Arrestato l’attivista palermitano Chadli Aloui. A lui la solidarietà del SRP, che rilancia in occasione del processo che si terrà il 3 novembre

A Palermo Chadli Aloui, studente universitario, attore teatrale e istruttore sportivo, è stato arrestato nella notte tra il 13 e il 14 ottobre mentre si trovava a casa.

Della sua vicenda ne avevamo già parlato, quando ad Aprile scorso, a seguito della sentenza del Tribunale che gli ha imposto la sorveglianza speciale, è costretto all’obbligo di rientro serale presso il proprio domicilio.

La sera del 13 ottobre, durante un controllo, gli agenti di polizia hanno ripetutamente provocato i suoi familiari con insulti e spintoni.

Poi hanno anche disposto l’arresto di Chadli e denunciato un componente della sua famiglia con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale.

Il 14 ottobre c’è stato il processo per direttissima contro Chadli che si è concluso con un rinvio a giudizio al 3 novembre. Nel frattempo Chadli è stato rilasciato con obbligo di firma.

In questi giorni a Palermo è partita una campagna di solidarietà per sostenerlo di fronte all’ennesimo sopruso.

Ci racconta quanto accaduto Domiziana, compagna di Antudo Palermo. Ascolta o scarica

Da radiondadurto

Strage al carcere di Modena: la procura riapre il caso sulle violenze dopo rivolta del marzo 2020

La cortina fumogena piombata sulle rivolte del carcere di Modena si sta diradando. E dietro alla cappa, i presunti pestaggi, le brutalità e le omissioni su visite e trasferimenti assumono fattezze più nitide. Tanto da farsi esposto e da indurre la procura ad aprire un nuovo fascicolo con l’ipotesi di tortura e lesioni aggravate.

È lo scossone che riapre il caso del Sant’Anna, dopo le rivolte che hanno condotto alla morte nove detenuti. Overdose da medicinali per tutti, secondo l’ordinanza con cui il Gip, Andrea Salvatore Romito, ha disposto l’archiviazione del fascicolo riguardante otto dei nove morti. Il caso di Salvatore Piscitelli, morto nel carcere di Ascoli dopo il trasferimento da Modena, resta invece aperto.

Fondamentali, in tal caso, le denunce di cinque reclusi, testimoni di violenti pestaggi che dicono commessi dagli agenti. Ora a questi racconti se ne aggiungono altri, che riaccendono i dubbi sulla frettolosa archiviazione. Un recluso riferisce di cordoni di agenti intenti a picchiare indiscriminatamente chi si consegnava durante la rivolta. Tanto da ammazzare un compagno, poi trascinato “come un animale”.

“Quando sono uscito vedevo davanti a me una fila a destra e una a sinistra di agenti della penitenziaria. Sono uscito tenendo le mani in alto e dicendo che non avevo fatto nulla. Nonostante ciò, alcuni agenti mi bloccavano, mi ammanettavano e mi misero a testa in giù. Venivo poi portato in sorveglianza dove venivo sdraiato per terra e picchiato violentemente con calci e pugni, anche con l’uso del manganello. Provavo a dire che non avevo fatto nulla, ma proprio per averlo detto mi buttavano nuovamente a terra e mi picchiavano ancora”.

Poi è il turno di un recluso tunisino, ammanettato e picchiato. Dopo le botte non risponde più. “Ho capito che era morto. Tornati gli agenti richiamavo la loro attenzione urlando e questi vedevano il ragazzo a terra e cominciavano a prenderlo a botte per svegliarlo. Lo prendevano come un animale e lo trascinavano fuori”.

Al momento sono in corso le verifiche per l’eventuale riconoscimento. Intanto il referto medico sul testimone dice distacco osseo, fratture e lussazioni nelle aree del braccio, dell’avambraccio e della mano sinistra, e un’operazione al polso. Che, riferisce il legale, Luca Sebastiani “rischia di non poter recuperare nella sua piena funzionalità per il resto della vita”.

A fronte del nuovo esposto, la procura ha aperto un’indagine contro ignoti ipotizzando il reato di tortura. “È chiaro che, ancor più dopo le immagini di Santa Maria Capua Vetere, ci aspettiamo massima attenzione su questa vicenda”, commenta il legale. Ma, a differenza del carcere campano, a Modena non sono emerse immagini del circuito di video-sorveglianza, che, a più riprese, si è detto non in funzione durante la rivolta.

L’Espresso è però in grado di dimostrare l’esistenza di documentazione in cui si fa esplicito riferimento alla presenza di filmati delle videocamere interne. In un’informativa del 21 luglio 2020, il Comandante di reparto dirigente aggiunto della polizia penitenziaria, M.P, rimette alla procura di Modena una nota preliminare riassuntiva dei risultati investigativi sino ad allora espletati sui reati commessi dai detenuti, in aggiunta ad allegati su supporto dvd. Affermando inoltre che “sarà possibile perfezionare l’informativa una volta completata la delegata analisi dei filmati del circuito di video-sorveglianza interno”.

A questo si aggiunge il rimando presente nella richiesta di archiviazione, dove, nel ricostruire la morte di Athur Iuzu, si afferma che dei soccorsi prestati vi è traccia in un’annotazione “in cui vengono descritti gli esiti della visione dei diversi filmati relativi alla rivolta acquisiti nell’immediatezza dei fatti”. Interpellata da L’Espresso sul punto, la procura di Modena, guidata dal neo-insediato Luca Masini, non ha fornito risposta. Non ha dissipato così i dubbi sull’esistenza di frame che possano sgombrare il campo dagli interrogativi. Come per la morte dello stesso Arthur Iuzu e di Hadidi Ghazi, per i quali, secondo il perito del Garante dei detenuti, Cristina Cattaneo, la causa di morte non è nota. Dalla procura si ipotizza il decesso per assunzione incongrua di farmaci. Ma i dubbi, dice Cattaneo, non possono essere fugati in assenza di autopsia completa, nei due casi non compiuta.

