Covid e proteste in carcere, un’inchiesta in vista del convegno “combattere il carcere” che si terrà a Napoli in autunno.

COVID E PROTESTE IN CARCERE: COSA È REALMENTE ACCADUTO?
Ad inizio marzo sono esplose proteste in gran parte delle carceri di questo paese per poi espandersi al resto del mondo.
Il bombardamento mediatico sull’estremo pericolo di contagio e la consapevolezza di una sanità carceraria assente ha portato le persone detenute a battersi, con il sostegno dei propri affetti all’esterno.
La risposta dello Stato è stata chiara: 14 prigionieri morti, pestaggi e trasferimenti punitivi.
I media hanno lasciato la parola solo ai sindacati di polizia e a chi siede su comode poltrone, dal ministero al DAP, per poi calare un velo di assordante silenzio.
Siamo persone che hanno vissuto direttamente o in seconda persona il carcere e sappiamo bene che la responsabilità di ciò che è accaduto bisogna andarla a ricercare tra coloro che avevano il potere di svuotare le carceri ed hanno invece scelto di reprimere e mettere a tacere.
Sta unicamente a noi, dal basso e senza alcun fine di lucro, provare a fare chiarezza, dare voce a chi non ne ha e non lasciare solo chi si trova ad affrontare la rappresaglia dello Stato.
Chiediamo quindi a tutte e tutti di partecipare con le vostre testimonianze e racconti diretti (resteranno tutte anonime).
Abbiamo queste domande:
– sono nate le proteste nel carcere in cui sono rinchiusi i tuoi affetti o nel quale ti trovavi?
quando è successo?
– quali sono i motivi che le hanno fatte nascere?
– puoi raccontare come ci si è vissuti quei giorni di protesta, che esperienze dirette e fatti accaduti?
se sei stato/a in contatto con chi è detenuta/o o all’esterno del carcere in sostegno, puoi raccontarci com’è andata fuori o dentro?
– come ha reagito la direzione e la polizia penitenziaria? come si è comportato il personale medico del carcere?
– perché è finita la protesta? com’è la situazione adesso in carcere?
Potete risponderci alla mail info@combattereilcarcere.org oppure su messenger in privato (scritto o vocale è uguale per noi).
Il frutto di questo lavoro di inchiesta vorrebbe essere pubblicato durante i giorni di discussione del convegno “combattere il carcere” che si terrà a Napoli in autunno.

7 colpi di pistola alla schiena davanti ai suoi figli. Si riaccende la rabbia popolare contro la violenza razzista della polizia

Non uno ma sette colpi di pistola alla schiena, sparati da agenti di polizia: una vera e propria esecuzione.
Il suo nome è Jacob Blake, afroamericano; e rimarrà paralizzato.
Due poliziotti gli hanno sparato alla schiena mentre rientrava in macchina davanti ai suoi figli (qui il video dell’esecuzione)

Jacob Blake è stato colpito da diversi colpi di armi da fuoco da due agenti della polizia mentre tentava di salire a bordo della sua auto, dove c’erano i suoi tre figli che hanno assistito alla sparatoria. I poliziotti sono ora in congedo ma la rabbia a Kenosha non si placa. Ancora non si sa se la paralisi sarà permanente

KENOSHA – “Otto buchi” nella schiena hanno paralizzato Jacob Blake dalla vita in giù. Lo ha detto il padre del ragazzo al Chicago Sun-Times, sottolineando che suo figlio ha “otto buchi” sul corpo e i medici non sanno al momento se la paralisi sarà permanente. E intanto si è scatenata la rabbia della piazza. Seconda notte di proteste a Kenosha, in Wisconsin, la città dove domenica pomeriggio la polizia ha ferito a colpi d’arma da fuoco alle spalle l’afroamericano ventinovenne. Le forze dell’ordine hanno lanciato gas lacrimogeni contro le centinaia di persone che non hanno rispettato il coprifuoco e hanno invece iniziato a scagliare bottiglie e fuochi d’artificio contro gli agenti dispiegati al tribunale.

