Report dal presidio al carcere femminile di Rebibbia

Una bella giornata quella sotto il carcere femminile di Roma Rebibbia, densa di solidarietà.

Nonostante le minacce delle guardie di far loro rapporto, le detenute ci hanno accolto unite, con entusiasmo, sventolando fazzoletti e panni dalle celle ed aggiornandoci della gravissima situazione all’interno. Le donne contagiate sono già un centinaio, su circa 300 donne recluse. Hanno detto: “vogliono farci morire qua dentro!”

Ad ogni dedica, intervento, canzone non smettevano di ringraziarci.

Eravamo una sessantina, ed era bellissimo unire le nostre voci alle loro.

Non ci sono luoghi idonei per la separazione delle detenute positive da quelle negative. Alcune fra le positive vengono ospitate al piano terra mentre le docce sono al terzo piano, quindi ricevono una fornitura di acqua calda in bacinelle. Una condizione intollerabile, determinata dal fatto che le detenute sono sempre oltre il limite di capienza previsto. Se le detenute contagiate utilizzano a turno le stesse tre docce è chiaro che le patologie infettive si diffondono più velocemente.

In un‘istituzione classista e patriarcalista come il carcere la pandemia ha inasprito di molto le condizioni già dure delle donne detenute.

Al completo isolamento si aggiunge l’impossibilità di aver cura della propria persona, la mancanza di acqua, l’impossibilità di curarsi, per il mancato ricovero anche di chi versa in gravi condizioni. Le celle sono fatiscenti, umide, manca l’aria, manca il cielo.

A ciò si aggiungono le minacce di sanzioni per chi protesta o solidarizza con chi protesta per difendere il diritto alla salute e alla vita di tutte e tutti. Ma le detenute anche questa volta sono state unite. Sanno che alcune sono indagate per le proteste dell’anno scorso, ma non si sono fatte intimidire da chi ha tutto l’interesse nel dividerle. Sanno che la loro vita conta più di un materasso bruciato.

Al presidio è intervenuta per le detenute trans, una rappresentante dell’associazione “Libellula”. Sono circa una ventina, stanno al reparto G8, che è un reparto riservato alle persone trans, ma stanno alla sezione maschile di Rebibbia per mancato adeguamento dei loro documenti. Sono al 90% immigrate, provenienti dal latino-america, e di loro da un anno non si sa più niente, le visite sono vietate anche alle operatrici. Una giovane trans, che aveva chiesto di stare in cella singola per sfuggire alla transfobia, è stata messa nella sezione di Alta Sicurezza con le politiche. Qui il suo intervento:

A lei abbiamo fatto anche una breve intervista per conoscere meglio la condizione delle soggettività trans detenute:

 

Al presidio è intervenuta anche una familiare con un intervento molto toccante.

È la figlia di G., donna 65enne tradotta in carcere in piena pandemia per un ritardo del suo avvocato nel presentare ricorso avverso la sentenza di 1 grado che l’ha condannata a 3 anni e mezzo di carcere.

G. In carcere ci entra il 26 gennaio e qui prende il covid. Viene messa in isolamento in una cella 3 metri x 3 con solo una branda e un wc. Le è stata data una bacinella e una piastra sulla quale scalda l’acqua che poi si versa addosso per lavarsi, con due bottiglie di plastica tagliate a metà. Senza acqua, senza potersi fare una doccia, senza mai guardare il cielo perché l’ora d’aria in isolamento viene soppressa e la finestra inquadra il muro, senza affetti perché le visite sono bloccate dai decreti, senza parlare con nessuna perché anche le malate Covid non possono vedersi tra loro.

Qui una parte dell’intervento della figlia.:

 

“Se ci vedono alle finestre ci fanno rapporto”, così ci hanno detto le detenute.

