Soccorso Rosso Proletario

Soccorso Rosso Proletario

Resoconto sulle battiture alla sezione femminile del carcere di Trieste – ma SRP è per la vaccinazione per tutti

nel riportare questo resoconto di lotta – 

Soccorso Rosso proletario esprime chiaramente il suo dissenso rispetto all’ultima parola d’ordine  quella che dice NO vaccini –  noi siamo per la vaccinazione per tutti gratuita e obbligatoria 

noi siamo invece perchè di fronte all’emergenza serve la vaccinazione ed è la borghesia e il suo stato che nella gestione dei vaccini fa figli e figliastri

soccorso rosso proletario

 

Assemblea contro carcere e repressione

Lunedì 15 febbraio si è svolta la seconda battitura delle detenute del carcere di Trieste. Sia il 1 febbraio che lunedì 15 sotto al carcere si sono trovate una trentina di persone, per supportare anche loro con pentole e altre cose, alla battitura sotto il carcere. In entrambe le occasioni il dispositivo di polizia era folto, e c’era la presenza – come richiesto dalle detenute – dei giornalisti.
Alle detenute è stato comunicato che in tanti fuori sono andati sotto le carceri a comunicare la loro proposta, che sono state fatte dirette radio e che la città è stata riempita di manifesti riguardo la loro lotta. Le detenute hanno comunicato con noi e hanno ringraziato per il lavoro fatto di comunicazione e presenza.
Una cosa interessante da dire è che sul giornale locale Il Piccolo del 2 febbraio nel tentativo di screditare alcune richeiste delle detenute, c’era scritto, riguardo alla questione vaccinale, che probabilmente le detenute non avevano ben capito visto che molte di loro sono straniere e quindi non in grado di comprendere il problema, accennando anche che dentro al carcere forse è mancata la giusta comunicazione sul piano vaccinale. Sta di fatto che il giorno della seconda battitura ci è pervenuta un lettera di una detenuta in cui spiega che le donne lì presenti sanno tutte l’italiano, e che ribadiscono i loro punti di rivendicazione e che anzi ne aggiungono altri.
Le detenute non hanno rilanciato altri momenti di lotta, ma ci terranno aggiornate su cosa avviene dentro e sulle future possibili iniziative.
Una cosa negativa da osservare è che i detenuti del maschile non hanno partecipato alle battiture, cercheremo di capirne i motivi.
Da parte nostra continueremo a seguire la situazione, a mandare rassegne stampa alle detenute in modo tale che possano da sole farsi un’idea sui temi come vaccini o simili. Inoltre a marzo si terrà un’iniziativa in piazza a Trieste per parlare della strage di marzo 2020 nelle carceri, per ricordare il compagno Pedro ucciso l’otto marzo 1985 dalla polizia, ma anche per parlare di quello che avviene tutt’ora nelle carceri italiane.

Riportiamo qui le rivendicazioni delle detenute, scritte il 9 Febbraio, in cui dicono inoltre di aver ricevuto dei rapporti disciplinari per i cori e le grida che avevano accompagnato la loro prima battitura, così come fanno notare un trasferimento senza preavviso e non motivato di una detenuta, dal carcere triestino a quello veneziano, tre giorni dopo la battitura del 1 Febbraio.

Qui sotto le rivendicazioni:

-Indulto

-Domiciliari o messa alla prova per chi ha scontato 1/3 della pena

-Più ore di apertura delle celle, invece che le 17.45 posticipare la chiusura alle 19.30

-Controllo del vitto (il cibo è crudo, immangiabile)

-Apertura giornaliera della biblioteca, non solo quando hanno voglia loro, cioè 1 giorno a settimana (se va bene)

-Corsi, corsi e corsi, qui non c’è né neanche uno, non c’è lavoro, non ci stiamo riabilitando ma stiamo peggiorando

-Sert ed educatori almeno una volta a settimana, invece di passare una volta al mese come succede ora, rallentando così tutti i processi

-Riabilitazioni dal GOAP-Centro antiviolenza di Trieste per le donne violentate

-No vaccini ma più sanità e controlli medici

Spagna, arresto del rapper Pablo Hasél: arresti e scontri con la polizia in diverse città. Una donna ha perso un occhio dopo essere stata colpita da un proiettile di gomma sparato dalla polizia per disperdere i manifestanti.

