All’alba di martedì 6 ottobre è stata sgomberata la Kascina Autogestita Popolare Angelica “Cocca” Casile, spazio sociale liberato da fine 2013. Le forze dell’ordine, presenti in massa, hanno murato gli ingressi.
Via Ponchia, la strada del quartiere orobico di Monterosso dove si trova lo spazio sociale, si è svegliata completamente militarizzata. Denunciano attiviste-i: “La Questura, con il tacito assenso dell’amministrazione Pd del sindaco Gori, ha deciso di sgomberare la Kascina”.
Nella mattinata di ieri primo presidio spontaneo nella vicina piazza Pacati: alle ore 13 pranzo collettivo, mentre alle ore 14 si è tenuta una prima assemblea pubblica post-sgombero.
Con noi Stefano, della Kascina Autogestita Popolare di Bergamo, raggiunto telefonicamente alle ore 10. Ascolta o scarica
Sull’assemblea e le prossime iniziative Stefano della Kascina Autogestita Popolare di Bergamo Ascolta o scarica
L’appello lanciato dalla KAP di Bergamo:
KAP È SOTTO SGOMBERO!
Questa mattina via Ponchia si è svegliata bloccata dalle “forze dell’ordine”.
Stanno murando e mettendo sotto sequestro la kascina.
Ci serve il maggior aiuto possibile.
Cosa puoi fare?
Raggiugerci in piazza Pacati a Monterosso, se puoi passa di qui appena puoi.
Più tardi ci sarà un pranzo collettivo alle 13 e a seguire un assemblea pubblica alle 14.
Se fisicamente non puoi esserci, ecco come puoi aiutarci:
Scrivi su un foglio “LA KASCINA NON SI SGOMBERA” e fatti un selfie, pubblicando sui social e taggando
Se in questi anni hai fatto foto e video fatte in kascina, condividile per messaggio sulla pagina fb
“kascina popolare autogestita Angelica Ponchia”
Se hai voglia di raccontarci qualcosa o dire la tua scrivicelo, è importante ogni forma di solidarietà.
Condividi sui social e con i tuoi amici questo messaggio insieme agli aggiornamenti che trovate pubblicati sulla pagina fb della Kascina.
MAIL BOMBING
Manda una mail anche tu,
chiediamo spiegazioni al comune!
Testo :
“Alla cortese attenzione del. Sig. SINDACO del comune di Bergamo e degli Assessori Valesini e Messina,
Con la presente mi rivolgo a voi per chiedere delucidazioni in merito allo sgombero della Cascina Ponchia. Da cittadin*, mi sembra si tratti dell’ennesimo caso con cui non si tiene minimamente conto delle esigenze della città, tagliando le gambe ad un’iniziativa dal basso che in questi anni ha rivitalizzato uno spazio abbandonato, ha creato socialità e promosso cultura nelle forme più diverse, convivendo con un quartiere che si è dimostrato solidale alla realtà di KAP, tanto da arrivare ad avvisare dello sgombero imminente.
Ritengo che, come giunta, abbiate il dovere di opporvi a questo ennesimo atto di forza ingiustificato, motivato al più da un generico rispetto delle regole e dalla messa in sicurezza dell’edificio (argomento che per l’altro è stato a cuore dei soli occupanti dello spazio).
Sperando in un cambio di rotta tempestivo, porgo i miei cordiali saluti.
Valsusa, denuncia per evasione: nuovi guai per la Pasionaria No Tav
Agli arresti domiciliari, avrebbe partecipato a Bussoleno a una protesta a sostegno della portavoce del movimento
È un nuovo guaio giudiziario, o forse l’ennesima battaglia di principio per Nicoletta Dosio. Ancora una volta la pasionaria No Tav di 73 anni, considerata una leader del movimento che si batte contro l’Alta Velocità, si trova protagonista di una denuncia che la contrappone, in una sfida continua, alla magistratura che dovrà valutare con estrema attenzione il suo caso. Evasione: è questa la notizia di reato trasmessa in procura che la riguarda. L’accusa è di essere uscita di casa, dove è ristretta agli arresti domiciliari: sarebbe stata vista partecipare a una manifestazione di dissenso del movimento, una protesta, il 17 settembre, contro la decisione di incarcerare Dana Lauriola, la portavoce dei No Tav portata alle Vallette per scontare una condanna definitiva a 2 anni. Il suo arresto aveva fatto clamore e generato dibattito: di nuovo aveva portato alla ribalta il tema della privazione della libertà nel nome della lotta contro il Super treno. Per entrambe la condanna definitiva, e quindi l’esecuzione della pena, era arrivata per lo stesso processo, in cui erano accusate di aver alzato le sbarre di un casello autostradale della Torino Bardonecchia nel 2012, nel corso della protesta “Oggi paga Monti”.