Per entrambi c’è il nodo della presenza di traumi evidenti: l’avulsione di due denti per Hadidi, con sangue nelle cavità orali e nasali, che porta Cattaneo a dare per assodato un recente trauma contusivo al volto che non consente di escludere una commozione cerebrale o una emorragia mortale; per Iuzu escoriazioni e lacerazioni sul volto che “lasciano dubbi su una successione tale di colpi da produrre lesioni cerebrali che possono evolvere verso il peggio”. Se auto-prodotte o etero-prodotte non è dato sapere. Ma potrebbe esserlo con i filmati, potenzialmente in grado di chiarire quanto accaduto nelle pieghe della giornata di Modena, anche sul capitolo trasferimenti.

Dei 546 detenuti, ben 417 saranno trasferiti. E quattro moriranno durante o dopo il viaggio, senza riscontri documentali sulle visite mediche e i nulla osta sanitari imposti dalla legge per gli spostamenti. Il sospetto è che non fossero in condizioni di sostenerli e che le visite non siano state espletate, come sostenuto più volte dai reclusi. Da ultimo dall’ex detenuto C.R., autore di una testimonianza messa a verbale dal legale del Garante dei detenuti, Gianpaolo Ronsisvalle, che smentisce anche la tesi dell’idoneità fisica dei reclusi a sostenere il viaggio in virtù della “breve durata”, sottoscritta dalla procura.

Prima della partenza, riferisce, i detenuti sarebbero stati lasciati ammanettati a terra dalle 14 a mezzanotte, senza mangiare né bere, per poi essere tradotti sui pullman. Durante il tragitto Rouan Abdellha accusa ripetuti mancamenti. “Ho chiesto più volte l’intervento dell’ispettore capo scorta perché il ragazzo per me non stava bene. Mi veniva risposto che al nostro arrivo ad Alessandria avrebbero preso provvedimenti”. Ad Alessandria arriveranno in tarda notte. Rouan Abdellha morto. L’odissea del testimone, invece, terminerà solo intorno alle 11 del mattino seguente, quindi diverse ore dopo la partenza, quando gli si consentirà un panino ad Aosta dopo oltre 20 ore a digiuno

Non va meglio ai cinque firmatari dell’esposto su Piscitelli. Consegnatisi agli agenti, raccontano di essere stati ammanettati, privati delle scarpe e degli indumenti, particolare che si ritrova anche nelle ricostruzioni sui trasferimenti dei detenuti a Parma, giunti senza vestiti per ammissione della procura, caricati sui furgoni e picchiati. Piscitelli arriverà ad Ascoli in condizioni critiche, lamenterà dolori durante la notte. Alle richieste di aiuto lanciate dal cellante, Mattia Palloni, tra i firmatari dell’esposto, un agente risponde “lasciatelo morire”. E Piscitelli morirà, qualche decina di minuti dopo. Elisa Palloni, sorella di Mattia, rivela a L’Espresso le pressioni che il fratello avrebbe poi subito per ritirare l’esposto. “A Mattia la procura di Ascoli ha chiesto di ritirare l’esposto. Gli hanno offerto un lavoro in istituto, ma lui ha rifiutato”.

Altri particolari su quegli istanti emergono ancora dal reclamo che un detenuto, C.C., ha inviato alla ministra della giustizia Marta Cartabia. “A Modena”, scrive, “molti detenuti furono violentemente caricati e colpiti al volto con manganellate usando anche i tondini in ferro pieno che si usano per effettuare la battitura nelle celle”. Ad Ascoli, invece, “la mattina seguente salì una squadretta in reparto composta da circa 10 agenti, alcuni con casco, scudo e manganello, e cella dopo cella ci picchiarono tutti. Fu una vera e propria spedizione punitiva”.

Anche su questo indagheranno le commissioni ispettive istituite dal Dap, su impulso della ministra Cartabia. Ma su Modena sorgono già i primi problemi: del pool fa parte anche Marco Bonfiglioli, dirigente del provveditorato che ha coordinato le operazioni di trasferimento dei detenuti durante la rivolta. E che dunque sarebbe chiamato a indagare su se stesso.

Intanto tra i reclusi c’è chi ancora denuncia trattamenti di sfavore. Lo racconta Annamaria Cipriani, madre di Claudio, tra i firmatari dell’esposto di Ascoli. Da mesi si batte per vedersi restituita la verità sulle rivolte. Chiede di visionare i filmati di Ascoli, dove nessuno ha smentito l’esistenza di circuiti regolarmente in funzione. E riferisce quanto accaduto al figlio dopo l’esposto.

“Claudio è stato messo in cella con finestre rotte, acqua sporca e senza coperte. Con la reclusione ha dovuto anche abbandonare l’università. Ha risposto a tre interpelli pur di continuare a studiare, sempre rifiutati. Non gli garantiscono alcun diritto, ma lui ringrazia Dio anzitutto di essere ancora vivo. Sono ragazzi che hanno sbagliato, ma stanno già pagando. Meritano di essere trattati da persone umane”.

Pierfrancesco Albanese

da: L’Espresso

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“Due anni per vedere mio figlio, chiedo dignità per lui e verità per le vittime”

La rivolta al carcere. Dai fatti dell’8 marzo 2020, il primo incontro in carcere di Anna Maria, con il figlio, firmatario dell’esposto sulla morte di nove detenuti, e ancora in carcere. Il calvario di una madre che pare non avere fine.

Anna Maria è una madre che non si arrende e combatte ogni giorno per i diritti di suo figlio, carcerato, ma non solo. Anche per chiedere verità sulla morte dei nove detenuti deceduti durante e dopo la rivolta al carcere di Modena dell’8 marzo 2020. Quel giorno C., suo figlio, oggi 41 enne, napoletano, in carcere per scippi ed altri reati predatori, si trovava all’interno del carcere. E’ uno di coloro che si trovò nel mezzo di quella rivolta che ha scritto una pagina nera nella storia del sistema carcerario Italiano. Una volta repressa, la rivolta seguì il trasferimento dei detenuti in altre carceri d’Italia. Quello di Modena era distrutto e per mesi non avrebbe più ospitato nessuno. Pur non accusato, per lui iniziò un calvario, fatto di trasferimenti da un carcere all’altro. ‘Per più di un mese non abbiamo avuto notizia di lui.