E’ di 43 arrestati e di 9 feriti il bilancio degli scontri avvenuti a Madrid e a Barcellona tra dimostranti e polizia, momenti di violenza seguiti all’arresto del cantante rap Pablo Hasel. Questi avrebbe dovuto presentarsi in carcere lo scorso venerdì per scontare una pena di 9 mesi di reclusione per “esaltazione del terrorismo e ingiurie alla corona”, ovvero per aver scritto tweet e postato sui social video con insulti alla monarchia e alla polizia. In 200 fra artisti ed intellettuali hanno sottoscritto un appello per chiederne la liberazione.
Momenti di agitazione anche in altre città fra cui Girona e Tarragona (dove i dimostranti hanno bloccato l’autostrada), ma il grosso delle violenze è avvenuto nella capitale, dove sono state infrante vetrine, incendiati cassonetti e lanciati oggetti contro le forze dell’ordine.
A Barcellona una donna ha perso un occhio a causa di un proiettile di gomma sparato dagli agenti.

Chi è Pablo Hasél

Il documentario “Hasél-Poeta Prosierto” racconta la storia dell’artista e attivista comunista Pablo Hasél, condannato due volte al carcere per il contenuto rivoluzionario delle sue canzoni e poesie. Sarà il primo rapper imprigionato in Europa e un esempio della lotta per la libertà di espressione.

Una produzione indipendente di MAOMAO, cinema militante e partigiano.

Scritto e diretto da Nikone Cons.

Militanti e solidali hanno fatto questo lavoro per denunciare l’ingiustizia e la repressione subite da Pablo. Se qualcuno vuole dare un contributo economico, può farlo al fondo di resistenza del nostro compagno.

Numero di conto di solidarietà: ES 15 2100 3611 5021 0021 0784

PayPal: llibertatpablohasel@gmail.com

Dall’emergenza pandemia all’emergenza polizia: così il governo dell’assembramento di padroni e banche si prepara a silenziare ogni forma di solidarietà di classe da e verso i proletari prigionieri

La circolare di Gabrielli da un articolo di

Rivolte in carcere e presidi di protesta, le linee guida del capo della polizia

A un anno dalle proteste che causarono la morte di 13 detenuti, una circolare riservata stabilisce le procedure per reprimere sommosse e azioni violente e per contrastare i picchetti.

Pianificazione a monte, a livello provinciale. Attivazione diretta dei comandanti della polizia penitenziaria, scavalcando i direttori delle carceri, da parte dei questori. Impiego dei reparti Mobili, gli ex celerini, da schierare in caso di rivolte e di manifestazioni di protesta, con una attenzione particolare alle iniziative organizzate da anarchico-insurrezionalisti. Elicotteri e idranti, protezione aerea e navale. Coinvolgimento delle Direzioni investigative antimafia, delle teste di cuoio di Nocs e Gis e pure dei militari dell’operazione Strade sicure. A quasi un anno dalle violente rivolte in decine di case di reclusione e dalla morte di 13 detenuti – una strage senza precedenti – qualcosa si muove.

La circolare del capo della polizia

Lo Stato risponde con un atto amministrativo, che codifica procedure e sinergie per prevenire e soprattutto per reprimere future sommosse e azioni di supporto. Con una circolare datata 29 gennaio, tenuta riservata e destinata a far discutere, il capo della polizia Franco Gabrielli stabilisce le modalità di pianificazione dei servizi e gli interventi da attuare in caso di agitazioni e ribellioni dietro le sbarre e di proteste interne o esterne. E attribuisce responsabilità e compiti alle istituzioni e ai soggetti in campo, alla luce delle prerogative generali di prefetti e questori e delle consolidate competenze in materia di ordine pubblico e sicurezza.

