Soccorso Rosso Proletario

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I CPR UCCIDONO! Chiudere i CPR!

TESTIMONIANZE VIDEO E AUDIO DAL CPR DI GRADISCA

da Comitato Lavoratori Delle Campagne

Ieri mattina un’altra persona è morta dentro al CPR di Gradisca. Non sappiamo ancora il suo nome, è morta durante il periodo di quarantena che doveva fare una volta entrata nel CPR.

Nell’audio un prigioniero, che era anche lui in quarantena, racconta i tentativi di tenere nascosto l’accaduto da parte di chi gestisce questo luogo. Si parla di suicidio, e che sia stato così o meno poco importa: sappiamo bene che a uccidere questa persona sono stati il sistema delle frontiere e del controllo sulle vite, la violenza delle prigioni, il razzismo delle leggi sui documenti.

Tutti elementi che fanno parte della stessa macchina assassina, che continua ad ammazzare, ogni giorno, da un estremo all’altro dell’Europa, sotto gli occhi complici di chi non vuole vedere: due settimane fa, Abdel Latif, ventiseienne tunisino, è stato trovato morto legato al letto, all’Ospedale san Camillo di Roma, dopo essere stato prima su una nave quarantena e poi rinchiuso nel CPR di Ponte Galeria (Roma); lunedì una donna curda di 39 anni, Avin Irfan Zahir, è morta al confine tra Polonia e Bielorussia; ieri un uomo nigeriano è stato trovato morto a nord di Olchówka, in Polonia, poco dopo il confine. Solo per ricordare i casi più recenti.

Condividiamo alcuni video girati all’interno delle mura di Gradisca, che mostrano chiaramente quali siano le condizioni di detenzione all’interno di questi luoghi: in pieno inverno, manca l’acqua calda e manca il riscaldamento. I prigionieri accendono il fuoco con quello che hanno, per scaldarsi un po’ prima di dormire in celle in cui le finestre sono rotte. Si vede anche una deportazione verso la Nigeria avvenuta qualche giorno fa: più di cinque guardie portano via di peso una persona, nonostante i suoi tentativi di resistere, per obbligarla a lasciare l’Italia, perché non ha il giusto pezzo di carta.

Facciamo sentire alle persone rinchiuse la nostra solidarietà, continueremo a lottare al loro fianco per distruggere questi luoghi e abbattere questi circuiti di morte!

Non lasciamo sole le persone che resistono all’interno!

Libertà!

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Cpr di Torino: 5 o 6 tentati suicidi al giorno. Chiudere tutti i lager per migranti!

Cpr, l’accusa dei periti dopo la morte di Moussa Balde: “Non c’era solo l’ospedaletto, gravi carenze in tutta la gestione sanitaria”

Il documento nelle mani dei magistrati che hanno aperto un’inchiesta dopo il suicidio del ragazzo africano

Gli avvocati dei migranti e le associazioni di giuristi che a lungo si sono occupate del Cpr, l’avevano già sostenuto a gran voce. Ma ora anche i consulenti della procura hanno stabilito quanto «inadeguata e carente» sia la gestione sanitaria delle persone trattenute in corso Brunelleschi in attesa di essere rimpatriate. L’anticipazione della loro perizia ricostruisce un quadro di gravi inadempienze e mancanze, che servirà alla pm Rossella Salvati e all’aggiunto Vincenzo Pacileo per tirare le fila dell’inchiesta che vede indagati il medico e il direttore della struttura, oltre ad alcuni poliziotti.
Il lungo elenco dei tentativi autolesionistici e anticonservativi è solo l’ultima parte di un capitolo amaro di questa struttura, finita nell’occhio del ciclone dopo il suicidio, il 23 maggio, di Moussa Balde, il migrante che era stato aggredito per strada a sprangate a Ventimiglia e che era stato portato al Cpr e messo in isolamento all’“ospedaletto”, una struttura fatiscente, con gabbie “pollaio”, senza possibilità di controllo dall’esterno delle condizioni di chi è recluso. Proprio sull’“ospedaletto” (ora chiuso per ristrutturazione) si sono soffermati i consulenti della procura, un pool di medici che deve valutare sia i trattamenti sanitari fisici e psicologici degli ospiti, sia se spazi e procedure fossero corretti.
L’anticipazione arrivata sul tavolo della procura racconta di una mancanza di organizzazione, un sistema mal concepito, ma anche di una «assenza di protocolli». L’ospedaletto non è un luogo adatto «per l’osservazione delle persone» che vengono messe lì per ragioni sanitarie (nel caso di Moussa Balde era per il sospetto di una dermatite) .
Il regolamento del Cpr prevede una stanza di osservazione, ma questa dovrebbe essere uno spazio attiguo a quello dove visitano medici e infermieri, non distante quasi cento metro da loro, dove nemmeno le grida e i lamenti degli ospiti possono venire udite da loro. Il controllo non può essere affidato alla ronda esterna dell’esercito: dovrebbe essere il personale sanitario a verificare la situazione di persona.
Ma manca personale e questa carenza è la prima lacuna lampante. Basti pensare, come aveva spiegato l’Asgi nel “libro nero” del Cpr, che per 180 reclusi, «c’è solo un infermiere per 24 ore e un medico è presente solo cinque ore al giorno».
Anche sul fronte psicologico, gli esperti incaricati dalla procura hanno messo in luce una serie di gravi carenze da protocollo. Nel libro nero si dava atto di un’assistenza di questo tipo garantita solo per 24 ore alla settimana. «Nei primi dieci mesi di pandemia nessun medico psichiatra ha fatto ingresso nel Cpr» denunciava l’Asgi. E alcuni mesi fa era stato trattenuto un uomo, con gravi problemi (un coprofago) che durante un’ispezione era stato trovato tremante e in condizioni drammatiche: non riusciva nemmeno a parlare.
Non stupisce gli inquirenti il fatto che le persone trattenute, che hanno affrontato spesso viaggi della speranza per fuggire dalla povertà e dalle guerre del proprio paese, mettano in atto gesti anticonservativi, sia come escamotage che come atti dimostrativi per evitare di rimanere lì e poi essere rimpatriati.
I tentativi di suicidio all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Torino, in atto dalla fine di settembre, sono un pretesto per uscire, per ottenere rapidamente il rilascio per motivi sanitari.  Negli ultimi due mesi 115 persone avrebbero cercato di togliersi la vita strofinandosi il collo con lenzuola di carta o ingerendo sorsate di bagno schiuma: dopo la visita medica, sono state tutte liberate. 
Ci sono 7 indagati: la direttrice della struttura, il medico e 5 agenti. Sotto accusa le carenze del centro, e l’assistenza sanitaria. «Quella di Moussa è una tragedia su cui non si discute e sarà la magistratura ad accertare i fatti. Al momento nel complesso di corso Brunelleschi ci sono una cinquantina di ospiti, ma i numeri oscillano ogni giorno. Il centro è l’anticamera delle espulsioni. Nel 2019 erano state espulse 430 persone, 50 nel 2020, 133 nel primi mesi del 2021.
Stando ai dati, i tentativi di suicidio sono 5 o 6 al giorno.