“Non sono un martire ma lotto”, Cospito torna a parlare

A chi lo ha visto, Alfredo Cospito è apparso “molto provato e dimagrito” per lo sciopero della fame ma in videocollegamento dal carcere di Milano, dove è al 41bis, con l’udienza del Tribunale del riesame di Perugia ha letto un lungo memoriale per ribadire di non volere diventare un martire ma che la sua è una battaglia “contro la repressione della libertà”.

Posizione espressa davanti ai giudici che devono pronunciarsi sulla richiesta di annullare le misure cautelari nei suoi confronti e di altri cinque indagati, a vario titolo, per istigazione a delinquere, anche aggravata dalle finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico in relazione ad alcuni articoli pubblicati sulla rivista Vetriolo.

Istanza sulla quale il collegio si è riservato di decidere.
Nessuno dei coinvolti nel procedimento è attualmente detenuto per le accuse mosse dalla Procura di Perugia ma l’udienza del Riesame si è tenuta nell’aula dentro al carcere di Capanne per questioni di sicurezza. All’esterno infatti un piccolo gruppo di anarchici ha manifestato in sostegno di Cospito, che per collegarsi in videoconferenza con Perugia è tornato in carcere dall’ospedale. “Fuori Alfredo dal 41 bis” è stato scritto su uno degli striscioni esposti; “Con la penna, con il pensiero, con l’azione. Libertà per i compagni” si leggeva su un altro.
Gli slogan di solidarietà hanno accumunato non solo Alfredo Cospito ma anche i brigatisti Nadia Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma. “Fuori Alfredo dal 41 bis” e “non riuscirete a spegnere l’anarchia” alcune delle frasi scandite.
L’area del carcere di Capanne è stata controllata da un imponente servizio di sicurezza e la mattinata di proteste si è quindi conclusa senza incidenti.
Il Riesame aveva già accolto la richiesta di annullamento della misura cautelare ritenendo mancanti i gravi indizi di colpevolezza. La pronuncia è stata quindi impugnata dalla Procura di Perugia davanti alla Cassazione che l’ha annullata con il rinvio per un nuovo esame. I giudici hanno così dovuto nuovamente esaminare la richiesta di annullamento della misura cautelare.
In un’intervista su Vetriolo, Cospito – era emerso dall’indagine – scriveva: “colpire, colpire e ancora colpire…
dell’anarchia vendicatrice, non rinunciare allo scontro violento con il sistema, alla lotta armata, costi quello che costi”. Nei suoi confronti il gip del capoluogo umbro aveva disposto la custodia cautelare in carcere ritenendolo vertice di un presunto gruppo di anarchico-insurrezionalisti con riferimento nella Fai, con base nello spoletino. Provvedimento poi annullato dal tribunale del riesame come le misure nei confronti degli altri indagati.
Davanti al Riesame la Procura di Perugia ha sottolineato che gli scritti non ebbero un valore solo ideologico ma portarono a ricadute pratiche. Le difese hanno invece chiesto la revoca della misura cautelare parlando di una libera manifestazione del pensiero. Nel corso dell’udienza anche tutti gli altri indagati hanno preso la parola per esprimere solidarietà a Cospito.

Intervento di Soccorso Rosso Internazionale e ‘Assemblea per Cospito…’ all’assemblea proletaria anticapitalista di Roma del 18 febbraio

Faccio parte del Soccorso Rosso Internazionale, ma in questo caso partecipo soprattutto come componente dell'”assemblea di sostegno ad Alfredo Cospito e ai prigionieri rivoluzionari in lotta”. Questa è la definizione di questa assemblea, che da maggio scorso si è costituita dopo l’assegnazione di Cospito al 41 bis. Questa mobilitazione in realtà è avviata da molto tempo; ha preso ovviamente vigore a partire dal 20 ottobre, quando Alfredo ha dichiarato lo sciopero della fame a oltranza, cioè fino alla morte. Abbiamo capito immediatamente la portata della sua dichiarazione, Scioperi della fame ce ne sono stati tanti nel tempo e non erano neanche in generale una bella forma di lotta, perché per esempio, all’epoca degli anni ’70 – ’80 uno dei più clamorosi fu quello fatto da Franceschini e altri brigatisti a Nuoro, ed era un atto di resa nei fatti, era un atto di disperazione, non ne potevano più e si sono messi su questa forma di lotta, in dialettica ovviamente con radicali e altre forze del genere, per spianare la strada alla resa, alla dissociazione, che avvenne rapidamente. Quindi qui in Italia non c’era proprio una cultura di questo genere qui.