Due donne unite dalle stesse battaglie e dalla stessa forza simbolica per il movimento, Nicoletta e Dana. Legate una all’altra anche in questo caso.Mentre a Dana Lauriola il tribunale di sorveglianza aveva rigettato la richiesta di misure alternative, per Nicoletta Dosio, condannata a un anno, era stato applicato il carcere dopo il rifiuto che lei stessa aveva mostrato verso i domici-liari, che le sarebbero stati concessi anche in considerazione della sua età. E così, suscitando non poco clamore, a capodanno del 2019 era stata prelevata e portata in carcere, dal quale aveva scritto: “non mi pento e rifarei tutto ” . Ma il 20 marzo, di fronte alla situazione di pandemia, la pasionaria aveva chiesto e ottenuto di trascorrere il resto della detenzione nell’abitazione di Bussoleno. Anche da quella casa più volte ha fatto sentire la sua voce e il suo dissenso. Ultimamente, proprio per l’arresto di Dana.
come annunciato si è tenuta ad latere dell’assemblea nazionale di bologna dei lavoratori classisti e combattivi la riunione preparatoria promossa da soccorso rosso proletario per la costruzione di una assemblea nazionale unitaria per dare vita a un nuovo organismo unitario – con riferimento al coordinamento nazionale contro la repressione degli anni 70, l’associazione solidarietà proletaria poi scioltasi, ecc – capace di unire tutte le forze che si occupano in generale della repressione, carcere, solidarietà con i prigionieri politici
la cosa più importante e significativa del 27 è stato innanzitutto che questo appello è stato rivolto ai circa 500 lavoratori classisti e combattivi presenti all’assemblea per sensibilizzarli a queste tematiche, che vanno oltre la giusta denuncia e mobilitazione per la repressione diretta delle lotte proletarie, vedi vicenda Modena italpizza e tante altre presenti sul territorio nazionale
l’organismo nazionale che vogliamo costruire deve essere legato alle lotte proletarie, deve puntare apertamente alla mobilitazione politica dei lavoratori sul terreno del carcere e la repressione politica propiamente detta, contro la attività permanente controrivoluzionaria di stato, governi e padroni e al riconoscimento come parte del movimento proletario di massa della lotta e solidarietà con i prigionieri politici comunisti e rivoluzionari in italia e nel mondo
questo lo distingue nettamente dall’esistente anche sul terreno della lotta contro la repressione e carcere – tanto è vero che purtroppo nessuno di questi organismi esistenti che si occupano quotidianamente di carcere e repressione ha ritenuto di essere presente in forma agente, attiva e visibile, laddove si riunivano centinaia di rappresentanti effettivi delle lotte operaie e proletarie
soccorso rosso proletario si chiama così proprio perchè vuole sviluppare lotta e unità ma anche critica netta e chiara contro la logica politica ideologica e sopratutto pratica che caratterizza parti del movimento su repressione/carcere/prigionia politica
al di là delle parole bisogna battere la logica autoreferenziale del divorzio tra lotte proletarie e carcere/repressione/prigionia politica
al di là delle parole bisogna praticare e arricchire nella lotta la parola d’ordine se toccano uno toccano tutti
questo serve al movimento proletario come al movimento contro carcere e repressione
alla riunione di bologna hanno partecipato compagni di diverse città che hanno proprio questa caratteristica di essere sia avanguardie operaie, proletarie e di lotta, delle lotte delle donne lavoratrici e sia determinati e coerenti attivisti di tutte le lotte contro carcere e la repressione e questo è -al là dei numeri, ancora limitati- il valore aggiunto che apportano e la legittimità dell’appello all’unità, alla costruzione progressiva dell’assemblea nazionale e per tappe di un nuovo organismo unitario nazionale
serviranno probabilmente ancora altre riunioni preparatorie per arrivare all’obiettivo, ma a Bologna la strada è stata affermata e inizialmente tracciata.
