Vertice a Madrid: la Nato si rafforza sul sacrificio dei curdi e l’oppressione militare ovunque. Il governo Draghi in prima fila nelle scelte NATO di guerra, repressione e miseria

Gli Usa invieranno in Italia una batteria di difesa antiaerea che si aggiungerà alle 113 basi militari già presenti. Draghi dal canto suo è pronto a mobilitare altri 8 mila militari (oltre ai duemila già previsti) per aumentare lo sforzo bellico, garantendo “sicurezza” a Svezia e Finlandia, che entreranno nella Nato e saranno di nuovo libere di rimpolpare l’arsenale militare di Erdogan in cambio dell’estradizione dei rifugiati curdi e dei dissidenti politici turchi.

Da Osservatorio repressione

La Turchia «ha avuto quello che chiedeva» ha fatto sapere Erdogan. Cosa voleva? L’estradizione dei ricercati curdi rifugiati in Finlandia e Svezia e la revoca delle restrizioni sulle armi imposte dopo l’incursione militare della Turchia nel 2019 nel nord-est della Siria.

In nome dell’antiterrorismo e con la benedizione di Biden e del G7, Finlandia, Svezia e Turchia hanno firmato un memorandum trilaterale che apre la strada all’ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia. Ingresso fin qui ostacolato proprio da Ankara.

In testa all’elenco dei ricercati di Erdogan ci sono gli esponenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan, (Pkk) e della sua estensione siriana (Ypg).

Ora la Svezia per entrare in una organizzazione crimanale mondiale, accetta il ricatto di Erdogan e molti dei quasi 85mila curdi presenti in Svezia (16mila nella vicina Finlandia), rischiano l’estradizione: il che significa, nel migliore dei casi, la galera a vita a regime carcerario duro. Nel peggiore torture e assassinio politico. Tanto per capirci: è come se negli anni ’70 i paesi europei avessero estradato i profughi cileni, argentini e delle dittature latinoamericane, consegnandoli ai campi di concentramento e ai plotoni d’esecuzione.

Ma è d’obbligo chiedersi che ne sarà dei giornalisti curdi e degli esponenti dell’opposizione rifugiati in Svezia e Finlandia. Quando glielo ha chiesto una giornalista, Stoltenberg ha risposto che lo leggeremo presto sul sito della Nato.

Garantiscono che l’estradizione avverrà esclusivamente su accuse provate e secondo quanto previsto dalla convenzione europea. Ci possiamo fidare? Bisognerebbe chiederlo alle migliaia di dissidenti, giornalisti, oppositori politici, attivisti LGBTQ incarcerati in questi ultimi anni.

Lo scorso 26 giugno, nel centro di Istanbul, centinaia di persone sono state arrestate (senza contare quelle picchiate e perquisite) per aver marciato con l’Istanbul Pride Parade nonostante il divieto delle autorità.

Fino al 2014 la Turchia è stata uno dei pochi paesi a maggioranza musulmana a consentire la Marcia dell’Orgoglio. Poi, con l’arrivo di Recep Tayyip Erdogan, le marce sono state bandite. E chi osa scendere in piazza deve affrontare violenze, lacrimogeni, proiettili di plastica e arresti.

L’associazione degli avvocati MLSA ha denunciato che tra i detenuti c’è anche Bülent Kilic, un fotografo di Agence France-Presse.

Ora per fare il lavoro sporco al posto nostro con i migranti, ora per trattare con Putin, ora per allargare il raggio atlantista, l’Occidente continua a riconoscere il regime osceno di Erdogan come se niente fosse.

Tiziana Barillà

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da Radio Onda d’Urto

Siglato intanto tra Svezia, Finlandia e Turchia un memorandum sull’ingresso nella NATO dei due paesi scandinavi che prevede la ripresa dell’ export di armi, l’estradizione dei rifugiati curdi in Svezia, repressione degli attivisti e politici curdi, supporto incondizionato alle operazioni turche in caso di “Minaccia alla sicurezza nazionale” , la formula che lo stato turco usa per giustificare ogni operazione militare, comprese le invasioni in Rojava e in nord Iraq, ma anche le operazioni contro l’opposizione interna.

