Per un 19 giugno di mobilitazione nazionale contro la repressione

Appello:
19 giugno mobilitazione nazionale contro l’uso dell’emergenza coronavirus per intensificare la repressione antiproletaria e antipopolare – l’attacco al diritto di sciopero e alla libertà di manifestazione – contro il carcere assassino e il carcere tortura – a sostegno delle lotte nelle carceri e in solidarietà con i prigionieri politici nel mondo

A fronte della crisi economico/pandemica, frutto del modo di produzione capitalista nella fase imperialista, il governo sfrutta le lezioni dell’emergenza per imporre le leggi e gli interessi dei padroni ed affinare le armi della repressione a tutti i livelli.
La Fase 2 per padroni e stato è all’insegna delle leggi e i provvedimenti liberticidi. Ai vari decreti e pacchetti sicurezza si aggiungono misure emergenziali, sanzioni e controllo sociale sempre più capillare, per usare il distanziamento sociale e le leggi anti-assembramento per impedire le lotte sociali e i movimenti di opposizione politica anticapitalista, antirazzista e antimperialista
Il cuore è l’attacco preventivo al diritto di sciopero – già esercitato in occasione della giornata internazionale delle donne – al diritto di manifestazione sindacale e politica in un quadro in cui si vuole cancellare ogni forma di libertà di espressione, militarizzando ogni aspetto della vita sociale.
Ogni manifestazione di dissenso viene immediatamente punita, sia attraverso multe comminate a proletari sia utilizzando l’arresto ed il carcere per punire la solidarietà proletaria.
Il diritto alla salute viene usato dal governo per un lockdown a favore di padroni che deve essere solo “lavorare per produrre profitto”.

Così diventano numerose le sanzioni, i licenziamenti punitivi su lavoratrici e lavoratori che si sono rifiutati di lavorare in condizioni di insicurezza, o che hanno osato solo denunciare la mancanza di dpi sul luogo di lavoro; le cariche, il controllo militare, la repressione poliziesca delle lotte operaie e sindacali, sulle manifestazioni e scioperi di lavoratori, disoccupati, migranti, pur se effettuate rispettando le regole sul distanziamento sociale e l’uso delle mascherine; i divieti e le misure “cautelari” imposte a lavoratrici e lavoratori precari, denunciati per aver difeso lavoratrici e lavoratori sfruttati, come successo a Bologna con accuse gravissime, come tentata estorsione, diffamazione ecc.
La repressione padronale delle lotte proletarie è andata ben oltre i limiti della cosiddetta “legalità”, innescando vere e proprie aggressioni criminali sui posti di lavoro ai danni di lavoratori ribelli e delegati dei sindacati di base e di classe (ultimi esempi, l’episodio del bracciante di Terracina, picchiato e licenziato perché chiedeva una mascherina, oppure quello che ha colpito il delegato Slai Cobas s.c. a Taranto, vigliaccamente aggredito perché pretende il rispetto dei diritti dei lavoratori al Cimitero di Taranto.
Intanto la procura di Bologna avvalora l’arresto di 12 compagne e compagni, accusati di associazione sovversiva, costruendo una montatura con la «strategica valenza preventiva, volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica, in quanto gli indagati avrebbero partecipato negli ultimi mesi di lockdown a sit-in e proteste in favore delle rivolte nelle carceri per il rischio coronavirus».
A Milano viene imbastita una campagna contro la scritta ‘fontana assassino’ rivendicata dai CARC per criminalizzare tutti coloro che giustamente accusano la giunta regionale lombarda di aver contribuito a trasformare la pandemia in strage.
Intanto nelle carceri, dove dall’8 marzo è esploso il conflitto, si è abbattuta con virulenza la repressione, causando il massacro di almeno 14 persone, torture, pestaggi, riduzione alla fame, umiliazioni, trasferimenti punitivi e ulteriore aggravamento delle già tragiche condizioni sanitarie e di sovraffollamento, che hanno favorito il diffondersi dell’epidemia nel silenzio più totale.
Dobbiamo sostenere la legittima lotta dei detenuti per il diritto alla cura e all’affettività, per una vita dignitosa, la richiesta di amnistia/indulto.
Essa va sostenuta con la controinformazione e le iniziative dentro e fuori le carceri.
Per questo proponiamo una mobilitazione specifica, unitaria e organizzata contro la repressione sociale e politica, contro il carcere assassino e il carcere tortura, per la solidarietà di classe e militante nei confronti di tutti i prigionieri politici e dei proletari ribelli detenuti nelle carceri dell’imperialismo.
Un appuntamento da costruire insieme per il 19 giugno, giornata storica di solidarietà internazionale con i prigionieri rivoluzionari.

