Luigi Caiafa, diciassette anni, è il nuovo caso di un giovanissimo ucciso dalle forze dell’ordine a Napoli, in una dinamica che aspetta ancora di essere chiarita. Le prime notizie filtrate alle agenzie di stampa dalla Questura di Napoli riportavano di uno “scontro a fuoco” con un’autocivetta della polizia in borghese (della squadra dei “falchi”), in seguito a un tentativo di rapina – nella notte tra sabato e domenica – ai danni dei passeggeri di una Mercedes nel centro storico della città, nell’area dove via Duomo incrocia la zona portuale.
Luigi era in compagnia di un altro coetaneo, che ha catalizzato l’attenzione dei media mainstream molto più del ragazzo ucciso, perché figlio di un ex capo ultras del Napoli calcio, arrestato per traffico di stupefacenti e divenuto poi “collaboratore di giustizia”.
Ma come è accaduto molte altre volte, quando ad essere coinvolte in un caso di omicidio sono le forze dell’ordine, la prima ricostruzione che viene fatta filtrare alla stampa in maniera informale si rivela spesso inesatta. E sembra davvero uno strano paradosso, se pensiamo che in questi casi la Questura si avvale di testimonianze dirette degli agenti… O forse proprio per questo.
Fake news istituzionali, che innescano una prevedibile e rituale catena di dichiarazioni, come quelle del capo della polizia Gabrielli che ha immediatamente espresso solidarietà agli agenti “che rischiano la vita per la sicurezza pubblica“. E dispongono un atteggiamento dei media preventivamente assolutorio (“l’agente non è indagato“, titola il Mattino fin dal primo momento).
Col passare delle ore si è appreso invece che la “sparatoria” è stata un monologo, perché i due ragazzi avevano una pistola finta. Gli agenti in borghese avrebbero esploso tre colpi ad altezza d’uomo, uno dei quali avrebbe ferito mortalmente Luigi alla gola.
La dinamica, oltre che dalle testimonianze delle persone all’interno della Mercedes e dai video delle telecamere stradali, potrebbe essere chiarita dall’autopsia e dalla balistica, sperando che questa volta il risultato sia pubblico in tempi brevi.
E’ impossibile infatti non ricordare il caso di Ugo Russo, ragazzo dei Quartieri Spagnoli di soli quindici anni, che nella notte del 1 marzo scorso fu ucciso da un carabiniere fuori servizio a cui aveva cercato di rapinare il Rolex da polso.
Anche Ugo era in possesso di una pistola giocattolo, e il carabiniere reagì sparando ben cinque volte. Tre colpi raggiunsero il ragazzo, l’ultimo alla nuca, mentre il corpo giaceva a diversi metri dall’auto a cui inizialmente si era avvicinato per il tentativo di rapina.
Una scena che è sembrata a tanti quella di un’autentica esecuzione, una “pena di morte senza processo“, come ha denunciato la sua famiglia, mentre il militare è sotto indagine per omicidio.
Ma ad oltre sette mesi dallo svolgimento dell’autopsia non esiste ancora un referto ufficiale, lasciando campo aperto a qualsiasi ipotesi (anche le peggiori). Nel luglio scorso una manifestazione di centinaia di persone che chiedeva “Verità e Giustizia” si diresse sul luogo dell’omicidio in via Orsini, alle spalle della Regione Campania.
Una lunga scia di sangue, che riporta alla mente la morte violenta di altri giovanissimi come Davide Bifolco e Mario Castellano, uccisi negli anni scorsi a Napoli, in quei casi con l’unica responsabilità di non essersi fermati all’alt di carabinieri e polizia.
Tragedie che pongono con forza la questione della formazione e degli abusi nell’uso delle armi da fuoco da parte di chi costituzionalmente detiene un potere letale: il “monopolio della violenza legittima“.
Un aspetto ricorrente in queste situazioni è il maltrattamento della famiglia, sia mediatico che istituzionale. Il padre di Luigi ha rivelato in un’intervista che fino alle 15 di ieri pomeriggio nessun esponente della Questura di Napoli si era messo in contratto con loro per spiegare l’accaduto e di aver quindi appreso della morte del figlio in maniera brusca e informale.
Ossia dopo che, preoccupati per il suo mancato ritorno a casa, si sono recati la mattina seguente sotto la sede della Questura, in via Medina, perché gli è stata segnalata la presenza del motorino.
Un poliziotto all’ingresso gli ha a quel punto riferito che il corpo del figlio era all’obitorio…
Intanto i parenti dell’altro ragazzo, Ciro De Tommaso, affermano addirittura che non si sarebbe trattato di un tentativo di rapina, ma dello scherzo a dei conoscenti del quartiere. Aspetti, almeno questi, che dovrebbero essere chiariti nelle prossime ore.
Luigi Caiafa era diventato garzone di pizzeria, dopo aver trascorso un periodo nel carcere minorile. Ugo Russo lavorava come muratore, garzone di un bar e poi di una rivenditoria di frutta. Non esattamente il cursus honorum di chi punta a una carriera nello stile di “gomorra”, secondo le suggestioni puntualmente evocate dai mass media.
Mentre anche la pietà umana sembra ridotta a un dato formale e retorico, risuona il silenzio delle istituzioni sulla condizione di questi ragazzi e di centinaia di altri, quasi sempre abbandonati dalla scuola e marginalizzati, insieme alle proprie famiglie, in un’esistenza precaria e senza prospettive.
Nell’ex “città porosa”, dove l’ascensore sociale è bloccato da tempo.
P.s. Piccola lezione di lingua italiana per i giornalisti mainstream: “scontro a fuoco” si dà quando si affrontano persone dotate di armi da fuoco e ne fanno uso (indipendentemente dal numero di colpi esposi). Quando invece una delle due parti è effettivamente disarmata – pur maneggiando un’imitazione di arma – si dovrebbe scrivere qualcos’altro…
Da Contropiano