rispetto alla necessaria eliminazione di ergastolo e 41bis, sollecitando anche i più prudenti settori sociali citati nella prima parte di questo documento a prendere esplicitamente posizione. Un percorso che immaginiamo lungo e difficile, ma possibile, considerando le fratture che gli accadimenti recenti hanno reso oltremodo visibili.

È possibile, a livello individuale e collettivo, sottoscrivere questo documento e mettersi in rete con le realtà che da qui ai prossimi mesi proveranno a portare avanti la piattaforma, scrivendo all’indirizzo mail: sottoscrizione@abolizioneergastoloe41bis.it.

A seguire alcuni tra i primi firmatari

  • Artisti, personalità del mondo del cinema e della cultura, come Goffredo Fofi, Antonio Capuano, Ascanio Celestini, Pietro Marcello, Elio Germano, i 99 Posse, gli Assalti Frontali, ZeroCalcare, Jorit, Alberto Prunetti, Chef Rubio, Nicola Vicidomini.
  • Esponenti del mondo politico come i militanti del movimento No Tav Nicoletta Dosio, Luca Abbà e Dana Lauriola, l’ex europarlamentare Eleonora Forenza, l’ex senatrice Haidi Giuliani, l’ex consigliere regionale della Campania Francesco Maranta, l’ex consigliere comunale di Napoli Simona Molisso.
  • Attivisti e personalità impegnate nella tutela dei diritti dei detenuti come Charlie Barnao, docente delegato per il polo universitario di Catanzaro, il garante dei detenuti della Campania Samuele Ciambriello, l’ex presidente del tribunale di sorveglianza di L’Aquila Laura Longo, la presidente di Yairaiha Onlus Sandra Berardi, il presidente di Antigone Campania Luigi Romano, padre Alessandro Santoro, della comunità delle Piagge (Firenze).
  • Docenti universitari e ricercatori: Enrica Rigo, Rossella Selmini, Enrico Gargiulo, Stefano Portelli; avvocati: Flavio Rossi Albertini, Caterina Calia, Domenico Ciruzzi, Alfonso Tatarano, Paolo Conte; giornaliste: Maria Elena Scandaliato e Francesca De Carolis.
  • Sindacati di base: SiCobasUSBUnione Inquilini Napoli