Soccorso rosso proletario srpitalia@gmail.com

Lo Stato fascista turco ha ucciso il partigiano Hasan Ataş (Şerzan) del TKP / ML TIKKO

Erdogan terrorista!
Imperialisti complici dello Stato fascista e terrorista turco, Italia in testa che lo arma e lo sostiene!
La Guerra popolare non è terrorismo!
I partigiani combattenti sono i figli migliori del popolo e sono immortali!
La partecipazione popolare al suo funerale è stata impedita dai militari
Turchia: combattente TKP / ML TIKKO ucciso dall’esercito turco
Martedì 2 giugno a Ovacık nella regione di Dersim, il combattente TKP / ML TIKKO Hasan Ataş (Şerzan) è stato ucciso durante gli scontri con l’esercito turco. Hasan Ataş era nella “lista dei terroristi ricercati” dallo stato fascista turco.
Lo scontro è avvenuto vicino al villaggio di Hacibirim, nel distretto di Ovacik nella provincia di Dersim. Le informazioni attualmente disponibili indicano che l’operazione delle unità speciali della gendarmeria è ancora in corso e che almeno quattro residenti nel villaggio di Büyükkaya (situato vicino all’area dello scontro) sono stati arrestati. Ieri sera, tre di loro sono stati rilasciati dopo aver rilasciato dichiarazioni al comandante della polizia locale, mentre uno è rimasto in detenzione. Gli abitanti del villaggio rilasciati hanno detto che i poliziotti li hanno minacciati.
Nel frattempo, una dichiarazione ufficiale è stata rilasciata dall’ufficio del governatore di Dersim, in cui si afferma che il guerrigliero Hasan Ataş è stata ucciso in un bombardamento condotto dall’esercito militare turco con l’uso di droni nell’area.
Tuttavia, fonti locali affermano che questo non convalida ciò che è realmente accaduto, in particolare perché la zona era molto nuvolosa quella notte, quindi le condizioni non erano adatte per l’uso dei droni.
Il suo corpo è stato portato dall’Istituto di medicina legale Malatya e a Mazgirt a circa 250 chilometri dal luogo del martirio dove l’esercito ha impedito al popolo di rendergli l’ultimo saluto.
striscioni al Politecnico della città di Atene

NO ALLA REPRESSIONE VERSO MIGRANTI E SOLIDALI – LA SOLIDARIETA’ RAFFORZA LA LOTTA!

Da Campagne in lotta
Adesso la solidarietà si chiama associazione a delinquere e istigazione: Ecco le motivazioni per i fogli di via alle compagne in Calabria.

Negli ultimi giorni due richieste di fogli di via sono state confermate a due solidali per aver partecipato il 6 dicembre scorso al blocco del Porto di Gioia Tauro. In quell’occasione, chi vive nei ghetti e lavora nelle campagne era sceso in strada, in maniera autorganizzata e consapevole: non solo per chiedere (per l’ennesima volta) documenti, case e contratti, ma anche per dimostrare di poter prendere parola in maniera libera e autonoma, a differenza di quanto restituisce l’immaginario mainstream. Per questo appare grave, falsa e feroce la ricostruzione dei fatti promossa dalle forze dell’ordine, con cui si motiva la pericolosità sociale e quindi la fondatezza del foglio di via notificato
a diversi solidali. In primo luogo, si riporta che i manifestanti avrebbero aggredito un dipendente del porto “che tentava di guadagnare l’uscita…danneggiando con calci e pugni la sua autovettura”. Oltre a dichiarare il falso, poichè nessuno si è scagliato contro l’automobile, la ricostruzione omette il fatto che per “guadagnare l’uscita” detta autovettura abbia investito deliberatamente diversi manifestanti che in maniera assolutamente pacifica portavano avanti il blocco, ferendone uno in maniera molto grave. Vale la pena ricordare che il manifestante, dopo una visita sommaria, nonostante le gravi ferite riportare, sia stato tradotto al commissariato e denunciato.
Alle menzogne si aggiungono razzismo e paternalismo: nella ricostruzione, infatti, non solo si nega il protagonismo attivo e consapevole dei migranti alla giornata di lotta, ma vengono additati come pericolosi istigatori e unici promotori della mobilitazione i e le solidali che accorsero quel giorno a sostenere la lotta, sottolineando il fatto che fossero italiani. Evidentemente i cani da guardia del potere non riescono o non vogliono comprendere che un africano, un ‘nero’, non ha bisogno di un italiano per prendere parola e farsi sentire, non ha bisogno di un’associazione o di un sindacato a fargli da interprete.
Dulcis in fundo, le compagne e i compagni vengono condannati senza processo, additati come pregiudicati e accusati di essere un’associazione a delinquere, confermando un modus operandi dedito alla costruzione di teoremi diffamatori e criminalizzanti che ormai è sempre più diffuso. Con buona pace di forze dell’ordine, istituzioni, associazioni, sindacati e altri sciacalli, chi vive e lavora nelle campagne non rimane né muto né passivo, e continua a dimostrare di non essere disposto a farsi strumentalizzare né zittire. Allo stesso modo non ci lasceremo piegare da denunce e fogli di via e non accetteremo queste vergognose menzogne. Se pensate di fermarci vi sbagliate.
Ricordiamo che è stata lanciata una campagna contro la repressione, e di sostegno per le spese legali.
L’immigrazione non è un crimine, la solidarietà non è un reato.