Quando, però, Cospito dichiara lo sciopero fino alla morte ne capiamo la portata, per di più lui ha dichiarato che è una battaglia di interesse collettivo, lui non si vuole personalizzare. Pur essendo anarchico individualista, non ne vuole fare ovviamente una cosa a beneficio suo. E’ una lotta che lui ha fissato su tre cardini, contro il 41 bis, che è considerato una tortura, e come rivoluzionari, in linea di principio, siamo contrari all’uso della tortura; contro l’ergastolo ostativo, che parimenti è una forma di tortura perché è una forma di detenzione di ergastolo effettivo, come diversi compagni e compagne stanno pagando; e poi in continuità con la lotta rivoluzionaria.

Alfredo su questo non solo non ha fatto un passo indietro, ma dice che questo è un modo suo di contribuire allo sviluppo dei contenuti e della lotta rivoluzionaria, da un punto di vista ovviamente anarchico. Questa cosa è molto forte perché anche nelle nostre differenze – ovviamente, io sono comunista e anche alcuni che partecipano a questa assemblea sono comunisti – ma condividiamo lo scopo rivoluzionario, questa base comune. Pur stando in carcere, pur lottando contro aspetti della repressione, lo si fa sempre nell’interesse dello sviluppo della lotta generale anti capitalista, anti imperialista. Questo è quello che ha dato vigore a tutti.

A partire da novembre in particolare, soprattutto dopo la grossa manifestazione l Gioacchino Belli a Trastevere, che finì in un momento di scontro con le forze repressive, e dove eravamo comunque 300 persone all’incirca, la mobilitazione ha cominciato a prendere dimensioni sempre più grandi.

Si sono inserite a quel punto le prime prese di posizioni democratiche, Manconi, Cacciari e via dicendo, su cui noi né ci aspettavamo, né ci contiamo, ma si sono manifestate, ed è quello che succede nella lotta reale, cioè si smuovono anche altre forze. Queste, tra l’altro, in buona parte, fanno della questione Cospito una questione personale, cioè di un evidente ingiustizia, di una sproporzione tremenda: uno ha l’ergastolo effettivo, il 41 bis senza aver provocato un morto, e neanche un ferito con quegli attentati per cui paga. Il ferito l’ha fatto in un altro contesto, il dirigente di Ansaldo nucleare, ma che ha già pagato con 10 anni di carcere in alta sicurezza.

Quindi questi democratici si muovono su quel piano, Sappiamo, d’altra parte, da che “scuderie” vengono, per es. Manconi del Partito Democratico, schierato con la NATO, ecc. Quindi sono neanche alleati, sono semplicemente forze che si muovono e che concorrono, può darsi, al risultato. Ma noi ci siamo mossi sempre contando su noi stessi, come organismo di lotta militante, di rivoluzionari, in linea generale.

Poi c’è l’aspetto internazionale che riguarda sia gli anarchici, che per definizione hanno una rete internazionale assai sviluppata e quindi si sono mossi rapidamente, sia nuclei di prigionieri che si sono messi in sciopero della fame, e poi soprattutto all’esterno, vi sono state moltissime azioni, iniziative, dall’America Latina all’Asia, al mondo arabo e naturalmente in Italia e in Europa. Anche il SRI ci ha messo del suo, noi siamo una realtà ben più modesta, ma ovviamente su queste cose ancora prima del maggio scorso, e anche con voi del Soccorso rosso proletario, è da anni che ci mobilitiamo su 41 bis, per esempio a L’Aquila in particolare, a Terni e altrove.

Quindi sull’aspetto internazionale sapevamo di contarci, e questa mobilitazione non fa che svilupparsi. C’è stato anche un apporto molto significativo, quello degli 11 prigionieri del DHKP-C in Grecia, dei compagni di Turchia, che hanno avuto condanne a 30 anni a testa, e per cui c’è stata una campagna specifica; loro sono “abituati” a fare gli scioperi della fame a oltranza, fino alla morte, e spesso ci sono morti. Loro li concepiscono come un atto rivoluzionario, come un atto sempre all’interno della guerra rivoluzionaria che conducono con altri mezzi all’esterno. E quando hanno visto la determinazione di Cospito, hanno colto subito che era nello stesso senso, e hanno espresso anche dei comunicati, come prigionieri in particolare e non solo. I compagni che li sostengono sono venuti ad alcune delle nostre mobilitazioni, e hanno per esempio usato una formula: “la nostra Resistenza ci unisce, la resistenza e la lotta è la base dell’internazionalismo, la nostra Resistenza, come prigionieri, unisce anche i nostri popoli”; cioè cercavano tutto quello che univa, la base comune e rivoluzionaria, e questo è stato anche un bel salto in avanti, di qualità.

Lottare in questo modo, mettendo soprattutto in avanti il contenuto rivoluzionario, strategico, di futuro, è una questione fondamentale, perché purtroppo in carcere, dagli anni 80 in poi, la disfatta interna dell’organizzazione è stata pesantissima, per cui il più delle volte, quando si poneva la questione dei prigionieri, la si poneva anteponendo la resa, la dissociazione, la capitolazione, soluzioni politiche e altre questioni. In pratica lo scambio fra libertà o miglioramento delle condizioni carcerarie, l’abbandono della lotta, delle motivazioni della lotta rivoluzionaria.