Quale è il messaggio più forte che parte da Madrid? Cosa si intende per “Nuovo concetto strategico” della Nato?

Fulvio Scaglione Lettere da Mosca Ascolta o scarica

Antonio Mazzeo giornalista e attivista contro la guerra Ascolta o scarica
Achille Lodovisi analista esperto di strategie e politica internazionale Ascolta o scarica

La Francia respinge la richiesta di estradizione degli esuli politici italiani

Si chiude nel migliore dei modi possibili l’ennesimo tentativo, tanto vergognoso quanto infame, da parte dello Stato italiano di soddisfare la sua sete di vendetta, accanendosi contro dieci esuli politici italiani che da 40 anni vivono e lavorano in Francia.

La Chambre de l’Instruction della Corte d’Appello di Parigi ha pronunciato ieri un “avis défavorable” in merito alla domanda di estradizione richiesta dall’Italia nei loro confronti.

Quella che era stata battezzata come l’operazione “Ombre Rosse” si chiude quindi con un fallimento totale per lo Stato italiano, nonostante il clamore mediatico e gli ignobili articoli della stampa mainstream assetata di vendetta, a seguito dell’arresto un anno fa di alcuni di questi esuli condotto dalla Direzione anti-terrorismo francese (SDAT) in collaborazione con l’Antiterrorismo della Polizia italiana e Servizio di cooperazione internazionale della Criminalpol.

All’udienza di ieri erano presenti Enzo Calvitti, Narciso Manenti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Maurizio di Marzio, Raffaele Ventura e Luigi Bergamin. L’unico assente era Giorgio Pietrostefani, le cui gravi condizioni di salute non gli avevano già consentito di essere presente alle precedenti udienze che lo riguardavano.

Al Tribunale erano anche presenti alcuni provocatori che, guidati dal deputato della Lega Daniele Belottihanno gridato assassini” durante la lettura della decisione. Speravano in un esito diverso, ovvero di veder condannati questi esuli (in gran parte settantenni) a pene detentive dalle condizioni psico-fisiche disumane.

Dal PD si esprime “delusione” per questa sentenza, giudicandola una “decisione grave” invocando “la sofferenza dei familiari e la memoria delle vittime”, dimenticandosi delle migliaia di giovani, militanti e non, uccisi dalla violenza dello stragismo fascista e di Stato o torturati nei commissariati e nelle carceri speciali.

Considerazioni squallide da parte di due partiti che si trovano uniti sotto il governo Draghi, battezzato proprio dall’arresto degli esuli in Francia che aveva accresciuto l’aura di legittimazione costruita dai media mainstream asserviti intorno a “Super Mario” come salvatore della patria.

Dall’altro lato, invece, quest’anno è stato affrontato con uno stato d’animo ed emotivo sofferto, con la paura di vedere distrutta un’intera vita ricostruita con sacrifici e difficoltà nel corso di questi 40 anni in Francia: relazioni familiari, amicizie, impegni in ambito sociale, accanto ad un comportamento irreprensibile sempre sotto occhiuta sorveglianza.

Una paura che aveva cominciato a farsi sentire quando, dopo l’arresto di Cesare Battisti in Bolivia e la sua estradizione in Italia accolta in gran pompa mediatica da Salvini e Di Maio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si augurava che “tutti i latitanti fuggiti all’estero” fossero “consegnati alla giustizia italiana per scontare la pena per i gravi crimini di cui si sono macchiati”.

Se qualcuno sperava in una “estradizione rapida”, in realtà l’operazione aveva cominciato a sgonfiarsi già nelle sue prime settimane. Nel corso di quest’anno ha avuto luogo una lunga serie di udienze, spesso rinviate per consentire l’invio dall’Italia del “complemento di informazioni” relativo alle condanne pronunciate in molti casi oltre 30 anni fa, oltre agli elementi riguardanti la prescrizione dei reati e la condanna in contumacia.