Domande, critiche e consensi

I rappresentanti dei dirigenti della polpenitenziaria promuovono le “linee guida”, come vengono definite nell’intestazione del documento, 11 pagine in tutto. Dalla platea dei direttori dei penitenziari e dagli addetti ai lavori si levano voci critiche e preoccupate, in forma anonima. I dissidenti hanno paura a scoprirsi. Ma le domande poste si rincorrono. Basta “solo” una circolare per regolare interventi così delicati e complessi? Non sarebbe serviti almeno dei decreti ministeriali, se non una legge ad hoc? Il capo della polizia ha tutta questa autonomia decisionale oppure ha concordato il testo con i referenti politici del Governo uscente o con i vertici dell’Amministrazione penitenziaria? È vero che le direttive sono in contrasto con la normativa sulle mansioni e le responsabilità dei direttori di carcere? E che cosa ne pensa la neoministra della Giustizia Marta Cartabia?

L’elaborazione delle linee guida

Argomenta Gabrielli, nella premessa: le rivolte, la maxievasione di Foggia e i tentativi di fuga «hanno fatto avvertire unanimemente l’esigenza di un più ampio, integrati e pianificato coinvolgimento tecnico-operativo di tutti i soggetti istituzionali deputati a garantire la sicurezza sia all’interno, sia all’esterno degli istituti penitenziari, con l’impiego, ove necessario, anche delle polizie locali e delle strutture destinate al soccorso pubblico e sanitario». Da qui l’emanazione delle linee guida, lo strumento scelto per delineare «scenari definiti secondo un criterio di crescente minaccia (dalle iniziative di dissenso poste in essere in prossimità della struttura penitenziaria fino all’intervento eccezionale al suo interno) cui corrispondono schemi procedurali individuati al fine di consentire una rapida, efficiente ed omogenea azione e di contrasto». Niente sarà più lasciato all’iniziativa dei singoli, a soluzioni improvvisate o a iniziative estemporanee, al buon senso di chi in carcere ci sta da anni. Tutto andrà pianificato.

Il ruolo di prefetti e questori

La declinazione in sede locale delle direttive del capo della polizia è demandata ai prefetti, chiamati a mettere a punto Pianificazioni generali provinciali con il supporto dei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza , «sentite le competenti autorità penitenziarie (direttore di istituto e comandante della polizia penitenziaria locale)» e con il contributo informativo e propositivo del Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e dei magistrati di sorveglianza. I questori saranno invece tenuti ad occuparsi della attuazione tecnico-operativa di questi piani di sicurezza, con i consueti “tavoli” di concertazione aperti ai comandanti dei reparti locali della polizia penitenziaria, a detective e analisti del Nucleo investigativo centrale e agli ufficiali dell’esercito, nelle località dove i militari effettuano servizi di vigilanza. La gestione degli eventi critici dovrà procedere su un duplice binario: misure di primo intervento e controllo esterno e intervento eccezionale all’interno dei singoli istituti.

L’attenzione per gli anarco-insurrezionalisti

Le manifestazioni di protesta sotto le mura delle carceri, «specie se di matrice anarchico-insurrezionalista», vengono considerate «eventi tali da incidere sull’ordine e sulla sicurezza della struttura penitenziaria» e faranno scattare contromisure ad hoc. Il questore potrà avviare contatti con il comandante della polizia penitenziaria (e non anche il direttore dell’istituto coinvolto, o almeno questo non è stato esplicitato nella circolare), mettere in campo in il reparto Mobile, far levare elicotteri, disporre l’utilizzo di mezzi dotati di idranti.

Poliziotti e carabinieri dentro le carceri

L’impiego di poliziotti, carabinieri e finanzieri dentro le strutture penitenziarie è previsto dal regolamento penitenziario ed è richiamato dalla circolare. Considerato «di natura assolutamente eccezionale», viene ammesso «con il verificarsi di eventi non ordinari, non gestibili con le risorse interne e che non richiedano un intervento immediato». Se il direttore di un carcere in rivolta chiederà aiuto e rinforzi, tramite il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria o attraverso il prefetto, la gestione e la responsabilità degli interventi passeranno nelle mani del questore. E sarà lui, pure in questo caso, ad avviare contatti con il comandante degli agenti dell’istituto (e anche qui il direttore scompare dalla scena) e a valutar se affidargli il comando delle operazioni o farlo affiancare da un suo funzionario. Non si esclude, nemmeno dentro i penitenziari, l’impiego del reparto Mobile.