In questi casi, invece, vengono coniugate le due cose, i prigionieri, ma all’interno della lotta rivoluzionaria.

E questo è importantissimo, questo è valido già da prima per Nadia Lioce e gli altri 2 compagni delle BR-PCC, nonché per Diana Blefari che è stata suicidata dal 41 bis. Loro non hanno mai mollato su questa fermezza. Bisogna dirlo, bisogna saperlo, a questi prigionieri sarebbe bastato che scrivessero una paginetta, qualche dichiarazione con sofismi politici alla moda: è cambiata la fase, oltrepassamento degli schemi, volontà di aprire gli orizzonti a una nuova dialettica sociale e politica…, insomma tutte le cazzate che si è capace di inventare nel politichese, e lo Stato capisce che è la resa e gli apre le porte. Nadia Lioce e gli altri, se facessero un atto di resa politica verrebbero tirati fuori dal 41 bis, così come gli altri 16 compagni e compagne che sono in carcere da 41 anni, perché continuano a non cedere, a non voler fare segno di ravvedimento, segno di autocritica, di superamento.

Il fatto che noi abbiamo dei prigionieri, delle prigioniere di questa qualità è una cosa davvero preziosa, che dobbiamo difendere e solidarizzare al massimo, perché, come loro dicono modestamente di sé stessi, non si considerano eroi, dicono “noi siamo espressione della forza della lotta di classe in questo paese”. Per quanto ci sia stato poi il riflusso e si sia in difficoltà, però è stato espresso un ciclo di lotta, che è stato di un grande livello, e da cui non si torna indietro; e loro difendendolo, rappresentando questo ciclo di lotta e aprendolo al futuro, ci danno un valore enorme.

La questione anche importante è che Cospito abbia fatto deflagrare la questione del 41 bis come mai è successo, oggi ne parlano tutti, tutti i giorni e su tutti i media e in tutti gli ambiti, e questa cosa lo ha popolarizzato, perché a livello popolare abbiamo molti riscontri di come molta gente, anche comune, proletari semplici, si sono sensibilizzati, certo per la sproporzione e l’ingiustizia feroce che lui subisce, ma comunque hanno cominciato ad aprire il discorso e lo sguardo su questa faccenda.

E poi c’è l’altra questione. Siccome la repressione sociale ormai ha raggiunto livelli altissimi, e diffusi: dall’associazione a delinquere, all’accusa di estorsione, devastazione e saccheggio, resistenza a pubblico ufficiale ecc, tutte cose che ormai sono una cappa di piombo per tutti, per tutte le lotte, sta a noi far comprendere il legame fra i vari livelli repressivi e che il 41 bis e l’ergastolo ostativo, in particolare per i militanti di classe. Sono proprio la cappa di piombo che ricatta, in più collegata allo stato di guerra, perché viviamo in stato di guerra imperialista.

Quindi tutto questo va fatto vivere, e devo dire che nell’assemblea a cui partecipo, gli anarchici su questo sono stati anche molto sensibili e rispettosi, certo anche per la nostra presenza ma non solo; cioè loro hanno da subito evocato la resistenza dei prigionieri brigatisti, la questione della repressione generale e dello stato di guerra, da parte loro ci aggiungono anche molto la questione del lockdown e lo stato di emergenza creato. Questo ci permette anche di metterci in rapporto alle masse all’interno delle varie situazioni con delle tematiche che siano il più possibile comunicative e di interesse comune.

L’assurdo processo di Trapani contro le ong che salvano i migranti… respinta la richiesta di Meloni e Piantedosi di costituirsi parte civile

Altro che parte civile! Ma tra il vero orrore in cui in questi giorni sguazza il nero governo Meloni che riguarda la morte dei migranti in mare, c’è proprio il processo in corso a Trapani contro l’equipaggio della nave Juventa. Contro questi 21 giovani volontari la Meloni e Piantedosi avevano chiesto di essere ammessi come parte civile.

Come dice l’articolo che riportiamo, almeno in questo punto, la Procura di Trapani si è rifiutata, mentre nei fatti da 5 anni si accanisce contro gli attivisti di Save The Children, Medici Senza Frontiere e Jugend Rettet…

Si comprende bene quanto il contesto politico stia influenzando questo processo (e non solo) quando si legge che la Procura riconosce che “hanno agito solo per ragioni umanitarie e senza fini di lucro…” inventandosi poi, però, assurde ipotesi accusatorie e che sono state tutte di fatto già smontate.