Non ci avevano detto nemmeno se era tra i morti oppure no’ – afferma Anna Maria. La incontriamo in centro, a Modena, nel presidio organizzato dal Consiglio Popolare di Modena che si è offerto per pagarle il viaggio e la permanenza in Emilia-Romagna per il tempo necessario per la visita. E dal centro ci racconta il suo dramma. Da madre con un figlio in carcere a 700 chilometri di distanza da casa. Che per settimane dopo la rivolta non sapeva dove era o se era rimasto ferito. Durante i trasferimenti nelle carceri italiane dei detenuti, che seguirono la rivolta.

Prima Ascoli Piceno, poi il ritorno a Modena per gli interrogatori, poi altri penitenziari e poi, ultimo in ordine di tempo di una serie lunghissima di spostamenti, Parma. Dove Anna Maria lo ha incontrato sabato mattina, dopo due anni da quei fatti. Al termine di un assurdo percorso che l’ha portata, disperata, a fare appello al garante dei detenuti della Campania che ha creato un canale con il suo omologo emiliano romagnolo (con il quale la famiglia non era mai riuscita a parlare), per l’incontro in carcere a Parma. Dove Anna Maria ha potuto vedere e parlare al figlio attraverso un vetro. Lui è uno dei firmatari dell’esposto denuncia per chiedere chiarezza sulla morte la morte di Salvatore Sasà Piscitelli, avvenuta ad Ascoli Piceno, l’unico decesso non ricondotto ad una morte per overdose e per il quale ancora si indaga. E sul cui caso anche Anna Maria chiede verità: ‘Non sono ancora state rese note le immagini di ciò che successe nel carcere di Ascoli Piceno dove anche mio figlio venne subito trasferito. Se sono state diffuse le immagini dei gravi fatti di Santa Maria Capo a Vetere, perché, a due anni di distanza, non viene fatta chiarezza con le immagini su quanto successe ad Ascoli?’.

Ma il dramma vissuto ancora oggi da Anna Maria, da poco pensionata con problemi di salute che oggi le rendono difficile viaggiare da Napoli a Parma, per fare visita al figlio, si estende al trattamento dei detenuti. ‘Mio marito è morto un anno fa e a mio figlio non è stato permesso né di partecipare al funerale né di visitare la tomba, non gli hanno risposto alla domanda di potere seguire i corsi universitari che aveva ripreso, e ormai sappiamo che perderà anche quest’anno. Inoltre gli è stata negata la richiesta di ottenere un trasferimento in un carcere più vicino a Napoli per permettere i colloqui. Negata, anche se era l’unica possibilità per vederci, ogni tanto.

Siamo rimasti solo io e suo fratello ma io ho problemi di salute, presto mi dovrò operare e difficilmente riuscirò a breve a tornare a Parma. Poi c’è un fattore economico, legato al cibo e non solo. I detenuti hanno la possibilità di ordinare alcuni alimenti da una ditta in appalto che due volte la settimana si reca all’interno. Dobbiamo pagare anche un pomodoro e una fettina di carne in più, senza considerare che quando uscirà dovrà pagare il carico di 105 euro al mese per il periodo di permanenza in carcere. Migliaia di euro, non so come faremo. Non smetteremo mai di combattere per dare dignità ai detenuti come lui e affinché la verità su quelle morti emerga’

da: lapressa.it

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Contro l’archiviazione per gli episodi del marzo 2020

Le famiglie di due degli otto detenuti morti quando a marzo 2020 scoppiò una rivolta nel carcere di Modena, in concomitanza con altre sommosse simili in altri istituti penitenziari, presenteranno ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’archiviazione del fascicolo, decisa lo scorso giugno. Il ricorso, come riferito dal Tgr Rai Emilia-Romagna, sarà sottoscritto dall’avvocato Luca Sebastiani, che difende i parenti di Chouchane Hafedh e di Baakili Ali, e predisposto anche dall’avvocato Barbara Randazzo e dal professor Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, che tra l’altro ha patrocinato e vinto il caso alla Cedu sul G8 di Genova.

da: ANSA

L’antifascismo non si processa! Solidarietà agli antifascisti di Genova sotto processo

Più di 50 compagni sotto processo per “i fatti di piazza Corvetto” contro il comizio elettorale di CasaPound del 23 maggio del 2019, in piazza Marsala. A protezione di una decina di neofascisti lo Stato aveva messo in campo 300 poliziotti che avevano pesantemente caricato e pestato i manifestanti.

Lo Stato del Capitale, questo governo, continuano a colpire chi si oppone a fascismo, razzismo, sfruttamento nei luoghi di lavoro, mentre coprono e proteggono le organizzazioni fasciste che devono essere messi fuori legge. 

Giù le mani dagli antifascisti!
Chiudere le sedi/sciogliere le organizzazioni neofasciste! 

Di seguito l’appello che invitiamo a sottoscrivere

L’antifascismo non si processa!

Come Genova Antifascista scriviamo quest’appello in forma di lettera aperta che invitiamo a sottoscrivere alle realtà politiche, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni ed ai singoli riguardo al processo in cui sono imputati una cinquantina di compagni e compagne per la manifestazione antifascista del 23 maggio 2019.

Per il 23 maggio del 2019 viene concessa alla formazione neo-fascista Casa Pound l’autorizzazione per la tenuta del comizio finale della sua campagna elettorale per le “europee” in una piazza centrale del capoluogo ligure.

La piazza concessa, antistante a Piazza Corvetto, viene data nonostante le varie forme di pressione e gli appelli alle autorità locali nel non far tenere tale iniziativa. Appelli e iniziative che sono cadute nel vuoto.

