Soccorso Rosso Proletario

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nuova iniziativa per Dana NO TAV – massimo sostegno – SRP

No Tav, presidio per Dana Lauriola: «In carcere da 164 giorni per aver parlato al megafono»

«Lei e le altre compagne devono essere subito liberate»: è l’appello delle «Fomne contra `l Tav», le donne che da anni si oppongono alla realizzazione della Torino-Lione

«Dana è in carcere da 164 giorni perché ha tenuto in mano un megafono spiegando le ragioni di chi non vuole il Tav, lei e le altre compagne devono essere subito liberate». È l’appello urlato dalle «Fomne contra `l Tav», il gruppo di donne che da anni si oppone alla realizzazione della Torino-Lione, che oggi pomeriggio (27 febbraio) si è ritrovato sotto la sede Rai di via Verdi, a Torino.
Le Fomne chiedono la scarcerazione delle compagne No Tav, fra cui la portavoce del movimento Dana Lauriola.
Fra i presenti anche la storica esponente del movimento Nicoletta Dosio. «Il Tav deve essere fermato — spiega — il Covid dovrebbe insegnare qualcosa, quando la natura viene devastata alla fine reagisce e si difende. Un centimetro di Tav vale 2 mila euro e poi non ci sono abbastanza vaccini per contrastare l’epidemia».

La solidarietà non è reato. Lorena è Gian Andrea stavano dove bisogna stare

di Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli (Italia, 2018, 98 min)

La mattina del 23 febbraio 2021, all’alba, la polizia ha fatto irruzione a casa di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir. Hanno sequestrato telefoni, libri contabili, altro materiale. Gian Andrea risulta imputato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La loro attività, assieme a Linea d’Ombra ODV non è mai stata segreta: i due aiutano i e le migranti che, sfiancati, arrivano a Trieste passando per la rotta balcanica. Davanti agli occhi di tutti, in piazza, fasciano piedi, curano ferite, offrono un piatto caldo. Davanti agli occhi di tutti, come davanti agli occhi di tutti agivano questa relazione di cura, questo elementare, pubblico e potente gesto di umanità, a Pordenone, prima di trasferirsi a Trieste, come ZaLab ha raccontato nel film Dove bisogna stare, di Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli, prodotto in collaborazione con Medici Senza Frontiere.

Lo stesso Stato che respinge illegalmente al confine che chiude la rotta balcanica, ha deciso che questo gesto di esistenza, resistenza e fratellanza debba essere perseguito come reato. Se quello che fanno Lorena e Gian Andrea è un reato, ci dichiariamo non solo solidali ma complici: il nostro raccontare è la continuazione di quel loro gesto.

La visione del film è gratuita fino a domenica 28 febbraio in solidarietà a Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, assurdamente e ingiustamente imputati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Se volete sostenere: paypal.me/lineadombra

storie di ordinaria violenza nel carcere di Torino

Torino, detenuto picchiato in tribunale da un agente della polizia penitenziaria per una sigaretta

L’aggressione prima di un’udienza: indagine interna
Una sigaretta accesa nelle stanze del tribunale in cui i detenuti attendono l’inizio dei processi avrebbe scatenato la furia di un agente della polizia penitenziaria, che ha malmenato un imputato che cercava di ingannare l’attesa prima dell’udienza. Secondo quanto riferito sono stati gli altri due agenti a separare i due e a prestare al ferito le prime cure, prima che si presentasse davanti al giudice.
La vittima è un trentenne detenuto al carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Nei giorni scorsi, assistito dall’avvocato Andrea Stocco, è stato accompagnato in tribunale per un processo in cui era accusato dal pm Paolo Scafi. Nonostante fosse arrivato un po’ malconcio in aula, l’imputato non ha riferito nulla e nessuno si è accorto di quello che era appena avvenuto. Al giovane erano stati rotti gli occhiali ed era stato sbattuto con la testa contro il muro, ma soprattutto la sera le sue condizioni sono peggiorate e si sono manifestate vertigini e sintomi di commozione cerebrale.
Il caso è stato subito portato all’attenzione della direzione del carcere e gli agenti che avevano assistito al pestaggio hanno fatto rapporto sull’accaduto, raccontando la loro versione. La direttrice Rosalia Marino – arrivata al Lorusso e Cutugno in sostituzione di Domenico Minervini, dopo l’inchiesta coordinata dal pm Francesco Pelosi su presunte torture e abusi che si erano verificati ai danni di alcuni detenuti da parte di alcuni agenti – ha prestato subito la massima attenzione all’episodio e ha aperto un’indagine interna per verificare i fatti, ma della vicenda si stanno interessando anche gli ispettori e anche la procura generale, poiché l’aggressione è avvenuta all’interno del palazzo di giustizia.
La vicenda è arrivata all’attenzione anche della garante dei detenuti di Torino, Monica Gallo: “Non mi esprimo sul caso specifico – ha detto – ma c’è un clima di grande collaborazione e trasparenza con la direzione del carcere per gestire ogni situazione”.