Ma la polizia non ha fermato né le nostre né le loro voci, ci hanno ringraziato fino alla fine del presidio e noi abbiamo portato loro la nostra piena e incondizionata solidarietà, perché chi ha difeso la propria vita non si processa. Chi dovrebbe sedere sul banco degli imputati sono stato e padroni, che si sono arricchiti sulla nostra pelle, che hanno trasformato la pandemia in strage, le carceri in focolai e non solo di covid, ma anche di rivolte. 40 anni di continui tagli alle spese sociali, alla scuola, alla sanità hanno fatto il paio con aumenti progressivi della spesa pubblica per la difesa e la “sicurezza”, ossia soldi pubblici sottratti alla tutela della salute per finanziare guerre e repressione, per permettere a poche persone di continuare ad arricchirsi indisturbate sulla pelle di miliardi di persone, facendo delle carceri discariche sociali, criminalizzando povertà e dissenso.

Il distanziamento sociale necessario per evitare il contagio è preso a pretesto per impedire di manifestare. Non vale né in carcere né in altri luoghi di maggiore sfruttamento, come nelle fabbriche o nei magazzini, dove se ci si ammala e si muore poco importa, c’è sempre l’esercito industriale di riserva. Questo si chiama imperialismo e contro di esso è giusto e necessario ribellarsi! E’ giusto ribellarsi a chi mette in pericolo la nostra vita, la nostra salute! Sul posto di lavoro o in carcere siamo della stessa classe, quella degli sfruttati e degli oppressi, e fra questi le donne sono doppiamente oppresse e sfruttate. Ed hanno doppie, triple ragioni per ribellarsi.

A loro va tutto il nostro sostegno e la nostra solidarietà, a loro abbiamo portato la solidarietà anche di altre detenute ed i saluti e il sostegno del Mfpr Milano (che riportiamo sotto) e dell’assemblea donne/lavoratrici combattive

In questa epoca di pandemia dove in ogni luogo si subisce una repressione violenta ed ingiusta:  per chi è fuori vuol dire vivere distanti e separati, ma per chi subisce la galera  si deve accettare che vengano ammassati corpi, nessuna misura prevista per diminuire la popolazione carceraria. Oggi da più parti ci si “allarma” perché i focolai nelle carceri si stanno diffondendo e ci si sbraccia perché i detenuti vengano vaccinati: peccato che allarmi ed appelli vengano da rappresentanti di istituzioni che ben avrebbero potuto/dovuto dare soluzioni. annullato, negato, ogni prigioniero/a prova l’odio di questo sistema fallito che ci regala morte in tutte le sue forme.
Per questo e per la libertà che tutti noi ci meritiamo, vogliamo salutare e sostenere la giornata di  lotta e di denuncia delle condizioni sempre più disperate ed ingiuste di oggi a Roma in solidarietà con le detenute.
Tutta la nostra solidarietà e vicinanza, le compagne MFPR di Milano 

Firenze 14 aprile presidio contro la sorveglianza speciale

Da resistenzefirenze

UN DESERTO SOCIALE A TUTTI I COSTI

Come ulteriore giro di vite per i fatti del 30 ottobre in cui migliaia di persone si rivoltarono a Firenze contro il governo, il comune e la polizia, eccoci recapitata l’ennesima lettera verde dal tribunale: non si tratta di una denuncia, ma dell’invito per una nostra compagna a presentarsi in tribunale il giorno 14 Aprile 2021 per presenziare all’udienza in cui verrà decisa o meno l’applicazione della sorveglianza speciale contro di lei. Che significato dare a questa nuova mossa del questore?
Innanzitutto dobbiamo rilevare come la repressione sia tanto mutabile nei mezzi quanto poco lo è nei fini. Neanche un mese è passato dalla definitiva caduta del reato di associazione a delinquere spillato ormai più di dieci anni fa all’interno dell’operazione “400 colpi”, ed ecco ora, dopo i dubbi successi raggiunti con la pioggia di fogli di via staccati negli ultimi anni dalla questura, l’arrivo del Daspo anche per chi allo stadio non ha mai messo piede e, amarum in fundo, questa richiesta di sorveglianza speciale. Perché associare tra loro strategie e misure tanto diverse in questo scritto? Perché è fondamentale che queste si riconoscano per ciò che sono: operazioni di repressione politica. Per uno stato che dice di averla fatta finita con il fascismo è essenziale che, almeno in teoria, ad esser puniti siano i reati e non le idee. Ma come togliere allora i compagni dalle strade di fronte a una magistratura che per quanto sia classista non può non applicare il codice penale? Come togliere di mezzo persone e percorsi di auto organizzazione se gli stessi giudici nella maggioranza dei casi sono in imbarazzo di fronte alle richieste di carcerazione in relazione ai reati contestati? Come assicurarsi quella tanto agognata pace sociale se anche le misure cautelari preventive  svaniscono in pochi mesi proprio in virtù della moderata gravità dei reati in relazione alle leggi attuali? Ecco quindi spiegato il ricorso a questi mezzi di repressione politica, di cui da sempre lo stato italiano si serve, ma che di volta in volta possono tornare più o meno utili. Tanti piccoli reati non ti aprono così spesso le porte di Sollicciano, ma se ci inventiamo una associazione a delinquere la musica cambia. Teoria troppo fantasiosa anche per la magistratura? Allora la scavalchiamo con misure di polizia: fogli di via e Daspo, che non necessitano dell’approvazione del giudice, ma vengono emessi direttamente dal prefetto. C’è chi ancora si ostina a non voler piegare la testa? Ecco qua la sorveglianza speciale.