È una settimana particolare per Genova.

Lunedì mattina, grazie ad una mobilitazione che ha portato allo sciopero dei lavoratori addetti al carico-scarico del terminal e ad un presidio solidale ai varchi, era stato impedito l’imbarco di materiale militare che sarebbe stato impiegato nella guerra in Yemen sulla nave saudita Bahri Yanbu attraccata alle banchine genovesi.

Sarà la prima di numerose iniziative di azione e denuncia nella città contro il traffico di armi nello scalo ligure.

Mercoledì, vi era stata una mobilitazione degli insegnanti a Genova – come nel resto d’Italia – contro i provvedimenti per la docente in Sicilia che aveva osato criticare l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, e lo stesso giovedì in cui si sarebbe dovuta tenere la kermesse elettorale neo-fascista vi era stato uno sciopero di 24 ore in porto proclamato da differenti sigle sindacali.

La tenuta del comizio di Casa Pound è giustamente valutata come una provocazione quindi da una parte non trascurabile della città, ancor più per la sordità delle istituzioni cittadine e l’ingente militarizzazione che sin dalla mattina costruisce una specie di “cordone sanitario” attorno alla piazza concessa ai neo-fascisti.

Saranno circa 300 gli agenti impiegati per difendere alcune dozzine di neo-fascisti che si erano resi responsabili in precedenza di diverse aggressioni, tra cui un accoltellamento.

Bisogna ricordare che in quelle settimane, in differenti forme, in diverse città la presenza neo-fascista e leghista era stata duramente contestata con determinazione a Casalbruciato a Roma, come a Firenze e a Bologna.

Un segno tangibile dell’opposizione ad un governo guidato da Lega e Movimento 5 Stelle e alle loro politiche.

Per le 16:30 del 23 maggio veniva lanciato un concentramento in piazza Corvetto che in breve tempo si riempie di persone di ogni età, tra cui molti giovanissimi, mentre un nutrito numero di agenti protegge la piazza concessa ai fascisti.

Ai tentativi di forzare il cordone sanitario predisposto a difesa di Casa Pound cinturato dietro alte gabbie di metallo in direzione della piazza, viene risposto con un continuo lancio di lacrimogeni (il primo, colpisce la vetrina di una celebre pasticceria frantumandola) e la pressoché chiusura ermetica delle vie di fuga dalla piazza che però non smobilita né arretra. Il comizio che conta un numero irrilevante di persone viene svolto in fretta e furia disturbato dal fumo dei lacrimogeni che la direzione del vento sposterà verso i “camerati”, i cori contro i neo-fascisti e le canzoni partigiane.

Finito il comizio, le forze dell’ordine si impegneranno a sgomberare la piazza con cariche e manganellate ed il lancio di lacrimogeni ad altezza uomo, dando luogo a ripetuti pestaggi. Una persona, che si scoprirà essere un giornalista, verrà letteralmente massacrato di botte, “salvato” per così dire da un graduato che riconoscendolo si getta su di lui per schermarlo dagli agenti che lo stavano picchiando.

In questo contesto due persone vengono fermate. Saputa la notizia dalla piazza, parte un nutrito corteo che si dirige fuori la questura per chiedere la liberazione immediata dei manifestanti.

Per i “fatti di piazza Corvetto” sono stati denunciati ed ora sono sotto processo (diviso in due tronconi) più di una cinquantina di compagni e compagne, una parte consistente dei quali con accuse per reati che prevedono per ciascuno decine di anni di galera, qualora fossero condannati con il massimo della pena.

Si tratta di uno dei processi “politici” con più imputati e per reati più gravi che abbia visto la storia giudiziaria di Genova dal dopo-guerra ad oggi. Un tentativo di punire collettivamente chi ha voluto rispondere alla provocazione neo-fascista quel giorno, di annichilire il corpo di attivisti che in questi anni hanno portato avanti importanti battaglie politiche e sindacali in questa città che sono tra gli imputati, ed un monito verso le nuove generazioni che vogliono organizzarsi efficacemente contro la macelleria sociale e la deriva autoritaria, e l’assenza di prospettive in questo Paese.

Ma questo processo non è che un segmento di una repressione più ampia che si è abbattuta su attivisti e movimenti anche a Genova con inchieste, altri processi e provvedimenti di Sorveglianza Speciale.

È necessario fare sentire la solidarietà ai compagni ed alle compagne sotto processo e chiedere a gran voce il proscioglimento delle accuse per cui sono imputati, così come promuovere un’ amnistia politica e sociale generalizzata per chi in questi anni non ha piegato, e non intende piegare, la testa nonostante la repressione subita.

Per chi volesse sottoscrivere l’appello scrivere a: genovaantifascista@gmail.com 

La Cassazione dà ragione a Nadia Lioce: inutile e immotivatamente vessatorio negare ai detenuti in 41 bis di poter acquistare al sopravvitto gli stessi generi alimentari previsti per i detenuti comuni

Nadia Lioce è ancora in 41 bis, mentre pluriomicidi mafiosi come Brusca, che hanno sulla coscienza centinaia di morti e bambini sciolti nell’acido sono liberi, protetti e pagati dallo Stato, un’ingiustizia assoluta!

La criminalità mafiosa è un aspetto del capitalismo, è la sua faccia illegale, il suo braccio illegale che sempre più spesso i padroni usano per schiacciare e intimidire i lavoratori.

Ma allora è la ragion di Stato che condanna Nadia Lioce ad un isolamento totale e perenne, dove è vietato leggere, scrivere, parlare, persino ascoltare! E’ la tendenza alla rivoluzione e la solidarietà di classe che Stato e padroni vogliono colpire, attraverso questi compagni e queste compagne! E’ il passato che li tormenta e il futuro che li attende lo scopo dell’applicazione del 41bis sui prigionieri politici!