L’uso della forza fisica e le armi

La circolare di Gabrielli richiama il passaggio della riforma penitenziaria che ammette l’uso della forza fisica e dei mezzi di coercizione per prevenire e impedire atti di violenza, evasioni, resistenze. Non è chiaro se il direttore di un carcere in rivolta dovrà o potrà dare l’autorizzazione a portare armi anche al personale di polizia esterno o unicamente al personale intero, come è già previsto. Non si fa cenno al divieto di forme di violenza e tortura, nonostante le denunce e gli esposti presentati da detenuti che raccontano di abusi e di maltrattamenti durante e dopo le sommosse.

Il plauso dei comandanti della polizia penitenziaria

Daniela Caputo, segretaria dell’Associazione nazionale dirigenti e funzionari di polizia penitenzia, in un comunicato spende parole positive per le direttive di Gabrielli: “Esprimiamo grande apprezzamento per le linee guida sugli interventi in caso di manifestazioni di protesta e disordini negli istituti penitenziari. Si tratta di una circolare di portata eccezionale. Per la prima volta, anche se con ritardo, l’autorità di pubblica sicurezza considera la polizia penitenziaria operativamente parte integrante del sistema pubblica sicurezza».

I timori e le riserve dei direttori di istituto

Rosario Tortorella, segretario nazionale del Sindacato direttori penitenziari, giura di non essere al corrente né della circolare né delle posizioni critiche e preoccupate che si registrano negli ambienti carcerari. “Non la conosco. Non l’ho letta. A noi non l’hanno mandata. E non abbiamo avuto segnali di dissenso da parte di nostri iscritti”. Alcuni direttori, invece, rumoreggiano, restando per ora nelle retrovie. L’ordinamento vigente – ricordano – prevede che siano loro stessi a dover «salvaguardare costantemente le condizioni di ordine e disciplina negli istituti penitenziari, nel pieno rispetto della dignità della persona e per il soddisfacimento delle esigenze di sicurezza della collettività», il tutto «avvalendosi de1l personale penitenziario e non venendo esautorati dal questore o da un suo collaboratore».

Altre considerazioni critiche, e una domanda polemica, dal fronte degli addetti ai lavori. «Il capo della polizia ha fatto tutto da solo oppure ha scritto la circolare almeno con l’assenso del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, se non dei ministri competenti? Se così non fosse, avrebbe commesso una invasione di campo senza precedenti, entrando in competenze proprie dell’amministrazione penitenziaria. Gabrielli liquida il potere dei direttori come residuale. Dovrebbero chiamare rinforzi e poi sparire. Invece ai direttori compete il pieno esercizio delle responsabilità attribuite dalla legge, con la collaborazione piena del personale di polpenitenziaria e prima ancora con la partecipazione ai tavoli tecnici convocati nelle questure, da cui sembrano tagliati fuori».

Fp Cgil: la polizia in carcere è “una sconfitta”

I vertici della Cgil Funzione Pubblica, con una dura lettera aperta, chiedono chiarimenti al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ed esprimono “forti perplessità” sulle disposizioni della circolare Gabrielli. «Le linee guida – scrivono Carla Ciavarella e Florindo Oliverio, coordinatrice nazionale e segretario nazionale della sigla sindacale – sembrano obbligare la nostra amministrazione ad appiattirsi sul terreno della pubblica sicurezza, come se avessimo nel frattempo dimenticato che il ricorso all’ausilio di altre forze di polizia esta un evento estremo, da invocare solo quando tutte le altre strade di dialogo, mediazione e depotenziamento dei rivoltosi non abbiamo avuto esito positivo». E, ancora: «L’ingresso in carcere di altre forze di polizia non rappresenta una vittoria per la polizia penitenziaria, ma una sconfitta dell’intero sistema penale”.