UNA SORVEGLIANZA (E UNA PUNIZIONE) DAVVERO SPECIALE.
Un capolavoro del legislatore democratico. Ben oltre: “l’innocente fino a prova contraria”, ben oltre le misure cautelari preventive in attesa che il processo si sgonfi, si arriva al “colpevole dei reati che potresti commettere”. Sì, perché contrariamente a quanto potremmo essere portati a pensare, avere la sorveglianza speciale non significa ricevere un’attenzione particolare da parte delle forze dell’ordine, che quella la subiamo già da sempre, significa veder materialmente distrutta la propria libertà. Del tutto arbitrariamente potremmo quindi avere per un tempo che va da uno a cinque anni l’obbligo di rientro notturno, il divieto di lasciare la provincia di residenza, di incontrare pregiudicati o persone sottoposte a misure cautelari, di partecipare a riunioni o assemblee di qualsiasi tipo e, per tutta la durata della sorveglianza speciale, possono essere sospesi passaporto e addirittura patente. Per anni dunque devi star lontano dai tuoi compagni, dai tuoi affetti, rinunciare a viaggiare o anche solo a lasciare la tua provincia, rinunciare a far politica, rinunciare ad uscire la sera… La pena per chi infrange queste regole può essere anche il carcere immediato. Tutto ciò, lo ripetiamo, non in connessione ad un particolare reato per cui viene prevista questa punizione, ma in relazione a chi sei, a cosa fai nella vita e quali reati potresti commettere in futuro. Proposta da Digos e questore, l’applicazione di questa misura passerà alle mani di un giudice che valuterà quindi se la persona che ha davanti merita l’appellativo di “minaccia della difesa sociale”. Il tutto in un perverso gioco di rimandi incrociati in cui la polizia dice che son anni che ci colpisce e quindi è giusto colpirci ancora di più, sennò avrebbero già smesso anche loro, che son tanto bravi, e difendersi è estremamente complicato… dal momento che non c’è nessun episodio criminoso di cui si viene accusati e quindi in sostanza… non c’è niente da cui difendersi! È così dunque che una compagna neanche pregiudicata rischia di veder cambiare la propria vita e chiunque abbia sofferto in questo anno delle limitazioni che ci sono state imposte per il Covid19 ed ora invoca l’estate nella speranza di poter tirare un sospiro di sollievo può capire quanto sia grave veder limitata radicalmente la propria libertà per un periodo tanto lungo.