Grosseto. “Vilipesero” Salvini, due compagni denunciati – massima solidarietà a tutti i compagni colpiti dalla repressione

due militanti della Rete dei Comunisti di Grosseto sono stati denunciati per Resistenza a Pubblico Ufficiale e vilipendio contro le Istituzioni.

I reati imputati fanno riferimento ad una contestazione verbale nei confronti di Matteo Salvini, al termine di un suo comizio di fine Agosto ‘20 a Orbetello e alla condivisione di un post su facebook dalla pagina di Potere al Popolo Grosseto (successivamente oscurata ed eliminata), contenente un video che riprendeva la reazione delle Forze dell’Ordine.

I casi in questione non rappresentano un fatto straordinario e qui ci proponiamo di contestualizzarli in una lettura di più ampio respiro su una repressione mirata a minare e a silenziare l’azione dei comunisti, degli anticapitalisti, di chi si propone la rottura dello stato presente di cose e contemporaneamente si attiva nell’organizzazione delle classi subalterne.

L’azione repressiva nei confronti dei nostri compagni fa il paio con altre situazioni sul territorio regionale.

Poco meno di un anno fa un altro militante della Rete dei Comunisti di Siena è stato denunciato per una presunta “partecipazione ad imbrattamento” che gli è costata il sequestro di PC e telefono per alcuni mesi.

A Firenze sono arrivate 19 misure cautelari e 7 arresti relativi alla rivolta cittadina del 30 ottobre scorso, ma ricordiamo che persistono i processi e le sentenze contro il movimento antifascista e studentesco fiorentino; a Pisa è di poche settimane fa lo sgombero dello spazio sociale della Limonaia e di qualche giorno fa l’inizio del processo contro 9 compagni e compagne per una contestazione ad un comizio di Salvini.

A Livorno invece sono crollate le denunce contro gli attivisti di ASIA-USB e del Movimento per la casa per un picchetto antisfratto del 2014, ma insistono ancora le centinaia di misure repressive ai danni dei compagni e delle compagne livornesi del movimento antifascista e ancora di quello per il diritto alla casa.

Questi sono soltanto alcuni riferimenti locali al disegno repressivo complessivo contro militanti e attivisti che ancora oggi si inseriscono nel solco della lotta di classe nel nostro paese, un quadro di repressione attiva e preventiva a livello nazionale, che si estende al di fuori della dimensione istituzionale con le intimidazioni di stampo fascista, come quella subita dal compagno Gabriele Farnesi, di Pietrasanta, militante del Cantiere Sociale Versiliese, Potere al Popolo e ASIA-USB.

da rete dei comunisti di grosseto

Sul tentativo di rivolta nel carcere di Varese, le prime testimonianze dei detenuti “sovversivi”

Dagli arrestati per la rivolta nel carcere di Varese

Lettera di Enrik dal carcere di Busto Arsizio

(11 febbraio 2021)

Buongiorno a tutti voi

Come prima cosa vorremmo ringraziarvi per la vostra lettera, ci ha tirato molto su di morale sapere che là fuori c’è qualcuno che ha molto a cuore le nostre condizioni e la nostra causa.

Vorrei come prima cosa scusarmi in anticipo per il mio italiano non perfetto, e spiegarvi i motivi per i quali si è arrivati alla protesta nel carcere di Varese.