Cancellare la storia e chiudere ogni prospettiva rivoluzionaria alla lotta di classe, alle lotte sociali, per spegnerle, per allontanare i fantasmi, quelle “ombre rosse” che tanto li hanno fatti tremare….questo è ciò che emerge chiaramente dall’ennesimo decreto ministeriale di proroga del 41bis a Nadia Lioce.

Ecco perché pensiamo che la lotta contro il carcere/assassino e il carcere/tortura sia una lotta che è parte della repressione antiproletaria e riguardi tutti i proletari e le masse popolari e che la difesa delle condizioni di vita dei prigionieri politici debba essere sostenuta e assunta dai lavoratori in lotta.

Dalla stampa:

Lioce e gli altri carcerati al 41-bis possono acquistare il cibo in più

Accolto il ricorso limitatamente alla richiesta di avere generi alimentari come i detenuti comuni  Annullato con rinvio al tribunale di Sorveglianza l’aspetto della cottura dei cibi all’interno della cella

L’AQUILA. I detenuti nel carcere di località Le Costarelle di Preturo in regime di 41 bis possono acquistare (fino a 500 euro al mese), al cosiddetto “sopravvitto”, gli stessi generi alimentari previsti (da un’apposita tabella) per i detenuti comuni (per i quali il limite di spesa è 900 euro). Lo ha stabilito la Corte di Cassazione.

A fare ricorso al Tribunale di Sorveglianza erano stati diversi detenuti tra cui la brigatista rossa Nadia Desdemona Lioce ristretta in una cella unica e con le regole del 41 bis. La Cassazione ha invece annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza un secondo aspetto del ricorso, che riguarda la possibilità di cucinare i generi alimentari di “sopravvitto” al di fuori “delle fasce orarie previste per i detenuti soggetti a regime differenziato”.
La Corte di Cassazione, in realtà, si è pronunciata su un ricorso del ministero della Giustizia che aveva contestato la prima decisione del Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila, Tribunale che aveva dato ragione alla Lioce, e agli altri detenuti, su entrambe le questioni. Secondo i giudici dell’Alta Corte “il Tribunale di sorveglianza ha motivato in modo adeguato e corretto in punto di diritto quanto al rigetto del reclamo proposto dall’Amministrazione in merito alla limitazione dei generi alimentari acquistabili al sopravvitto dalla Lioce, detenuta in regime differenziato, ritenendo la cosa ingiustificata poiché non funzionale alle finalità dell’istituto. Il giudice di merito, infatti, ha osservato che l’argomentazione svolta dall’Amministrazione circa la finalità di prevenzione dei rischi che all’interno delle sezioni del circuito differenziato si possano manifestare, anche attraverso il possesso di determinati generi alimentari – affermative di uno status da parte dei detenuti più facoltosi – non sia affatto fondata ma, al contrario, appaia inutile e immotivatamente vessatoria rispetto alle ordinarie regole. Il Tribunale ha precisato che la detenuta è allocata in cella singola e al massimo può scambiare i prodotti alimentari acquistati con i componenti del proprio gruppo di socialità, e, pertanto, sono da escludere eventuali manifestazioni di supremazia o carisma criminale paventate dall’Amministrazione, anche perché gli alimenti contemplati al sopravvitto in genere non sono prodotti di lusso, né particolarmente costosi”.

Diversa è la questione della cottura dei cibi. La Cassazione scrive: “Il Tribunale di sorveglianza ha affermato che la cottura di cibi in orari diversi non recherebbe fastidio o disagio ad altri detenuti, in quanto avviene all’interno della cella singola occupata dalla detenuta Lioce che, sempre da sola, li consumerebbe all’interno della propria camera. In realtà, il giudice di merito non ha fornito, al riguardo, una motivazione effettiva circa la ragione per la quale l’aver definito le fasce orarie nel corso delle quali è consentito cucinare ai detenuti assoggettati al regime differenziato, costituirebbe una scelta esorbitante dal ragionevole contemperamento tra il riconoscimento della possibilità di riscaldare liquidi e cibi già cotti e di preparare cibi di facile e rapido approntamento nella camera detentiva e le eventuali concrete esigenze organizzative vigenti all’interno della sezione 41-bis dell’istituto dove è ristretta la Lioce”. La Sorveglianza deve approfondire meglio il caso.

Lo Stato borghese, governo e polizia, ai fasci e no vax lasciano fare tutto quello che gli pare, agli operai che scioperano repressione!

Ancora repressione delle lotte operaie: denunciati 8 “promotori” della manifestazione dell’11/10 ad Amazon

LA REPRESSIONE CONTRO LE LOTTE OPERAIE E A DIFESA DEI PROFITTI NON CONOSCE SOSTA.

8 partecipanti alla manifestazione di lunedì 11 ottobre fuori ai cancelli Amazon, in occasione dello sciopero generale nazionale, sono stati denunciati. Stando alle veline della questura, sarebbe inoltre in preparazione un’altra ondata di provvedimenti amministrativi e fogli di via.

Da il Piacenza

A due giorni dalla maxi manifestazione al Logistic Park di Castelsangiovanni ecco che arrivano le conseguenze. La polizia ha denunciato per violenza privata e manifestazione non autorizzata i promotori dei blocchi al magazzino Amazon e dei due cortei non autorizzati per un totale di 8 denunce ma potrebbero arrivarne altre. Alcuni di questi 8 e anche altri saranno anche destinatari di fogli di via o dell’avviso orale. Tutti sono appartenenti al sindacato SI Cobas. Si legge in una nota della questura: «Questi (i promotori), oltre a non aver rispettato l’obbligo di preavviso (la normativa di settore prevede che le manifestazioni debbano essere preavvisate almeno tre giorni prima all’autorità locale di pubblica sicurezza), hanno dato vita a due cortei non autorizzati: sul tratto di strada che collega il Logistic Park al magazzino Amazon, mentre all’interno del parcheggio della multinazionale era in atto un ulteriore corteo da parte dei manifestanti provenienti da fuori provincia». «I manifestanti  – continua la nota – dopo i due cortei – si sono attestati all’ingresso del magazzino dove hanno impedito il transito ad alcuni mezzi diretti ad Amazon, rendendosi dunque autori del reato di violenza privata». Inoltre: «La divisione anticrimine sta analizzando la posizione di alcuni manifestanti per i queli saranno emanate le misure di prevenzione del foglio di via obbligatorio e dell’avviso orale. I destinatari di quest’ultima misura, già indagati, vedono così la propria posizione aggravarsi ulteriormente». Allo sciopero hanno aderito quasi 3mila persone.