La città è diventata l’ultimo scenario delle proteste legate al movimento Black Lives Matter, contro il razzismo sistemico e la brutalità della polizia, dopo che sono stati diffusi online video in cui si vede la polizia sparare in pieno giorno per sette volte a Blake, mentre questi era di spalle, apparentemente piegato per entrare nell’auto dove si trovavano i suoi tre figli. Il 29enne è in ospedale in gravi condizioni; secondo l’avvocato della famiglia era intervenuto per placare una lite familiare.
Nel 2017 le autorità della città avevano fatto passare l’ordinanza che prevedeva l’obbligo della body camera per i poliziotti come strumento per migliorare la credibilità delle forze dell’ordine e come misura di prevenzione per assalti brutali e ingiustificati. Non l’hanno mai indossata. Gli eventi di domenica infatti sono stati ripresi da un cellulare di un passante e non dagli agenti.

La città è blindata e pattugliata dalla guardia nazionale. Ieri sera cittadini armati hanno presidiato negozi e altri locali commerciali. Vestiti in mimetica, con mascherina ed elemetti. I dimostranti scandivano slogan come ‘No justice, no peace’ (niente giustizia, niente pace). La tensione si è alzata quando una conferenza stampa del sindaco John Antarmian, che si sarebbe dovuta svolgere in un parco, è stata spostata in un edificio pubblico. Centinaia di persone hanno tentato di entrare, forzando una porta, e la polizia ha sparato spray urticanti contro di loro. Mentre la polizia non ha fornito informazioni sulla sparatoria e sull’eventuale possesso di armi da parte di Blake, le indagini sul caso sono condotte dal dipartimento di Giustizia statale. I poliziotti sono stati sospesi, secondo la politica standard della polizia, e su di loro non sono state fornite informazioni.

Proteste violente si sono scatenate anche a Portland in Oregon. Dove almeno duecento manifestanti hanno messo a fuoco la città urlando il nome di Jacob Blake. A Portland le proteste non si sono mai fermate dalla morte di George Floyd, raggiungendo ora quasi cento giorni.

Qui aggiornamenti dell’Associated Press:

Belgio – donne in lotta contro le violenze poliziesche razziste e sessiste

Saint-Gilles : 250 manifestanti contro la violenza della polizia e per lo scioglimento dell’UNEUS

Traduzione da Secours Rouge

250 persone hanno manifestato ieri (22 agosto) a Saint-Gilles, contro la violenza della polizia e in particolare quella verso 3 donne sul Parvis Saint-Gilles (sabato 15 agosto), e  per lo scioglimento della brigata Uneus, già nota per i suoi interventi brutali e razzisti, a cui si sono aggiunti violenze e insulti sessisti durante l’intervento del 15 agosto.

La manifestazione è passata per il Parvis e la stazione di polizia della brigata Uneus, prima di salire verso il Comune, il carcere di Saint-Gilles e l’abitazione del sindaco Charles Piqué. Tra gli slogan: “Uneus au feu, Piqué au milieu”, “Police fasciste, commune complice”, “Fortes, fières, féministes, radicales et en colère”, “Police fédérale, milice patriarcale”, “Tout le monde déteste la police”, “Piqué nous fait la guerre et sa police aussi, mais on reste déter’ pour bloquer le Parvis”. Per maggiori informazioni su Uneus, vedere il dossier “Uneus and the Midi Zone”.

Colombia – Continuano gli assassini degli attivisti ambientalisti

spagnolo facilmente leggibile

Brasile: Dopo 60 ore di resistenza, viene sgombrato con violenza un accampamento del MST

Case e coltivazioni agroecologiche di più di 20 anni sono state distrutte dalla polizia.

Lu Sudré

La presa di possesso dell’area dell’Accampamento Quilombo Campo Grande, nel Minas Gerais, sudest del Brasile, si è concretizzata questo giovedì (14) dopo la violenta azione della Polizia Militare dello stato contro le famiglie che hanno resistito per quasi 60 ore allo sgombero.

All’inizio di questo pomeriggio, la polizia ha sparato gas lacrimogeni contro gli abitanti dell’accampamento. Secondo il Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra (MST), le case e le coltivazioni sono state distrutte poche ore dopo. Anche la Scuola Popolare Eduardo Galeano, dove venivano alfabetizzati bambini, giovani ed adulti, era stata distrutta il giorno precedente.

La conclusione dello sgombero ha avuto luogo dopo tre giorni di resistenza dei senza terra, che da 22 anni occupano il luogo. Circa 450 famiglie vivevano nell’area del fallito zuccherificio Ariadnópolis, che chiuse le sue attività nel 1996.