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Navi in porto

L’assurdo processo di Trapani contro le ong che salvano i migranti

La nave Juventa dal 2017 è stata sequestrata e ventuno giovani membri di

organizzazioni umanitarie sono imputati per presunti contatti con gli scafisti libici. Ma le conclusioni dei magistrati sono già state smontate. La richiesta di Meloni e Piantedosi di costituirsi parte civile è stata respinta.

Poi ci sono i morti in mare che non puoi contare. Quelli che non conosci, che appartengono al mondo dei “se” e de “ma”. Come sarebbe andata a finire se…

Già. Come sarebbe andata a finire se la nave Juventa, dell’organizzazione non governativa berlinese Jugend Rettet, fosse ancora a pattugliare il Mediterraneo? Numeri, ipotesi.

Nel suo unico anno e mezzo di attività, a partire dal 2016, la nave, un bestione lungo 33 metri, progettata per lavorare nelle condizioni più impervie nei mari del Nord, ha contribuito al soccorso nel Mediterraneo di 14mila persone. A bordo, un gruppo di giovani volontari tedeschi, medici, vigili del fuoco, studenti, pure un astrofisico. Hanno scelto di essere testimoni oculari e di mettersi a disposizione per salvare vite nel Mediterraneo centrale.

E chissà quante altre vite avrebbero potuto essere salvate, in questi anni. Perché dall’agosto del 2017 la nave Juventa è sequestrata e abbandonata al porto di Trapani.

Per capire la complessità del tema dei migranti, oltre la cronaca dei morti e dei naufragi, non c’è da annunciare la caccia agli scafisti nel «globo terracqueo». Forse bisognerebbe venire a Trapani. Nel tribunale del capoluogo siciliano, infatti, si celebra in questi mesi un processo più unico che raro, il processo a ventuno giovani membri di organizzazioni umanitarie. Per loro l’accusa è di favoreggiamento all’immigrazione clandestinaÈ un processo che in tutta Europa è unico nel suo genere.

Prende il via da una maxi inchiesta del 2016 (nel frattempo a Trapani sono cambiati tre procuratori, e in Italia quattro ministri della Giustizia) e coinvolge anche Medici senza Frontiere e Save The Children.

Dopo cinque anni, è ancora alle battute iniziali, soprattutto perché molte udienze sono state rinviate per la mancanza di traduttori e vizi nelle notifiche, dato che gli imputati vengono da diversi Paesi europei e i loro avvocati hanno contestato le trascrizioni del tribunale.

L’inchiesta della Procura di Trapani è davvero singolare. Non solo per lo sforzo investigativo enorme, con l’utilizzo di intercettazioni, droni e anche di agenti sotto copertura, ma perché nel faldone delle indagini sono finiti intercettati anche avvocati e giornalisti. Alcune conversazioni con fonti confidenziali, assolutamente irrilevanti ai fini dell’inchiesta, sono state trascritte, insieme a nomi e schede di giornalisti italiani e stranieri. Tanto che l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia, quando esplose il caso, nel 2021, mandò anche gli ispettori, in Procura, per capire come fossero finiti quei nomi e quei dialoghi nelle 30mila pagine delle indagini, e perché si era necessario sorvegliare dei giornalisti.

L’ipotesi dell’accusa è quella di un accordo tra trafficanti e navi umanitarie per la «gestione» dei migranti. In altre parole: le persone in mare non sono state salvate, ma consegnate. In un passaggio degli atti di indagine i volontari vengono equiparati ai trafficanti libici, perché, è scritto «entrambi considerano i migranti come una preziosa merce, e non come naufraghi da salvare». Vengono monitorate 13 operazioni di salvataggio, tra il 2016 ed il 2017. Secondo l’accusa, gli attivisti di Save The Children, Medici Senza Frontiere e Jugend Retten «erano mossi nelle loro condotte criminose da aspetti economici». Qual era l’obiettivo? «La raccolta e conduzione in Italia di un numero sempre maggiore di migranti, per mantenere alta visibilità mediatica e avere più donazioni».

La Procura è convinta di aver dimostrato i contatti «tra coloro che scortavano gli immigrati fino alla Iuventa e i membri dell’equipaggio della nave». Anche se hanno agito solo per ragioni umanitarie e senza fini di lucro, riconosce la Procura, gli operatori si sarebbero avvicinati troppo alle coste della Libia e avrebbero avuto contatti con i trafficanti per delle «consegne pattuite» di migranti. In cambio, ad esempio, gli operatori della Iuventa avrebbero lasciato alla deriva tre imbarcazioni in modo che i trafficanti potessero recuperarle e usarle successivamente in altre traversate.