Il primo episodio avviene ai primi di ottobre dove un uomo viene trovato morto suicida nella sua cella singola, non voglio entrare in merito ai motivi i quali lo hanno spinto a questa estrema decisione, ma sappiamo per certo che alcuni sintomi c’erano, non chè la mancanza di sorveglianza. Quello che vorremmo far notare è che la notizia non è uscita, almeno per ciò che sappiamo, né sui giornali o altro, e anche che il carcere se ne è ben presto dimenticato.

Il secondo episodio riguarda (Pasquale Siciliano) un uomo e amico di 50 anni che muore precocemente dopo appena un giorno dalla notizia di essere diventato nonno. (Siamo ai primi di settembre). Premetto che a Varese, essendo un carcere piccolo, il sistema sanitario funzionava in questo modo che: alle 18.00 il medico finisce il suo turno lavorativo e fino alle 08:00 del mattino non c’è personale sanitario.

Sono le 21.00 circa, e Pasquale si sente poco bene lamentando dolori all’addome all’altezza del cuore ed un formicolio al braccio, per questo gli viene data la medicina magica che secondo loro cura ogni cosa e che viene data veramente come cura ad ogni malessere, a questo punto, dopo aver preso la TACCHIPIRINA viene rimandato in cella.

Verso le 24:30/01.00 non si sente bene chiede aiuto e viene portato dalle guardie in infermeria, e dopo un’attenta valutazione medica di un’ora e mezza, dalle guardie viene rimandato in cella, sono le 02:30 circa. 10 minuti più tardi dalla sua cella si leva un grido di aiuto suo e del suo concellino al quale si sente rispondere dal capoposto di turno (FINISCILA DI SCASSARE). Sembra una storia da film, ma qui al carcere di Varese è realtà perchè sotto atroci dolori Pasquale muore verso le 03:00 del mattino. Lo chiamano infarto o morte naturale, ma non è così: Pasquale muore per la negligenza e l’omissione di soccorso delle guardie di turno, situazione che per noi non si può chiamare morte naturale ma assassinio senza ancora un colpevole.

Il giorno dopo tutti i detenuti ci siamo recati fuori all’aria dove al grido di “SIETE ASSASSINI” chiediamo spiegazioni, chiediamo di poter parlare con il magistrato di sorveglianza e ci rifiutiamo di entrare. Bhè non avevamo fatto i conti che era domenica e come normale che anche il magistrato ha di meglio da fare. A quel punto arriva il comandante che dà rassicurazioni: che avrebbe preso le nostre testimonianze e che non avrebbe più fatto rientrare in sezione il capoposto, rientriamo. Quel giorno abbiamo richiamato l’avvocato di Pasquale e ci siamo messi a disposizione per qualsiasi cosa, inoltre sappiamo che era presente a quell’ora anche un parente di Pasquale. Se avete possibilità di contattare la sua famiglia, siamo di nuovo a disposizione per ciò che necessitano e di fare le nostre più sentite condoglianze alla famiglia.

L’ultimo episodio, il quale ha portato poi alla rivolta, riguarda LONGO FRANCESCO.

Longo è colpevole di essere andato dal capoposto a chiedere la sostituzione del televisore perchè rotto, viene invitato ad entrare nell’ufficio del capoposto dove era presente anche l’ispettore del MOF, chiudono la porta e viene malmenato selvaggiamente a calci e pugni. Premetto che Francesco entra senza segni in un ufficio chiuso e senza telecamere, e dopo le grida che vengono da dentro, lo vediamo uscire con segni sulla faccia e sulle costole.

Frastornati da ciò ed essendo l’ora di rientrare nelle celle per la conta, ci rifiutiamo di rientrare perchè pretendiamo risposte e spiegazioni. Si sussegue un via vai di agenti, ispettori e comandante che vengono a parlare con noi negando e cercando di insabbiare ciò che è successo, promettendo che avrebbero fatto chiarezza e giustizia. Longo viene portato in infermeria e scrivono che non ha segni, che stà bene e che il fatto non sussiste.