Dopo l’occupazione e la rivitalizzazione delle terre nel 1996, gli agricoltori affrontano una incessante disputa con i padroni della Compagnia proprietaria del fallito zuccherificio, che rivendicano il possesso del territorio recuperato da due decenni dai senza terra.

Con un’ampia produzione agroecologica, le famiglie sono produttrici del riconosciuto Caffè Guaí e sono anche responsabili di altre coltivazioni come mais, fagioli, miele, verdure, e di galline, bestiame e latte.

Secondo il MST, solo nell’ultimo anno le famiglie hanno prodotto 8,5 mila sacchi di caffè e 1.100 ettari di coltivazioni, con più di 150 specie coltivate senza l’uso di pesticidi.

I membri dell’accampamento raccontano che le forze di polizia hanno lanciato gas lacrimogeni e hanno fatto avanzare gli agenti antisommossa contro più di 450 famiglie.

La polizia ha incominciato la presa di possesso dell’area mercoledì mattina (12), questo venerdì (14) l’azione giunge al suo terzo giorno. Brasil de Fato indaga i dettagli circa la repressione. La Segreteria della Sicurezza Pubblica del Minas Gerais e la Polizia Militare sono stati messi in discussione per l’azione attraverso i loro rispettivi consiglieri stampa.

“È molto esasperante. C’è molta gente che piange, che cade al suolo. E passano sopra la gente. Ci sono molte persone ferite, bambini scomparsi”, racconta una delle abitanti dell’accampamento.

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Le famiglie occupano l’area del fallito zuccherificio Ariadnópolis, che chiuse le sue attività nel 1996, più di 20 anni fa, e sono di riferimento nella produzione del caffè agroecologico. Le donne denunciano la negligenza del governatore Romeu Zema, del Partito Nuovo, che non ha sospeso lo sgombero durante la pandemia del nuovo coronavirus.

I contadini denunciano anche che la presa di possesso è illegale. Esther Hoffman, del coordinamento nazionale del MST, spiega che le famiglie avevano già liberato l’area prevista in una decisione giudiziaria del Tribunale di Giustizia del Minas Gerais, favorevole al proprietario del fallito zuccherificio.

Secondo il membro dell’accampamento Silvio Netto, negli ultimi giorni c’è localmente un forte apparato di polizia. Lui afferma che oltre alla presenza della polizia antisommossa, un elicottero vola basso, per intimidire i senza terra, sopra il locale dove le famiglie si riuniscono.

“Chiediamo che il governatore Zema ritiri le truppe per preservare le famiglie, affinché possano curare i loro feriti, che non sono pochi dopo tante ore di sofferenza e lotta in mezzo alla pandemia”, afferma.

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Denuncia internazionale

La campagna Sgombero Zero, organizzata dal MST insieme al Movimento dei Lavoratori Senza Tetto (MTST) del Brasile e ad altre decine di movimenti popolari, giovedì (13) ha denunciato lo sgombero di fronte all’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Nel rapporto inviato al relatore speciale dell’ONU per un’abitazione adeguata, Balakrishnan Rajagopal, denunciano la distruzione della Scuola Popolare Eduardo Galeano e lo sgombero di sei famiglie il primo giorno della presa di possesso. I movimenti sollecitavano l’immediata sospensione della restituzione della proprietà.

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Il conflitto

I membri dell’accampamento colpiti dallo sgombero vivono nell’area del fallito zuccherificio Ariadnópolis che più di 20 anni fa chiuse le sue attività nel 1996.

Secondo le denunce presentate dal MST, la truculenza poliziesca contro i membri dell’accampamento è abituale. Il 30 luglio, per esempio, più di 20 poliziotti invasero l’accampamento e arrestarono il senza terra Celso Augusto, liberato lo stesso giorno.

I contadini raccontano che gli agenti invasero le loro case portando fucili e pistole e distruggendo porte e finestre. Il MST denuncia anche che il giorno precedente allo sgombero, la polizia ha accerchiato l’accampamento con auto di pattuglia, assediando le famiglie.

*Ha collaborato Wallace Oliveira, direttamente dal Campo do Meio (MG).

14 Agosto 2020

Brasil de Fato

Da Comitato Carlos Fonseca

Erdogan assassino, Italia complice – Salvare Ebru Timttik e Aytac Unsal

Appello promosso dagli avvocati turchi 

IL NOSTRO APPELLO A TUTTE LE ORGANIZZAZIONI E FORZE PROGRESSISTE PER LA SOLIDARIETÀ CON LA RESISTENZA PER LA GIUSTIZIA E LA VITA IN TURCHIA!