Il processo è seguito dagli osservatori di Amnesty International. Ampi reportage si trovano su diverse testate europee. Un centro indipendente per il giornalismo investigativo, Forensic Architecture, di Londra, ha addirittura pubblicato una contro inchiesta che smonta le conclusioni della Procura di Trapani sui presunti tre «contatti» filmati tra le navi delle Ong e gli scafisti libici. E un sito in tre lingue (italiano, inglese e tedesco) pubblica un diario del processo con tutte le iniziative di solidarietà in giro per l’Europa.

In Italia, invece, passa quasi con indifferenza. Alle udienze, solo un paio di giornalisti locali, per il resto sono tutti stranieri. Gli imputati rischiano più di venti anni di carcere. Nella penultima udienza, poco prima di Natale 2022, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi hanno chiesto di essere ammessi come parte civile, con l’intenzione di sollecitare un risarcimento per i danni «economici e morali» sostenuti dallo Stato italianoLa richiesta è stata respinta.

Intanto la nave continua a essere sequestrata. Ed è ormai ridotta, dopo cinque anni, a un ammasso di rottami. La Ong tedesca ha per questo presentato una denuncia, e adesso il tribunale ha prescritto alla Capitaneria di porto di Trapani di «provvedere all’esecuzione di tutte le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie a ripristinare e a mantenere la situazione della nave esistente al momento del sequestro». Operazione impossibile. La nave, negli anni, è stata anche vandalizzata e saccheggiata di attrezzature e strumenti. Il resto è completamente arrugginito. Dal 2021 non è neanche in un’area sorvegliata del porto, tanto che c’è anche chi l’ha utilizzata come rifugio di fortuna. Dalla Capitaneria di Porto di Trapani, per capire il da farsi, hanno chiesto lumi al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. I costi sono ingenti. Se c’è da rimettere in sesto la nave, si fa prima a farne una nuova. Dal ministero guidato da Matteo Salvini, non ha ancora risposto nessuno. Sono troppo impegnati a dare la caccia agli scafisti «nel globo terracqueo».

https://www.linkiesta.it/2023/03/processo-nave-juventa-trapani/

Occuparono una casa, 18 anarchici assolti. Il giudice: «Fornirono sostegno ai migranti»

Erano finiti sotto accusa per aver occupato  i locali di una Chiesa a Claviere e poi la Casa Cantoniera di Oulx. «Un’innegabile funzione di supporto alle iniziative lecite organizzate da istituzioni e privati nel campo dell’assistenza»

L’occupazione si è tradotta in «un’innegabile funzione di supporto alle iniziative lecite organizzate da istituzioni e privati nel campo dell’assistenza e dell’accoglienza dei migranti». In pratica, gli anarchici hanno agito «in modo complementare» al mondo dell’associazionismo. Ad assegnare questo ruolo ai giovani antagonisti che nel 2018 entrarono abusivamente nella Casa Cantoniera dell’Anas, trasformandola in un centro di accoglienza per i migranti intenzionati a raggiungere la Francia passando clandestinamente il confine, è il giudice Alessandra Danieli. Il magistrato, infatti, ha assolto 19 attivisti che — a vario titolo — erano finiti sotto accusa per aver occupato prima i locali della Chiesa della Visitazione di Maria Santissima di Claviere e, successivamente allo sgombero, la Casa Cantoniera di Oulx, un immobile che Anas aveva lasciato in stato di abbandono.

Nelle motivazioni vengono ripercorse le storie delle due occupazioni, ma soprattutto le attività degli antagonisti. L’indagine dei carabinieri raccontava le iniziative intraprese, tra il 2018 e il 2021, da alcuni giovani legati al gruppo francese «Briser les Frontières» e all’area antagonista della Valle di Susa e di Torino. Cioè, attività di «sostegno e assistenza ai migranti» intenzionati a oltrepassare il confine francese. Due le rotte seguite e citate nel documento: la prima (poi abbandonata) attraverso il Colle della Scala a Bardonecchia, la seconda attraverso il valico tra Claviere e Monginevro. Ed è proprio in relazione a quest’ultima direttrice che vanno lette le azioni illecite rimproverate agli imputati. Il giudice ricorda che nel 2018 a Oulx venne aperto il Rifugio Massi, una struttura gestita da religiosi dell’ordine salesiano e finanziata da una fondazione.

«In tale contesto — scrive il Tribunale — si collocano le iniziative intraprese da alcuni aderenti a movimenti di matrice anarchica in ordine alla causa di sostegno ai migranti e di contestazioni alle politiche governative in materia di flussi migratori». Da qui l’occupazione prima della Chiesa e poi della Casa Cantoniera «per permettere ai migranti, che quotidianamente tentavano di raggiungere il territorio francese attraverso il valico del Monginevro, di trovare riparo dal freddo durante la notte».