Il garante: “Avviato il dialogo con il Dap”

Il presidente dell’ufficio nazionale del garante dei detenuti, Mauro Palma, per ora preferisce non commentare, appellandosi alla “serenità e armonia” richiesti al suo ruolo. Ma rassicura: «Conosco la circolare e, proprio per quei chiarimenti che necessita, ho avviato una interlocuzione con il Dap». Uno degli snodi più dedicati, sembra concordare con le voci critiche, è il ruolo dei direttori degli istituti, così come viene ridisegnato dalle linee guida.

Carpi (MO): 26 antifascisti denunciati per aver cantato Bella Ciao

Da Osservatorio Repressione

Hanno cantato tre volte ‘Bella Ciao’. Ora per quei cori 25 manifestanti, accusati di aver dato vita ad una manifestazione non autorizzata, rischiano la condanna.

 Il contesto è quello del presidio dell’agosto 2017 di Forza Nuova, a Carpi. I militanti, una cinquantina, stavano protestando in via Marx contro l’arrivo, nella città dei Pio, di una ventina di profughi. Poco dopo alcuni gruppi antifascisti si erano ‘staccati’ dalla contromanifestazione organizzata in contemporanea in piazza Martiri per ‘assistere’ alla protesta.

Il 5 febbraio si è tenuta  l’udienza che  è stata sospesa dopo che una delle teste si è ‘trasformata’ in indagata dopo aver ammesso di aver cantato con gli altri ‘Bella Ciao’.

«Una sentenza di condanna basata su quella interpretazione, peraltro già dichiarata illegittima, sarebbe un precedente agghiacciante per Modena, soprattutto se emessa due giorni prima del 25 aprile». Carpi Antifascista difende strenuamente i 26 imputati per i fatti avvenuti il 4 agosto 2017: in quella data Forza Nuova manifestò sotto la palazzina di via Marx che di lì a poco avrebbe ospitato dei migranti. «Una presenza estranea che, nella città medaglia d’oro al merito civile per i sacrifici della popolazione durante la Lotta di Liberazione, ah subito attivato una risposta chiara e forte», dicono gli antifascisti che quella sera in via Marx portarono il proprio dissenso.

Il “precedente agghiacciante” cui si riferiscono potrebbe essere la sentenza che verrà emessa il 23 aprile: durante l’udienza del 5 febbraio, una ventina di testimoni della difesa ha riportato i fatti accaduti quella sera, «sostenendo l’inequivocabile spontaneità della presenza antifascista e, venuta così a cadere l’accusa che intendeva indicare i 26 imputati come organizzatori del raggruppamento non autorizzato, l’oggetto d’accusa si è spostato al comma 3 dell’articolo 18 del Tulps (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), che prevede come “con le stesse pene sono puniti coloro che nelle predette riunioni prendono parola”.

Dalle parole alle canzoni è un attimo». Ed ecco il passaggio che porta al canto di “Bella ciao”, intonata dagli antifascisti. Punire qualcuno sulla base dei canti sarebbe «un pericoloso precedente che andrebbe a minare la libertà di dissentire, anche pacificamente, di fronte a becere manifestazioni d’odio razziale e xenofobo inscenate da gruppi o partiti dichiaratamente neofascisti», sostiene Carpi Antifascista, stringendosi ai 26 imputati.

Torino – giù le mani dall’antifascismo militante!

la polizia prepara la repressione verso gli antifascisti che hanno giustamente contestato il banchetto fascista