Il popolo rivoluzionario e progressista in Turchia che lotta per la giustizia si trova ad affrontare un attacco dopo l’altro.

E così, ci sono resistenze anche una dopo l’altra, che costano un prezzo molto alto.

Da un anno artisti rivoluzionari, prigionieri politici e avvocati del popolo in Turchia continuano a resistere con i loro corpi per respingere il pesante attacco e i tentativi di annientamento dell’intero movimento progressista nel Paese.

Siamo ben consapevoli e cerchiamo di seguire e organizzare al meglio la solidarietà con i popoli dei diversi Paesi, che sono anche in condizioni molto repressive e affrontano un periodo speciale di attacchi.

Tuttavia, vorremmo chiedervi di alzare la voce o con una dichiarazione video o con un messaggio scritto a sostegno dei due avvocati del popolo Ebru Timtik e Aytac Ünsal, che sono in punto di morte in Turchia per difendere la giurisdizione indipendente e i processi equi. In stato di arresto insieme a 8 loro colleghi, sono in sciopero della fame da 227 giorni (Ebru Timtik) e 196 giorni (Aytac Ünsal) per ottenere giustizia per il loro caso e in generale per la loro professione e la giustizia nel Paese.

Sono in punto di morte e sono tenuti in due diversi ospedali di Istanbul contro la loro volontà. Questo dimostra che le autorità mirano ad effettuare un intervento medico forzato non appena perdono i sensi.

La polizia aveva arrestato 17 avvocati, tra cui Ebru e Aytac, nel 2017, quando hanno difeso un caso molto importante di resistenza dei lavoratori pubblici. Il governo voleva lasciare i resistenti senza avvocati, come tutte le altre persone che hanno bisogno di difesa contro l’ingiustizia del regime.

Un tribunale ha ordinato il loro rilascio nella prima udienza dopo un anno di reclusione e l’accusa è intervenuta immediatamente: la giuria è stata sostituita con un altro tribunale che è ancora in carica e continua a mettere a repentaglio la loro vita con le sue decisioni ingiuste. Quando la 37a Corte d’Assise ha ricevuto questo caso ha ordinato il riarresto di 12 di questi avvocati nel giro di 10 ore. Sono stati condannati con un totale di 159 anni di carcere per aver fatto il loro lavoro di avvocati! Uno di loro ha ricevuto una pena di più di 18 anni di carcere.

L’ingiustizia continua in questo momento. Un altro tribunale ha confermato la sentenza, gli avvocati hanno portato il caso alla Corte Suprema e hanno iniziato lo sciopero della fame.

Ebru e Aytaç hanno iniziato lo sciopero della fame rispettivamente a gennaio e febbraio, lo hanno trasformato in death fast (sciopero della fame fino alla morte) il 5 aprile (significa che moriranno di fame se la loro richiesta per un nuovo e giusto processo non sarà accettata).

Ma il governo della Turchia continua con la sua ingiustizia e vuole che muoiano. I suoi media di supporto hanno cercato di influenzare i tribunali fin dall’inizio con menzogne e notizie false su di loro.

Quando la situazione degli avvocati è diventata molto grave, un gran numero di giuristi, associazioni nazionali e globali degli avvocati hanno spinto la Corte Suprema a prendere una decisione verso un processo equo.

Ma la Corte Suprema non fa altro che perdere tempo per lasciare morire di fame gli avvocati.

A seguito di questo tergiversare, i loro avvocati hanno chiesto un esame medico che rilevasse che non possono rimanere in prigione a causa delle loro gravi condizioni di salute. Anche in questo caso è stata la 37a Corte d’Assise ad occuparsi di questa richiesta. Accettò l’esame e l’Istituto di Medicina Legale inviò persino un rapporto in cui si diceva che non erano idonei al carcere.

Ma il tribunale ha ignorato il rapporto. Ha continuato la detenzione e ha ordinato il loro immediato trasferimento in due diversi ospedali, dove sono già da un mese in una stanza di isolamento non ventilata di 12metri sotto la supervisione di decine di gendarmi e la minaccia di essere alimentati con la forza in qualsiasi momento.