La giustizia francese ha respinto la domanda di estradizione, nonostante i tentativi politici di influenzarne la decisione: dalla presenza dell’avvocato William Julié in qualità di rappresentante dello Stato italiano alle dichiarazioni dell’ex ministro della Giustizia francese Eric Dupond-Moretti, il quale aveva paragonato gli “ex terroristi italiani” arrestati in Francia ai jihadisti del massacro del Bataclan: “Avremmo mai accettato che uno dei terroristi del Bataclan, ad esempio, se ne fosse andato a vivere 40 anni, tranquillamente, in Italia?”.

Si è scongiurato il rischio che i corpi e la memoria di questi esuli, che in Francia hanno trovato una forma de facto di “asilo” grazie ai principi della comunemente nota “dottrina Mitterand”, diventassero merce di scambio tra il governo francese e quello italiano per rafforzare la loro intesa reciproca.

Da un articolo di Contropiano

Di seguito il commento a Radio Onda d’Urto di Frank Cimini, cronista giudiziario, si occupa di carcere e giustizia dai tempi di Soccorso Rosso. Ascolta o Scarica

Torino, oltre 50 anarchici denunciati per aver occupato, a tempo, l’Astanteria Martini nell’ambito della tre giorni di mobilitazione internazionale contro guerre e frontiere.

Dalla stampa borghese:

“Liberata” l’Astanteria Martini: denunciati più di 50 anarchici

Domenica nel mirino dei manifestanti anche il Cpr e le sedi di Alenia e Leonardo

Sono più di 50 gli anarchici che sono stati identificati e denunciati dalla Digos in seguito all’occupazione abusiva dei locali dell’Astanteria Martini di via Cigna. Si tratta in gran parte di persone già note per episodi simili, vicine agli ambienti dell’ex Asilo occupato di via Alessandria e dell’ex Molla di via Bersezio. Molti torinesi quindi, ma ci sono anche persone provenienti da Milano, Cuneo, Rovereto, Ferrara, Palermo, Brescia e cinque francesi. E del resto l’appello che era stato lanciato online nei giorni precedenti all’occupazione era abbastanza chiaro: «Portatevi le tende». Il “campeggio” per ospitare chi arrivava da fuori Torino in occasione della tre giorni di mobilitazione anarchica, è stato allestito nei locali abbandonati dell’ex Astanteria, che da ieri sono tornati a essere liberi: gli anarchici li hanno lasciati e Asl e Digos, dopo i sopralluoghi di rito, hanno provveduto a sigillarli. Gli anarchici saranno chiamati a rispondere, oltre che di occupazione abusiva, anche di danneggiamento.

L’ex Astanteria era stata occupata venerdì per farne la sede di dibattiti e incontri per un’iniziativa internazionale contro guerre e frontiere. E proprio da qui, domenica, è partita parte dei circa 150 anarchici che hanno raggiunto, per una preannunciata manifestazione di protesta, il Cpr. Qui hanno trovato ad attenderli un folto schieramento di forze di polizia e proprio approfittando di questa “distrazione” due gruppetti più esigui hanno raggiunto indisturbati le sedi di Alenia e Leonardo – nel mirino per il proprio impegno nell’industria bellica – che sono state imbrattate con scritte, catrame e vernice rossa. I responsabili sono poi scappati prima dell’arrivo sul posto delle forze dell’ordine, che ora stanno acquisendo i filmati delle telecamere di videosorveglianza che insistono nelle aree interessate e in quelle immediatamente adiacenti, nella speranza di trovare elementi sufficienti a identificarli e a denunciarli.

Più tranquilla la manifestazione al Cpr di corso Brunelleschi, dove gli anarchici hanno esposto cartelli, intonato cori e lanciato fuochi d’artificio, rivolgendosi anche direttamente – con un megafono – agli extracomunitari reclusi all’interno della struttura, prima di darsi appuntamento ai giardini della Colletta dove la mobilitazione si è definitivamente conclusa.