Per il giudice non vi è alcun dubbio sulla sussistenza del reato, in particolare per quanto riguarda l’occupazione della Casa Cantoniera: gli imputati sono stati più volte notati dalle forze dell’ordine mentre entravano e uscivano dall’edificio, così come è accertata la loro partecipazione nell’allestimento della struttura «al fine di consentire di ospitare stabilmente al suo interno decine di persone». In sentenza si fa anche notare che «all’epoca dei fatti la struttura salesiana era aperta solo di notte e poteva ospitare solo 20-30 persone. Accadeva di frequente che alcuni migranti, dopo aver trascorso una notte al Rifugio, si trasferissero alla Casa Cantoniera, dove potevano trattenersi per diversi giorni e dove, in diverse occasioni, trovavano ospitalità famiglie con bambini».

 Tuttavia, il Tribunale respinge la tesi assolutoria proposta dalla difesa, che si era appellata allo «stato di necessità» interpretato come assistenza di migranti spesso impreparati ad affrontare la montagna per oltrepassare il confine. Piuttosto, secondo la giudice Danieli, l’assoluzione deve essere incardinata nel principio della «lieve entità» del reato. Gli anarchici avrebbero sì occupato l’immobile dell’Anas — «in disuso da anni» —, ma anche svolto «un’innegabile funzione di supporto» a chi era impegnato lecitamente nell’assistenza ai migranti.

I piani di Netanyahu di spostamento all’estrema destra. Essi anticipano in alcuni campi il governo Meloni/Salvini/Nordio?

Riportiamo brevi parti di un lungo articolo apparso su Le Monde diplomatique di febbraio sulla situazione in Israele che sta dando vita in questi giorni a forti e grandi proteste della popolazione

Questa prima parte spiega bene i passaggi della azione di Netanyahu di deciso spostamento all’estrema destra, portando a conseguenza la sua piano di cancellazione di ogni residua forma di democrazia e di instaurazione di un regime fondato sul nazionalismo ebraico.

Netanyahu ieri è stato in Italia, ricevuto dalla Meloni, per stringere rapporti politici ed economici, e anche qui è stato accolto da manifestazioni di protesta.

Questo rapporto Israele/Italia acquista in questa fase un significato che va oltre i “normali” rapporti tra Stati e governi. Netanyahu in un certo senso anticipa i piani del governo Meloni/Salvini in Italia, in merito alla controriforma della Costituzione, all’instaurazione di un presidenzialismo, all’accentramento dei poteri; ma in particolare anticipa l’attacco alla Giustizia che il Min. Nordio ha appena cominciato ad avviare, ma che punta anche qui ad una messa sotto controllo, togliere autonomia alla Magistratura, modificare articoli e procedure, che salvaguardino la classe politica al potere, salvando i suoi uomini da condanne per corruzione, frodi, ecc.; cosi’ come è significativo l’intervento ideologico e pratico verso la scuola, i giovani in generale, per cui i piani e l’azione concreta del Min. Valditara non puntano solo ad un “ritorno al passato” ma ad una scuola al servizio del moderno fascismo, in cui l’aspetto militare deve essere parte della formazione.

In questo senso Netanyahu è più vicino all’Italia di quanto può sembrare.

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 Spostamento marcato verso l’estrema destra

Israele, il colpo di Stato identitario

Dando priorità alle riforme politiche richieste dai suoi alleati nazionalisti e ultraortodossi, Benjamin Netanyahu sta intraprendendo una profonda trasformazione della democrazia israeliana. I poteri della Corte Suprema ma anche quelli dei giudici sono nel mirino di una coalizione che intende estendere l’influenza della religione nell’istruzione pubblica e non cedere nulla ai palestinesi.

di Carlo Enderlin

Il Signor Binjamin Netanyahu ha avuto successo. Tornato al potere dal 29 dicembre (ha ricoperto la carica di capo del governo dal marzo 2009 al giugno 2021), sostenuto da una maggioranza di

sessantaquattro deputati – su centoventi – nazionalisti, ultraortodossi e messianici, può realizzare ora il suo grande progetto: instaurare un nuovo regime in Israele basato su un nazionalismo ebraico autoritario e religioso, rompendo con la visione della democrazia dei padri fondatori del sionismo, Theodor Herzl, Vladimir Zeev Jabotinsky e David Ben Gurion. Se il primo passo è stato, nel luglio 2018, l’adozione da parte della Knesset della legge Israele – Stato-Nazione del popolo ebraico, testo molto controverso perché considerato discriminatorio nei confronti delle minoranze arabe e druse. ora si tratta di frenare lo stato di diritto, riformare l’istruzione nazionale, assoggettare i quadri dirigenti del sistema securitario, schiacciare l’opposizione di sinistra, imporre il nazionalismo ebraico come identita’ nazionale, dare nuovo impulso all’annessione della Cisgiordania e proseguire la neutralizzazione dell’Autorita’ palestinese.