da la stampa borghese
Riconosciuti in cinque: appartengono all’area anarchica. L’attacco in piazza Foroni
La polizia ha identificato alcuni dei responsabili dell’aggressione a due militanti di Fratelli d’Italia impegnati in un volantinaggio e nella raccolta firme, venerdì, in piazza Foroni a Torino.  I due giovani esponenti di destra sono rimasti feriti e sono stati portati all’ospedale Giovanni Bosco.
“Erano in cinque”, hanno raccontato i fasci Quattro ragazzi e una donna. “Dopo aver ribaltato il banchetto e tentato di rubare le bandiere hanno aggredito con catene, calci e pugni i nostri militanti”,. L’azione è stata ripresa in un video pubblicato su Facebook dallo stesso Forzese. Gli investigatori della Digos di Torino, guidati da Carlo Ambra, hanno identificato due degli aggressori. Sono esponenti dell’area anarchica torinese riconducibili all’ex Asilo. Sono accusati di tentata rapina per aver cercato di portare via ai militanti le bandiere del partito. Gli investigatori li hanno identificati dai filmati delle telecamere di sorveglianza della zona che hanno ripreso il gruppo arrivare in bicicletta e i secondi dell’aggressione. I due militanti feriti sono stati colpiti con i lucchetti rigidi delle biciclette.
E’ la terza azione in pochi mesi a Torino contro attivisti Fdi, già aggrediti in corso Cincinnato, a fine gennaio, sempre a un banchetto dei militanti, e poi una sera in corso Allamano quando due esponenti del gruppo studentesco di Fratelli d’Italia è stato aggredito mentre attaccava dei manifesti.

Condannati per tortura i dieci agenti del carcere di San Gimignano

Sono quelli che hanno scelto il rito abbreviato, altri cinque saranno in dibattimento nel processo a maggio. L’associazione Antigone ricorda che Salvini quando era ministro, andò a portare solidarietà ai poliziotti: “Adesso chieda scusa”

di: Laura Montanari

17 Febbraio, 2021

Condannati per tortura e lesioni aggravate dieci agenti della penitenziaria in servizio, nell’ottobre del 2018, nel carcere di San Gimignano (Siena): le pene vanno da 2 anni e 3 mesi a 2 anni e 8 mesi. Questa la sentenza del gup di Siena Jacopo Rocchi dopo quasi 3 ore di camera di consiglio. I 10 agenti, con i legali Manfredi Biotti e Stefano Cipriani, avevano scelto la strada del rito abbreviato dopo essere stati accusati del pestaggio di un detenuto tunisino (incarcere per reati legati alla droga) durante un trasferimento coatto di cella avvenuto a ottobre 2018. Il pm Valentina Magnini aveva chiesto condanne a 3 anni per 8 agenti, 2 per un altro e 22 mesi per il decimo imputato. Lacrime e silenzi alla lettura della sentenza.

Nell’inchiesta della procura di Siena erano in tutto 15 i poliziotti della penitenziaria a vario titolo indagati: per cinque c’è il rinvio a dibattimento che si terrà il prossimo 18 maggio. Il giudice ha anche stabilito che la vittima dovrà essere risarcita con 80mila euro mentre l’associazione L’Altro Diritto (che ha seguito da subito la vicenda), in qualità di garante comunale per i diritti delle persone in detenzione riceverà cinquemila euro.

Erano andati a prenderlo in quindici per trasferirlo da una cella all’altra del carcere di San Gimignano: agenti e ispettori di polizia penitenziaria. Indossavano tutti i guanti. Era il pomeriggio dell’11 ottobre 2018. Lui, un cittadino tunisino di 31 anni, pensava di andare a fare la doccia, aveva le ciabatte ai piedi e un asciugamano al braccio. Invece è stato trascinato per il corridoio del reparto isolamento, picchiato con pugni e calci. “Gli hanno abbassato i pantaloni”, lui “è caduto” e hanno continuato a picchiarlo. “Sentivo le urla” racconta un detenuto, “poi lo hanno lasciato svenuto” in un’altra cella. Nell’ordinanza si parla di “trattamento inumano e degradante”, di “violenza” e “crudeltà”. Quindici guardie, agenti, ispettori e assistenti sono indagati dalla procura di Siena per il reato di tortura.

È stato uno dei primi casi contestati da che il reato è entrato in vigore due anni fa, il primo che riguarda pubblici ufficiali. Quattro sono i poliziotti sospesi dal servizio per quattro mesi secondo quanto disposto dal gip Valentino Grimaldi. La pm, Valentina Magnini aveva chiesto anche gli arresti domiciliari che invece non erano stati concessi.