Strage di Melilla, salgono a 45 i migranti uccisi alla frontiera dalla “democrazia” europea e dall’imperialismo

Decine di corpi senza vita o agonizzanti impilati uno sull’altro e vigilati da un cordone di gendarmi marocchini in assetto antisommossa, ai piedi di una recinzione che venerdì 500 subsahariani hanno tentato di scavalcare per approdare nell’enclave spagnola in Marocco.

I bilanci ufficiali di Rabat sono stati ben presto raddoppiati; dalla vicina città marocchina di Nador le Ong hanno elevato il conteggio a 37 morti, che le autorità si stanno sbrigando a seppellire in alcune fosse comuni, denuncia l’Associazione Marocchina per i Diritti Umani, senza identificazioni o autopsie. Coloro che portano avanti le proteste nel Paese iberico affermano che i morti sono almeno 45 e che molti dei feriti gravi potrebbero aumentarne il numero. Immagini e racconti dei sopravvissuti hanno denunciato il trattamento brutale riservato ai migranti dagli agenti marocchini, il cui comportamento violento non è certo estraneo ai decessi per soffocamento o schiacciamento. Foto e video ritraggono gli agenti marocchini entrare in territorio spagnolo per «riprendersi» alcuni dei profughi che erano riusciti a varcare la frontiera.

Ma se il Marocco è stato l’esecutore materiale della strage, l’Unione Europea e la stessa Spagna l’hanno finanziata. Da un lato il governo finto sinistro spagnolo ha accolto senza indugi 100 mila rifugiati ucraini, bianchi e cristiani, dall’altro si è schierato vergognosamente con il Marocco nell’occupazione del territorio legittimo del popolo Saharawi,  elogiando l’operato della gendarmeria marocchina e della Guardia Civil, e considerando invece il disperato tentativo di profughi africani e neri in fuga dalle guerre, dalla fame e dai cambiamenti climatici esportati in tutto il mondo dai paesi imperialisti, un’”aggressione all’integrità territoriale spagnola”.

Si parla molto di come il Marocco utilizzi la migrazione per “ricattare” la Spagna, ma questa è solo una parte della storia, i flussi migratori si dirigono naturalmente verso il Marocco da decenni perché lo stretto è il punto più breve per attraversare il Mediterraneo. Ma nel 2006 Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) ha avviato trattative con il Marocco culminate in un accordo con il quale quest’ultimo si impegnava a non far passare NESSUNO in cambio di succulenti fondi per «aiuti allo sviluppo» e trattamenti preferenziali nelle sue relazioni commerciali con l’Ue (tra il 2007 e il 2020, secondo i dati della Commissione Europea, il governo marocchino ha ricevuto 13.000 milioni di euro di aiuti da Bruxelles). Per l’Unione Europea si trattava di un modo per “esternalizzare” la violazione dei diritti umani: potevano dire che l’Ue rispettava i diritti umani, e se il Marocco non li rispettava al confine con la Mauritania, non erano affari loro.

Il Marocco ha rispettato la sua parte dell'”accordo” con l’UE per anni e ne ha tratto profitto. Ma il Marocco non è l’unico “portiere” dell’Unione Europea. L’altro è la Turchia, e sembra che gli accordi con la Turchia, soprattutto a seguito delle migrazioni siriane, siano più appetibili di quelli stabiliti anni fa con il Marocco, con il quale l’Unione Europea ha avviato trattative per raggiungere un accordo simile a quello con la Turchia.

Di seguito Un comunicato di Atik Turchia sul massacro di Melilla

A Melilla sta accadendo un nuovo massacro di migranti!

Un massacro di profughi è in corso a Melilla, che è stata governata come colonia dalla Spagna dal 1497 ed è completamente circondata dai confini del Marocco.

I massacri delle persone sfollate nella spirale dell’occupazione imperialista e della guerra sulle rotte migratorie, della crescente povertà nel nostro mondo a causa dell’economia capitalista continuano incessantemente.