Metadone? “Una macelleria mai vista!”, così la definisce un detenuto scampato alla mattanza del 9 marzo 2020 avvenuta nel carcere di Modena

«A Sant’Anna denudato e picchiato contro il muro. Ci ammazzavano di botte» Un carcerato scrive al Garante raccontando di pestaggi e di effetti mai restituiti

di Carlo Gregori

«Siamo stati ammazzati di botte». «La più grande macelleria che ho visto nella mia vita». Un’altra drammatica denuncia di pestaggi, maltrattamenti e in questo caso di mancata restituzione di documenti e beni preziosi è stata resa pubblica da un detenuto che era presente a Sant’Anna l’8 marzo 2020 durante e dopo la rivolta è che poi è stato trasferito al carcere di Ascoli dove è morto anche Sasà Piscitelli. La lettera è stata mandata al garante nazionale per i detenuti Mauro Palma e ora circola anche pubblicamente. L’ha scritta un detenuto straniero che dice di aver subito vessazioni non solo nella serata dopo la rivolta e nei giorni successivi.

L’aspetto più inquietante, in questo caso, è proprio la sparizione di suoi effetti prelevati al momento del trasferimento e dopo quello che ha definito un pestaggio a un uomo denudato. Scrive (abbiamo corretto gli errori grammaticali): “Vogliamo sapere che fine hanno fatto i miei oggetti di valore. Trecento grammi di oro. Braccialetti, anelli, collane alla mia moglie (sic!). Documenti di valore (patente di guida rumena, carta di credito, postapay rimaste in carcere a Modena). Il sequestro del cellulare. I documenti di mio padre sono rimasti a Modena. Rivoglio i documenti di identità di mia moglie”. La lettera, scritta a mano con una grafia curata, denuncia una serie di gravissimi abusi. A cominciare dal giorno della rivolta: “Mi hanno messo al muro con la testa giù, spogliato tutto nudo davanti alla gente. Picchiato con pugni e calci vicino al muro e tenuto su col manganello alla gola. Sputavo sangue dalla bocca. Mi hanno operato la mano, fatto la coronografia, ho ancora male al braccio sinistro”. E poi la rivendicazione: “Vogliamo i nostri diritti. Siamo delle persone. Degli animali sonio picchiati coi manganelli in terra. Per cosa portano i vestiti dello Stato? Per ammazzare la gente”.

Racconta anche il suo trasferimento ad Ascoli, insieme con Sasà, morto poche ore dopo. «Ho visto della gente lì morire davanti ai miei occhi. Vedevi la squadra. Ho problemi alla gola da quando mi hanno tenuto col manganello alla gola. È il più grande massacro. Siamo stati senza vestiti e scarpe. Ci hanno fatto magiare un panino duro come un sasso. Andavamo alla doccia con l’acqua sporca (…) Non potevi aprire la bocca e ti ammazzava di botte. La più grande macelleria che ho visto nella mia vita. Ti massacravano di botte. Andavo a telefonare e staccava la linea. Ecco cosa facevano. Potenza sopra i detenuti. Siamo ammazzati di botte. Denuncio tutto». La lettera è firmata ed è molto simile alla lettera anonima inviata in luglio. E anonima anche la lettera inviata al procuratore di Modena Luca Masini per denunciare altri abusi ai quali avrebbero partecipato i massimi dirigenti delle istituzioni penitenziarie regionali. E’ la prima volta che un detenuto, anche se anonimo (e quindi un teste privo di valore), scrive direttamente alla Procura di Modena. «Per favore, signor procuratore, accerti la verità».

aggiornamento adesioni all’appello internazionale per Georges Abdallah

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Primeros signatarios:

Campaña Unitaria por la Liberación de Georges Abdallah – Colectivo por la liberación de Georges Ibrahim Abdallah (CLGIA) – ANC (Asociación Nacional de Comunistas) – Partido de los Trabajadores de Turquía (DIP) – Colectivo Rojo Internacionalista para la defensa de los prisioneros revolucionarios (Le CRI Rouge) – Amigos de Palestina contra el imperialismo y el sionismo (Turquía) – Comité de acciones y apoyo a las luchas del pueblo marroquí – Comité de defensa popular de Túnez – Comité de Respeto de las Libertades y Derechos humanos en Túnez – Secours Rouge International – Secours Rouge de Belgique – Secours Rouge árabe – Llamamiento belga para la liberación de Georges Ibrahim Abdallah – Union syndicale solidaire – Collectif 65 pour la liberation de Georges Abdallah – Red de solidaridad con los presos palestinos (Samidoun) – UL CGT Paris 18th – Collectif Palestine Vaincra – The Couserans-Palestine Association – Dimitri Konstantakopoulos, periodista y escritor, ex miembro del Secretariado del Comité Central de SYRIZA (Grecia) – Comité de apoyo internacional a la guerra popular en India (Italia) – Proletari Comunisti (Italia) – Soccorso rosso proletario (Italia) – Aline Pailler – AFPS 63 – Sol idaire 31 – Liga Juvenil Revolucionaria – A2C (Autonomía de clase) – Dominique Grange (Cantante comprometida) – Tardi (Diseñador) – Jean-Pierre Bastid y Emmanuelle de Bagnolet – Alima Boumediene Thiéry – Association Femmes Plurielles – Marie-France Pelletan (Ajaccio) – Helmuth Rudloff (Ginebra) – René Naba, periodista-escritora – Lise Bouzidi Vega, presentadora de radio y activista comunitaria – Association Terre et Liberté pour Arauco – Ismaël Dupont, comunista electo en Morlaix y el departamento de Finisterre, secretario del PCF Finistère – José Navarro – Annick Weiner, profesora emérita – La Red Internacional de Apoyo a Presos Políticos en Chile, (RIAPPECH) – la Plataforma Charleroi-Palestina – Youssef Boussoumah (Cuartel General decolonial) y Houria Bouteldja (Cuartel General decolonial) – Comité Palestino Poitevin – Frente Unido para la Inmigración y barrios populares (FUIQP) – Asociación de residentes de Nanterre (ARENE) – Comité de solidaridad tunecino para la liberación de George s Abdallah – Unión Judía Francesa por la Paz (UJFP) – L’Union Prolétarienne M. L. (U.P.M.L.) – AFPS d’Albertville – AFPS Paris 14-6 -Comisión Árabe de Derechos Humanos- Campaña libanesa para la liberación de Georges Ibrahim Abdallah – Secours Rouge Montreal – Annie Fiore, autora – El colectivo Justicia para Palestina – La orquesta poética de antes de la guerra – OPA, el colectivo contra el abuso policial – CLAP33 y el colectivo Yellows Etc. – Colectivo “Cuenca Minera” para la liberación de Georges Ibrahim Abdallah – Djelloul Khadir – Secours Rouge International Madrid – Asociación Per A Pace, Por la Paz de Córcega – Solidaridad 09 – La Compañía Jolie Môme – El Colectivo 69 en apoyo del pueblo palestino – PRCF – Gabriel Casadesus (Collectif 65) – Corriente del Pueblo Sol Rojo (México) – Secretaría Internacional de la CNT-F – Corsica Palestina – Association des Travailleurs Maghrébins de France (ATMF) – The Frantz Fanon Foundation -PIR – Ali El Baz, activista de inmigración – Charles Hoareau – Movimiento de Solidaridad Internacional (ISM-Francia) – Laurent DE WANGEN, activista antirracista y por lo tanto antisionista – TM Labica, docente, Universidad de Nanterre – Nordine Saidi, miembro activista decolonial de Bruselas Panthères – Movimiento Ciudadano Palestino – Brussels Panthers.

Del 24 de septiembre al 23 de octubre de 2021

El 19 de septiembre de 2020, la Campaña Unitaria por la Liberación de Georges Abdallah convocó a un mes de acción internacional para la liberación de nuestro compañero. Guiados por la firme convicción de que esta lucha tenía que librarse en el terreno político, ya que la negativa del Estado francés a liberar a Georges Abdallah es en efecto una decisión política, muchas organizaciones y colectivos apoyaron entonces este llamado y concretamente, participar en el campo de las luchas, en toda Francia e internacionalmente, con el fin de amplificar la movilización y ayudar a dar a conocer la situación y la lucha de Georges Abdallah.

Este llamado se basó en una clara línea política y una clara línea de defensa de nuestro compañero, la identidad política que el propio Georges Abdallah enuncia en sus declaraciones. Una sólida línea recordando que:

1. Georges Abdallah es un luchador de la resistencia árabe, un comunista libanés, hoy símbolo de la lucha contra el imperialismo, el sionismo, el capitalismo y los estados árabes reaccionarios.

2. Georges Abdallah es un luchador por la causa palestina que luchó contra la guerra sionista de invasión del Líbano y sigue luchando por la liberación de toda Palestina.

3. Georges Abdallah es preso político del Estado francés desde hace más de 37 años, ante la complacencia de Estados Unidos y la entidad sionista.

4. Nos reconocemos plenamente en la lucha de Georges Abdallah. Nos reconocemos en su inquebrantable compromiso revolucionario internacionalista durante sus casi cuatro décadas de encarcelamiento por el fin del colonialismo en todo el mundo, en todas sus formas, por el fin del capitalismo y la explotación y en apoyo de la lucha de los pueblos contra todas las opresiones.

5. Nos reconocemos en su feroz determinación y su inquebrantable conciencia de liderar la lucha por su liberación no sobre la base de las “sutilezas judiciales” de una justicia de clase, sino también al nivel de las autoridades políticas – verdadero lugar donde se decide el peso del acto judicial cuando se trata de presos políticos.

6. Compartimos su línea de conducta en cuanto al apoyo que se le dará para su liberación: “Es en el campo de la lucha donde podemos y debemos brindar el apoyo más significativo a nuestros compañeros en la embajada”. Y en este caso, en su caso, como él mismo dice muy claramente, “no basta con que el Estado del Líbano ‘exija’ o más bien ‘exija’ mi liberación, también es necesario que el equilibrio de poder realmente existente pueda hacer que los representantes del imperialismo francés entiendan que mi encarcelamiento empieza a pesar más que las posibles amenazas inherentes a mi liberación. Solo entonces no habrá oposición a la orden de deportación al Líbano. Por eso, queridos amigos y camaradas, la solidaridad más adecuada que podemos brindar a cualquier protagonista revolucionario encarcelado, es la que desarrollamos cada vez más en el campo de la lucha contra el sistema de explotación y dominación”. (Lannemezan, 19 de octubre de 2019).

Esta línea de defensa de nuestro compañero, sobre esta base política suya, fue nuestra en años pasados ​​y sigue siéndolo hoy.

Es más relevante que nunca en un momento en que el estado francés sigue manteniendo en prisión a Georges Abdallah sin que el Ministro del Interior firme el aviso de extradición sobre su liberación. También es más relevante que nunca en un momento en el que Georges Abdallah sigue enfrentándose a sus carceleros, para no ceder, para resistir y donde la movilización por su liberación es cada vez más fuerte, día tras día: en todas partes de Francia hay iniciativas para exigir su liberación; esta se realiza ante los funcionarios, en el corazón de las ciudades y frente a las autoridades del Estado, durante las campañas solidarias con carteles, clubes y mesas que se realizan, durante las reuniones, comidas y celebraciones, mediante convocatorias de firmas y cartas enviadas a las más altas autoridades representantes del Estado, durante las celebraciones de los partidos políticos de izquierda, y naturalmente dentro de las marchas de todas las luchas sociales y políticas.