PERICOLOSI PER CHI?
Pur in assenza di qualsivoglia condanna, sappiamo bene cosa finirà sul tavolo del giudice: il coraggio e la voglia di cambiare questo mondo. L’occupazione di uno spazio per giovani rapidamente divenuto un museo di arte urbana in Via Toselli prima, e a “La Crepa” poi, il sedersi davanti alle ruspe insieme agli abitanti di tutto Viale Corsica per evitare il taglio degli ippocastani, l’aver partecipato a un presidio non autorizzato di Fridays for future, l’aver contestato Nardella il giorno della Liberazione, l’aver partecipato al presidio contro lo sgombero delle famiglie in Via Carissimi, l’aver occupato una Casa delle donne in piena pandemia per offrire rifugio e assistenza a chi più sta subendo questa forzata reclusione e infine l’aver partecipato alla notte del 30 ottobre.. Questi i reati che le vengono contestati e che potrebbero meritargli questa pesante medaglia di pericolosità sociale. Ma pericolosi per chi? Esiste un solo sfruttato sulla faccia della terra che potrebbe sentirsi minacciato da tale (presunto) curriculum? A tutti noi la facile sentenza. Complici e solidali con la nostra compagna invitiamo tutti a far propria questa campagna contro la sorveglianza speciale, al suo fianco e al fianco di tutti coloro che in Italia hanno subito questa infame misura e coloro, come Eddi di Torino a cui è stata notificata di ritorno dal Rojava, che hanno deciso di non sottostarvi e di rifiutarla pubblicamente. Perché organizzare una difesa collettiva vuol dire organizzare la difesa stessa del movimento.
Invitiamo tutti e tutte il 14 Aprile 2021 dalle ore 9:30 al presidio che si terra’ di fronte al tribunale di Firenze in viale Guidoni contro questa infame misura di repressione politica

Vogliamo Dana libera! Basta persecuzioni contro il movimento NOTAV e al sud contro il Movimento NO TAP!

No Tav, in 200 al presidio di Bussoleno in favore di Dana Lauriola. Tra loro anche la sindaca

La manifestazione è stata organizzata in vista dell’udienza del 14 aprile quando il tribunale di sorveglianza dovrà pronunciarsi sulla richiesta di scarcerazione presentata dai legali dell’attivista
Un presidio forzatamente limitato nei numeri, per evitare assembramenti nella piccola piazza di fronte al municipio di Bussoleno, ma determinato nel ribadire la propria solidarietà all’attivista No-Tav Dana Lauriola, in carcere da quasi sette mesi alle Vallette di Torino, ha affollato questo pomeriggio il centro del paese valsusino dove la portavoce del movimento No-Tav viveva fino al giorno dell’arresto, nel settembre 2020. Da una settimana il popolo in lotta contro la realizzazione della Torino-Lione è mobilitato in vista del prossimo 14 aprile, quando a Torino il tribunale di sorveglianza deciderà sulla nuova richiesta dei legali di Lauriola per la scarcerazione o almeno l’assegnazione di pene alternative alla detenzione: un momento importante nella vita della 39enne condannata il 14 settembre scorso a due anni di carcere per aver preso parte, nel marzo 2012, ad una dimostrazione al casello di Avigliana dell’autostrada Torino-Bardonecchia.

Fin dal giorno della sentenza, non solo i militanti No-Tav, ma anche numerosi intellettuali e giuristi di mezza Italia hanno espresso sdegno per quella che ritengono una «condanna di per sé sproporzionata, che con il rifiuto di misure alternative si configura come una vera persecuzione politica». Anche in queste ore, da Erri De Luca all’attore-regista Elio Germano, a numerosi esponenti della società civile, sono tornate a levarsi voci di dissenso sulla carcerazione di Lauriola.

Critiche all’azione dei magistrati condivise a grandi linee anche dall’amministrazione cittadina. Tant’è che oggi la sindaca Bruna Consolini ha scelto di essere insieme ai circa 200 esponenti No-Tav in piazza Cavour, come già a settembre, poche ore dopo il trasferimento alle Vallette dell’attivista. «Nelle motivazioni dell’arresto si legge che Lauriola è in carcere perché residente a Bussoleno, paese abitato da innumerevoli No Tav, oltre che per non aver preso le distanze da chi protesta contro la Torino-Lione. Un fatto inconcepibile» lamentano da allora gli amministratori di Bussoleno, oggi in piazza per Dana Lauriola.
Quella odierna non sarà l’ultima manifestazione in programma tra la Val Susa e Torino di qui a mercoledì, data dell’atteso pronunciamento del tribunale di sorveglianza. Un altro presidio di solidarietà è previsto martedì di fronte al carcere delle Vallette: promosso dalle Fomne contra ‘l Tav e dal comitato Mamme in piazza per la libertà di dissenso, che da tempo sostengono l’attivista protagonista nei mesi scorsi anche di uno sciopero della fame insieme ad altre detenute della sezione femminile della prigione.