Secondo le prime cifre, si afferma che 29 immigrati sono morti a causa del blocco posto sia dal Marocco che dalla Spagna e dalla fuga precipitosa. Questa mobilità migratoria, che è legata all’esistenza del sistema capitalista, aggiunge nuove pene alla memoria dell’umanità con le sue “misure sproporzionate”.

Proprio ieri, quello che è successo al confine tra Bielorussia e Polonia, le barche che sono affondate nelle acque del Mediterraneo con le vite che erano ancora vive nella nostra memoria, l’odierna strage di Melilla ci ha mostrato che la lotta contro questo sistema è essenziale.

Il ministro degli Esteri spagnolo Jose Manuel Albares, che ha affermato che il vertice della NATO che si terrà a Madrid il 28 e 30 giugno “è un punto di svolta per la sicurezza della NATO e dell’Europa”, ha suggerito che la sicurezza sarebbe un attacco ai profughi alle frontiere. Dopo gli eventi di Melilla, “a nome del governo spagnolo, vorrei ringraziarvi per la straordinaria collaborazione che abbiamo avuto con il governo marocchino, che dimostra la necessità di migliori relazioni e di stretta collaborazione. Purtroppo, come abbiamo visto negli eventi di Melilla di oggi, si è visto che è necessaria una stretta collaborazione nella lotta contro l’immigrazione irregolare”, ha affermato il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, ammettendo come il massacro sia stato compiuto insieme.

Sono capitalisti!

Milioni di persone scendono in strada nella speranza di trovare una vita e condizioni economiche più sane per ragioni quali politiche economiche, occupazioni, guerre locali, povertà, fame e cambiamenti climatici attuati ogni anno. Secondo i dati attuali, quasi 85 milioni di persone lasciano le proprie terre e continuano a vivere come rifugiati in altri paesi.

Milioni di persone, alle prese con la fame, la guerra e la povertà, cadono sulle rotte migratorie a costo della vita per questi motivi. Non dobbiamo tacere in questa situazione, che è contraria ai diritti umani e alle libertà internazionali.

Gli attacchi contro gli immigrati rimangono senza rallentare

Gli immigrati che lavorano con i proprietari di questo sistema nei loro paesi rimangono a essere presi di mira. Centinaia di persone, tra cui 2 membri dell’ATIK e 3 membri dell’YDG, sono state arrestate durante le proteste contro il vertice del G7 tenutesi a Palazzo Elmau nelle Alpi Bavaresi, a circa 100 chilometri a sud di Monaco in Germania. Questi stessi stati che sono la causa della guerra dell’Ucraina e delle nuove ondate migratorie.

Il nostro appello a tutti gli immigrati e le istituzioni indigene!

Non dobbiamo tacere sulla strage di immigrati a Melilla. Come forze democratiche in Europa, dobbiamo attirare l’attenzione su tutti i problemi che devono affrontare i rifugiati, mostrare solidarietà e intensificare la lotta per i loro diritti fondamentali.

Il diritto al rifugio è un diritto umano, non può essere prevenuto con le recinzioni, aprire i confini!

Viva la Solidarietà Internazionale!

3 palestinesi uccisi e 429 feriti dallo stato sionista di Israele dall’inizio dell’anno

Gruppi di coloni ebrei hanno intensificato gli attacchi contro i palestinesi e le loro proprietà durante la prima metà del 2022, sotto la protezione militare e della sicurezza.

In un nuovo rapporto, il Centro informazioni palestinese “Maaty” ha documentato 1.062 attacchi di coloni dall’inizio dell’anno, che hanno provocato l’uccisione di tre palestinesi e il ferimento di altri 429.

I morti includono l’anziano Suleiman al-Hathlin, 75 anni, che ha riportato gravi ferite e fratture al cranio, dopo essere stato investito dal veicolo di un colono. È deceduto a causa delle ferite, il 17 giugno.

Mustafa Salma, 25 anni, è stato ucciso dopo che un colono lo ha investito al posto di blocco di Beit Sira, ad ovest di Ramallah.

Ali Hassan Harb, 27 anni, è stato accoltellato a morte mentre affrontava un attacco di coloni nella cittadina di Skaka, a Salfit, la scorsa settimana.