Netanyahu ha affidato la missione di trasformare il sistema giudiziario al signor Yariv Levin, giurista e deputato, che, dalla sua elezione nella lista del Likud nel 2009, ha guidato la carica contro i giudici. Il 4 gennaio, appena nominato ministro della Giustizia, ha presentato il suo progetto di “revisione radicale” basato sul principio che il “popolo” riconosce alla maggioranza eletta la legittimazione a governare da sola, senza l’ingerenza dei magistrati. non nominati dalle urne. Una cosiddetta clausola “bypass”  consentirà così a sessantuno deputati di annullare una sentenza della Suprema Corte che ritenga incostituzionale una legge. “Un testo votato dalla Knesset non può più essere annullato da un giudice” ,insiste il signor Levin. Inoltre, la nomina collettiva dei membri della Corte Suprema dovrebbe passare sotto il controllo della maggioranza al potere. Altre misure sono previste, come la riscrittura di alcuni articoli del codice penale, nell’intento di ridurre il numero di rinvii a giudizio per corruzione all’interno della classe politica. Teoricamente, Netanyahu può trovarsi a nominare i giudici che esamineranno il suo ricorso in appello qualora si chiudesse con una condanna il processo per frode, abuso di potere e corruzione attualmente in corso contro di lui…

…Per il primo ministro, la volonta’ di imporre il nazionalismo ebraico passa attraverso l’accompagnamento della gioventù. Per questo ha deciso di attribuire la competenza dell’insegnamento pubblico religioso… finora apolitico a Bezalel Smotrich, dirigente del partito sionista religioso regolarmente sotto i riflettori per le dichiarazioni ostili alla sinistra, ai palestinesi e alle minoranze sessuali… Orit, della colonia Avraham Avinu a Hebron è stata incaricata della questione identitaria ebraica… ha ottenuto il dipartimento della cultura ebraica del ministero dell’Istruzione e la direzione di scuole e accademie premilitari…”

Torino Askatasuna: intercettati abusivamente i difensori

La denuncia dei legali al processo: la procura ha lasciato trascrivere centinaia di colloqui con gli assistiti, quando la legge non lo consente

di Mauro Ravarino da il manifesto

Decine e decine di colloqui fra gli avvocati difensori e i loro assistiti – scambi per lo più neutrali e tecnici – registrati e trascritti. Dovevano essere distrutti, invece, sono finiti nei cosiddetti brogliacci (le trascrizioni delle forze dell’ordine) dei fascicoli della procura di Torino per il maxi processo sul centro sociale Askatasuna. «Centinaia di telefonate» trascritte «pur essendo, in base alla normativa, vietato». Lo hanno rivelato i legali degli imputati, comunicandolo al Tribunale del capoluogo piemontese.

«Le intercettazioni vanno dal dicembre 2019 a meno di un anno dopo e – spiega l’avvocato Claudio Novaro, che difende 14 dei 28 imputati – sono a carico di una serie di soggetti di area di Askatasuna e No Tav. Qualche udienza fa avevo detto che c’erano intercettazioni trascritte tra difensori e assistiti, il pm aveva replicato che non era possibile. Ci siamo, allora, presi la briga di fare un conteggio, tra me e una mia assistita ci sono 69 intercettazioni. Volevamo che ciò fosse messo a verbale questa incongruità, anche per dare un’idea di come sono state fatte le indagini ovvero con metodi estremamente pervasivi. Il Tribunale ci ha detto di fare un elenco, cosa che faremo e consegneremo. Faremo, inoltre, un’istanza in procura perché vengano distrutte queste intercettazioni e, poi, una segnalazione al Consiglio dell’ordine perché è inammissibile che vengano registrate e trascritte le intercettazioni tra imputati e difensori». Le conversazioni erano state intercettate durante le indagini preliminari e non figurano tra gli atti processuali, ma la loro presenza nel fascicolo della procura è dimostrata, appunto, dai brogliacci.

Il processo contro i militanti di Askatasuna, storico centro sociale di Torino con sede in corso Regina Margherita, vede 28 imputati di cui 16 accusati di associazione a delinquere. Reato che le difese – ma anche molte realtà sociali e artisti che si sono stretti attorno al Csoa – contestano, perché eluderebbe il contesto sociale in cui sono maturate proteste e iniziative, in questi anni, a Torino come in Val di Susa. Molti dei 72 reati si sarebbero verificati, infatti, in Valle e solo una parte nella città della Mole, dove riguarderebbe più che altro lo Spazio Neru

L’Aquila 8 marzo – Intervento della compagna del MFPR in solidarietà alle/ai prigionieri politici: fuori Alfredo dal 41 bis

L’intervento della compagna del MFPR di L’Aquila, durante il corteo dell’8 marzo, contro il fronte interno della guerra imperialista, la repressione delle compagne No Tav, il carcere tortura/assassino, ha rilanciato la mobilitazione contro il 41 bis, per la libertà di Alfredo Cospito e di tutti i prigionieri e le prigioniere politiche, contro la repressione delle lotte:

 

Un intervento che è stato ripreso dal collettivo Malelingue di Teramo, che ha ricordato come un compagno del campetto occupato rischia la sorveglianza speciale per le lotte sociali nel territorio giugliese, e che tra i motivi della richiesta di sorveglianza speciale c’è anche un presidio di 2 anni fa, in solidarietà a una ragazza stuprata alla stazione di Giulianova:

Di seguito il testo dell’intervento del MFPR-AQ

8 marzo scioperiamo contro la violenza di Stato, contro il carcere e la repressione che questo Stato borghese, questo governo fascio-razzista, sta portando avanti con sempre più ferocia nei confronti di chi si oppone alla barbarie capitalistica, alla guerra contro la maggioranza delle donne innalzando la bandiera nera di “Dio, patria, famiglia” e figli, da macellare in trincea o in fabbrica, nell’alternanza scuola/lavoro.

8 marzo scioperiamo per la libertà della militante no tav Francesca Lucchetto, da un mese in carcere per aver tentato, 10 anni fa, di appendere uno striscione davanti al tribunale di Torino in solidarietà con Marta Camposano, manganellata durante un corteo no tav e molestata sessualmente da un agente di polizia (“Se toccano una toccano tutte! Non un passo indietro, solidarietà a Marta”)

8 marzo scioperiamo in solidarietà con le compagne di Askatasuna, con Dana, Nicoletta, con tutte le donne no tav, che con costanza e determinazione si battono per una causa giusta che ci riguarda tutte, che non cedono alla repressione, e che continuano a lottare sempre al fianco delle nostre sorelle detenute.

8 marzo scioperiamo contro la guerra imperialista in Ucraina, che è una guerra di classe e sta uccidendo soprattutto donne e bambini

8 marzo scioperiamo contro il nero governo Meloni e i partiti guerrafondai in Parlamento, che mentre riarmano il governo nazista ucraino tolgono soldi alla scuola, alla sanità, ai servizi sociali, scaricando sulle donne il lavoro di cura, il carovita, i costi della crisi.

8 marzo scioperiamo contro le stragi di Stato e padroni, che ci uccidono di continuo, in mare, sul lavoro e a casa, dove veniamo ricacciate dalle loro politiche di lacrime e sangue

8 marzo scioperiamo contro il governo fascio-razzista italiano, che mentre fa affari con i regimi del Nord Africa e del MO, decreta per legge le morti di donne e bambini migranti, usandoli come merce di scambio dei profitti dei capitalisti

8 marzo scioperiamo contro la tortura del 41 bis e la condanna a morte dell’anarchico Alfredo Cospito, da più di 4 mesi in sciopero della fame contro questo regime.

Un regime che per i prigionieri rivoluzionari ha una duplice funzione, quella della vendetta verso coloro che non abiurano alle proprie idee politiche continuando a lottare contro il terrorismo di stato, e quella deterrente delle lotte verso l’esterno.

Il carcere dell’Aquila, dove c’è il più alto numero di detenut* in 41 bis, è l’unico in Italia ad avere anche una sezione femminile, con 15 donne in regime di carcere duro, tra cui Nadia Lioce, prigioniera comunista rivoluzionaria, che nel 2017 finì sotto processo per aver disturbato la quiete di un carcere che l’ha sepolta viva, attraverso una serie di battiture di protesta con una bottiglietta di plastica. Nadia fu assolta perché l’isolamento estremo in 41 bis non consentiva né a lei, né alle altre detenute sottoposte a questo regime di avere percezione di tale “disturbo”. Ecco quel che si legge nei provvedimenti che ogni 2 anni vengono emanati per riconfermarglielo: “Vanno valutate con la massima prudenza le temporanee eclissi del fenomeno brigatista che suggeriscono di non escludere la possibilità di una ripresa della lotta armata nel medio/lungo periodo, anche in considerazione di un panorama complessivo di scontri sociali, di un sempre crescente divario di condizioni di vita e di scarse occasioni di lavoro”.

8 marzo scioperiamo contro il carcere tortura e assassino, contro uno Stato borghese e stragista che vorrebbe mettere a tacere un anarchico che non ha ucciso nessuno.

Perché se è vero, come è vero, che nessun* di noi sarà libera/o fin quando non lo siamo tutt*, allora non possiamo lasciare che le nostre sorelle e i nostri fratelli continuino a vivere in una tomba per vivi. Che sia l’Italia, l’India, la Turchia, l’Iran, la Palestina, dobbiamo difendere i nostri fratelli e le nostre sorelle detenut*!

Fuori Alfredo e Nadia dal 41bis! Libere e liberi tutti!