Georges Abdallah es una de nuestras luchas cotidianas y no se lleva a cabo ningún acto militante sin que reafirmemos que somos parte de su lucha. Este compromiso en la región y a nivel nacional es ahora también amplio a nivel internacional donde Georges Abdallah tiene seguidores en casi todos los continentes (en América Latina – en Brasil, México, Argentina, Chile, Estados Unidos, en el Magreb y en el Oriente árabe, en particular en Palestina y el Líbano, India, Europa).

Ahora es el momento de garantizar que Georges Abdallah sea justo, como dijo Leila Khaled “un símbolo para los revolucionarios en todo el mundo” pero un símbolo de resistencia reconocido unánimemente, por el que todos reclaman su liberación en nombre del justo y legítimo derecho a rebelarse y resistir. Ha llegado el momento de que se reconozca a Georges Abdallah como un símbolo de resistencia, reconocido unánimemente en un momento en el que en todo el mundo las contradicciones ciertamente se agudizan, pero también la resistencia de los pueblos, que ahora entran en confrontación directa con el poder y reclaman por medio de la revuelta lo que les pertence; en un momento en que la resistencia del pueblo palestino en su lucha por la liberación nacional se desarrolla de asalto por asalto contra el ocupante sionista, llevando sus golpes al corazón mismo de los asentamientos más seguros o sus cárceles de máxima seguridad; en un momento en el que ya es hora de exigir responsabilidades y hacer que el miedo cambie de bando.

Ahora que en el Líbano se acaba de formar un nuevo gobierno teniendo como cabeza al Primer Ministro, el Sr. Najib Mikati, quien en 2012 había exigido la liberación de Georges Abdallah y solicitado su regreso al país como ciudadano libanés, ha llegado el tiempo por tanto, de endurecer el equilibrio de poder aumentando la movilización por la liberación de nuestro compañero.

Es en este sentido y por todos estos motivos, sin dejar de ser fieles a los principios de acción y a la línea política aquí recordados, que hoy llamamos a un nuevo mes de acción, del 24 de septiembre al 23 de octubre de 2021, para que todos nosotros, los partidarios de nuestro compañero, no dejemos un espacio político libre a nivel local, regional, nacional e internacional sin poner en la agenda la demanda de su liberación.

En Albertville, Amiens, Annecy, Aubagne, Aubervilliers, Besançon, Burdeos, Clermont-Ferrand, Gennevilliers, Grenay, Grenoble, Lannemezan, Lille, Lyon, Marsella, Montauban, Montpellier, Morlaix, Nanterre, Nimes, París, Pau, Saint-Denis , Saint-Etienne, Tarbes, Thionville, Toulouse, Troyes; en los Alpes Marítimos, en Córcega, en Finisterre, Gers, en Gironde, Haute-Marne, en Hautes-Pyrénées, Hérault, Ile de France, Lot-et-Garonne, en el norte y Pas-de-Calais, en el Pays de Cornouailles, en Poitou-Charentes, en Puy-de-Dôme, en la región de Rhône-Alpes, en Seine-Maritime y en Tarn-et-Garonne. ; en Argelia, Alemania, Inglaterra, Argentina, Bélgica, Brasil, Canadá, España, Grecia, India, Italia, Kurdistán, Líbano, Luxemburgo, Marruecos, Palestina ocupada, Perú, Polonia, Rumanía, Túnez, Turquía – en todas partes en Francia y en el mundo donde se retransmite la lucha de Georges Abdallah y se lleva la exigencia de su liberación, dondequiera que estemos –apoyo solidario activo a nuestro compañero–, INCREMENTAR LAS ACCIONES DE MOVILIZACIÓN E INTENSIFICAR LA PRESIÓN SOBRE LOS REPRESENTANTES Y SEDES DE PODER DEL ESTADO FRANCÉS PARA QUE EL ACTUAL MINISTRO DEL INTERIOR PUEDA FINALMENTE FIRMAR LA ORDEN DE EXPULSIÓN CONDICIONADA A LA LIBERACIÓN DE NUESTRO COMPAÑERO Y QUE SE GANE ESTA LUCHA VENCIENDO A ESTA INICUA INJUSTICIA.

Todos nosotros: anarquistas, autonomistas, antifascistas, antiimperialistas, antisionistas, comunistas, demócratas, ambientalistas, internacionalistas, libertarios, marxista-leninistas, marxista-leninista-maoístas, republicanos rebeldes, revolucionarios, trotskistas; involucrados en partidos, sindicatos, frentes, campañas, asociaciones, colectivos, comités, movimientos y múltiples redes; comprometidos junto a nuestro compañero en las luchas políticas por Palestina, en apoyo de la Intifada y contra la Normalización; por la defensa de las luchas de los pueblos y su resistencia; por la defensa de los presos políticos y revolucionarios; contra el encarcelamiento; contra la violencia policial; por la defensa de la inmigración y los barrios obreros; contra el racismo ; por la defensa de los trabajadores, sus logros y sus derechos; por el de los chalecos amarillos; por la lucha por la emancipación de la mujer; contra la tortura y la pena de muerte – movilicémonos una vez más, todos juntos donde estemos, en esta diversidad que es nuestra, del 24 de septiembre de 2021 al 23 de octubre de 2021 para que para esta fecha, la undécima manifestación en Lannemezan sea la última y que finalmente podamos estar a su lado para continuar la lucha.

¡Una, dos, tres, mil iniciativas para la liberación de Georges Abdallah!

¡Él es parte de nuestras luchas, nosotros somos parte de su lucha!

¡Palestina vivirá, Palestina ganará!

¡Victoria o victoria!

París, 19 de septiembre de 2021

campaign.unitary.gabdallah@gmail.com