Il rapporto ha documentato 18 attacchi con veicoli, 138 con lancio di pietre, 70 percosse, 18 attacchi con gas al peperoncino e 25 con armi da fuoco.

Sono state effettuate 191 incursioni di coloni in tutta la Cisgiordania occupata durante il periodo riportato, mentre le strade sono state bloccate in 18 casi.

Sono stati effettuati 155 attacchi di coloni contro luoghi sacri, tra cui le moschee di Ibrahimi e di al-Aqsa.

Più di 700 mila coloni ebrei nella Cisgiordania occupata rendono la vita difficile ai palestinesi che vivono sotto l’occupazione.

Secondo il diritto internazionale, tutte le colonie nei Territori palestinesi occupati sono considerate illegali.

Da InfoPal

L’importante intervento di proletari comunisti/PCm Italia sui prigionieri politici nella giornata del 19 giugno

Questa giornata ricorda la giornata dell’eroismo, il massacro nelle prigioni peruviane dei compagni del Partito Comunista del Perù, dei guerriglieri e combattenti della guerra popolare in Perù, che mostrarono col loro sacrificio e la loro lotta eroica, da un lato il volto barbaro del regime fascista e genocida in Perù, ma nello stesso tempo la forza ideologica, politica e militare della resistenza dei prigionieri politici come avamposto della guerra popolare che si svolgeva in forma impetuosa in quel paese nel 1986. La resistenza eroica dei prigionieri politici e di guerra, caduti il 19 giugno, era nutrita dall’ideologia del proletariato, il marxismo-leninismo-maoismo ,nell’applicazione del pensiero guida del Partito Comunista del Perù, espresso dal presidente Gonzalo.

Il 19 giugno è divenuta quindi una giornata storica, non solo dei prigionieri politici e di guerra in tutte le carceri dell’imperialismo, ma della lotta rivoluzionaria dei proletari e dei popoli del mondo. E’ divenuto proprio per questo un punto di riferimento, una giornata internazionale della lotta e della resistenza dei prigionieri politici comunisti rivoluzionari, antimperialisti, in tutto il mondo. La lotta e dalla resistenza irriducibile che avvenne nelle carceri peruviane e fece delle carceri una luminosa trincea di combattimento della lotta di classe, rappresentano l’intera lotta del proletariato e dei popoli oppressi, e fu ed è parte integrante di essa.

Ripristinare e riprendere questa pagina è quindi indispensabile per le forze rivoluzionarie di tutto il mondo. Naturalmente questo significa innanzitutto non solo rendere omaggio ai prigionieri politici e di guerra, ma anche farla vivere. Farla vivere significa incarnarla nei compiti dell’oggi, non come icone, ma come guida per l’azione. Guida per l’azione significa sempre analisi concreta della situazione concreta.

In che contesto quindi celebriamo oggi la giornata del 19 giugno?

L’imperialismo è guerra, repressione, miseria e oppressione dei proletari e dei popoli. Dove c’è oppressione c’è ribellione, dove c’è ribellione c’è lotta rivoluzionaria. La lotta rivoluzionaria di massa e armata, a volte camminano insieme, si intrecciano, sono complementari, a volte, ed è quello che noi auspichiamo, è guerra di classe, guerra rivoluzionaria, guerra popolare di lunga durata per la conquista del potere politico del proletariato e delle masse popolari, e per il rovesciamento dell’imperialismo in ogni sua cittadella, nei paesi imperialisti come nei paesi oppressi dall’imperialismo, in ogni sua postazione nel mondo. L’imperialismo, il capitalismo, ha governi e stati prodotti e strumenti di questo sistema, che si pongono a sua difesa, sia nelle forme della democrazia parlamentare, che è una forma mascherata della dittatura della borghesia, sia in forma di dittatura aperta, che in alcune fasi della storia, e in particolare nelle fasi in cui l’imperialismo si trasforma in guerra, assume le forme del fascismo, storico e moderno. Questa dittatura della borghesia si trasforma in violenza reazionaria, in violenza di stato, in repressione d’avanguardia e di massa. Questo si traduce in prigioni, prigionia politica. I prigionieri politici quindi sono la doppia faccia del sistema, delle due colline, la collina della controrivoluzione e quella della rivoluzione. Continua a leggere

Brasile, continuano i massacri della polizia del fascista Bolsonaro sul popolo indigeno.