I loro colleghi, le famiglie, i clienti, gli intellettuali, gli artisti, i giornalisti, i deputati chiedono il loro rilascio e che le loro richieste siano accettate immediatamente. In diverse città del Paese, le guardie sono tenute quotidianamente davanti ai tribunali e agli ospedali.

Con la loro resistenza gli avvocati del popolo hanno accettato la loro disponibilità a sacrificare la loro vita per il bene della giustizia per il popolo e per un futuro luminoso nel Paese.

Ma il governo agisce da sordo e vuole che muoiano.

Già 3 combattenti sono stati uccisi nella loro resistenza in sciopero della fame di giustizia, 2 dei quali musicisti del collettivo musicale socialista Grup Yorum – Helin Bölek e Ibrahim Gökcek – che hanno lottato contro la repressione, gli arresti arbitrari e i divieti di concerti. Mustafa Kocak, prigioniero politico, è morto di fame dopo 296 giorni per la sola richiesta di un processo equo: era stato punito con l’ergastolo senza alcuna prova, sulla base di informatori della polizia e di dichiarazioni firmate sotto tortura.

In questo momento altri due prigionieri politici oltre ai due avvocati stanno portando avanti uno sciopero della fame sino alla morte (death fast) da 180 giorni per ottenere un processo equo e per protestare contro la condizione disumana del loro regime di isolamento in prigione.

Sarebbe un grande sostegno, se si potesse inviare un breve messaggio di solidarietà e di difesa della vita dei quattro scioperanti della fame Ebru Timtik e Aytaç Ünsal (avvocati dell’Ufficio legale del Popolo) e Didem Akman e Özgür Karakaya (prigionieri politici che chiedono i loro diritti umani fondamentali).

Vi ringraziamo molto e sappiamo che la situazione in molti Paesi è grave. Tuttavia in questo caso concreto potete contribuire a mantenere in vita i nostri avvocati e prigionieri che resistono e a difendere direttamente la giustizia per il popolo.

VIVA LA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE!

SE RESISTIAMO VINCEREMO!

Cari avvocati tutti, vi inviamo questo nuovo e urgente appello dei vostri colleghi in Turchia. La vostra firma è nuovamente richiesta con urgenza. Come sapete, la vita degli avvocati Ebru Timtik e Aytac Ünsal, che stanno facendo lo sciopero della fame per un processo equo e una giurisdizione indipendente, è appesa a un filo. 

Grazie per il vostro sostegno.  

Vorremmo chiedere il vostro sostegno per una chiamata che è stata designata dai nostri colleghi in Turchia e che mira a riunire, un’altra volta, i colleghi internazionali e quelli turchi. Stiamo raccogliendo le firme per l’appello allegato. Si tratta di una brevissima dichiarazione che chiede alle autorità turche di rilasciare nuovamente Ebru e Aytaç in attesa di processo, e di far sapere a Ebru e Aytac che noi, come loro colleghi, abbiamo bisogno di loro nella nostra lotta per lo stato di diritto e la protezione dei diritti dei nostri clienti a un processo equo.

Questo invito è aperto alle firme dei singoli avvocati. Se volete firmare, seguite il link sottostante e scrivete il vostro nome e cognome, è molto rapido e semplice farlo.

Il link è il seguente: https://forms.gle/Dj9yxrdRQTExhvoy6

L’avvocato Ebru Timtik e l’avvocato Aytaç Ünsal hanno iniziato uno sciopero della fame il 5 febbraio e hanno trasformato il loro sciopero in death fast il 5 aprile. Siamo preoccupati per la loro salute. Come è noto 18 «avvocati del popolo» in Turchia sono in carcere dal 2017 e sono stati condannati a 159 anni di carcere con tutte le falle procedurali dei vari casi e violando il loro diritto alla difesa. I giudici che all’inizio avevano emesso il verdetto di scarcerazione furono rimossi dall’incarico e dopo poche ore sono arrivati nuovi ordini di arresto per tutti gli avvocati rilasciati. Con il loro sciopero della fame chiedono una giurisdizione indipendente dalla politica e rivendicano il diritto a un processo equo.
Una petizione è stata lanciata per supportare le loro richieste. Per firmarla, scrivere una mail – indicando nome, lavoro e località – a savunmayaozgurluk@gmail.com
Per altre informazioni: comitatosolidalegrupyorum@gmail.com

da La Bottega del Barbieri