la decisione di fase è stata quella di convocare un nuovo appuntamento per l’8 novembre a Milano per approfondire sia l’analisi storica di quello che è stato questo fronte di lotta e il soccorso rosso negli anni 70, sia per tracciare più esattamente piattaforma e metodo di questo percorso che punti in alto- cioè rompere lo schema e fare irrompere contenuti e forme di lotte nello sviluppo delle mobilitazioni proletarie – con umiltà e con piccoli passi ma determinati per dare corpo e gambe alla proposta
nei prossimi giorni una locandina nazionale e un invito circoleranno in tutte le forme e in tutte le realtà interessate
naturalmente la seconda riunione preparatoria di Milano appoggia ogni iniziativa in questa direzione e farà arrivare la sua voce in ogni altro contesto che si muove nello stesso campo
soccorso rosso proletario
6 ottobre 2020
info srpitalia@gmail.com
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Una manifestazione di oltre mille persone in Piazza Grande a Modena è stata la risposta al maxiprocesso per le lotte operaie ad Italpizza e in altri settori e per la difesa del diritto di sciopero e dell’agibilità sindacale.
La manifestazione è stata anticipata da un presidio davanti ad Italpizza.
Lo Stato (prefettura/questura/istituzioni) ha cercato fino alla fine di impedire la manifestazione con prescrizioni e, soprattutto, con un massiccio dispiegamento di polizia in tutto il centro storico.
Il corteo si è fatto comunque “a scaglioni”, da Largo Sant’Agostino a Piazza Grande e con un successivo comizio davanti al Municipio. Sul palco sono intervenuti lavoratrici e lavoratori che hanno denunciato le infami condizioni di sfruttamento nella logistica, nelle fabbriche, nelle campagne (su questo è intervenuto un bracciante di Campagne in lotta) e ribadito che nessuna repressione potrà fermare le lotte perchè è con le lotte che gli operai e le operaie hanno riconquistato la dignità che padroni e repressione di Stato volevano togliere.
Tutti interventi sono stati la dimostrazione che la repressione non ferma le lotte ma le alimenta.
Dal palco e con uno striscione in piazza è stata portata una forte denuncia della situazione nelle carceri, dove le lotte scoppiate a seguito dell’emergenza Covid e della conseguente sospensione dei colloqui con i familiari e di ogni attività interna, hanno trovato una risposta feroce e assassina: 14 morti e centinaia di feriti in pestaggi che sono continuati anche nei giorni a seguire, come dimostrano le tante denunce pubbliche fatte da detenuti e familiari.
Cinque detenuti sono morti nel carcere di Modena e altri quattro durante il loro successivo trasferimento, ulteriori quattro sono morti nel carcere di Rieti e uno in quello di Bologna. La versione ufficiale dello stato ha parlato di morti per overdose di farmaci ma parliamo dello stesso stato che non ha diffuso i nomi dei morti per un mese e che ancora oggi non ha effettuato l’autopsia su molti di quei cadaveri.
Dopo il corteo un gruppo di compagn* ha portato solidarietà ai prigionieri in carcere, che da 8 mesi sono con la sezione chiusa.
La consigliera comunale Carpinello aveva srotolato uno striscione dal balcone del municipi. La norma applicata dalla polizia risale agli anni di piombo e prevede tra l’altro il divieto di coprirsi il volto per chi partecipa a manifestazioni
Per aver violato il divieto di coprirsi il volto durante una manifestazione politica in base alla legge 152/1975, la cosiddetta legge Reale dal nome del suo promotore Oronzo Reale, approvata nell’emergenza degli “anni di piombo”, la consigliera comunale uscente di Aosta Carola Carpinello (movimento di sinistra Adu) è stata denunciata a piede libero dalla polizia.
I fatti risalgono al 16 settembre scorso, quando il leader della Lega Matteo Salvini, contestato in quello stesso giorno anche a Venaria, nel Torinese, ha tenuto un comizio nella centrale piazza Chanoux del capoluogo valdostano: all’improvviso da un balcone del municipio è stato srotolato uno striscione con la scritta “No Lega Bella Ciao” da una persona con la tuta rossa e la maschera di Dalì, outfit dei protagonisti della celebre serie spagnola “La Casa di Carta”.