La polizia brasiliana ha compiuto un massacro di indigeni Guarani

da L’Indipendente

La polizia militare brasiliana ha fatto irruzione nel territorio di Guapoy, nel sud dello Stato del Mato Grosso, aprendo il fuoco contro la popolazione, utilizzando proiettili veri, colpendo donne, uomini, bambini e anziani

di Valeria Casolaro

Giovedì 24 giugno la polizia militare brasiliana ha fatto irruzione nel territorio di Guapoy, nel sud dello Stato del Mato Grosso, al confine con il Paraguay, allo scopo di allontanare con la violenza la popolazione Guarani che aveva occupato la zona perché ritenuta parte dei propri territori ancestrali.

Dietro l’intervento della polizia non vi era alcun mandato o ordine del tribunale. Gli agenti, giunti a bordo di automobili e di un elicottero, hanno aperto il fuoco contro la popolazione, utilizzando proiettili veri, colpendo donne, uomini, bambini e anziani. Almeno due indigeni sono morti nel corso dell’attacco, anche se la comunità parla di 4 persone, e una quindicina sono stati ricoverati, molti per aver riportato ferite di arma da fuoco alla testa o ad organi vitali. Il CIMI (Consiglio Indigeno Missionario), nel timore che potesse ripetersi un massacro come quello avvenuto nel 2016, ha fatto appello agli organi federali e al Consiglio nazionale per i diritti umani (CNDH) perché siano condotte indagini sull’episodio.

Lo Stato del Mato Grosso e sede di continui massacri, simili a quelli avvenuti il 24 giugno e perpetrati nel silenzio della comunità internazionale. Nel 2016, nel Municipio di Caarapò, un violento attacco dei fazendeiros aveva causato la morte di un giovane indigeno di 23 anni e il ferimento grave di numerosi altri, tra i quali un bambino di 12 anni. In quell’occasione gli agricoltori avevano bruciato beni di proprietà degli indigeni, dopo averli costretti alla fuga. L’associazione Survival International già allora ricordava che «Negli ultimi decenni, i Guarani hanno subito violenza genocida, schiavitù e razzismo da parte di chi vuole derubarli di terre, risorse e forza lavoro». Le violenze non si sono mai interrotte, come mostra l’episodio avvenuto il 24 giugno scorso. «È necessario costruire campagna internazionale presso gli organismi per i diritti umani per denunciare e indagare sugli omicidi di popolazioni indigene» ha dichiarato il Movimento dei lavoratori rurali senza terra (MST), a proposito di quanto accaduto.

Almeno 2 giovani sono stati uccisi, 10 feriti (non ancora confermati) in un attacco di polizia/militari alla comunità Guarani di Guapo’y.

Il governo di Mato Grosso non ha spiegato perché l’operazione sia stata condotta senza ordini del tribunale e nemmeno perché la polizia militare avesse l’autorità di intervenire, dal momento che in Brasile è la polizia federale a intervenire in questioni che riguardano gli indigeni. Subito dopo il massacro, il segretario alla sicurezza brasiliano ha convocato una conferenza «piena di bugie e assurdità», secondo quanto dichiarato dall’associazione Guarani Aty Guasu, perché associa gli indigeni a problematiche quali la droga. «Può essere che il bambino colpito da un proiettile di gomma che appare in una delle immagini abbia a che fare col traffico di droga?» scrive l’associazione.

Un altro videoclip dal Brasile, inviato a Survival International: un giovane chiaramente ucciso in un attacco di polizia/militari alla comunità di Guapo’y. I Guarani avevano reclamato un minuscolo pezzo della loro terra dal proprietario terriero, che ha inviato  polizia ed esercito per farli uscire con la forza.