Passa mezz’ora nel trambusto di chiunque ha qualcosa da dire e pensieri e richieste diverse, a quel punto Longo si accascia al suolo, chiediamo l’intervento dell’ambulanza a gran voce, ci vediamo arrivare il medico dell’istituto (il quale aveva detto che non avesse nulla) e delle guardie che vogliono portarlo in infermeria, non glielo permettiamo perchè ha segni alle costole e può essere nocivo e che vogliamo l’ambulanza. Aspettiamo 5-10-20-30 minuti ma l’ambulanza non arriva.

Dovete pensare che le carceri sono come le leggi massoniche, che tutto deve rimanere tra loro insabbiato, non deve uscire, perchè nessuno deve pagare. E pensare che la nostra richiesta è semplice, ossia che Francesco venga portato in ospedale curato e refertato per i danni provocati dall’ispettore. A quel punto sentendoci presi per il culo inizia la rivolta del carcere di Varese.

Qualcuno allaga l’istituto con gli idranti e qualcuno spacca le telecamere, luci, reti, porte, finestre, blindi, ufficio capoposto, gabbiotto blindato delle guardie, quadri elettrici. A questo punto arriva una squadretta. La chiamano squadretta, ma entrano in 30 armati con manganelli, armi, caschi, scudi, lacrimogeni. (Polizia penitenziaria, carabinieri, polizia), mancava la forestale. Non essendo in grado di entrare fanno uso di lacrimogeni e gas di estintori, essendo presenti in sezione e nell’istituto anziani, persone con problemi di ansia ecc., decidiamo di rientrare. In tutto ciò rimane ferito per modo di dire un detenuto che dentro la cella, avendo aspirato i gas, ha problemi respiratori e si accascia al suolo, soccorso dopo 10 minuti da una guardia folgorata dalla presenza di acqua e cavi di corrente aperti.

Da questa situazione ci arrestano in 6 i quali siamo tutti stati portati in carcere a Busto Arsizio, sappiamo che ci sono stati altri 31 trasferimenti a Como-Monza-Sondrio-Pavia-Vigevano, ma purtroppo di loro non sappiamo nulla e non abbiamo notizie.

Possiamo dire di noi 6: nessuno fino ad oggi ha subito problemi fisici, torture o altro, anche perchè hanno fatto abbastanza, essendo che ci contestano reati di danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale e devastazione (che prevede pena minima di 8 anni).

Per quanto riguarda noi a Busto Arsizio, nei nostri confronti c’è un clima ostile da parte delle guardie: è 3 settimane che siamo qui e c’è ancora chi non riesce a parlare con la famiglia, siamo in Sezione Covid dove tutti fanno 14 giorni e dopo il secondo tampone negativo li spostano in sezione, per noi no. Ci hanno dato 10 giorni di isolamento da fare che faremo più avanti perchè siamo ancora pieni.

Noi siamo gli arrestati per la rivolta di Varese e vogliamo anche firmarci su chi siamo:

Lenkstakas Enrik (Albania); Younas Waqar (Pakistan); Vyzas Rudin (Albania); Tutino Stefano (Italia); Abubakar Mustapha (Ghana); Konrad Lofti (Tunisia).

Per quanto riguarda i problemi di altri detenuti qui a Busto, che vogliono rimanere anonimi, posso dirvi: l’area trattamentale non funziona anche se continui a iscriverti nessuno ti chiama.

  • Ti segni in sorveglianza ma funziona uguale o non ti chiamano o dopo molto tempo;

  • Fai le richieste tramite domandine (mod.393) e spariscono, questo sia per quelli già qua che per noi che veniamo da Varese;

  • Chiedi di lavorare, ma le condizioni sono due o devi cominciare a fare l’infame o devi stargli simpatico. Hanno un criterio tutto loro per decidere;

  • Le linee telefoniche non vanno e il centralinista non c’è mai per recuperare una chiamata;

  • Il mangiare addirittura a volte è arrivato con la muffa, per non parlare della frutta sempre marcia di routine.

E con questo vi ringrazio per le lettere (buste) e per volerci dare voce, vi prego di risponderci se mai questa lettera vi arriverà, se non sarà cestinata, letta da loro (ma non mi interessa) o chissà.

Vi ringraziamo e vi mandiamo un caloroso abbraccio, i detenuti di Varese e Busto Arsizio.