Le indagini della Digos hanno portato all’individuazione della consigliera comunale quale autrice del gesto. “Non avevo nessun motivo – ha detto – per celare la mia identità, la mia era una performance di protesta che comprendeva l’utilizzo della maschera. Infatti sono entrata in municipio timbrando il badge e senza nascondermi”.
Dimostrazione di sostegno a Vincenzo Vecchi davanti alla Corte di Appello di Angers, venerdì. Foto Théophile Trossat for Liberation
Francia. Vincenzo Vecchi di nuovo in Tribunale contro la sua estradizione. La sentenza della Corte di Appello di Angers è attesa per il 4 novembre.
Da Contropiano
Vincenzo Vecchi, militante anticapitalista e antifascista, torna oggi (venerdì 2 ottobre) in Tribunale, ad Angers. Accusato di “devastazione e saccheggio” durante le manifestazioni di Genova del 2001 e di partecipazione ad una manifestazione anti-fascista non autorizzata a Milano nel 2006, Vincenzo Vecchi è stato arrestato l’8 agosto 2019 in Bretagna e imprigionato per tre mesi nei pressi di Rennes.
Rilasciato nel novembre 2019 sulla base dell’irregolarità di uno dei due mandati d’arresto europei (MAE) che aveva portato al suo arresto, è stato poi rinviato in appello lo scorso dicembre dalla Cassazione che di fatto ha annullato la sentenza di rilascio della Corte di Rennes.
La Cassazione di Parigi ha confermato la condanna di Vincenzo Vecchi a 12 anni e mezzo di carcere e l’Italia vuole la sua estradizione, confermando quella che è una vera e propria logica di vendetta e ritorsione contro chi ha osato sfidare il sistema.
Una condanna che il Comité de soutien à Vincenzoritiene del tutto ingiustificata e sproporzionata: “Il reato per cui è stato condannato – devastazione e saccheggio – deriva dal Codice Rocco promulgato dal regime fascista”.
Quanto alla nozione di “concorso morale”, su cui si basa anche la giustizia italiana per condannare Vincenzo, essa implica che la sola presenza a una manifestazione permette di esprimere una condanna senza altre prove materiali: “In altre parole, Vincenzo è stato condannato solo per aver manifestato ed espresso le sue idee”.
Il 2 ottobre ad Angers, dove l’udienza è stata trasferita dalla Cassazione, il sistema giudiziario francese deve pronunciarsi sulla legalità dei mandati d’arresto europei che hanno portato all’arresto di Vincenzo Vecchi e quindi sulla sua estradizione in Italia.
La palese ingiustizia subita da Vincenzo ha provocato una forte reazione nel paese dove viveva e lavorava, Rochefort-en-Terre, ma anche in numerose altre città: Parigi, Nantes, Rennes, Marsiglia, Brest, ecc. Di recente, è nato anche un comitato molto attivo ad Angers, in vista della prossima sentenza.
A vent’anni dai fatti del G8 di Genova, la giustizia italiana continua a perseguitare Vincenzo, mentre tace sui crimini commessi dalle forze dell’ordine (centinaia di feriti, arresti arbitrari, torture nelle caserme, l’uccisione di Carlo Giuliani) e sulle responsabilità politiche di quelle violenze.
Nessuno dei responsabili di quella che è stata la “mattanza cilena” che ha avuto luogo nella scuola Diaz o nella caserma Bolzaneto ha pagato nulla in termini giudiziari, anzi alcuni hanno avuto brillanti carriere, come l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro.
Il 22 settembre alcuni parlamentari hanno inviato una lettera al Ministro della Giustizia, Eric Dupont-Moretti, esprimendo la loro preoccupazione e denunciando “un sistema di giustizia penale eccezionale” e il fatto che i mandati d’arresto europei “si stanno sviluppando contro un numero sempre maggiore di attivisti politici”.
Ribadiamo il nostro sostegno militante a Vicenzo Vecchi, per la sua liberazione incondizionale ed immediata contro la procedura di estradizione verso l’Italia, continuando la nostra battaglia per l’amnistia sociale in opposizione alle persecuzioni giudiziarie e alle repressioni liberticide.